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Autore: MorganaMF    22/01/2019    1 recensioni
«Quando Duncan è arrivato al nostro accampamento, non avrei mai potuto immaginare tutto ciò che ne sarebbe conseguito. Voleva reclutare un solo elfo Dalish, e invece se ne è ritrovati due: i gemelli Mahariel, fratello e sorella. Gli ultimi rimasti della nostra famiglia, dopo che nostro fratello Tamlen era sparito nelle rovine.
Il Quinto Flagello mi ha portato via quasi tutto: ho dovuto abbandonare il mio clan, ho perso la mia famiglia... ho perso perfino una parte della mia vita, strappatami via dall'Unione. Ma, per assurdo, questo Flagello mi ha portato alcune delle cose più belle: ho trovato l'amore, ho incontrato le persone più strane... ho stretto rapporti profondi con molti umani, cosa che un tempo non avrei mai creduto possibile. Una di loro, in particolare, mi resterà sempre nel cuore: sarebbe diventata parte della mia famiglia, se le cose fossero andate diversamente. La cara, indimenticabile Hawke. È stata con noi fino alla fine, ci ha aiutati a sconfiggere il Flagello e sarebbe dovuta diventare un Custode Grigio; ma alla fine è andata per la sua strada, come tutti gli altri.
Non dimenticherò mai questo Flagello: nel bene e nel male, ha cambiato per sempre la mia vita.»
[M. Mahariel]
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alistair Therin, Altri, Custode, Hawke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Puah. Questo è il motivo per cui sto alla larga dalle enclavi» si lamentò Erlina, guardando con sdegno le povere vesti che le erano state rifilate.
«Siamo un po’ viziatelle, eh?» la prese in giro Zevran, conciato da poveraccio proprio come lei.
«Non direi proprio, mio caro Corvo di Antiva. Io ci sono cresciuta, in un’enclave. E quando ne sono finalmente uscita, ho giurato di non rimetterci mai più piede.»
«Se siete cresciuta in un’enclave, dovreste essere più compassionevole verso le vesti povere e chi è costretto a indossarle» alzò un sopracciglio Wynne, sdegnata.
Erlina le lanciò un’occhiataccia e bisbigliò a Leliana, che camminava accanto a lei. «Era proprio necessario portare la vecchia bacchettona?»
«Riesco a sentirti, sai. Le mie orecchie funzionano ancora benissimo, nonostante l’età.»
«Wynne è una maga molto abile ed esperta, Erlina. Stiamo andando in mezzo a maghi del Tevinter, ci serve una maga» mediò Leliana.
Erlina aggrottò le sopracciglia, infastidita.
Ben presto furono davanti ai cancelli dell’enclave elfica. La guardia posta a sorveglianza dell’ingresso si fece avanti.
«Elfi? Fuori dall’enclave?» esclamò.
«Sono rifugiati appena giunti a Denerim, soldato…» Leliana fece gli occhi dolci alla guardia, attendendo che le dicesse il suo nome.
«… Lorence» rispose il giovane, abbassando la picca.
«Io sono sorella Leliana, soldato Lorence. Servivo presso il chiostro di Lothering, e ora aiuto qui come posso insieme alla mia collega» indicò Wynne, la quale salutò con un cenno del capo. «Questi elfi sono appena arrivati a Denerim nella speranza di ricongiungersi ai loro familiari nell’enclave.»
«Ma l’enclave è in quarantena a causa dell’epidemia. Voi dovreste saperlo. Non avete informato questi due che se entrano potrebbero venire infettati?» obiettò la guardia.
«Vi prego, vi prego! Non possiamo starcene qui fuori mentre i nostri cari sono là dentro, rischiando la vita!» implorò Erlina, dando il meglio di sé e camuffando il suo accento orlesiano. La guardia la guardò con disprezzo, scuotendo la testa.
«Voi siete pazzi, ma se volete entrare…» esitò guardando le due false sorelle della Chiesa. «Bene, li farò entrare. Voi potete andare.»
«A dire la verità, speravamo di poterli accompagnare. La Venerata Madre ha acconsentito a lasciarci entrare come volontarie. Vogliamo dare l’estrema benedizione agli elfi che non ce la faranno» disse con aria triste Leliana.
«Ma potreste subire un contagio!» esclamò la guardia. «Non potrete più uscire, una volta esposte al morbo!»
«Staremo attente. Io sono un’esperta curatrice, giovanotto» s'inserì Wynne, aggrappandosi al suo bastone come una qualsiasi vecchina, facendolo passare per un comune supporto. «Prenderemo le dovute precauzioni per evitare di esporci al virus. Usciremo una volta passata l’epidemia.»
«La prego, soldato Lorence» insistette Leliana, avvicinandosi all’uomo. «Dopo ciò a cui siamo scampate, a Lothering… non possiamo starcene con le mani in mano. Vogliamo aiutare, in nome del Creatore.»
«Io… ah, e va bene» si arrese la guardia, girandosi e aprendo il cancello. «Potete entrare. Che il Creatore vi assista e vi protegga… lo meritate.»
«Grazie, soldato Lorence» gli sorrise Leliana. Insieme, i quattro varcarono la soglia dell’enclave.
«Uomini» rise Erlina, mentre i loro piedi iniziavano a sprofondare nella terra umida.
«Così questa è un’enclave…» disse Zevran, guardandosi attorno atterrito.
«Ora capisci perché non volevo tornarci?» bofonchiò Erlina.
«Per il Creatore» mormorò Wynne. «È davvero così che vivono gli elfi?»
Lo sfacelo imperava in quel miserando quartiere: le strade sterrate erano una poltiglia di fango misto ai liquidi più nefandi, che emanavano un puzzo terribile. Le case erano poco più che baracche di legno malandate, e l’immondizia era impilata agli angoli delle strade. Oltrepassarono ciò che restava d'un orfanotrofio dopo un incendio, avvenuto probabilmente poco tempo prima. Elfi malati erano accasciati ovunque, riconoscibili dagli incarnati pallidi e dai colpi di tosse che emettevano a intervalli regolari.
Arrivati nella piazzetta centrale dell’enclave, trovarono una gran folla. Una moltitudine di elfi era accalcata alle porte di un edificio, la cui porta era sorvegliata da più maghi.
«Magister del Tevinter» mormorò Wynne, riconoscendo lo stile e la fattura delle loro vesti. «Santo cielo, allora Anora aveva ragione…»
«Ehi, guardate quella» Zevran indicò una giovane elfa dai corti capelli rossi che strepitava arrabbiata contro i maghi. «Sembra proprio un peperino…»
«Non siamo qui perché tu faccia il cascamorto, antivano» grugnì Erlina, andando a passi decisi verso la folla. «Che sta succedendo qui?» chiese agli elfi.
«Non sei di qui» gli disse uno di loro.
«Mi hanno appena sbattuta qui dentro, nonostante l’epidemia. Sai come vanno le cose, quando si tratta di noi orecchie a punta» replicò l’elfa, che evidentemente conosceva bene i sentimenti d’ogni elfo di città.
«Già» brontolò quello. «Beh, sappi che l’epidemia qui è davvero brutta. La folla che vedi è in fila per ricevere il trattamento di questi maghi del Circolo.»
«Hanno mentito a tutti loro» bisbigliò Zevran, che origliava da lontano. «Sarà stato facile, dato che questi elfi non sapranno neanche com’è fatto un mago del Circolo fereldiano.»
«Non dargli retta, si è fatto abbindolare da questi maghi come tutti gli altri!» urlò una voce a Erlina. Dalla folla emerse la ragazza ribelle dai capelli rossi, che aveva ascoltato la conversazione fra Erlina e l’elfo. «Questi maghi non ci stanno aiutando, ci stanno facendo sparire!»
«Oh, Shianni… piantala con questa storia! Mia sorella era malata, ed è tornata a casa completamente guarita!» ribatté seccato l’elfo.
«Davvero? E che fine hanno fatto tutti gli altri? Li hai mai visti tornare?» rincarò la dose Shianni.
«Saranno morti, Shianni! C’è bisogno di dirlo? Erano malati!»
«Valendrian non era malato, e lo sai!» squittì l’elfa stringendo i pugni. «E come lui, molti altri!»
«Vuoi dire che i maghi mettono in isolamento anche elfi sani? Senza motivo?» inarcò un sopracciglio Erlina.
«Non darle retta, Shianni è un po’ paranoica quando si tratta di umani. Persino quando cercano di aiutarci» disse l’elfo a Erlina. Ma la mano di Shianni gli rivoltò la testa con un sonoro schiocco; quando Erlina la guardò, aveva gli occhi colmi di lacrime e il volto paonazzo, una rabbia repressa che lottava per esplodere.
«Gli umani non aiutano la nostra gente, mai! Sanno solo farci del male!» singhiozzò, e corse via.
Erlina tornò dagli altri, perplessa. «Quella ragazza deve averne passate di brutte a causa degli umani…» mormorò fra sé, guardando il punto in cui Shianni era sparita oltre l’angolo. Si rivolse ai suoi compagni. «Sembra che i magister stiano prendendo “in cura” anche elfi sani.»
«Decisamente sospetto» mormorò Leliana, serissima. «Dobbiamo riuscire a entrare in quell’edificio.»
«Non sarà facile, con tutti quei magister. Inoltre, dubito che lasceranno vagare per l’enclave due sorelle della Chiesa. O hai dimenticato che il Tevinter ha la sua Chiesa e non vuole avere niente a che fare con la nostra?» le fece notare Zevran. Al che, Leliana s’illuminò.
«Zevran, sei un genio!» esclamò. «So come entrare. Seguitemi.»
«Grazie, tesoro. So di essere geniale, anche se a volte mi sfugge il perché» ridacchiò l’antivano, superbo come suo solito.
Tutti e tre andarono dietro a Leliana senza esitare; non appena i magister videro lei e Wynne, con le loro vesti della Chiesa Andrastiana, ostentarono espressioni ostili.
«Cosa ci fate qui? Ci era stato detto che la Chiesa non avrebbe interferito!» esclamò uno di loro, adirato; ma il suo tono si ridimensionò alle prime occhiate perplesse degli elfi presenti. Si schiarì la voce. «Voglio dire, non dovreste essere qui… potreste ammalarvi.»
«Lo sappiamo, ma ci siamo offerte volontarie per questa missione. Vedete, la mia collega qui è un’esperta curatrice, e ha trovato l’antidoto per il morbo di cui soffre l’enclave. Vorremmo discuterne con il vostro Primo Incantatore, vedere cosa ne pensa e valutare l’eventuale possibilità d’intensificare l’efficacia del preparato curativo con la magia.»
«Primo Incantatore…?» rimase spiazzato il mago.
«Sì, naturalmente. Immagino che il Circolo dei Maghi l’avrà inviato qui a supervisionare tutto, no?» continuò Leliana, fingendo di credere alla loro copertura ufficiale.
«Ah, sì… sì, certo» sfoggiò un falso sorriso il mago. «D’accordo, vi porterò da lui… e questi due? Sono con voi?» spostò lo sguardo su Erlina e Zevran.
«Sì, sono profughi malati che ci hanno fatto da cavia. Vorremmo che il Primo Incantatore li esaminasse.»
«Va bene, sorelle… venite con me. Vi portiamo subito dal Primo Incantatore. Seguitemi» sghignazzò il mago, conducendoli dentro l’edificio. Leliana ed Erlina si scambiarono un fugace sorrisetto: l’uomo credeva di averli in pugno, mentre era vero invece il contrario.
Li condusse attraverso angusti e luridi corridoi; sbirciando attraverso le stanze con le porte aperte, videro parecchi elfi malati distesi nei loro letti. Scesero fino ai sotterranei dell’edificio: una volta arrivati, si trovarono in una grande stanza piena di elfi rinchiusi in varie gabbie, alla stregua di animali. Se lo aspettavano, ma quella vista li sconcertò comunque.
«Avreste dovuto restarne fuori, sorelle. Ora farete la stessa fine di questi schiavi» sghignazzò il mago alle spalle di Leliana, sussurrandole all’orecchio. Quella sorrise in modo inquietante.
«Anche voi.»
Un pugnale scivolò rapido sotto alla sua manica, e rapida lo impugnò: uno zampillante scintillio cremisi iniziò a sgorgare dalla gola del mago, che morì con espressione incredula fra le esclamazioni delle guardie presenti. Gli schiavisti si fiondarono sul gruppo: ormai tutti avevano sfoderato le loro armi nascoste, e si lanciarono nel combattimento. Mentre i tre assassini danzavano la loro mortale danza di lame mietendo vittime fra i soldati, Wynne teneva a bada i maghi da lontano. Gli elfi prigionieri incitavano i nuovi arrivati dalle loro gabbie, vedendo in loro dei salvatori. La carneficina continuò per parecchi minuti: i soldati del Tevinter erano bravi, ma non abbastanza astuti e preparati per fronteggiare due bardi d'Orlais e un Corvo di Antiva.
La porta dello scantinato si aprì e un magister apparve: guardò con orrore tutti i suoi uomini massacrati sul pavimento. Alzò subito le mani in segno di resa. «Fermi! Mi arrendo!» gridò, incitando le guardie armate alle sue spalle ad abbassare le armi. «Chi siete voi? Cosa volete?»
«Chi siamo?» prese l’iniziativa Merevar. «Noi siamo i Custodi Grigi, Merevar e Melinor!»
Le tre donne insieme a lui rimasero interdette, così come il magister. Gli elfi nelle gabbie si misero a mormorare, eccitati: voci delle gesta dei Custodi gemelli erano arrivate persino all'enclave.
«Ho sentito che eravate gemelli…» protestò debolmente il magister.
«Non identici» fece spallucce Zevran, perfettamente a suo agio con la sua identità rubata.
«Signore, ho sentito voci sui due Custodi… sarebbe meglio non…» bisbigliò un soldato al magister, ma egli l’interruppe alzando un dito.
«Non alcun desiderio di scontrarmi con voi. Ditemi, Custodi: perché siete qui?» chiese loro.
«Sappiamo che avete un accordo con Loghain» si fece avanti Erlina. «Vogliamo il contratto che avete stipulato con lui.»
«Capisco; volete avere la meglio su Loghain in occasione del tanto chiacchierato Incontro dei Popoli… in questo caso, forse, possiamo aiutarci a vicenda» propose il magister con la sua voce viscida. «Io vi consegno i documenti, e voi ci lasciate andare con il nostro carico di schiavi. Vi sembra accettabile come scambio?»
«D’accordo» non si fece pregare Erlina. Zevran le lanciò un’occhiata, come a volersi accertare di qualcosa; dopodiché, fra le proteste indignate degli elfi imprigionati, annuì a sua volta.
«Molto bene. Allora aspettate qui, cortesemente. Tornerò subito con i documenti.»
Il magister si assentò una manciata di minuti, e poi riapparve con gli incartamenti. Li consegnò a Erlina. «Bene, ora potete andare. Noi lasceremo l’enclave entro ventiquattr’ore. Tornate pure a controllare, se lo desiderate.»
«Che ne direste, invece, di andarvene ora?» sghignazzò Zevran. «Da morti?» aggiunse, alzando entrambe le sue lame corte.
«Ma… avevamo un accordo!» s’incollerì il magister.
«E voi siete stato così stolto da credere che due elfi vi avrebbero permesso di portare via in catene altri elfi?» disse Erlina, con disprezzo. Alzò i suoi pugnali, pronta ad attaccare l’uomo.
«Pessima decisione…» sospirò questi, tranquillo.
Il terribile suono di ossa rotte giunse agli orecchi dei quattro infiltrati: si voltarono per vedere alcuni degli elfi prigionieri cadere a terra in un bagno di sangue.
«Magia del sangue!» esclamò Wynne, ma ormai era troppo tardi: uno strano incantesimo, a lei sconosciuto, li aveva immobilizzati tutti. Potevano avvertire i loro organi accartocciarsi su loro stessi, pronti a collassare a uno schiocco di dita del magister. I sensi iniziavano a svanire, lontani, insieme alle risate del mago del sangue.
No… non può finire così… pensò Wynne, pervasa dal dolore. Aiuto… aiutami!
Uno scoppio di luce bianca liberò i quattro dalla presa del magister: Leliana e i due elfi caddero a terra, stremati. A malapena riuscirono a risollevare le teste per guardare la scena allibiti: Wynne brillava, una sorta di visione paradisiaca che agitava il bastone con maestria, atterrando ogni nemico nella stanza. Spire di luce emanavano dalla sua figura, e il magister non poté far nulla contro di lei: cadde morto come tutti gli altri, senza nemmeno un grido. Solo allora l’aura di Wynne si spense, facendola regredire al suo solito aspetto; si aggrappò al bastone, esausta, ma non resse a lungo prima di cadere sulle ginocchia. Leliana, ancora dolorante, accorse in suo aiuto.
«Wynne, cosa… cos’è successo? Sembravate… non eravate più voi, sembravate quasi…»
«Posseduta» terminò la frase Erlina, sospettosa.
«Si, io… potrei aver tenuto nascosto a Melinor un piccolo dettaglio» confessò l’anziana. «Prima del vostro arrivo al Circolo, c'è stato un momento in cui ho affrontato uno degli abomini. In quell’occasione, io… credo di essere morta.»
«Morta?» esclamò Leliana. «Ma voi siete viva!»
«Sì, questo è vero grazie a uno spirito… uno spirito benevolo che mi protegge da sempre. Ricordo di averlo sempre sentito vegliare su di me durante i miei viaggi nell’Oblio, sin da quand’ero una bambina. Lui mi ha riportata in vita, o meglio… mi sta tenendo in vita.»
«Wynne… siete sicura che non si tratti di un demone?» insinuò Leliana, con quanto più tatto possibile.
Per tutta risposta, Wynne sorrise. «Quello che hai visto ti è sembrato opera di un demone?»
Leliana non rispose; dovette ammettere che ciò a cui aveva assistito aveva più l’aria di un miracolo.
«Vi prego» aggiunse Wynne, rivolgendosi ai suoi compagni, «non dite nulla a Melinor. Ha già abbastanza cose di cui preoccuparsi, non aggiungiamone un’altra alla lista.»
«Capisco ciò che dite, Wynne, ma dovremmo davvero tenere nascosto a Melinor il fatto che siete… un poco morta?» obiettò Zevran.
«Va bene così, Zevran» intervenne Leliana. «Wynne sa il fatto suo. Se dice che siamo al sicuro, io le credo. E poi saremmo tutti morti se non fosse per lei, no?»
«E va bene» si tirò su Zevran come se nulla fosse accaduto. «Avanti, liberiamo questi elfi e torniamo da Arle Eamon.»
 
 
Una settimana più tardi, due lupe avanzavano sul ponte che portava all’avamposto di Ostagar. Morrigan aveva insegnato a Melinor uno dei trucchetti di Flemeth, che permetteva di assumere l’aspetto e l’odore di animali corrotti dal sangue della prole oscura; sarebbero così passate inosservate fra gli eventuali nemici stanziati presso il vecchio accampamento dell’esercito reale.
Man mano che avanzavano, un forte odore di morte invase le loro narici rese ancora più sensibili dalla forma di lupo.
Per Fen’harel… cos’è questa puzza? rantolò Melinor.
Oh, che schifo… credo sia lui, alzò il muso verso l’alto Morrigan.
Melinor rimase scioccata dalla visione: un corpo in avanzato stato di decomposizione era stato legato a un rozzo insieme di pali che svettavano sul ponte. Le mosche ronzavano tutt’attorno, si potevano notare le lacerazioni provocate dai becchi degli uccelli che si erano nutriti della carcassa; i capelli biondi erano rinsecchiti, scompigliati e sparpagliati sul viso squadrato.
Re Cailan… lo riconobbe l’elfa, sconvolta. Rimase impalata sulle sue quattro zampe, gli occhi fissi sul cadavere esposto lì dalla prole oscura, probabilmente un monito a chi osasse entrare lì, o un trofeo esposto con orgoglio. O entrambe le cose.
Andiamo, Melinor. Dobbiamo fare in fretta.
L’elfa si costrinse a distogliere lo sguardo e a seguire Morrigan fino all’ex accampamento. Il luogo si rivelò per lo più deserto: qualche genlock si aggirava in lontananza, senza degnarle nemmeno di uno sguardo.
Ti avevo detto che i lupi corrotti sono spesso in zona. Quei mostri non ci calcolano nemmeno di striscio, gongolò Morrigan. Su, fai strada.
Melinor svoltò a sinistra, dove sapeva esserci la tenda di Cailan: ormai era ridotta a un ammasso di pali spezzati, schegge di legno e brandelli di stoffa. Avvistarono il baule immediatamente: era imbrattato e un po’ ammaccato, ma rispondeva alla descrizione fornita da Anora.
Aspetta, ti aiuto. Morrigan si avvicinò a Melinor, che abbassò la testa pelosa: la strega afferrò con i denti la catenina che aveva intorno al collo e gliela sfilò via, lasciandola cadere a terra. Tu apri il baule, io controllo la situazione.
Morrigan si mise ad annusare e scavare lì attorno come un lupo qualunque, mentre l’altra prendeva con qualche difficoltà la chiave fra i denti e tentava d’infilarla nella serratura. Non fu affatto semplice, la chiave le scivolava via di continuo e ringhiò parecchie volte prima di riuscire a far scattare la serratura; si aiutò poi con muso e zampe per sollevare il coperchio. Iniziò a frugare con le zampe fra i piccoli oggetti appartenuti al re, finché non scoprì un plico di lettere sul fondo del baule.
Trovate! uggiolò, e le prese fra le fauci.
Visto? È stato facile. Ora andiamocene di qui prima di attirare troppo l’attenzione. Morrigan si diresse senza esitazione verso il cancello d’uscita, che riportava al ponte; coprì Melinor alla vista, in modo tale che i pochi genlock presenti non vedessero ciò che portava fra le zanne.
Una volta al sicuro sul ponte, Melinor si fermò ancora davanti al cadavere di Cailan.
Sbrigati, non possiamo restare qui a lungo! Soprattutto con questo tanfo! brontolò la strega.
Voglio tirarlo giù da lì, la spiazzò l’altra. Non merita di finire così.
Sei impazzita? Non mi sembra il momento per una delle tue buone azioni! abbaiò Morrigan. Melinor lasciò cadere il plico di lettere e rizzò il pelo sulla schiena, spazientita.
Ti ricordo che siamo venuti qui perché tu hai insistito! Mi hai chiesto di uccidere tua madre, una delle streghe più potenti mai conosciute, e io ho accettato di aiutarti anche sapendo che potrei restarci secca! Potresti anche sforzarti e farmi un piccolo favore!
Morrigan non seppe come ribattere, punta sul vivo. Espirò con forza. E come pensi di tirarlo giù da lì, senza tornare alle nostre forme reali?
Tu fai quello che faccio io, replicò l’elfa, lo sguardo che indugiava sulle fiaccole poste ai piedi del corpo martoriato.
Pochi minuti più tardi, un tonfo attirò l’attenzione di un genlock, che accorse immediatamente: vide due avvoltoi appollaiati sulla struttura di pali, e le corde che tenevano su il corpo del re, ora irrimediabilmente rosicchiate, penzolavano mosse dalla brezza. Il corpo, cadendo, aveva urtato e rovesciato le fiaccole finendo col prendere fuoco; gli sembrò ovvio. Guardò malamente i due avvoltoi che, a parer suo, avevano mangiucchiato anche dove non avrebbero dovuto; si voltò e lasciò la pira improvvisata a bruciare.
 
 
Merevar, Hawke e Alistair attendevano il ritorno delle loro compagne all’accampamento.
«Melinor è strana, ultimamente» esordì Hawke, rompendo il silenzio. «Non so, è come… se avesse esaurito la pazienza.»
Gli altri due non dissero nulla; rimasero con aria pensosa a fissare il falò da campo.
«Sono preoccupata per lei» continuò la fereldiana, imperterrita. «Durante il viaggio fin qui, poi, è stata ancora più strana… si appartava quasi più con Morrigan che con te», pungolò Alistair; «stavano sempre a parlottare in disparte… come se avessero qualche segreto tutto loro» insinuò, nella speranza che uno dei due dicesse finalmente qualcosa. Ma al loro ennesimo silenzio perse la pazienza. «Voi ne sapete niente?»
Alistair scosse tristemente il capo, dando a vedere che anche lui aveva notato l’insolito comportamento della sua compagna. Hawke guardò quindi Merevar.
«Non mi ha detto niente» replicò semplicemente l’elfo.
«Ma sai qualcosa» non demorse lei. «So come siete voi gemelli, Bethany e Carver erano uguali a voi due. Avete una specie di strana telepatia per cui sapete sempre tutto uno dell’altra.»
Proprio in quell’istante, due avvoltoi sorvolarono il loro campo. Hawke strizzò gli occhi e vide che uno dei due stringeva un mucchietto di carta, e l’altro un sacchetto di pelle. Planarono fra loro e ripresero le loro forme abituali.
«Ci avete messo un sacco di tempo» osservò Merevar.
«Ringrazia tua sorella» si stiracchiò Morrigan mentre si riappropriava della sua forma umana. Lanciò il sacchetto ad Alistair, che lo prese al volo. «Quello potete anche tenervelo, non ci tengo a riaverlo visto il contenuto.»
Melinor posò a terra gli incartamenti recuperati e si avvicinò ad Alistair. «Abbiamo un vaso, o una fiala… insomma, un contenitore carino?»
«Solo fiale di vetro per le pozioni» replicò lui, perplesso. «Perché?»
«Vorrà dire che resteranno nel sacchetto, per ora… comprerò un’urna a Denerim» ignorò la domanda l’elfa.
«Un’urna? Cosa c’è qui dentro?» alzò il sacchetto Alistair.
«Tuo fratello» rispose Morrigan col suo proverbiale tatto. Il ragazzo guardò Melinor con aria spaesata.
«Abbiamo trovato il suo corpo. La prole oscura l’aveva profanato, appendendolo come uno stendardo… non potevo lasciarlo lì» Melinor abbassò lo sguardo sul sacchetto. «L’abbiamo bruciato e raccolto le ceneri. Voglio restituirle ad Anora. Per questo abbiamo tardato.»
Nessuno commentò; persino Morrigan decise di starsene in silenzio.
«Forza, andiamo a dormire. Domani… ci aspetta una giornata pesante» disse Melinor con fare distante. «Io vado a rinforzare l’incantesimo della barriera protettiva e vi raggiungo.»
Tutti si andarono a infilare nelle proprie tende, eccetto Alistair; lui seguì Melinor al margine del campo.
«Melinor, cos’hai?»
«Niente, è stata una brutta giornata. Sono solo stanca.»
Prima che potesse alzare le mani per lanciare il suo incantesimo di rinforzo, Alistair la prese per le spalle e la costrinse a guardarlo. «Non mentirmi. È da un po' ormai che sei strana, l’hanno notato tutti. Ormai non mi parli nemmeno più.»
«Ma che dici, ti parlo tutti i giorni!»
«Non di te, o di come stai! Riesci a mascherarlo bene, ma ho notato come reagisci ultimamente. È come se avessi esaurito la pazienza» rubò le parole di Hawke. «Non liquidarmi dicendomi che sei solo stanca.»
«Ma è vero, Alistair. Io sono davvero stanca. Sono stanca di… di tutto questo, di dover sempre tenere duro. Sono stanca di non potermi fermare mai un momento, sono stanca di quei ridicoli nobili e delle loro macchinazioni! Sono stanca per questa storia dell’Incontro dei Popoli, sono stanca di aver paura che ti costringano a diventare re, e adesso… ci mancava anche questa!» buttò una mano a indicare le ceneri di Cailan.
«Sei tornata sconvolta», mormorò lui. «Perché?»
Melinor sembrò diventare improvvisamente ancora più piccola di quanto non fosse. «Ti ricordi come ha reagito Anora, quando ti ha visto la prima volta? Sembrava avesse visto un fantasma. Io non avevo notato la somiglianza fra te e Cailan, quando vi ho conosciuti; un po’ perché ero troppo impegnata ad ambientarmi, e un po’ perché non provavo ancora niente per te. Ma ora… averlo visto lì appeso… nonostante la decomposizione era ancora riconoscibile, e io… avresti potuto essere tu» si nascose il viso fra le mani. «Ho realizzato che non potrei sopportare di perderti. Potrei perdere Merevar, e gli altri. Non voglio più perdere nessuno, io… non ce la farei.»
Alistair le rivolse un sorriso triste; l’attirò a sé e la cinse nel suo abbraccio. «Non mi succederà nulla. Vedrai, ce la caveremo… tutti quanti. Siamo arrivati fin qui, no?»
«Questo non puoi saperlo! Finora siamo stati fortunati!»
«Fortunati?» Alistair la prese per le spalle per guardarla bene in viso. «Melinor, non ce n’è andata dritta una! Quando ci serviva Arle Eamon, era stato avvelenato e un demone vegliava su di lui. Ci servivano i maghi, e il Circolo era in delirio; i dalish erano in guerra con i mannari, e a Orzammar… non voglio nemmeno pensare a quello che abbiamo passato nelle Vie Profonde». Scosse la testa, quasi ridendo. «Non siamo stati fortunati, siamo stati dannatamente bravi!»
«Ma adesso ci aspetta il Flagello» non si lasciò convincere lei. «Tu eri sulla torre quella volta, ma io ho vissuto la battaglia di Ostagar. L’orda non era ancora al suo massimo, e non c’era l’arcidemone… eppure guarda come ci hanno annientati!»
Alistair si fece serio. «Lo so, non sarà facile. Ma non possiamo permetterci di crollare proprio adesso. Dobbiamo continuare a crederci. Se non ci crediamo noi, gli unici Custodi Grigi rimasti… l’esercito cadrà preda dello sconforto.»
Melinor tirò su col naso e si ricompose. «Hai ragione.»
Si abbracciarono e restarono così, a trarre forza l’uno dall’altra.
 
 
«Hai finito di origliare?»
Nella tenda, Merevar si voltò verso Hawke. Con il suo affilato udito da elfo cacciatore, era riuscito a sentire la conversazione tra la coppia.
«Allora, cos’ha Melinor?»
«Vedere il cadavere del re l’ha sconvolta.»
«Per via della somiglianza con Alistair, vero?»
L’altro annuì. «Ha paura di vederci morire.»
«E come possiamo biasimarla?» sospirò Hawke, distogliendo lo sguardo. Merevar rimase a osservarla: capì che, nonostante la sua forza, anche Hawke temeva di perdere i suoi cari. Temeva di perdere lui. Pensò a quanto fosse prezioso ogni loro minuto, a come tutto poteva finire dall’oggi al domani. D’impulso, andò a sedersi di fronte a lei.
«Dammi il braccio sinistro.»
Lei lo guardò perplessa, ma ubbidì senza fare domande. Rimase a guardarlo mentre armeggiava con le mani dietro al collo: fra le sue mani rimase la sottile funicella di cordino dorato che l’elfo indossava sempre. Iniziò ad arrotolarla attorno al polso della ragazza.
«Mi stai facendo un regalo?» chiese allegramente lei.
«Più o meno». Merevar rimase con le due estremità del cordino fra le mani, ormai troppo corte per girare ancora una volta attorno al polso di lei. «È un’usanza dalish. Rappresenta una promessa.»
«Una promessa?»
«Sì. Ogni ragazzo, quando supera il rito di passaggio a elfo adulto, riceve dal Guardiano una cordicella come questa. Si chiama “nodo degli amanti”: quando due giovani si scelgono, lui dona a lei questo cordino. Se non sbaglio voi umani usate gli anelli nello stesso modo…»
Hawke perse un battito. Alzò gli occhi dal polso al viso di lui, che la guardava fisso.
«Se… se sei d’accordo, io chiuderò il nodo» disse lui, leggermente nervoso.
«Merevar… ma come possiamo, noi… voglio dire, con la guerra e tutto il resto…»
«È una promessa» le ricordò lui. «Possiamo farlo anche dopo che tutto questo sarà finito.»
Rimasero a guardarsi, muti e imbarazzati come due ragazzini. Hawke deglutì, ma lo fece sorridendo.
«Chiudi il nodo.»
 Merevar sorrise, felice; strinse le due estremità una con l’altra, in un nodo che non si sarebbe sciolto mai più.
 
 
«Dovremmo uccidere tua madre?!»
«Protesta finché vuoi, ma Melinor mi ha già dato la sua parola. Puoi restare qui con me se hai paura, ma mia madre è un osso duro; vi conviene andare tutti e quattro se volete avere una possibilità.»
«Quindi dovremmo rischiare la vita in quattro così che tu possa avere il tuo grimorio?!»
«Non è solo per il grimorio, imbecille! Mia madre vuole uccidermi e prendere il mio corpo, e anche se la ucciderete prima o poi tornerà a reclamare ciò che crede suo! Solo nel suo grimorio ci può essere qualcosa che mi aiuti a proteggermi da lei!»
Il nuovo giorno non era iniziato bene. Alistair guardò con tanto d’occhi prima Morrigan, e poi Melinor. Hawke era rimasta stupita quanto lui, dopo che l’elfa aveva detto loro che non sarebbero ripartiti per Denerim; non prima di aver risolto quella faccenda.
«Quindi è di questo che parlavate sempre, nel viaggio d’andata» incrociò le braccia, i capelli rossi che ondeggiavano allo scuotersi della testa.
«Melinor, è una follia! Flemeth è… è un abominio antico di secoli! Ci polverizzerà!» esclamò Alistair, allibito.
«Ho già detto a Melinor quali sono i punti deboli di mia madre. Il suo spirito sarà pure immortale, ma il suo corpo no; per questo vuole prendere il mio.»
«Beh, sono affari tuoi!»
«Alistair» lo redarguì l’elfa. «Fidati di me. Andrà tutto bene.»
Hawke fece per aprire bocca, ma la mano di Merevar sulla sua spalla la fermò; lo vide farle cenno di no con la testa.
«Allora noi… andiamo» disse Melinor a Morrigan. «Se non dovessimo tornare, porta i documenti e le ceneri di Cailan ad Anora.»
Morrigan annuì, e per la prima volta il suo viso ostentò autentica preoccupazione. «Lo farò. Melinor… grazie. E state attenti. Buona fortuna.»
Il gruppo s’incamminò nel silenzio più totale; s’inoltrarono nelle Selve Korcari, muti come pesci, ognuno immerso nei suoi pensieri. In poco meno di mezzora intravidero la capanna di Flemeth.
«Non ci posso credere… sto davvero per incontrare e provare ad uccidere la stessa Flemeth delle leggende? Datemi un pizzicotto e svegliatemi da quest’incubo» si lamentò Hawke con voce stridula.
Una volta in prossimità della capanna, la videro: Flemeth si alzò dalla panca su cui sedeva, per nulla sorpresa. «Bene bene… vedo che la mia piccola Morrigan è riuscita a convincerti a giocare il suo gioco» ridacchiò, mentre il gruppo avanzava; i suoi occhi erano fissi su Melinor.
«Sapevate che avrebbe scoperto la verità su come vi mantenete in vita?» le chiese l’elfa.
«Sapevo che il mio vecchio grimorio era al Circolo, e sapevo che sareste andati lì… e per finire, conosco mia figlia. Sapevo che l’avrebbe cercato. È troppo assetata di conoscenza, non poteva resistere alla tentazione sapendo che era lì. Dimmi, Melinor: ti ha chiesto di uccidermi, vero?»
«Però, che famiglia unita… tutte certissime che l’altra voglia ucciderla» borbottò Hawke.
Gli occhi di Flemeth si soffermarono su di lei, facendole gelare il sangue nelle vene. «Tu non dovresti essere qui» le disse. Portò una mano al mento. «E invece è qui… che sia il fato o la casualità? Non so mai decidermi…» disse fra sé, gli occhi fissi sulla rossa. Poi scrollò appena le spalle, tornando a rivolgersi a Melinor. «Allora, cosa farai? Intendi davvero uccidermi e prendere il mio grimorio per darlo a Morrigan?»
«No, non potrei mai, Asha’bellanar!» esclamò l’elfa agitando le mani.
«Allora perché sei qui?»
«Io… speravo che poteste parlarne con Morrigan, dirle che in realtà non corre alcun rischio…»
Flemeth ghignò divertita. «E tu credi che accetterebbe anche solo di parlarmi? No, ragazza; la conosco bene. Non mi crederebbe. Ma tu sei intelligente, dovresti saperlo» osservò, scrutandola con interesse. «Non mi dire… ti sei affezionata a lei?»
Melinor abbassò lo sguardo con aria colpevole; Flemeth scoppiò a ridere. «Questa poi! Non avrei mai creduto che mia figlia sarebbe riuscita a farsi un’amica!»
«Già, non lo credeva nessuno» commentò Alistair, sarcastico. Flemeth, per tutta risposta, rise ancora più forte; poi si calmò.
«Ascoltami bene, Melinor: se tornerai da Morrigan e le dirai che non mi hai uccisa, lei s’infurierà e scapperà, cercando un luogo per nascondersi da me. Come se fosse possibile» ridacchiò con gusto. «Ma avrete bisogno di lei fino alla fine, credi a me; non potete permettervi di perderla. Quindi ti propongo questo: io ti darò il grimorio, e tu le dirai che mi avete uccisa.»
Melinor la guardò incerta. «Dovrei… dovrei mentirle?»
«Se ti ordino di farlo, lo farai?»
«Naturalmente, Asha’bellanar.»
Flemeth sorrise compiaciuta. «Lo immaginavo. Ma tu sei una cara ragazza, una perla rara; non voglio macchiare il tuo animo puro con una menzogna. Quindi faremo così: lascerò che mi uccidiate. Così non dovrai mentire.»
I gemelli sussultarono sconvolti; Flemeth rise per l’ennesima volta. «Non siate così scioccati, sono morta tante volte! Sarà interessante andarmene a spasso per l’Oblio per un po’. Così potrò spiare Morrigan senza che se ne accorga.»
«Ma noi… non potremmo mai uccidervi!»
«Lo farete, se ve lo ordino.»
I gemelli si scambiarono un’occhiata intimorita, ma finirono per annuire.
«Bene» disse Flemeth, prendendo un grosso tomo dalla panca alle sue spalle. Si portò di fronte a Melinor e glielo porse. «Ecco il grimorio. Dacci pure un’occhiata, se vuoi» le fece l’occhiolino. «Merevar, a te l’onore: tira fuori il tuo pugnale.»
L’elfo sbiancò, ma si affrettò a eseguire gli ordini. Sfoderò l’arma e si portò davanti a Flemeth, che lo guardò con grande tranquillità.
«Ti ringrazio, ragazzo. E ricorda: fai sempre tutto ciò che sarà necessario per proteggere tua sorella. Il mondo ha bisogno di persone come lei.»
Merevar annuì, serio in viso; Flemeth guardò dunque Alistair. «E tu, biondino: la stessa cosa vale per te. Sei stato scelto da un’anima pura come la luce: sorreggila sempre e lei sarà il tuo miracolo, il sogno che mai avresti creduto di poter realizzare. E tu, ragazza mia» guardò l’elfa, «non dimenticare di brillare sempre. Anche quando ti sembrerà che il buio sia troppo pesto per poterlo sconfiggere.»
I suoi occhi gialli indugiarono infine su Hawke.
«Niente discorso d’addio per me?» fece dell’umorismo la rossa.
«Hai una lingua tagliente e una gran faccia tosta… bene, ti serviranno» ridacchiò la strega. «Il destino ci attende entrambe, ragazza. Il mondo teme l’inevitabile caduta nell’abisso; attendi quel momento, e quando arriverà non esitare: salta.»
Hawke aggrottò le sopracciglia, confusa. «Grazie…?»
«Capirai, a tempo debito. Tutti voi capirete. E ora forza, Merevar: affonda la lama. Dritta nel cuore» disse, guidando le mani tremanti del ragazzo con le sue.
«Mi dispiace dovervi fare questo, Asha’bellanar.»
«Non dispiacerti, figliolo.»
La lama affondò, e un’esplosione riecheggiò nella palude: un’onda d’urto li atterrò tutti e quattro, facendoli cadere a terra privi di sensi. Flemeth, liberata dal suo involucro mortale, si librò in cielo; il suo spirito svanì in una scintilla di luce.
   
 
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