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Autore: RedSouls    24/01/2019    2 recensioni
Ginny viene smistata in Serpeverde. Le sarebbero serviti sette anni per capire il perchè.
Questa è la traduzione della bellissima FF di Annerb "The Changeling". Non sono mai stato un amante delle FF non canon, anzi. Ma questa, vi assicuro, è scritta talmente bene e i pezzi si incastrano così alla perfezione, che ne vale davvero la pena. Preparatevi, perchè sarà un viaggio davvero lungo.
P.S.: questa è la mia prima traduzione e sicuramente non sarà perfetta. Ho cercato di mantenere il più possibile lo stile dell'autrice, ma se in certi passaggi avete suggerimenti per rendere più chiara la traduzione sono apertissimo a ogni consiglio.
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Harry Potter, Nuovo personaggio | Coppie: Harry/Ginny
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Armistice'
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Note del Traduttore: Questa FF non è di mia proprietà, ne sono solamente il traduttore. Potete leggere l'originale qui

Note dell’Autrice: attenzione, questo capitolo include il racconto di un’aggressione sessuale subita da uno dei personaggi.

 

Capitolo 3 - Terzo anno

 

Mancava solamente una settimana alla fine delle vacanze estive quando finalmente Molly Weasley notò il tatuaggio di sua figlia. 

Ginny aveva appena cominciato a credere che forse l’avrebbe fatta franca. Era andata al villaggio di Ottery St. Catchpole all’inizio dell’estate, girovagando in un negozietto babbano con una manciata di soldi babbani rubati a suo padre. Fondotinta, si chiamava quella sostanza simile a una pozione. 

Si sentiva tranquilla, tra le maniche lunghe e quella sostanza appiccicosa e colorata. Il clima, tuttavia, si fece più caldo e il velo di sudore sulla sua pelle tradì le linee verdi quando si allungò per prendere il burro. 

Ogni movimento attorno alla tavola cessò finché Molly Weasley non urlò “Ginevra Weasley, che cos’è quello?”

Fred e George furono i primi a lasciare i propri posti, lanciandole sguardi con timore reverenziale da sopra le spalle mentre se ne andavano, come se lei avesse messo in atto il più grande atto di  cattiva condotta mai possibile. Percy schioccò la lingua in segno di disapprovazione e filò dritto al piano di sopra, borbottando qualcosa a proposito dello spessore dei calderoni mentre fuggiva. Solo Ron esitò, come se la loro fresca alleanza lo richiedesse, ma non c’erano patti di fratellanza che tenessero di fronte a una Molly Weasley a tutto volume. Le lanciò un’occhiata di scuse e sgattaiolò fuori in giardino dietro i gemelli. 

Ginny, non vedendo alcun vantaggio nel mentire a questo punto, sollevò il mento e alzò ancora di più la manica. “È un tatuaggio” disse calma (o petulante, per meglio dire, come se stesse dicendo una verità che solo uno stupido non conosceva).

Suo padre strinse gli occhi a quel tono, ma la mamma scattò in piedi prima che lui potesse dire anche solo una parola in avvertimento. Le urla spacca timpani spaziarono da non è da signorina a conseguenze a lungo termine passando per irresponsabilità fino ad arrivare a hai completamente perso la testa?

Ginny lasciò che la sfuriata le scivolasse addosso, riflettendo sul fatto che la Guferia non era davvero nulla a confronto con la sua mamma. Si prese un momento, mentre le sue orecchie fischiavano, per essere grata degli acri di spazio attorno alla loro casa e per il fatto che né Hermione né Harry fossero ancora arrivati. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era un pubblico. 

Divenne insopportabile quando fece l’errore di guardare suo padre, trovandolo a fissarla con il volto pallido come se fosse un’estranea, come se l’avesse deluso in modo così profondo che nemmeno lo comprendeva appieno. 

La sua stessa espressione vacillò, la spavalderia scivolò via. Sbattè le palpebre contro l’inaspettata pressione delle lacrime, strattonando l’orlo della manica. Aveva le parole sulla punta della lingua, adesso, non è stata una mia scelta e voi non capite.

Distolse lo sguardo. Non avrebbe incolpato qualcun altro per quello, non quando era stata dannatamente colpa sua. 

“Starai a casa dalla partita di Quidditch!” sbraitò la mamma. 

Ginny spalancò la bocca, dimenticandosi dell’imbarazzo. “Mamma!”

Solo la mano sulla sua spalla impedì a Ginny di cominciare a urlare indignata a sua volta. Non potevano non lasciarla andare alla Coppa del Mondo. Non potevano!

“Ginny”, disse papà, la voce infinitamente più calma rispetto alle urla rabbiose della mamma. “Per cortesia vai fuori mentre tua madre ed io discutiamo di questo.”

Ginny marciò fuori, lasciando i suoi genitori a discutere della loro figlia più difficile. Con uno sbuffo irritato si lasciò cadere sul primo gradino. 

Ron le si avvicinò dopo un po’, lo sguardo rivolto al prato. “Chi?” chiese. 

Ron poteva forse essere stupido e senza speranze su molte cose, ma le era abbastanza vicino per età da sapere che a quelli del secondo anno raramente veniva in mente di farsi un tatuaggio per conto loro. 

Ginny si abbracciò le ginocchia, tenendole strette contro il petto. 

La bocca di Ron s’irrigidì, le labbra strette in una linea sottile, e seppe che non doveva nemmeno pronunciare quel nome. “Giusto”, disse lui. 

Tornò dentro, chiudendo la porta con tanta deliberata lentezza che Ginny sussultò.

Non potè fare a meno di pensare che aveva appena gettato altra legna su un fuoco che già divampava.

* * *

Non ci furono altre discussioni su tatuaggi o punizioni, ma solo perché Hermione arrivò il pomeriggio seguente.

Ginny era sollevata di vederla. Non perché fossero particolarmente amiche o altro, ma perché Hermione portò con sé i propri genitori la prima sera e così seppe che non ci sarebbero state altre scenate. Sua mamma poteva continuare a sbatterle il cibo di fronte e a riservarle gli sguardi più riprovevoli, ma non avrebbe urlato. Dovevano mostrarsi piacevoli davanti ai nervosi Babbani, dimostrare che lasciare la loro figlia lì per il resto dell’estate non era un’idea completamente folle. 

Era la prima volta di Hermione alla Tana, così, mentre gli adulti prendevano il tè in salotto, Ron la portò a fare un giro. Ginny l’osservò mentre la guidava in giro per la casa, gli occhi del fratello erano diffidenti come se avesse paure di quel che lei potesse pensare del posto. Questo prima che Hermione quasi non strisciò sotto un cespuglio cercando di dare un’occhiata più da vicino a uno gnomo. Ron mise le mani in tasca mentre guardava Hermione, scuotendo la testa con apparente esasperazione. Ginny non mancò di notarne il sorriso appena accennato. 

A cena Ginny finì per sedersi accanto al signor Granger. Assomigliava esattamente a quello che lei si aspettava dovesse essere un Babbano. Indossava un bell’abito e una camicia che non era nemmeno lontanamente paragonabile alle tenute da Ministero piene di fronzoli di Percy di quei giorni. Tagliava il cibo in piccoli pezzi regolari e masticava attentamente, anche quando cercava di far finta di non aver visto la mamma far volare più pane dalla dispensa. 

Ginny si aspettava che suo padre tenesse il signor Granger impegnato con una sfilza senza fine di domande imbarazzanti, ma quella sera era stranamente tranquillo. Abbastanza da far sembrare il signor Granger piuttosto solo con l’unica compagnia del suo piatto. Ginny prese un misurato sorso d’acqua e chiese al signor Granger cosa fosse esattamente un dentista. 

Il signor Granger spiegò il suo lavoro in termini semplici, non come se lei fosse stupida, ma più come se fosse gratificato dalla sua curiosità. Provò a fare una battuta che non afferrò, anche se a giudicare dall’espressione di Hermione probabilmente non sarebbe stata divertente in alcun caso. Ginny sorrise comunque, notando il modo in cui la signora Granger guardava il marito con affettuosa esasperazione, qualcosa che aveva visto sul viso di sua madre per tutta la vita.

Decise che probabilmente il signor Granger era un buon padre.

Quando venne l’ora di sparecchiare, Ginny prese il piatto del signor Granger, sorprendendo papà ad osservarla mentre lo faceva. 

Più tardi, quella sera, lui infilò la testa nella camera di Ginny mentre lei ed Hermione andavano a letto. “Avete tutto quello che vi serve, ragazze?”

“Si”, rispose Hermione. “Grazie, signor Weasley.”

Il papà le sorrise, dando dei colpetti un po’ goffi ai piedi della branda prima di muoversi verso il letto di Ginny. Le sue dita giocarono con le sue coperte e lei voleva ricordargli che erano anni che non le rimboccava le coperte, ma lo lasciò fare comunque. 

Lui si sedette sul bordo del letto e abbassò la voce. “Tua madre e io abbiamo deciso che puoi ancora andare alla partita.”

Le salì il cuore in gola. “Grazie!” disse, lanciandosi ad abbracciarlo. “Grazie, grazie!”

Le sue braccia si strinsero attorno a lei. 

* * *

Ginny Weasley era alla Coppa del Mondo. 

La. Coppa. Del. Mondo. A guardare la finale tra Bulgaria e Irlanda. 

Era la cosa più eccitante che le fosse mai successa. (Ipotizzò che un tempo avrebbe trovato più eccitante posare gli occhi sul famoso Harry Potter, ma non era più quella piccola sciocca. E per di più, lui era in piedi accanto a lei, a guardare a bocca aperta lo stadio con la stessa soggezione che sentiva lei.)

Non avrebbe mai immaginato di essere tanto fortunata da vedere la partita di tutte le partite di Quidditch. Bill e Charlie erano sicuramente verdi d’invidia, bloccati com’erano all’estero. Sarebbero diventati ancora più gelosi quando avrebbero saputo che sedevano nella tribuna d’onore con i ministri. (Questa era la parte alla quale Percy sembrava interessarsi di più, il Quidditch era un mero effetto collaterale. Ginny non potè fare a meno di pensare che Charlie avrebbe apprezzato il tutto molto di più.)

Per Ginny sarebbe andato bene anche sedersi sull’erba molto, molto più in giù e spezzarsi il collo nel tentativo di vedere i giocatori sfrecciare lassù in alto. Tutto pur di assistere a quella partita e osservare quei giocatori. La tribuna e i suoi illustri occupanti era più una distrazione che un vantaggio. 

“È più grande della dannata Tana” mormorò Ron, armeggiando con l’omniocolo che gli aveva comprato Harry.

“Immagino che molte cose lo siano” rimarcò una voce maligna. 

Pareva che avrebbero avuto compagnia in tribuna d’onore. Ron, Harry ed Hermione si girarono praticamente in sincrono verso il nuovo arrivato Draco Malfoy, ed era difficile stabilire quale dei quattro volti tradisse più astio.

Draco non era da solo, comunque, i suoi genitori stavano pochi passi dietro di lui. 

Ginny si sentì gelare il sangue. 

Lucius Malfoy fece scorrere lo sguardo su di loro, senza indugiare su di Ginny, mentre rivolgeva a suo padre una qualche battuta ostile che non riuscì bene a cogliere a causa del fischio crescente nelle sue orecchie. Quando il signor Malfoy distolse gli occhi da suo padre fu solo per osservare Hermione come se fosse un insetto, una puzza disgustosa nella quale si era imbattuto. 

Sanguemarcio.

Ginny trasalì, ma Hermione non si mosse, rifiutandosi di distogliere gli occhi dallo schietto sguardo che il signor Malfoy le stava dando. 

Ron ed Harry erano già tesi, pronti a saltare nella mischia, ma fu Ginny che si trovò a scivolare più vicino ad Hermione, come per proteggerla. (Come se potesse fare qualcosa contro un mago adulto, uno malvagio, per di più.) Non voleva far altro che attirare l’attenzione su di sé.

Gli occhi del signor Malfoy si posarono su di lei come se la notasse soltanto ora, come se gli ci volesse un minuto per capire chi lei fosse. Lei non era niente per lui. Meno di quello. Fu un duro colpo, realizzare con quanta casualità lui l’aveva condannata anni fa agli gli incessanti sussurri di Tom Riddle senza pensarci due volte.

“Ah, si” disse lui, gli occhi glaciali. “La più giovane dei Weasley. Giochi a Quidditch con Draco, se non ricordo male.” Sollevò lo sguardo su suo padre. “Nei Serpeverde.” Le sue labbra si incurvarono come se quel fatto provasse fondamentalmente qualcosa. 

Ginny si chiese se non fosse davvero così.

La mano di suo papà si posò sulla sua spalla, calda e confortante. “Siamo molto fieri di lei” disse, una punta di ferocia sotto il suo tono calmo. “Si dice che sia la più brava giocatrice della sua squadra, nonostante la sua età.”

Draco arrossì e suo padre snudò i denti con disgusto. Si chiese se fosse più in collera per l’affronto a suo figlio o per l’impossibilità di difendere le sue penose abilità nel Quidditch. 

Inaspettatamente Harry s’intromise. “È bravissima” concordò, anche se probabilmente era più una stoccata a Draco che un complimento a lei. 

Ludo Bagman fece la sua comparsa prima che le cose si facessero ancora più tese, la sua splendente faccia da bambino attraversata dall’eccitazione. 

“Facciamo cominciare la partita!” disse battendo le mani. 

Ginny si voltò e si diresse verso le balaustre della tribuna, appoggiandosi pesantemente alla ringhiera. Guardando giù verso la folla brulicante, lasciò che le vertigini le scuotessero di dosso il crescente prurito causato dalla presenza dei Malfoy. 

“Ginny?” chiese Hermione, apparsa al suo fianco e parlando come se non ci fossero persone che la odiavano a pochi passi di distanza. Ginny voleva sapere come ci riusciva. 

“Arrivano le mascotte” urlò Ron, indicandole. 

Nella corsa ad accaparrarsi la vista migliore, Ginny finì incuneata tra Harry ed Hermione, avviluppata nel gruppo. Era sorprendentemente bello. 

Una volta che la partita incominciò, il boato della folla era assordante, persino in tribuna d’onore. Ginny si dimenticò dello sguardo di Malfoy ficcato nella sua schiena e si concentrò sull’energia e la crescente agitazione nel vedere le due migliori squadre di Quidditch al mondo che si affrontavano. Non voleva lasciare che glielo rovinassero. 

Il Cercatore della Bulgaria si lanciò in una picchiata come mai ne aveva viste e lei e Harry erano appiccicati alla balaustra l’uno accanto all’altra, le nocche bianche. 

“Lo hai visto?” urlò lei. 

Harry lanciò un grido di giubilo. “Lo so! È stato magnifico!”

La sua spalla rimase premuta contro la sua per tutto il resto della partita, il fremito d’eccitazione del suo corpo simile alla sensazione di una scopa sotto le mani. Hermione afferrava occasionalmente l’altro braccio di Ginny, stringendolo con uno squittio d’eccitazione. 

Ginny si alzò in punta di piedi e lanciò un grido quando Moran cadde in picchiata e fece una finta, mandando a segno la Pluffa con incredibile grazia. 

Si, pensò Ginny. Un giorno tutto questo sarà mio. 

Quando la partita finì, tutto si confuse in campioni del Quidditch, trofei e festeggiamenti. 

Ne parlarono per ore, di come Krum avesse fatto quella mossa, di come fosse stato coraggioso abbastanza da finire la partita come voleva lui. Hermione guardò con meraviglia Fred e George ballare una giga trionfante attorno a Ron. Harry si sporse oltre Ginny, la sua mano disegnò uno stretto arco attraverso l’aria, come per elaborare i dettagli di una nuova tecnica. Nella foga quasi inciampò su una radice e Ginny rise mentre gli afferrava il braccio per sorreggerlo. 

“Credo tu debba ancora lavorarci” commentò. 

Harry le rivolse un timido sorriso e si unì alla stupida serenata di Fred e George per Ron. 

Piegando la testa per guardare le stelle, Ginny pensò che quello doveva essere uno di quei momenti perfetti che dovrebbero essere imbottigliati in un barattolo di vetro ed essere conservati per sempre. 

Troppo perfetti. 

Aveva appena chiuso gli occhi e incominciato a sognare di tuffi mozzafiato, della sensazione di un braccio caldo contro il suo, quando urla e caos spezzarono la notte, trasformandoli in un incubo. 

Incuneata tra Fred e George nel buio pesto, Ginny sentì quanto fosse piccola, la folla in preda al panico sciamava da tutte le parti mentre i maghi senza volto torturavano i Babbani come un bambino che strappa le zampe a un ragno. Strinse la bacchetta nella sua tasca, ma sapeva che il suo piccolo compendio di maledizioni non l’avrebbe salvata. 

Alzò lo sguardo sul teschio e il serpente che galleggiavano nel cielo come una macchia e cercò di ricordarsi come respirare.

Persino quando venne l’alba e tornarono tutti a casa sani e salvi lontano dal pericolo, sembrò come se qualcosa fosse cambiato, come se quel caos fosse il segnale che gli adulti stavano aspettando. 

Mangiamorte.

Ginny vedeva il modo in cui la guardavano. 

Non c’è mai stato una strega o un mago divenuti cattivi che non fossero Serpeverde. 

Stavano tutti pensando a quello. Solo non erano abbastanza coraggiosi per dirlo. (E non era ironico?) 

Salì i gradini due alla volta e sparì in camera sua. 

* * *

La stanza di Ginny sembrava un forno. Era come se il clima facesse del suo meglio per aggiungersi ad un’aria già tesa. Nel tentativo di trovare un qualche sollievo, si raccolse i capelli in una coda di cavallo. 

Hermione entrò nella stanza come se stesse per scusarsi ancora di toglierle dello spazio prezioso, una scena già vista la prima notte. Ma sembrava tutto azzerato adesso, come se nulla potesse essere dato per scontato. 

Ginny non era così stupida da non capirlo. 

L’aveva finalmente compreso, quello sguardo inorridito che suo padre le riservò la prima volta che vide il suo tatuaggio, finalmente aveva capito quando aveva sollevato gli occhi sulla macchia verde nel cielo, circondata da urla di paura. Sapeva perché l’aveva osservata così da vicino quando parlava col signor Granger. 

Anche se avesse potuto in qualche modo dimenticarlo, eccolo di nuovo sul volto di Hermione mentre osservava il tatuaggio esposto di Ginny. 

Lei lasciò cadere il braccio, maledicendosi per non aver pensato di indossare una maglia a maniche lunghe nonostante il caldo atroce. 

Hermione non disse nulla, infilandosi nella sua branda. 

Ginny spense le luci e fece altrettanto. 

Non si diedero la buonanotte. Ginny non era sicura di quanto tempo fosse passato, sentiva solo i pensieri e le parole non dette dilatarsi pesantemente tra di loro. 

“Non sono d’accordo con loro” disse Ginny tutto d’un fiato quando non riuscì più a sopportarlo. Tenne gli occhi incollati alle tende che si muovevano placidamente sopra di lei. “Giusto perché tu lo sappia.”

Hermione non chiese su cosa non fosse d’accordo, o nemmeno con chi. Serpeverde? Mangiamorte? Erano la stessa cosa? Ginny si spaventò nel cercarne le differenze e non trovarne. 

Hermione ancora non aveva detto nulla e Ginny cominciò a sperare che forse si era addormentata e che non avrebbero dovuto avere quella conversazione. Azzardò uno sguardo. Gli occhi di Hermione erano spalancati e osservavano il soffitto, il sudore le aveva appiccicato ciocche di capelli alla fronte. 

“Non pensavo che…” cominciò a dire Hermione. “Voglio dire, non… Davvero, non è…”

Ginny trasalì ad ogni incompleta, frammentata frase. 

Hermione lasciò andare un sospiro frustrato e posò i piedi per terra. “Fa caldo” disse, come se fosse la radice di tutti i problemi del mondo. 

Ginny sentì lo strano impulso di ridere, trattenendo una battuta sull’acuta deduzione. L’aveva letto in Storia di Hogwarts?

Hermione scoccò a Ginny uno sguardo beffardo. Avrebbe dovuto ricordarsi che ad Hermione era perfettamente familiare il temperamento dei Weasley. 

“Potrei farti una treccia” disse. 

Hermione sembrò sorpresa. 

“Sarebbe più fresco” spiegò Ginny. 

“Okay” rispose, sostenendo il suo sguardo e sembrò più di un semplice assenso. 

Si sedettero sul davanzale, i corpi rivolti ad un’inesistente brezza. Ginny si districò goffamente tra le ciocche di Hermione e aspettò che lei parlasse. Poteva giurare di sentire i pensieri accavallarsi nella sua testa. 

“Non mi piacciono le scope” annunciò Hermione dopo un poco. 

Ginny si accigliò. Si sporse da un lato e notò che Hermione stava fissando il suo poster di Gwenog Jones. Era probabile che stesse cercando di scusarsi per non interessarsi al Quidditch come il resto di loro. Harry e Ron dovevano averle dato del filo da torcere di tanto in tanto. 

“Capisco” disse Ginny. La mancanza di interesse nel Quidditch poteva forse essere inspiegabile per Ginny, ma era lungi dall’essere un reato capitale. 

“Davvero?” chiese Hermione, voltando il capo. Non sembrava tanto imbarazzata o dispiaciuta, quanto determinata. “Ci si aspetterebbe che io sia coraggiosa, no? Ma sono terrorizzata dalle scope.”

Ginny sentì lo stomaco contorcersi, come se qualcuno le avesse scaraventato una Pluffa nel plesso solare. 

“Ginny?” chiese Hermione, cercando di voltarsi ancor di più e sussultando. 

Ginny realizzò che sue dita si erano contratte nei capelli di Hermione. Si costrinse a rilassarle. 

“Beh” cominciò, deglutendo il nodo alla gola. “Dal momento che ci stiamo confessando delle cose, c’è qualcosa di me che probabilmente dovresti sapere.” 

“Davvero?” fece Hermione diffidente. 

“Già. Faccio schifo a fare le trecce.”

Hermione sbattè le palpebre, come un gufo, prima di mettersi a ridere. 

Sedettero insieme finché la luna sorse e non scomparve alla vista e una fresca brezza finalmente si levò dal laghetto. 

* * *

Il primo settembre era sempre un giorno caotico alla Tana. 

La mamma volava avanti e indietro dalle stanze, alla cucina e al bucato in cortile come sempre. Ma mentre Ginny finiva di infilare le ultime cose nel suo baule, la mamma si stava aggirando per la sua stanza, rifacendole il letto anche se l’aveva fatto e rifatto già due volte. Riconosceva i segnali, quando li vedeva. 

Fred e George vennero per aiutare Hermione a portare il suo baule giù dalle scale, lasciando sole Ginny e sua madre che ancora armeggiava in giro. 

“Mamma?” si azzardò a chiedere. Le cose erano un po’ meno fredde tra loro da quando Ginny per poco non si era trovata faccia a faccia con dei maghi oscuri, ma non per questo meno tese. 

“Cosa?” disse lei, sembrando sorpresa di ritrovarle da sole. “Oh, sì.” Sprimacciò compulsivamente il cuscino di Ginny ancora una volta. 

“Ho quasi finito” disse lei. 

“Bene.” Sembrò che volesse dire qualcos’altro, ma invece estrasse qualcosa dalla tasca del suo grembiule. Premette il barattolo gelido nella mano di Ginny. “Balsamo Secretante1” disse impacciata. “Funzionerà molto meglio di quel trucco Babbano.”

Ginny voleva dire che le dispiaceva, ma non sapeva nemmeno più per cosa dovesse scusarsi.

La mamma le diede una breve stretta e sparì nel corridoio. 

Ginny ripose delicatamente il barattolo nel baule. 

* * *

Hogwarts. 

Era contenta di esservi ritornata, pronta per buttarsi in quelle cose semplici e prevedibili, come le lezioni e il Quidditch. Anche il confuso campo minato che era la sala comune della sua Casa offriva una sorta di familiarità, dopotutto. Quello poteva sopportarlo. 

Solo che Hogwarts decise di farle ciò che le riusciva meglio: toglierle la terra sotto i piedi. Non ci sarebbe stato nessun Quidditch quell’anno. Solo due scolaresche in più di sconosciuti da tenere d’occhio e un antico torneo al quale non poteva partecipare comunque.

Onore e gloria? Era più interessata nel sopravvivere.

Accanto a lei Flint sbattè un pugno sl tavolo e il calice contenente succo di zucca sobbalzò. “Che cazzo di spreco.”

Ginny sussultò, ma ricordò a se stessa che in qualche doveva essere persino peggio per lui, essendo del settimo anno e il capitano della squadra. Avrebbe fatto incazzare anche lei. “Suppongo che non metterai il tuo nome nel Calice”, disse. 

Lui la guardò come se fosse sorpreso di vederla. Si lasciò sfuggire un sbuffo privo di umorismo. “Già, Sei. Puoi dirlo forte.” Si corrucciò e Ginny potè avvertire il cambiamento nei suoi occhi, da Cacciatrice a inutile terzo anno.

Si alzò. “Ci vediamo in giro, Weasley.” disse lui, muovendosi lungo il tavolo per andare a parlare con alcuni altri del settimo anno. 

Proprio così, era di nuovo al punto di partenza. Un’altra prima notte stesa a letto ad osservare le tende con un lungo anno che si dipanava innanzi a lei. 

Solo che Smita si arrampicò ai piedi del suo letto, chiaramente non incline a farsi respingere dall’umore nero di Ginny. Si era tagliata i capelli, le ciocche scure ora si arricciavano appena sotto il suo mento. “Com’è andata la tua estate?” chiese.

Ginny scosse il capo, capace solo di pensare a come era finita, i giorni felici scoloriti nella memoria. “Un disastro. Tu?”

Amita arricciò il naso con disgusto. “Cugini. Un sacco.

Si guardarono per un momento, le espressioni sofferenti perfettamente identiche. Quindi le labbra di Smita tremolarono e Ginny cominciò a ridere. Rise a lungo e forte finché la pancia non cominciò a dolerle di qualcosa di differente dal solo disappunto. 

Chiusero le tende e si accoccolarono sul letto di Ginny, parlando fino alle prime luci del mattino, il peso di Smita che gravava sulle sue gambe. 

Ginny decise che forse tornare al punto di partenza non sarebbe stato poi così male. 

* * *

Per un po’, le lezioni e le nuove materie furono sostituti abbastanza validi al Quidditch. Smita stava ancora cercando di convincerla che Antiche Rune fosse una scelta decisamente migliore di Cura delle Creature Magiche. Nonostante amasse moltissimo stare all’aria aperta, Ginny fu abbastanza convinta quando altri studenti del terzo anno tornarono nel castello con le dita bruciacchiate e i volti fuligginosi. Almeno le lezioni della professoressa Babbling raramente causavano ferite fisiche. Inoltre, per quando Ginny detestasse ammetterlo, rune era abbastanza interessante. 

In scambio, Ginny trascinò Smita a Babbanologia come seconda scelta. Probabilmente perché sapeva che avrebbe fatto contento suo papà e stava cercando argomenti per potergli scrivere. Qualcosa da potergli raccontare. 

La professoressa Burbage la prese da parte alla fine della loro prima lezione. “Sei la figlia di Arthur Weasley, vero?”

Ginny alzò lo sguardo sul suo volto gentile e annuì. “Si, professoressa.”

Lei sorrise. “Lo saluteresti da parte mia? Abbiamo lavorato molto insieme per le Leggi per la protezione dei Babbani. È molto appassionato e veramente gentile.”

“Certamente, professoressa” disse Ginny sentendosi avvampare. Sapeva che suo padre non era un pezzo grosso al Ministero. Ben lungi dall’esserlo, a dire il vero. Non era imbarazzata per quello, aveva sento lamentarsi sua madre troppe volte in quegli anni su come non gli dessero il credito che meritava. A papà sembrava non importare, ma la riscaldava comunque sentire qualcuno dire cose così gentili su di lui, vedere le stesse cose che Ginny ammirava in lui. 

La Burbage le toccò il braccio. “Sono felice che frequenti la mia lezione, signorina Weasley.” Lo disse come se sapesse esattamente perché Ginny fosse lì, che sapesse che aveva meno a che fare con suo padre di quanto le piacesse ammettere.

Ginny si mordicchiò il labbro, mormorando qualcosa a proposito di non voler far tardi alla prossima lezione. 

La Burbage non la prese più in disparte, né la trattò differentemente da chiunque altro tra i suoi  studenti e Ginny ne fu lieta. Decise che le piaceva la Burbage, che parlava dei Babbani non come se fossero dei nemici o persino dei difficili animali domestici, ma come persone. (Anche se Ginny non era ancora convinta che quelle cose chiamate aeroplani sui quali i Babbani viaggiano fossero sicure. Si sarebbe limitata alle scope e alla polvere volante, grazie tante.)

C’era un solo altro Serpeverde in classe con loro, un ragazzo di nome Tobias. Nonostante il fatto che Ginny e Smita fossero in classe con lui ad ogni lezione sin dal primo anno, non avevano mai parlato. Alla fine, fu lui che si avvicinò a loro. La lezione era finita, il tipico chiacchiericcio dell’intervallo riempiva la stanza. 

Tobias appoggiò un fianco al banco di Ginny, i capelli color sabbia che gli ricadevano sugli occhi. “Vogliono tutti sapere cosa ci faccia l’Erede di Serpeverde a Babbanologia, nel caso in cui te lo stessi chiedendo”, annunciò.

Ginny cercò di capire se stava cercando di prendersi gioco di lei o se onestamente le persone l’associassero ancora alla Camera. Gettò uno sguardo agli altri studenti, molti dei quali lo distolsero in tutta fretta. Sentì la sua faccia avvampare. “Cosa, questa non è la lezione per imparare a condire i Babbani prima di mangiarli?” tagliò corto lei. 

Alcune teste accanto a lei si voltarono così in fretta che Ginny temette per i loro colli. Tobias sembrava semplicemente stupito, le sopracciglia sollevate. “No” disse. “Credo che quella sia un’altra lezione.”

Ginny sbattè le palpebre, chiedendosi quale fosse il suo problema. Fu spiacevole realizzare che era confusa dalla sua presenza a quella lezione tanto quanto lo erano gli altri della propria. 

“Quali altre materie a scelta frequentate?” chiese lui. “La cura e l’intenerimento delle creature magiche?” le sue labbra ebbero un sussulto e Ginny realizzò che stava cercando con tutto se stesso di non ridere. 

“Merlino”, imprecò Ginny, scuotendo il capo e sospirando. 

Smita sgranò gli occhi. “Lei non intendeva…”

“Lo sa, Smita” disse Ginny toccandole un braccio. “Ci sta solo prendendo in giro.” Prendere in giro lei, a dire il vero. E non nel modo velenoso che si sarebbe aspettata. Era abbastanza disorientante. 

Tobias posò una mano sul petto come se stesse facendo una qualche sorta di giuramento e lei cominciò a chiedersi se fosse capace di prendere qualcosa sul serio. “Non lo farei mai.” Accennò alla porta con il capo. “Andiamo. Forse a Pozioni impareremo qualcosa di utile su come imburrare gli alimenti.”

Ginny alzò gli occhi al cielo, ma raccolse i suoi libri e seguì Tobias in corridoio. “Immagino che dovremo comunque andare tutti nello stesso posto.”

“Questo è lo spirito” disse Tobias tenendo la porta aperta per Smita. “Noi poveri, pochi Serpeverde dobbiamo restare uniti, dopotutto.”

Ginny si accigliò, domandandosi cosa intendesse dire, ma la sua attenzione era già rivolta a Smita per chiederle se pensasse che gli animali dei Babbani fossero davvero inutili come sembravano. 

Per la sorpresa di Ginny, Smita reclinò il capo e cominciò a raccontare loro del cane che suo padre aveva da bambino e che il suo nonno Babbano aveva addestrato per portare il giornale ogni mattina. 

Non era ben sicura di cosa la sconcertasse di più, se il fatto che Smita non fosse una purosangue (non dovevano esserlo tutti i Serpeverde?), o che stesse parlando con Tobias. Chiacchierando, addirittura. 

Quando arrivarono a Pozioni, Tobias le lasciò per unirsi ai suoi amici dall’altra parte del sotterraneo e Smita notò l’espressione sul viso di Ginny. “Cosa?”

Lei posò la borsa e tirò fuori il suo calderone, un ghigno sulle labbra. “Nulla. Assolutamente nulla.”

* * *

Le settimane cominciarono a scorrere con crescente velocità. A Ginny mancava il Quidditch più di quanto riuscisse a dire, sentendosi un po’ persa senza. Ma le piacevano le lezioni e aveva Smita con la quale parlare. Anche Tobias era abbastanza divertente qualche volta, quando non era un completo idiota. 

Tuttavia, quando arrivarono gli studenti di Durmstrang e Beauxbatons alla fine di ottobre, Ginny era già stufa del Torneo Tremaghi. Era la sola cosa di cui tutti parlavano da settimane e se avesse sentito ancora una volta la frase ‘onore e gloria’ avrebbe dato di matto. 

Anche se vedere i suoi fratelli venire rimbalzati dalla linea dell’età attorno al Calice sfoggiando un’identica barba da nonno ripagò tutto il fastidio e il trambusto. Quasi. 

Solo allora le cose peggiorarono. 

Sedendo nella Sala Grande ad Halloween, Ginny pensò che avrebbe dovuto immaginarselo. Harry Potter veniva ancora una volta trascinato nel mezzo della mischia, al diavolo le regole.

Per mezzo secondo ci credette. Credette che Harry Potter fosse abbastanza stupido, vanaglorioso e arrogante da piegare tutte regole in funzione della sua fama, ma poi si voltò a fissarlo come tutti gli altri. Lo vide, il modo in cui arretrò come se sperasse di potersi sciogliere nel legno stesso. Non era colpevolezza, riconobbe Ginny, avendola vista più di una volta crescendo. Era qualcosa di simile… al terrore. Le fece pensare al ragazzino ammaccato che la fissava dalle pietre coperte d’inchiostro, alla sensazione di una spalla contro la sua mentre le scope sfrecciavano nell’aria. 

Harry lanciò uno sguardo in preda al panico a Ron, ma suo fratello stava fissando il pavimento, le orecchie rosse abbastanza da essere visibili fin da dove sedeva Ginny. Hermione dovette spingere Harry per farlo muovere. 

Sembrava così piccolo mentre percorreva la navata verso Silente, tra due file di maturi studenti di Durmstrang e Beauxbatons. Ginny si morse le labbra e lo guardò avanzare, cercando di fingere di non aver visto Silente sembrare più preoccupato di quanto un mago col suo potere e la sua posizione avesse il diritto di essere. 

Una volta che Harry sparì oltre la porta insieme agli altri campioni, la sala esplose in chiacchiere, il nome di Harry che volava sopra il fracasso con vari livelli di veleno e durezza. 

Imbroglione, lo chiamavano. Pallone gonfiato. Pieno di sé.

Persino Rita Skeeter parlò di lui in questi termini sui giornali.

Non conoscevano il vero Harry, pensò Ginny, ricordandosi il ragazzo inciampare nei proprio piedi preso dall’emozione di qualcosa di semplice come il Quidditch, il modo in cui i suoi occhi ancora brillavano per cose che lei dava da tempo per scontate. Poteva forse essere molte cose, ma non riusciva ad immaginarselo fare una cosa simile di proposito. 

Per le settimane seguenti, guardò Harry da lontano mentre veniva ostracizzato, trasformato in una paria vivente. Osservò il modo in cui cercava di fingere che non gli importasse, sapendo con assoluta certezza che il disprezzo degli altri studenti era nulla a confronto della lontananza del suo stupido fratello. 

Ricordava l’espressione sul volto di Ron la prima volta che mostrò a Hermione la Tana. Il suo totale sgomento per le vecchie vesti ammuffite mentre Harry gli stava accanto con abiti nuovi fiammanti. Si era sempre chiesta come potesse essere, avere qualcuno come Harry Potter per migliore amico. 

Oh, capiva suo fratello molto bene. Bene abbastanza da sapere che nessuna parola da parte sua avrebbe cambiato niente, o fatto capire che abbandonare il suo migliore amico per la sua cocente gelosia non faceva di lui un eroe, solamente un coglione. 

Così Ginny non parlò con Ron, camminava solo qualche volta nel parco con Hermione, lasciandole sfogare il malumore per la stupidità dei ragazzi. Sembrava esausta, avendo speso tutto il suo tempo a correre avanti e indietro tra Harry e Ron come un gufo troppo affaccendato. Abbastanza che Ginny volle inculcare un po’ di buon senso nella testa dei due ragazzi. O affatturarli. Non aveva ancora deciso. 

“Sono preoccupata per lui” confessò una volta Hermione tra una lezione e l’altra. 

“Ron?” chiese Ginny, pensando al posticcio e pallido viso del fratello, il modo in cui si trascinava come se stesse cominciando a sospettare di avere intrapreso il sentiero sbagliato, ma rifiutandosi di ammetterlo. 

Hermione scosse il capo. “Harry. Penso che sia terrorizzato, ma che rifiuti di ammetterlo. Più di quanto possa ammettere che Ron gli manca come un arto amputato.” Rivolse a Ginny un sorriso incerto. “Sono piuttosto patetici senza l’altro.”

Ginny provò a sorriderle a sua volta, pensando che Hermione non era per niente più felice da sola. 

Due giorni dopo comparvero le stupide spille di Draco e Ginny ne ebbe abbastanza. Disse a Smita che l’avrebbe raggiunta più tardi e si infilò in un altro corridoio. Non le ci volle molto per trovarlo, anche per lo spazio vuoto attorno a lui che sembrava seguirlo in quei giorni.

Quando gli fu abbastanza vicino, afferrò la manica di Harry. Cercò di non fare caso al modo in cui i suoi occhi ispezionarono la sua veste come se si aspettasse di vedere ‘Potter fa schifo’ lampeggiare verso di lui. Non potè biasimarlo per quello, non davvero. Non era passato poi tanto da quando passeggiava per i corridoi assieme a Draco, una risata forzata sulle sue labbra. 

“Ginny?” chiese guardingo. (Abituato ad aspettarsi il peggio da tutti i fronti, pensò lei.)

Prese un respiro, serrando la mascella. “Ron è un cretino.”

Le sopracciglia di Harry schizzarono in su per la sorpresa, come se fosse l’ultima cosa che si aspettasse di sentire da lei. 

“Ma ne verrà a capo, alla fine”, promise. Lo faceva sempre. Era questo che aveva bisogno che Harry capisse. Che suo fratello, per quanto stupido, si assumeva le proprie colpe. 

Harry provò a sorridere, ma gli uscì solo una smorfia e Ginny non se ne sorprese. “Lo pensi davvero?” le chiese, la più piccola ombra di speranza celata dietro l’umorismo forzato. 

Inspiegabilmente sentì l’urgenza di schiaffeggiarlo sostituita dal bizzarro impulso di abbracciarlo. Era abbastanza patetico. Invece gli strinse il braccio, rivolgendogli un sorriso incoraggiante. “Buona fortuna per la prima prova. Sono certa che te la caverai egregiamente.”

Lui non sembrava altrettanto fiducioso, ma riuscì a imbastire un’espressione ottimista. “Grazie, Ginny.”

Lo guardò allontanarsi, sapendo di non aver aggiusto nulla, ma sperando che forse si sentisse un pochino meglio. Che forse Hermione non si sarebbe dovuta preoccupare più così tanto. 

“Aw” la canzonò una voce strascicata. “Credo che la piccola Weasley abbia una cotta.”

Ginny si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con Draco. Il suo volto avvampò, un po’ per rabbia un po’ per l’imbarazzante ricordo della stupida ragazzina senza parole ed impacciata alla sola vista di Harry Potter. 

Draco sembrò prenderla come la conferma che cercava. Il supporto dei Weasley per Harry non era un segreto, dopotutto. I suoi occhi dardeggiarono sulla sua veste e vi si risiedeva qualcosa di fiammeggiante e spaventoso. “Hai dimenticato la tua spilla.”

“No, non credo proprio” tagliò corto Ginny. Fece per superarlo, ma Crabbe e Goyle le sbarrarono la strada. 

Draco accarezzò la sua bacchetta. “Forse vuoi qualcosa di più permanente?” Le afferrò la mano destra, girandola per esporre il polso. “Un gemello, forse?”

Il suo primo anno, come capo non dichiarato degli studenti più giovani, Draco l’aveva per lo più ignorata. Pensava che fosse un modo per dimostrarle ogni giorno che non valeva nemmeno la pena di essere notata. Il suo secondo anno le cose erano cambiate, l’alone di mistero era cresciuto in coppia con lo scandalo della Camera dei Segreti e la sua posizione nella squadra di Quidditch. Ma quando aveva lasciato intendere che non aveva alcuna intenzione di farsi comandare, la guerra del silenzio era ricominciata. 

Quell’anno, Draco non sembrava contento di limitarsi al mutismo. Lei non aveva più il Quidditch per tenerlo a bada e lui ne era più che consapevole.

Per tutto il trimestre non aveva fatto altro che parlare ad alta voce della famiglia povera di Ginny e del padre filo Babbano, i suoi sussurri teatrali riecheggiavano per la sala comune. Sapevano che stava frequentando Babbanologia? Patetico. 

E cosa aveva fatto lei a riguardo dei suoi attacchi verbali? Niente. 

Ron, Fred, George… persino Harry, avrebbero sfoderato istantaneamente le bacchette, attraversato la stanza per zittire Draco in ogni modo possibile. Lei no. 

Lei non era i suoi fratelli. Questo probabilmente faceva di lei una codarda. (Non una Grifondoro, per lo meno.)

La mano di Draco si strinse ancor di più attorno al suo polso. “Cosa ne dici, Weasley?”

Lei si allontanò da lui più forte che potè, le sue unghie le graffiarono la pelle nel mentre che si liberava. Chinando il capo si tuffò nella calca di studenti, il suono delle loro risa che la seguivano. 

* * *

“Ginevra” strascicò una voce. “È una lettera d’amore quella?”

Ginny alzò lo sguardo dalla lettera di suo padre che descriveva una nuova presa che aveva trovato in un posto che i Babbani chiamavano “Swap Meat2”. (Che cosa c’entrasse la carne con l’elettricità ancora non l’aveva capito. Doveva chiederlo alla Burbage.) Tobias, steso sul pavimento della sala comune con acri di appunti sparsi attorno a lui, stava agitando le sopracciglia in direzione di Ginny. 

Lei alzò lo sguardo al cielo. “Oh, si. È da parte di Heathcote Barbary3. Vuole portarmi in tour con lui.”

Tobias grugnì. “Pensavo avessi gusti musicali migliori.” Guardando oltre la sua spalla diede un colpetto a Smita, seduta sulla poltrona dietro di lui. “Come fai ad esserle amica?”

Smita si morse il labbro inferiore, come se cercasse di reprimere un sorriso e seppellì la faccia nel suo libro di antiche rune. 

Tobias e Ginny si scambiarono un ghigno. Sembrava essere diventata una delle più grandi ambizioni di Tobias, cercare di far ridere Smita. Ginny gli augurava buona fortuna in quell’impresa impossibile. 

Tornando alla sua lettera, Ginny fu interrotta nuovamente quando una spilla volante attraversò la stanza, colpendola al petto e rimbalzandole in grembo. ‘Potter fa schifo’, recitava. Sentì il proprio sorriso svanire.

Draco era più tranquillo in sala comune da quando uno del settimo anno si era stancato delle sue interruzioni e gli aveva detto di chiudere il becco. Ma questo non significava che non potesse trovare nuovi modi per tormentarla. 

Ginny spazzolò via la spilla dal proprio grembo e tornò alla lettera come se nulla fosse successo.

Smita sospirò. “Vorrei soltanto che… che si arrendesse.”

Tobias raccolse la spilla, rigirandola tra le dita. “Già, beh”, disse facendola sparire nella tasca. “Un ragazzo deve pur avere un hobby.”

Ginny avrebbe preferito che ne trovasse uno nuovo. 

“Comunque sia”, disse Tobias raccogliendo i fogli e rialzandosi in piedi. “Grazie per avermi fatto leggere i tuoi appunti, Smita.” Le passò un gigantesco plico di pergamene ricoperte della sua scrittura ordinata. 

Per l’infinita fascinazione di Ginny, il volto di Smita assunse una delicata sfumatura rossa. “Certo” disse. “Quando vuoi.”

Tobias le sorrise, grattandosi il collo con una mano. “Già, beh, non ho in programma di prendere di nuovo il vaiolo di drago tanto presto.”

Il rossore sul volto di Smita si intensificò e spalancò la bocca. “Oh! Non intendevo…”

Il sorriso di Tobias si allargò. “Certo che non l’intendevi.”

Ginny sbuffò e loro due si voltarono a guardarla. 

“Cosa?” chiese Tobias. 

“Nulla”, replicò Ginny. “Assolutamente nulla.”

Tobias socchiuse gli occhi, promettendo una successiva punizione. Ginny gli sorrise placidamente in risposta. 

Tobias scosse il capo in segno di sconfitta. “Ci vediamo dopo” disse, abbandonando le ragazze per i suoi amici più virili, senza dubbio. 

Mentre lo guardava attraversare la sala comune, i suoi occhi incontrarono quelli di Draco. 

Lui le lanciò uno sguardo malizioso e Ginny alzò la sua lettera, le parole che nuotavano di fronte a lei. 

* * *

Dopo la prima sfida, Ginny fu costretta a rivalutare la sua indifferenza per il Torneo Tremaghi. Poteva ancora essere una gigantesca imposizione e neanche lontanamente importante come il Quidditch, ma non era una farsa totale. Non a giudicare dai quattro enormi draghi che aspettavano di eviscerare i campioni. 

“Non possono fare sul serio”, disse Ginny cercando con tutta se stessa di non pensare a quanto sembrava piccolo Harry dall’alto degli spalti. 

“Splendido” sospirò Tobias, sembrando genuinamente elettrizzato dalla prospettiva di una carneficina. 

Smita non offrì alcun commento, ma si tappò la bocca con le mani, gli occhi sbarrati sopra le nocche. 

Nonostante le remore di Ginny, Cedric, Krum e Fleur fecero un lavoro dignitoso. Ci furono solamente due o tre volte in cui ebbe la certezza che qualcuno stesse per perdere un braccio. (Era solo leggermente delusa dal fatto di non aver visto l’affascinante campionessa di Beauxbatons perdere alcuni dei suoi lucenti e perfetti capelli in una vampa di respiro di drago.)

Quando arrivò il turno di Harry, la postura di Ginny specchiò quasi perfettamente quella di Smita. 

Fortunatamente, Harry non venne fatto a pezzi o trasformato in un cumulo di cenere, ma invece affrontò il suo drago (il più grande e il più cattivo, ne era certa) con crescente coraggio che Ginny non potè non ammirare, quasi quanto ammirò il fatto che la sua scopa divenne un’estensione del suo corpo. 

(Si chiese se anche a lui mancasse il Quidditch, o se fosse troppo occupato a non morire e dalle persone che lo fissavano nei corridoi per preoccuparsene.)

Vide Ron ed Harry più tardi, le braccia sulle spalle e le mani che sbattevano sulla schiena in quel modo di fare che hanno i ragazzi per festeggiare. Come se non ci fosse mai stato alcuno screzio tra loro. 

Hermione li seguiva pochi passi dietro di loro. Ginny sollevò un sopracciglio in sua direzione e lei alzò gli occhi al cielo esasperata, il biasimo addolcito dallo sgargiante sorriso sulle sue labbra. Ragazzi, sembrava dire. 

Ginny alzò le spalle in commiserazione e si voltò verso Tobias e Smita che ancora stavano discutendo sui punteggi assegnati dai giudici. 

Tobias sollevò le braccia. “Non è possibile che Potter abbia avuto il punteggio maggiore. Ha usato l’incantesimo più semplice di sempre!”

“Nessun altro ci ha pensato, tuttavia”, replicò Smita. “Inoltre, devi ammettere che ha volato molto bene.”

Tobias si accigliò. “Già. Immagino di si. Ma continuo a pensare che Fleur abbia avuto la miglior… tecnica.” Uno stupido sorriso si allargò sul suo volto. 

Smita non assunse esattamente uno sguardo feroce, aveva solo quell’aria di una che si augurava che Fleur si fosse abbrustolita un po’ di più.

Ginny rallentò il passo lasciando che loro andassero avanti mentre la folla sciamava diretta al castello. Smita non aveva mai detto nulla, ma Ginny non era stupida. 

Fu così che si ritrovò da sola quando Draco le fece un’imboscata. Gridò un incantesimo che non conosceva, qualcosa la colpì alle spalle come un gong, vibrando spiacevolmente lungo la sua spina dorsale. Non faceva particolarmente male, così non andò immediatamente nel panico. Non finché non cercò di voltarsi per affrontare i suoi assalitori realizzando di non riuscirci. 

Era completamente immobilizzata, dalle dita dei piedi alla gola, il suo corpo congelato come se fosse ricoperta di ghiaccio. 

Era la cosa peggiore che avesse mai provato. 

Draco le girò attorno, fermandosi troppo vicino a lei. “Credi di poterti prendere gioco di me, Weasley?” sibilò mostrandole una spilla. Nel panico, le ci volle qualche istante per consentire ai suoi occhi di cogliere quello che stava cercando di mostrarle. 

La spilla non recitava più ‘Potter fa schifo’. Ora si leggeva ‘Draco Malfoy è un innato coglione.”

I suoi occhi si spalancarono, non tanto per l’insulto quanto per la faccia livida di Malfoy e quando si rese conto di essere completamente indifesa. Non voleva mai più sentirsi così. 

Patetica.

“Ci sono problemi qui?”

L’aguzzino di Ginny sollevò lo sguardo sul professor Piton che si avvicinava e Draco abbassò la bacchetta. Ginny sentì le proprie membra distendersi e rilassarsi e desiderò urlare dal sollievo. 

“Solo un po’ di pratica per Incantesimi” mentì Draco, chiaramente a suo agio nella sicurezza che il loro Direttore della Casa avrebbe preso le sue parti.

Neanche a dirlo, Piton gli rivolse un sorriso indulgente che fece saltare i nervi Ginny. Anche io sono nella tua casa, avrebbe voluto dire. 

Gli occhi di Piton volarono su di lei. “C’è qualcos’altro che desideri aggiungere, signorina Weasley?”

Draco le scoccò uno sguardo d’avvertimento da dietro la schiena di Piton. 

Lei serrò la mascella, per niente sicura su chi dei due odiasse di più al momento. “No, signore.”

Piton annuì, gli occhi neri brillarono. “Quindi perché non vi muovete.”

Draco e i suoi compari si allontanarono e Ginny li guardò andare via, costringendo il suo cuore a tornare al suo normale ritmo. Non era sicura se fosse la paura o la rabbia a farle tremare le gambe, ma Piton era ancora lì a guardarla e si costrinse a cominciare a camminare, al diavolo il resto. 

Piton la seguì pochi passi dietro di lei per tutta la strada verso il castello, come se non si fidasse nemmeno che potesse farlo correttamente. 

“Signorina Weasley” disse lui quando si separarono all’ingresso. 

Lei si voltò per guardarlo, senza preoccuparsi di nascondere la sua rabbia ardente. “Si, signore?” chiese, mordendo ogni parola. 

Sembrò preso alla sprovvista, come se non si aspettasse quella risposta da lei. Ma poi la sua faccia si distese, ritornando alla solita fredda, incurante espressione e fu certa di essersi immaginata il luccichio di qualcosa di quasi… triste nei suoi occhi. 

Sollevò il mento. “Non ci si attarda nei corridoi.”

Le ci volle qualche momento per capire che la stava sgridando, quando era stato lui in primo luogo a fermarla. “Si, signore” disse di nuovo, girando sui tacchi e sparendo giù dai gradini. 

Poteva avvertire i suoi occhi nella schiena mentre andava. 

“Ginny”, disse Smita quando entrò in sala comune. “Dove sei…?”

Ma doveva apparire tanto in collera quanto si sentiva dentro, perché Smita si interruppe a metà frase e la guidò nel loro dormitorio. 

Le sue mani stavano ancora tremando. 

Ginny passò i seguenti trenta minuti ad appellare Draco e Piton con ogni insulto riuscisse a pensare. 

“Non sono nemmeno stata io!” esclamò, sbattendo le mani sul suo piumino. Era la cosa più irritante, non quello che Draco le aveva fatto, ma che non fosse stata abbastanza coraggiosa da pensare ad uno scherzo tale da scatenare quella reazione da parte sua. Avrebbe dovuto pensarci.

“È stato Tobias”, disse Smita, gli occhi sgranati e terrorizzati.

“Cosa?” chiese Ginny.

Smita si morse le labbra, scoccandole uno sguardo incerto. “La spilla. Sono sicura che non voleva che tu…”

Ginny scosse il capo. Stendendosi sul letto, circondò il cuscino con le braccia. “Non importa.”

Smita si accoccolò ai piedi del letto con lei, la sua mano stretta e confortante attorno alla caviglia di Ginny. 

Ginny si svegliò di soprassalto la mattina dopo col peso di Smita sulle gambe e una voce che ronzava nelle orecchie, gli strascichi di sogni su macchie d’inchiostro e membra che si muovevano contro la sua volontà. 

“Ginny?” chiese Smita, guardandola assonnata dai piedi del letto.

“Crampo”, mentì Ginny, sedendosi e facendo una smorfia mentre si stiracchiava la schiena. 

Le altre ragazze nella stanza si stavano risvegliando ed era tempo di vestirsi, scendere a fare colazione e andare a lezione come se tutto fosse normale. 

Normale. 

* * *

Nelle settimane precedenti il Ballo del Ceppo, Ginny non venne mai lasciata da sola nei corridoi. Non era sicura di ciò che Smita avesse detto a Tobias, ma quei due sembravano aver messo su un qualche sistema di vigilanza.

Parte di Ginny voleva fare un’osservazione caustica sul fatto che dei Serpeverde non avrebbero dovuto preoccuparsi in quel modo, ma sembrava stupido e petulante ed era di Smita che stava parlando. Persino Tobias sembrava aver preso seriamente quel che era successo. 

Noi Serpeverde dobbiamo restare uniti, dopotutto.

Si sentiva come se tutta quella situazione fosse uno scherzo, ma non se la sentiva molto di ridere. 

A Pozioni alzava lo sguardo i tanto in tanto, quasi certa che avrebbe trovato Piton ad osservarla. Non lo fece mai. Perché avrebbe dovuto?

La notte del Ballo del Ceppo, Ginny rimase sveglia aspettando le ragazze più grandi ritornare, volendo sentire i racconti delle danze, dei vestiti e dei pettegolezzi. Forse sognando un po’ il giorno in cui sarebbe stata lei una di quelle a fare tardi. 

Solo che l’animato gruppo di ragazze di ritorno dalla festa non stavano ridendo o sbadigliando con stanca soddisfazione. Entrarono nella sala comune in un vortice di agitazione e voci acute, una di loro avviluppata nel mezzo del gruppo. 

“Merita di morire”, sentenziò una ragazza. 

Anche dal punto nascosto nel quale si trovava, Ginny poteva vedere i lividi che fiorivano sulla pelle della ragazza in piedi nel mezzo, i solchi lasciati dalle lacrime sul viso. Vesti strappate. Le ci volle un momento per mettere insieme i pezzi, per elaborare i fatti nel loro contesto. Quando capì avvertì un brivido di paura correrle lungo la schiena. Ricordava la sensazione di non potersi muovere, di essere completamente soggetta al volere di qualcun altro. 

Ginny non potè fare al meno di considerare quanto fragili potessero essere le ragazze a volte. 

“È molto meglio farlo soffrire”, ribatté un’altra ragazza, apparentemente non tanto turbata dall’ipotetico omicidio quanto dalla limitata opportunità di punizione. 

Le altre ragazze cominciarono a parlare tutte insieme, i loro piani riempivano la stanza. Come sarebbero potute salire sulla nave, affondarla, maledire le porte perché restassero chiuse per tutto il tempo, ogni idea era più crudele della precedente. 

“No”, tagliò corto Theodora e la voce della ragazza del settimo anno silenziò tutte le altre. Non era particolarmente alta o rumorosa o persino bella, non era tecnicamente la Capo Scuola, ma Ginny aveva visto il modo in cui tutti la avvicinavano. Come fosse al comando in ogni modo che conta. “Dovrà essere pubblico. Tutti devono capire cosa succede quando ci si mette contro una Serpeverde.”

Le cose furono organizzate in fretta dopo quelle parole. Una ragazza lanciò un incantesimo sul viso di tutte le altre. Non erano trasfigurate, solo sfocate. Per quanto ci provasse, gli occhi di Ginny continuavano a scivolare via dai loro volti come una goccia di pioggia sul vetro. Coi cappucci scuri calati sulla testa sembravano Dissennatori quel tanto che bastava da provocare a Ginny un brivido di paura lungo la schiena. 

Ginny si voltò trovando Smita seduta accanto a lei, la faccia più pallida del normale, ma calma come sempre. 

“Io vado”, disse Ginny decisa, sapendo in qualche modo che doveva vedere gli sviluppi di quella vicenda. 

Smita deglutì. “Okay.”

“Non devi…”, cominciò a dire Ginny.

“Se vai tu, vengo anch’io.”

Ginny fece scivolare una mano in quella di Smita, stringendogliela. 

Hogwarts le aveva tolto molto, incluso il Quidditch, ma uscire per seguire le ragazze sembrava molto simile a volare. 

Quando le raggiunsero, avevano già attirato Gregor fuori dalla nave di Durmstrang. Gli legarono le mani dietro la schiena e lo costrinsero a fermarsi davanti a Liza, riconoscibile solamente per i lembi strappati che penzolavano dalla sua veste. 

“È lui?” chiese una delle ragazze (Ginny sospettava fosse Theodora), la voce distorta e sferzante. 

“Cosa?” cercò di protestare Gregor. 

Una delle sue guardiane estrasse la bacchetta, ringhiando “Petrificus Totalus.” Il corpo di Gregor si immobilizzò, solamente i suoi occhi si muovevano freneticamente. 

“È questo il ragazzo?” ripetè Theodora. 

Ci fu un fruscio di vesti che Ginny interpretò come un cenno di capo. “È lui.”

”Gli hai detto che le sue attenzioni non erano gradite?”

Liza si coprì le spalle con le mani. “Si.”

“Ti ha ascoltata?”

“No.”

“Giuri sul tuo sangue magico che questa è la verità?”

“Lo giuro.”

“Molto bene.”

Il cerchio di ragazze si strinse attorno a Gregor.

Ginny aveva tredici anni quando vide per la prima volta una Maledizione Senza Perdono da vicino.  Sapeva che avrebbe dovuto esserne terrorizzata, sapeva che la punizione per quei crimini terribili era la vita ad Azkaban, ma guardando il ragazzo di Durmstrang contorcersi e farfugliare, implorare per il perdono, non sembrava tanto malvagio quanto meritato. Cos’era più imperdonabile, un terribile incantesimo o il crimine che il ragazzo aveva commesso?

Giusto?

La forza è giusta, le ricordò Tom, la voce crudele e tagliente. 

Ginny e Smita guardarono le ragazze costringere Gregor a scrivere una confessione, le sue mani si muovevano sotto la Maledizione Imperio. Le ragazze quindi ingrandirono e affissero ai muri le sue parole. Fu solo quando gli legarono una corda al collo che Ginny si mosse, il cuore in gola. Sicuramente non avrebbero…

Si precipitò in avanti mentre lo facevano salire sulla balconata sopra l’entrata. Smita le afferrò il braccio, cercando di trattenerla, ma Ginny se la scrollò di dosso. Gregor cadde oltre il bordo con un gemito soffocato. 

Ginny doveva aver fatto un qualche sono in protesta, perché tutte si girarono a guardarla, i volti ancora confusi e distorti, come se un velo di nebbia nascondesse le loro fattezze. Per una frazione di secondo Ginny pensò, Eccoci. Sono la prossima.

Ma quella che Ginny sospettava essere Theodora alzò la mano e il gruppo si divise come ad invitarla ispezionare il loro operato. 

Non era sicura di cosa le avesse fatto muovere i piedi, ma deglutì il groppo che aveva in gola e avanzò lentamente tra le due ali della piccola folla. 

Ci fu un sussurro mentre passava, una brezza fresca le carezzò il viso. Le ci volle un momento per capire che qualcuna l’aveva camuffata. Per proteggere lei o loro stesse non seppe dirlo. Si sporse dal davanzale, le dita conficcate nella dura pietra. 

Gregor la fissava con gli occhi spalancati, dondolando da una parte all’altra da una corda legata attorno alla vita. Terrorizzato, ma decisamente vivo. 

Credeva che forse avrebbe dovuto provare orrore, che avrebbe dovuto disapprovare questa parte di crudeltà dei Serpeverde. Ma tutto quello che provò fu un sinistro moto di soddisfazione e sollevò un angolo della bocca. 

Quando si voltò, tutte le ragazze erano scomparse. Solo Smita rimaneva in piedi in mezzo al corridoio, le mani premute sulla bocca. 

Ginny si affrettò verso di lei, afferrandola per il braccio. “Vieni. Andiamocene da qui.” Non sarebbe stato conveniente farsi scoprire così vicine alla scena del crimine. 

Smita non protestò, lasciando che Ginny la trascinasse via. 

* * *

Il corpo di Gregor fu trovato dondolare all’entrata della Sala Grande la mattina seguente, gli occhi spalancati e le urla soffocate dal suo bavaglio. Sopra di lui, scritta con le sue stesse mani, c’era la sua confessione. 

Sono un pervertito e un ladro. Ho provato a prendere a una Serpeverde qualcosa che non era disposta a darmi. Per questo motivo, merito di morire. 

Glielo avevano fatto credere anche lui, fino al momento in cui la corda attorno alla vita aveva fermato la sua quasi, terrificante, caduta. 

Se ci fosse stato bisogno di una qualsiasi altra prova della sua paura, tutto quello che si doveva fare era guardare alla pozzanghera sospetta proprio sotto di lui. 

Ci volle un’ora prima che i professori riuscissero a tirare giù Gregor e un’altro paio di settimane prima che le scritte svanissero. Abbastanza perché ogni studente della scuola potesse assistere allo spettacolo di prima mano.

Come passarono i giorni, le ragazze osservavano Ginny, gli occhi la seguivano e sospettava che stessero aspettando di vedere se le avrebbe smascherate, correndo a spifferare tutto a Piton o Silente. Avrebbero dovuto aspettare a lungo. 

Non capiva ancora cos’era successo quella notte o come si sentisse a riguardo, ma non aveva intenzione di dire niente ai professori. Non a Piton, non alla McGonagall. Dubitava che avessero tutte le risposte come invece volevano far credere agli studenti. 

Alla fine non ci fu nessuno da punire, nemmeno quando Gregor riacquistò la capacità di parlare. Riusciva solo a balbettare a proposito di maghi incappucciati e senza volto. Questa fu un’altra lezione che Ginny imparò su cosa significasse essere una Serpeverde. Solo perché si era disposti a fare un lavoro, non significava che si doveva anche essere disposti a farsi beccare nel processo.  

Questo non impedì ai ragazzi di Hogwarts e di Durmstrang di scoccare alle ragazze di Serpeverde degli sguardi cauti. Ginny lo sentiva quando camminava per i corridoi, il verde della sua uniforme era come un marchio, un avvertimento. 

Per settimane Ginny non lasciò passare una sola notte senza pensare alla strana sensazione di vuoto che provava allo stomaco. Non credeva fosse paura, ma piuttosto qualcosa di completamente diverso. Qualcosa di nuovo, strano e in un qualche modo… di incredibilmente giusto. 

Si chiedeva cosa dicesse a proposito lei. 

Nei suoi sogni, Tom rideva forte e a lungo, la vittoria ben udibile nella sua voce. 

* * *

La seconda prova non fu emozionante come la prima, ma non per questo meno tesa. C’era tutta la scuola sulla rive del lago ad osservare la superficie dell’acqua finché uno ad uno i campioni riemersero trascinando con loro i propri ostaggi.

Harry fece abbastanza bene (nonostante il suo impegno a lasciare che un atto improvviso di coraggio avesse la meglio sul cervello ancora una volta), e come sempre Draco sembrò prenderlo come un insulto personale. Ma Harry era circondato da ammiratori e sostenitori (divertente quanto velocemente potessero cambiare certe cose) e giornalisti molto meno cordiali (e come certe altre non cambiassero affatto), così Draco non potè toccarlo. Invece ripiegò sul suo secondo gioco preferito. 

Camminava pochi passi dietro Ginny sulla via di ritorno al castello, mormorando insulti a fior di labbra per tutto il tempo. Lei raddrizzò le spalle, ma non era particolarmente preoccupata fintanto che erano circondati dagli altri studenti. 

Draco, tuttavia, non sembrò apprezzare l’essere ignorato e alla fine le bloccò la strada, aprendo la bocca come se volesse insultarla di nuovo. 

Solo che non uscì nulla. Emise una specie di gracidio, sollevando una mano alla gola. Come se non riuscisse a respirare. 

Ginny si accigliò, chiedendosi cosa stesse succedendo. Prima che potesse pensare a qualcosa di meglio, fece per raggiungerlo per controllare se stesse bene. 

Lui si ritrasse, abbassando lo sguardo alla mano della bacchetta di Ginny, vuota e inutile lungo il suo fianco. 

Ginny gli mostrò le mani. Qualunque cosa fosse, non era stata lei a causarla. Avrebbe potuto provare a darle la colpa, ma c’erano più di venti testimoni del fatto che Ginny non avesse mai estratto la bacchetta. 

Draco cominciò ad andare sul serio nel panico, Goyle gli artigliava la gola come per liberarlo da qualcosa. 

Proprio quando cominciò a temere che sarebbe soffocato, qualunque cosa lo stesse trattenendo sembrò lasciarlo andare e Draco bevve profondi respiri mentre si appoggiava a Crabbe e Goyle. 

Sopra la folla, Ginny notò una delle ragazze Serpeverde della notte del Ballo del Ceppo che si allontanava, la nera lunga coda di cavallo che le oscillava sulle spalle. Antonia, ricordò Ginny. Una del quinto anno. Senza degnare di uno sguardo l’ancora boccheggiante Draco, Ginny la seguì.

La raggiunse proprio quando Antonia stava per entrare nella sala comune. “Sei… sei stata tu?”

Gli occhi di Antonia si allargarono con finta innocenza. “A fare cosa?” Proseguì, scivolando giù per i gradini. Scivolando come se fosse incapace di fare qualsiasi cosa se non elegantemente, la sua intera vita una coreografia. 

Ginny, tuttavia, non era dell’idea di farsi liquidare così facilmente, uscita elegante o no. Ora era convinta che ci fosse Antonia dietro qualsiasi cosa fosse successa a Draco. Sulle motivazioni era molto più confusa, ma non riusciva ad immaginarsi di domandare ad Antonia perché si fosse presa la briga di aiutarla, così chiese, “Come ci sei riuscita?”

Antonia si voltò verso Ginny con aria cospiratrice, come se stesse solamente aspettando quella domanda. “Sai la parte migliore di quel piccolo incantesimo? È completamente irrintracciabile. Anche se qualcuno ti ispezionasse la bacchetta, controllando gli ultimi incantesimi, mostrerebbe solamente un banale incantesimo d’Appello.” Rise, sventolando la sua bacchetta. “È geniale.”

“È… legale?” chiese Ginny. 

Le sopracciglia di Antonia si sollevarono come se quella fosse la domanda più ridicola che Ginny avrebbe potuto farle. 

Qualcun’altro rispose alla sua domanda. “Non penso che fosse quello che intendevi chiedere.”

Ginny si voltò per vedere Theodora leggere accanto al fuoco, i suoi capelli biondi raccolti in una lucente, stretta coda. Ginny lanciò un’occhiata ad Antonia per valutare la sua reazione a questa insolita interazione da parte della ragazza del settimo anno. Raramente si abbassava a conversare con gli altri. 

Antonia le fece un sorrisetto, come a dirle oh, adesso sono fatti tuoi.

“Cosa…” la voce di Ginny si spezzò e si schiarì la gola. “Cosa intendevo chiedere?”

Theodora mise un dito su una riga del suo libro per tenere il segno. “Non sembrava avessi problemi con la legalità la notte del Ballo del Ceppo.”

Ginny sentì lo stomaco bruciare. No. Non ne aveva avuti. Aveva avuto la possibilità di denunciarle, di dare l’allarme, di fare qualsiasi cosa che non fosse il semplice guardare e starsene zitta. Ma tuttavia non era come partecipare.

Non era così?

“Tu non voi davvero sapere se sia legale o no”, disse Theodora alzando gli occhi sul volto di Ginny come se le stesse facendo una domanda. 

Ginny si morse l’interno della guancia. “Voglio sapere se è giusto” disse lei. 

“Non sono sempre la stessa cosa” replicò Theodora, qualcosa di così spiccatamente superiore nel tono da dare sui nervi a Ginny. 

Si accigliò. “E chi lo decide? Tu?”

Dietro di lei Ginny sentì Antonia trattenere il respiro in sorpresa, ma non si azzardò a guardarla. Era molto probabile che si fosse spinta troppo oltre, che avesse fatto un errore di calcolo, ma non sarebbe scappata con la coda tra le gambe, anche se avrebbe dovuto. Raddrizzò la schiena e sollevò il mento. 

Theodora le sorprese entrambe sorridendo, un sorriso ampio e vagamente condiscendente, ma comunque divertito. “Questa è la parte interessante” disse, chiudendo il libro e alzandosi in piedi. Si avvicinò a Ginny, torreggiando su di lei di dodici buoni centimetri. Era più grande di Ginny di soli quattro anni, ma in quel momento avrebbe potuto averne comodamente cinquecento. 

Theodora allungò una mano verso il volto di Ginny la quale, nonostante tutto, si ritrasse, non sapendo cosa aspettarsi. Il sorriso di Theodora si allargò ulteriormente e le sue dita indugiarono prima di accarezzare una ciocca dei capelli di Ginny. 

Chinandosi verso di lei, le disse. “Questo sta a te deciderlo.”

Ginny si accigliò, voleva farle più domande, ma Theodora aveva chiaramente concluso la conversazione. Con un breve cenno ad Antonia, si dileguò dalla stanza, passando accanto a una Smita dagli occhi sgranati che sostava all’ingresso. 

Antonia si riprese e rise mentre batteva sulla spalla di Ginny. “ Per la miseria”, imprecò in un sussurro, il divertimento tingeva le sue parole. 

“E quello cos’era?” chiese Smita guardando Antonia allontanarsi. 

Ginny scosse il capo, le ginocchia ancora le tremavano. Non ne aveva idea. 

* * *

Incantesimi era una delle materie preferite di Ginny. Era un po’ caotica, ma produttiva e praticamente tutte le lezioni erano passate con la bacchetta in mano a fare concretamente qualcosa, non a discutere di teoria per ore come in Trasfigurazione, o peggio, dell’infinita carrellata di eventi accaduti molto tempo prima in Storia della Magia. Smita preferiva i numeri e la teoria, ma quella era solo la sua natura. Ginny aveva sempre preferito l’azione. 

Quell’anno erano al tavolo con una ragazza di nome Luna Lovegood. Era una bionda, slanciata, sognante ragazza di Corvonero che era incredibilmente gradevole nel suo modo bizzarro. A Smita non sembrava dispiacere Luna, nonostante le cose che diceva qualche volta. Luna poteva anche essere strana, ma era intelligente e prendeva i compiti e il lavoro molto seriamente a differenza degli altri compagni di classe. Questo era più che sufficiente per lei. 

A Ginny piaceva Luna per il semplice fatto che sarà anche stata un po’ strana, ma era onesta. A Ginny piaceva parlare con qualcuno e sapere con assoluta certezza che quella persona intendesse dire ogni parola che usciva dalla sua bocca, anche se si trattava dei Ricciocorni Schiattosi o qualcosa di ugualmente assurdo. Era rilassante. 

Tuttavia, per quanto Luna piacesse loro, era soltanto una conoscenza passeggera. Non chiacchieravano, o uscivano, o si incontravano per studiare. Così, quando Ginny E Smita furono incastrate per pulire una disastrosa cascata d’inchiostro che aveva imbrattato i muri a seguito di un maldestro incantesimo, Luna se ne andò come tutti gli altri. 

Ginny mostrò a Smita un incantesimo di risucchio molto utile che aveva imparato da sua mamma, così furono in grado di sbrigarsela in fretta. Quando ebbero terminato, gli ultimi ritardatari della loro classe stavano ancora bighellonando lì fuori. 

Ginny mise piede in corridoio appena in tempo per sentire una voce cantilenare “Lunatica, Lunatica Lovegood” e le risa che riecheggiarono alla provocazione. 

Due ragazzi bloccavano la strada a Luna mentre la prendeva in giro. Ginny riconobbe il blu e l’argento delle loro uniformi, identificandoli come Corvonero. Si chiese se essere della stessa casa di Luna li facesse sentire in diritto di ridicolizzarla. 

Era il momento di andarsene, di lasciare Luna da sola. Smita si era giù voltata e percorso pochi passi lungo il corridoio dove Tobias le stava aspettando. Ginny fece per seguirla, ma uno dei ragazzi sollevò la bacchetta e l’agitò come se stesse lanciando una fattura insieme alle parole pungenti. Ginny ricordò con dolorosa chiarezza la sensazione del proprio corpo completamente immobilizzato. 

I suoi piedi si mossero prima del pensiero cosciente. 

“Ehi” esclamò fermandosi dietro i due ragazzi. 

“Cosa? chiesero loro. 

Il primo ragazzo sbiancò quando realizzò con chi stava parlando. Non Ginny Weasley, ma una Serpeverde. Per la prima volta quello sguardo atterrito non fece sentire Ginny come un mostro. 

“Lasciatela stare” disse lei. 

Il secondo ragazzo sembrava più sicuro e incrociò le braccia al petto. “O cosa?”

C’era stato un tempo in cui lei non avrebbe avuto il coraggio di sostenere la sfida, in cui avrebbe preferito andarsene. Non attirare l’attenzione su di te. Ma, maledizione, a lei piaceva Luna. E tutto quello non era giusto. 

Ginny fece un piccolo passo in avanti, sollevando in sopracciglio nel modo in cui aveva visto fare a Theodora. “Vuoi davvero scoprirlo?” chiese, giocherellando con la bacchetta. 

L’aveva detto con spavalderia, per impaurire il ragazzo Corvonero, ma in quel momento realizzò che l’avrebbe affatturato se avesse dovuto, era tutto lì, dentro di lei. Aveva anni di pratica con i suoi fratelli, dopotutto, anni passati a cavarsela da sola. (E perché, oh perché l’aveva dimenticato? Perché aveva provato ad essere qualcun’altro?)

Poteva farcela. 

Ma la voce di Antonia risuonò nella sua testa, ammonendola che forse era preferibile non colpire quegli stupidi coglioni in corridoio davanti a così tanti testimoni. Sorrise amaramente a quel pensiero così da Serpeverde. 

Il suo sorriso sembrò far vacillare il coraggio del ragazzo, solo per un momento. Non era un Grifondoro dopotutto, non uno che nutriva la propria stupidità col coraggio. Così quando Smita l’affiancò, Tobias dietro di lei, il ragazzo di Corvonero indietreggiò, avendo chiaramente fatto bene i conti. Le lanciò un’occhiataccia, ma se ne andò.

Acuti, quei Corvonero. 

Gli studenti rimasti abbastanza a lungo da assistere alla scena si girarono verso l’un l’altro in tutta fretta, i sussurri e le grida che commentavano quel che era appena successo riecheggiarono sulle pareti di pietra. 

Ginny rinfoderò la bacchetta e si rivolse a Luna, la quale aveva osservato lo scontro con i suoi soliti placidi occhi sgranati, come se si stesse chiedendo il perché di tutto quel trambusto. 

“Vuoi venire giù al Lago ed esercitarti con noi per il compito di Incantesimi?” le chiese Ginny. 

Le fece un po’ male il modo in cui lo sguardo di Luna si illuminò come se le stesse consegnando le chiavi del paradiso. “Oh, si. Sarebbe carino. Avevo giusto intenzione di raccogliere alcuni plimpi d’acqua dolce.”

Ginny non aveva idea di cosa fossero i plimpi d’acqua dolce, sapeva solo che nessun altro osò dire una sola cosa cattiva a Luna quando c’era lei nei paraggi.

Non più. 

Era giusto.

* * *

Ginny strinse più forte la propria bacchetta e fece un cauto passo avanti verso l’oggetto di fronte a lei. 

Era uno specchio, uno di quelli ovali, alti e sfarzosi ai quali zia Muriel era tanto affezionata. Solo che il vetro di questo era rovinato e nebbioso e sembrava sul punto di rompersi, come se bastasse una piccola vibrazione per mandarlo in mille pezzi. Ginny voleva voltarsi più di ogni altra cosa, mettere quanta più distanza possibile tra lei e quell’oggetto sinistro. 

Raddrizzando la schiena si costrinse a fare un ulteriore passo avanti, concentrandosi sullo specchio. Il suo riflesso entrò nel suo campo visivo. Solo che non era lei la figura che la guardava di rimando. Un freddo, spigoloso viso l’osservava da sotto una chioma di capelli scuri, gli abiti verde scuri identici ai suoi. 

“Changeling” l’accusò, la voce simile a un serpente. 

Istintivamente Ginny sollevò la mano cercando di schermare l’immagine, di nasconderla alla vista. La mano della figura si mosso oltre la superficie dello specchio, afferrandole il polso. Lottò, cercando di liberarsi, ma lui sorrise, quasi come un fratello orgoglioso. “Strana somiglianza” disse, premendo le dita sulla macchia d’inchiostro verde sulla sua pelle. 

Dietro di lei Malocchio disse qualcosa in lontananza, un incoraggiamento forse, ma molto più simili a severe istruzioni. Vigilanza costante!

Ginny scosse il capo come per liberarsi del brusio che le riempiva le orecchie. 

Io non sono come te, Tom, voleva dire. 

Tom sorrise come se riuscisse a sentirla. Ti ho fatto io.

“No.”

“Weasley” ringhiò Malocchio sempre più impaziente. Attorno a lei il mormorio divenne più forte, gli altri studenti allungarono il collo con crescente curiosità.

Guardando Tom dritto negli occhi, Ginny strinse la bacchetta e disse “Riddikulus”. Gli fece diventare i capelli rosso fuoco e gli mise un paio d’occhiali neri tenuti insieme da del nastro bianco. Lui incespicò all’indietro con rabbia, le ginocchia strette da una gonna scozzese, e una risata si liberò dalla gola di Ginny facendo tintinnare lo specchio. 

Strana somiglianza, in effetti. 

Il Molliccio danzò via da lei, cercando una nuova vittima da terrorizzare. Si trasformò in uno squalo, il corpo flessuoso fendeva l’aria come fosse acqua, e Ginny arretrò nella folla di studenti a guardare. Per mascherare, forse, la voce di Tom che ancora le ronzava nelle orecchie. 

Solo che non c’era nessuna voce, perché Tom se n’era andato. Lo sapeva. L’aveva sempre saputo, nonostante i suoi crescenti dubbi. C’era soltanto lei, adesso, lasciata sola a chiedersi… a chiedersi se Tom l’avesse trasformata in qualcuno che non avrebbe mai voluto essere. 

Osservò il Molliccio, che adesso era uno squalo in miniatura che nuotava in una boccia per pesci rossi. 

No. 

Tom l’aveva cambiata, questo non poteva negarlo. Le aveva aperto gli occhi su cose che altrimenti non avrebbe mai compreso. L’aveva temprata, resa più forte, ma non aveva più il potere di manipolarla. L’agire e le motivazioni erano suoi. 

Suoi.

“Chi era quello?” vollero sapere alcune ragazze una volta che Malocchio ebbe rispedito il Molliccio nel suo armadio. “Un ex fidanzato?” la punzecchiarono. 

Ginny rise e l’armadio si agitò. “Qualcosa del genere” disse, sentendo le guance avvampare. 

Uscì dalla stanza, lasciando Tom chiuso nel passato al quale apparteneva. 

* * *

Harry Potter uscì dall’ultima prova del Tremaghi con un cadavere stretto tra le braccia e, con quello, tutto cambiò. 

L’arena era nel caos più totale, la gente si spingeva in preda al panico. Ginny aveva perso da tempo la mano di Smita, ma sapeva che Tobias era con lei. Cercò di portarsi nel punto doveva aveva scorto l’ultima volta Harry, cercando un guizzo di familiari capelli rossi, del confortante profilo di sua madre. 

Invece si trovò risospinta sugli spalti, costretta a ritirarsi nell’ombra sotto i sedili per evitare di essere travolta. 

Si aprì uno squarcio nella folla e vide Draco in piedi in mezzo a una gradinata. 

Per un momento sembrò un po’ perso, sconcertato dalle grida e dagli strilli della folla, l’eco di Cedric, Potter e il Signore Oscuro cresceva d’intensità. Poi si voltò sorprendendola ad osservarlo e la sulla sua bocca si disegnò la soddisfazione, come lui fosse in un qualche modo responsabile di tutto quello. 

Si ricordava, però, del momento di paura che aveva mostrato. Lo memorizzò. 

Draco diede una gomitata agli onnipresenti Crabbe e Goyle, gesticolando verso Ginny. Era un’evidente intimidazione. Fece finta per un momento di essere sulla sua scopa e che quella non fosse altro che un’altra partita di Quidditch. Anche con tutto il caos attorno a loro, non si sarebbe azzardato a farle niente. 

Vero?

Una mano si posò sulla sua spalle e quasi non svenne dallo spavento. 

“Ginny” disse George tirandola in piedi. Fred era accanto a lui, la bacchetta estratta e gli occhi puntati sulla folla come se non fosse sicuro di cosa potersi aspettare ancora. 

Ginny si prese un momento per guardare di nuovo lungo la gradinata, ma Malfoy era sparito. 

“Forza Gin” l’incitò Fred avvicinandola dall’altro lato. “La mamma ci vuole ad aspettare dentro.”

Tornarono al castello puntando alla Sala Grande mentre tutti gli altri ancora si agitavano all’esterno. Riusciva a distinguere gli echi delle grida isteriche che si alzavano sulla collina, rimbalzando sulle pareti di pietra. 

Dentro presero posto in territorio neutrale, sedendosi al tavolo di Tassofrasso. 

Un intero anno di scuola e in qualche modo Ginny era tornata dove tutto era cominciato. Spaventata a morte, sentendosi così dannatamente piccola, ma con i suoi fratelli così vicini ai suoi fianchi da sembrare la copertina di un libro. 

Nelle ore successive videro le persone avvicendarsi all’ingresso, studenti diretti alle loro sale comuni, personale del ministero e professori e persino, quando si fu fatto davvero molto tardi, un Dissennatore. 

Ginny si rannicchiò contro George, sentendo il gelo correrle sulla pelle, ma, per una volta, le sue orecchie rimasero vuote. Silenziose. 

Passarono ancora circa una ventina di minuti prima che la mamma apparisse nella sala con Ron. 

“È vero?” chiese Fred balzando in piedi come una molla, tutte quelle ore passate a sedere immobile svanite in un secondo. 

La mamma gli lanciò uno sguardo severo. “Andiamo” disse prendendo la mano di Ginny. 

Ma i gemelli non avevano intenzione di farsi liquidare facilmente, non quella notte. “Tu Sai Chi è davvero tornato?” domandò George. 

Mamma poteva anche infuriarsi e non volergli addossare quel fardello, ma se Tu Sai Chi aveva trovato il modo di avvicinarsi a Harry, sarebbe potuto arrivare a chiunque. 

Fu Ron a fermarsi e a voltarsi per guardarli, il volto pallido e insolitamente serio. “È vero. Harry l’ha visto.”

Mamma si voltò per lanciargli uno sguardo truce. “Ronald!”

Per una volta lui non sembrò dispiaciuto, ma sostenne lo sguardo come se persino lui avesse cominciato a crescere un po’ all’idea di quello che avrebbero dovuto affrontare. “Meritano di sapere” le disse.

Mamma scosse il capo, spingendoli all’ingresso. “Tutti a letto.”

Come un tutt’uno si girarono verso le scale. Ginny si fermò nel mezzo dell’atrio. “Ehm, mamma. La mia stanza è da questa parte” disse, indicando nella direzione opposta. 

La mamma si fermò, un piede quasi comicamente sollevato sul primo gradino. “Giusto” disse con aria confusa. Distrutta. Si voltò verso Ginny. “Ma certo.”

Fred passò un braccio attorno alle spalle di Ron e con un sorriso che non si avvicinò nemmeno lontanamente ai suoi occhi. “Non ti preoccupare, mamma. Portiamo noi Ronnino nel suo letto.”

“Gli rimbocchiamo le coperte” assentì George, dando dei colpetti sulla testa di Ron. 

Ron si ritrasse indignato da George e Ginny desiderò di seguirli più di quanto avesse fatto il suo primo giorno ad Hogwarts. 

La mamma si prese il tempo per baciare e abbracciare ognuno di loro prima di lasciarli andare e Ginny seppe che la situazione era davvero grave quando la lasciarono fare senza alcuna protesta. Nemmeno Ron.

“Notte Gin” le disse lui. Lo guardò andarsene con una mano ficcata nella tasca, senza dubbio stretta attorno alla sua bacchetta, come se si aspettasse qualcosa balzargli addosso all’improvviso. 

Mamma la prese per mano, schiarendosi la voce. Si guardò attorno. “Non ho davvero idea di dove…”

Ginny annuì. “Da questa parte.”

La guidò giù dalle scale e nei sotterranei sotto il lago, l’aria si fece più fredda e umida nel modo in cui Ginny aveva cominciato a trovare familiare. La mamma era in silenzio e Ginny cercò di non farsi prendere dal panico. 

Più di ogni altra cosa voleva sentire la sua mamma dire che sarebbe andato tutto bene, che il fatto che Tu Sai Chi fosse là fuori non era la fine di tutto, ma la mamma sembrava così pallida e preoccupata che Ginny non osò chiedere. 

“Harry sta bene?” domandò invece quando si fermarono davanti all’entrata della sua sala comune. 

Gli occhi della mamma erano preoccupati quando abbandonarono l’attenta ispezione del liscio muro di pietra che nascondeva l’ingresso al dormitorio di Serpeverde. Il sorriso che mise insieme non bastò a nasconderlo. “Ma certo cara. Sta bene. Lo tengono in osservazione in infermeria per questa notte per esserne sicuri.”

Ginny si morse l’interno della guancia. “Andrai a stare con lui?”

Mamma le rivolse uno sguardo indagatore, come quello che usava qualche volta quando doveva valutare se fosse il momento di comprare un altro paio di vestiti per i suoi figli in costante crescita. “Pensi che dovrei?”

Ginny annuì. Non le piaceva l’idea di Harry tutto solo in infermeria, specialmente dopo quello che era successo. Sapeva che se fosse stato uno di loro, non avrebbero potuto costringere la mamma ad andarsene, né Silente né nessun altro. “Penso che gli farebbe piacere.”

La mamma rivolse a Ginny un altro sorriso, ma questo brillava di qualcosa che le fece stringere il cuore. Le scostò i capelli dal viso come era solita fare quando era ancora una bambina e le posò un bacio sulla testa. “Sei una brava ragazza, Ginny” le disse, un fiero orgoglio nella voce.

Ginny l’abbracciò, indugiando un momento in più per respirare il suo profumo. “Buonanotte mamma.”

Sussurrò la parola d’ordine al muro e sparì all’interno. Nella sala comune non erano in molti ad essere ancora alzati. 

Aveva appena imboccato il corridoio diretta alla sua stanza quando sentì la voce di Draco distante dietro di lei. 

“Peccato che non sia toccato a Potter. Suppongo che sarebbe stato troppo chiedere a entrambi di tirare le cuoia.”

Ginny s’immobilizzò mentre le loro risate risate le risuonavano nelle orecchie. 

Aveva sentito i suoi fratelli parlare di ‘vederci rosso’, di raggiungere il fondo della pazienza e perderla completamente, ma per lei non fu niente di tutto quello. Niente scatti. La sua vista non cambiò. Fu più come se un’enorme calma scendesse su di lei, la sensazione di sapere esattamente, per una volta, cosa dovesse fare.

Sei una brava ragazza, Ginny.

Era semplice, concreto. Qualcosa che poteva combattere a differenza delle cose che succedevano fuori, che stavano già facendo a pezzi la sua famiglia. 

Girò sui tacchi e marciò dritta verso Malfoy. 

Draco scattò in piedi con sorpresa quando la notò - il suo incedere furioso - i suoi compagni molto più lenti nel coglierlo. Non si fermò finché non si ritrovò faccia a faccia con lui e lo spinse forte al centro del petto. Ricadde pesantemente nella poltrona con un’esclamazione di protesta e i suoi scagnozzi balzarono in piedi da ambo i lati. 

Ginny estrasse la bacchetta, colpendo Goyle con una fattura Mucovolante e facendo un passo indietro per schivare la presa di Goyle che si era sporto in avanti per afferrarla. Solo un’altra partita di Quidditch, si disse. Un’altro veloce incantesimo ed ebbe legato le braccia di Goyle, lasciando Draco a sedere nella poltrona tutto solo, gli occhi sgranati. (Tutto quello studio per sfuggire alla paura e alla miseria aveva dato i suoi frutti e, oh, a volte la vita agiva per vie misteriose.)

Si avvicinò a Draco fino a che non torreggiò sopra di lui e gli disse quello che avrebbe dovuto dirgli la prima volta che l’aveva sfiorata con un dito. “Non ho paura di te, Malfoy. Quindi se vuoi combattere sarò più che felice di accontentarti.”

Sapeva che lui non si aspettava che lei ribattesse, che partisse all’attacco. 

Ora aveva le mani legate, tuttavia, essendo stato chiamato allo scoperto. Non c’erano molte persone a testimoniare, solo qualche Serpeverde che non aveva interesse nello spettacolo del Torneo Tremaghi. (Non avevano ancora idea di quello che era successo fuori da quelle mura, di come tutto fosse cambiato.) Li guardavano con vari livelli di indifferenza, come se fossero solamente curiosi di vedere come sarebbe andata a finire piuttosto che interessarsi di chi avrebbe vinto. Diede a Ginny la strana sensazione di essere a sicuro lì, al sicuro sapendo che i suoi compagni di casa non erano piegati ciecamente alle regole. 

Era l’ultima cosa che avrebbe mai immaginato di provare lì.

Il tempo si allungava e Draco non aveva ancora preso la propria bacchetta, troppo impaurito ad agire senza i suoi brutali amici. Sembrò realizzarlo anche lui. 

“Te ne pentirai, Weasley” biascicò con la voce pregna di minacce. 

“No” rispose lei rigirando la bacchetta tra le dita. “Non penso che lo farò.”

Sei più forte di quanto immagini, Ginny.

Era l’unica cosa su cui Tom aveva avuto ragione. 

Non era più un bersaglio facile e lo sapevano entrambi. 

Le fu data ragione quando gli voltò le spalle - un rischio, ma uno necessario - e lui non fece nient’altro se non starsene seduto a osservarla. 

Passò accanto a Theodora, i cui occhi erano incollati al suo libro come se nulla fosse successo, ma Ginny giurò di aver visto l’ombra di un sorriso compiaciuto sulle sue labbra mentre leggeva. 

Sta a te deciderlo.

Non se Tu Sai Chi aveva qualcosa da dire in merito. 

Ginny sentì il suo stesso feroce sorriso scivolare via. 

Imboccò il corridoio diretta alla sua stanza. 

* * *
Una settimana dopo erano tutti a casa, sussurri, pettegolezzi e bugie si intrecciavano e s’intessevano come una ragnatela. 

Il più brillante figlio di Serpeverde era rinato. 

Ginny attese con tutti gli altri di vedere cosa quello avrebbe significato.

 

_______________________________

1- L’ho tradotto con una parola inventata, non so se si capisca il senso. Parafrasando sarebbe: balsamo che mantiene segrete le cose, per coprire quindi il tatuaggio di Ginny.

2- È un gioco di parole nato dal fatto che qui Arthur sbaglia a scrivere il nome del luogo. Infatti voleva dire Swap Meet, un posto in cui i Babbani scambiano i loro beni come in un baratto. Non potevamo aspettarci che potesse scriverlo correttamente, l’uomo la cui più grande ambizione è scoprire come facciano a volare gli aeroplani. 

Fun Fact riguardo questa nota: cercando su internet quale potesse essere l’evidente gioco di parole, mi sono imbattuto nella spiegazione di quello è uno slang per gli inglesi, un modo comune di dire. In pratica Swap Meat starebbe ad indicare una pratica sessuale messa in atto dagli uomini omosessuali. Inutile dire che questo, associato alla parola ‘plug’ (presa) e il contesto in cui c’entrava anche il signor Weasley, mi abbia portato nei meandri più oscuri dell’immaginazione. Aiutatemi. 

3- Uno dei chitarristi dei Weird Sister.

 

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Commenti del Traduttore: ok ragazzi, siamo entrati nel vivo della faccenda. Ormai abbiamo visto com’è Ginny in queste nuove vesti da Serpeverde e come vi accennavo nei precedenti capitoli non è per niente meno forte di quella che abbiamo conosciuto sotto l’egida di Grifondoro. Un dettaglio che mi fa impazzire di questa storia è di come Ginny continui a ripetersi che Harry non le piace più, che non è più quella bambina impacciata, ma poi vai fuori di melone se soltanto lui la tocca con la spalla. 

Ah, l’amore. 

Una cosa che mi piace molto, poi, è la sfaccettatura con la quale vengono presentati i Serpeverde. Vi ricordate di Theodora e di Antonia? Bene, soprattutto quest’ultima tenetela a mente perché nel prossimo appuntamento ci sarà da ridere.

È stato decisamente più lungo e complicato tradurre questo capitolo, ma confido nel vostro occhio attento per segnalarmi eventuali errori. Se vi va di farmi sapere cosa ne pensate di questa storia sarò felice sia di leggervi che di riportare i vostri commenti all’autrice.

Noi ci rivediamo nel prossimo, avvincente, capitolo.

Francesco

 
  
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