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Autore: Zelgadis91    22/01/2019    0 recensioni
L'estate di un giovane mago dalle tinte "rainbow" viene animata da un viaggio nel regno di Ungheria del XII secolo dove, tra splendidi uomini usciti da una copertina Men's Health e giornate innaffiate da litri di Cosmopolitan, si troverà coinvolto in una congiura che ha dell'assurdo. Riuscirà il nostro eroe a godersi qualche settimana di pace nonostante il contesto fantozziano?
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Anno 1153
 
Una prospera distesa di campi di grano e avena si stagliava alla base di un’altura da cui, sotto i raggi della luna, era possibile vedere in tutta la loro magnificenza le mura del borgo di Mészàrad. Anche in lontananza si sentivano gli schiamazzi provenienti dalla cittadella; la taverna era più affollata del solito e una grande festa per l’apertura della caccia e della raccolta delle messi era in atto tra gli abitanti.
Lungo le rive del fiume Koros, un esile figura passeggiava guardandosi intorno in cerca di un posto ideale per accamparsi. Dopo alcuni chilometri, adocchiò una radura perfetta al suo scopo: da un lato le acque ancora incontaminate del fiume e da un altro massicci alberi da legna costituivano un valido confine naturale. Abbandonate le valige sul sentiero che costeggiava l’ultimo lato, il mago si portò al centro della radura e schioccando le dita evocò un cerchio magico intorno ai suoi piedi. I suoi occhi, di un cangiante blu elettrico, si illuminarono completamente di un azzurro quasi accecante mentre dalla terra intorno ai suoi piedi emergevano quelle che avevano tutta l’aria di essere delle mura. Con un secondo schiocco di dita, la nuova casa del mago venne circoscritta da una bassa staccionata di legno bianco che comprendeva, ovviamente, una piscina e un’area relax.
“Dovrebbero darmi una laurea ad honorem in architettura per questo capolavoro! Top! Adoro!” sghignazzò compiaciuto dal suo operato mentre i suoi bagagli, animati da una forza invisibile, iniziarono ad avviarsi verso l’ingresso.
La vista di una villetta bifamiliare in pietra nel regno d’Ungheria del XII secolo avrebbe sicuramente fatto discutere nei giorni a venire, tuttavia nella mente del suo costruttore solo due pensieri erano chiari e distinti: vacanze e manzi in armatura. Un altro paio di schiocchi di dita si susseguirono a breve dall’interno dell’abitazione che venne invasa da un arredamento rustico ma allo stesso tempo ricercato.
“Sarà meglio andare a letto ora… Prevedo grane per domani!”
            I primi raggi del sole iniziarono a rischiarare le vallate e a disegnare caleidoscopici riflessi sulle acque del fiume Koros mentre i contadini, dai volti assonati e le terga ancora sopite, si avviarono lungo le strade per raggiungere i campi. Non ci volle molto perché alcuni di loro avvistassero l’insolita costruzione poco più a nord. Un gruppetto di uomini si fece coraggio e si avvicinò con fare circospetto alla magione del mago. Batterono con circospezione l’intero perimetro della casa, commentando con fare sorpreso l’esterno che apparì a dir poco strano. La conferma che la casa appartenesse ad una fattucchiera, o un figlio del Demonio, si presentò quando, cercando di valicare la staccionata si ritrovarono catapultati con forza verso la strada. Dopo un rapido sguardo d’intesa corsero a rotta di collo verso la cittadella per avvertire prima possibile sua Signoria il Conte Alexander Imre Fenec II della dinastia dei Dohnányi, il quale stava ancora placidamente dormendo tra le lenzuola pregiate dopo una notte di bagordi con la moglie. Tra le mura del castello tutti sapevano che il Conte e la Contessa, Ròsa Orsolya, in occasione di feste e celebrazioni si sfidavano a gare di bevute… vinte ogni volta dalla contessa.
Nel frattempo, a casa del mago, invisibili forze “demoniache” iniziarono ad agire e a preparare una lauta colazione alla principessa di zaffiro che di lì a breve si sarebbe svegliata. Quando i raggi del sole penetrarono attraverso le tende colpendo in faccia il ragazzo, un basso mormorio e quella che aveva l’aria di una bestemmia crepitarono nell’aria. Il mago scese le scale della sua villetta dopo aver indossato un costume da bagno particolarmente aderente e, avvolto in una vestaglietta di seta porpora, si diresse verso il patio antistante la piscina dove, su un’elegante tavolino in pietra, era stata servita la colazione. Il profumo del pane tostato e della marmellata di arance e zenzero solleticò il suo olfatto destandolo dal torpore mattutino. Stava per addentare la prima fetta quando un pesante rumore di passi disturbò la quiete della prima mattina.
“Ehy voi! Chi siete? Che cosa ci fate qui? Questo è il terreno di sua signoria il Conte di Dohnányi! Non potete stare senza il suo permesso!”
Il mago si rilassò lungo lo schienale della sedia, accavallando le gambe e addentando con fare divertito il suo pezzo di pane tostato e guardando lascivamente la piccola truppa davanti a sé. Dio aveva ragione, si trovava in una sorta di paradiso terrestre popolato da manzi ungheresi al cento per cento. Dietro alla sua staccionata una piccola milizia composta da una dozzina di soldati in armatura si era schierata con fare minaccioso alle spalle del biondino che aveva parlato.
“Buongiorno a voi, messere!”
“Rispondete! Chi siete? Cosa volete da questo territorio?”
“Risponderò solo dopo che avrete rinfoderato le spade!”
“Non siete nella posizione di dare ordini… Non sul terreno di mio padre il Conte almeno!”
“Oh, mio caro… Sono nella posizione di fare quello che più mi aggrada! Tenetelo a mente” esclamò ridacchiando e alzandosi in piedi diretto verso il gruppetto. Il mago addentò un boccone di pane mentre avanzava sorridendo verso il gruppo di “invasori”.
Il figlio del Conte sollevò una mano e tutte le guardie misero via le armi per poi soffermarsi sulla figura discutibile del mago. La vestaglia si era aperta camminando lasciando in mostra un fisico tonico appena coperto da uno speedo.
“E’ questo il vostro modo di agghindarvi di prima mattina? Siete un essere ripugnante!”
“Ah… grazie! Comunque… tornando al discorso precedente, vi basti sapere che sono un mago giunto da molto lontano per trascorrere alcuni giorni di quiete in questo… posto meraviglioso” concluse addentando l’ultimo pezzo di pane e guardando con intenso interesse gli uomini alle spalle del loro comandante.
“Voi, figlio del Demonio, non siete il benvenuto! Dovete andarvene immediatamente. Non vogliamo che i vostri malefici si abbattano sulla nostra contea!”
“Non ho nessun motivo di maledirvi, anche se la vostra boria mi farebbe venire voglia del contrario. Sono qui solo in ferie per un breve periodo, suvvia… Non possiamo andare d’amore e d’accordo?” Soprattutto d’amore pensò il mago mordendosi un labbro e spostando lo sguardo alle cintole dei soldati.
“Voi! Siete strano… Dite di non volere la guerra ma i vostri sguardi e le vostre espressioni… sono strane. Anche il vostro abbigliamento è strano… Persino questa casa, se casa si può definire, è strana.”
“Si sono strano, lo so! Sono un mago e vengo da molto molto lontano… Vi basti sapere questo!”
“Mi hanno insegnato a non fidarmi mai delle parole di un mago! Per giunta voi siete troppo… strano! Cavalieri, armatevi! Scacceremo il maligno da questo posto!”
“Siete davvero divertenti nonostante il linguaggio poco forbito. Ora, vorrei concludere la mia colazione in pace se non vi dispiace. Arrivederci!” proferì il mago tornando a sedersi e riprendendo il suo pasto.
Il giovane conte e i suoi soldati tentarono invano di superare la barriera magica che circondava la casa con spallate, fendendo l’aria con le spade, lanciando sassi contro le finestre ma niente funzionò. Il mago, dal canto suo, terminò la colazione, indossò i suoi occhiali preferiti alla Audrey Hepburn e il suo cappello a tesa larga e, dopo aver fatto comparire dal nulla un romanzo d’amore di Nicholas Sparks, si sedette su un lettino a bordo piscina.
Passarono almeno un paio di ore prima che il gruppo di uomini, che nel frattempo aveva improvvisato un ariete per sfondare la barriera, si trovasse esausto a terra zuppo di sudore e con il morale a terra. Il mago sogghignò da dietro i suoi occhiali da sole e impietosito dalla scena, o forse dai corpi sudati di dodici uomini aitanti e belli come il sole, si avviò in cucina a preparare un tè freddo per i suoi ospiti.
“Non cederemo mai! Vi scacceremo da queste terre! Lo giuro sul mio onore, il conte Gyorgy Andràs di Dohnányi”
“Io non giurerei su un nome così brutto! Prendete questo… siete esausto!” lo sbeffeggiò il mago porgendogli un bicchiere mentre alcuni soldati faticarono a trattenere le risa.
“Ne ho preparati per tutti. Sentite, l’intera casa è circondata da una barriera magica. A meno che non siate esperti in arti magiche dubito fortemente che riuscirete a rompere il mio incantesimo. Potete tornare alle vostre vite serenamente. Non ho cattive intenzioni, come ve lo devo dire?”
“Voi mentite… ed io non berrò mai questo veleno da voi preparato!” esordì il piccolo conte gettando a terra il bicchiere e il suo contenuto.
Il mago osservò dispiaciuto il bicchiere a terra e si chiese se un atteggiamento più aggressivo avesse potuto sortire qualche tipo di effetto. Visto che con le buone maniere, le trattative non erano andate a buon fine, forse usando le cattive…
“Adesso mi avete stufato…” bisbigliò inspirando a pieni polmoni.
I cavalieri e il conte iniziarono a levitare davanti ai suoi occhi sempre più in alto tra le grida di terrore degli stessi e le suppliche di essere rimessi a terra.
“Salutatemi il conte padre e ditegli che vengo in pace! Bye-Bye!” e con uno schiocco di dita l’impavido gruppetto venne scagliato all’interno della cittadella con molto poco tatto da parte del mago.
“Molto bene! Adesso posso pensare alle cose importanti della giornata! La mia pulizia del viso!”
            Il conte padre e la contessa erano intenti ad ammirare la rigogliosità della loro contea quando, davanti ai loro occhi, a disegnare un arcobaleno non molto grazioso, il figlio e una dozzina di cavalieri sfrecciarono veloci come saette atterrando malamente nelle stalle. Sgomenti, i due si guardarono negli occhi e, dopo aver realizzato quanto ero appena successo, corsero senza indugio nel cortile ad est dai malcapitati.
“Figliolo! Cosa ti è successo?” mugugnò preoccupata la contessa.
“Padre!!! Madree!!!Non avete idea del pericolo che incombe su queste terre! Una sventura più grande non poteva capitarci!” bofonchiò emergendo da una montagnola di sterco il giovane conte.
“Parla, suvvia, non lasciarci sulle spine” disse il conte con la voce greve quanto un corno tibetano.
“Un mago! Un mago potente, giunto da lontano, si è appena trasferito ai margini della foresta. Dice di non avere cattive intenzioni… ma non ci si può fidare di un mago! Per giunta, uno così strano! Un barbaro! Si è presentato a noi coperto di pochi stracci! É pericoloso padre… Molto pericoloso! Abbiamo provato a scacciarlo ma è stato tutto vano e con i suoi enormi poteri ci ha rispediti fin qua… in volo!”
“Capisco”
Il conte padre prese a massaggiarsi l’ispida barba a punta prima di fissare i suoi occhi su quelli del figlio.
“Se dice di venire in pace non dovremmo avere nulla di che temere! Molto bene, torniamo agli impegni di corte e… figliolo, fatti un bagno! Ohohohohoho” iniziò a ridere sguaiatamente prendendo la moglie sotto braccio e dirigendosi verso il roseto sul lato sud.
Il giovane conte non si era mai sentito così umiliato e giurò sulla testa del suo cavallo che avrebbe trovato il modo di vendicarsi dell’affronto subito da quella sottospecie di uomo. Uno sguardo d’intesa con i suoi commilitoni decretò l’urgenza di un bagno collettivo.
“Cosa ne pensi, mia cara, di questa situazione?”
“Oh caro, spero davvero che questo mago venga in pace. Ammetto tuttavia di essere un pochino preoccupata. Sai… una dozzina di cavalieri nudi che si lavano insieme al fiume potrebbe costituire il prologo di una rivoluzione femminile ”
La contessa posò delicatamente le mani su un bocciolo di rosa e con lo sguardo triste fissò negli occhi il marito.
“Non ti preoccupare! Non succederà nulla di grave… Fidati di me!”
“SIGNOR CONTEEEEEE! SIGNOR CONTEEE PRESTO!!!”
Dall’ingresso sud del roseto, un uomo in calzamaglia dall’aspetto ben poco curato, si palesò al cospetto dei due nobili. Ansimando con le mani sui fianchi, il buffone di corte disse:
“Signor conte! È una tragedia! Tutte le donne si sentono male! Alcune svengono, altre si addormentano e non si svegliano… anche in mezzo alla strada! È sicuramente un maleficio mio signore!!!”
Il volto del conte divenne un intrigo di rughe mentre fissava il vuoto davanti a sé. Girandosi di scatto verso la moglie le ordinò di ritirarsi nelle sue stanze e di limitare i contatti alla sola servitù mentre lui si sarebbe diretto in persona ad accertarsi della situazione.
“Che abbiano già iniziato a lavarsi…” mormorò a bassa voce, seguendo il ciambellano.
La scena che si parò davanti ai suoi occhi aveva un non so che di misero e triste. Tutte quelle donne a terra senza un apparente motivo. Bambini in lacrime che si gettavano sui grembi delle loro madri implorando il loro risveglio, uomini che stringevano tra le braccia le loro compagne e la disperazione che come un vento di primavera si propagava per le strade di Mészàrad.
La collera montò prepotente nel cuore del conte che, dopo essersi fatto sellare il cavallo e aver realizzato che l’incidente aveva un che di anomalo, montò con due dei suoi più validi cavalieri verso la casa del mago pronto a combattere fino alla morte per la salvezza della sua gente.
Arrivato nei paraggi dell’insolita abitazione dell’uomo, il conte si diresse come una furia contro i battenti della porta.
“Aprite! Aprire, vile dannato! Aprite questa porta se avete il coraggio, figlio del demonio! Sono qui per sfidarvi”
I cavalieri del conte posero le mani sulle rispettive else degli spadoni preparandosi ad un eventuale attacco a sorpresa. La porta d’ingresso si aprì su sé stessa rivelando la figura di un giovane uomo con la faccia ricoperta di una strana sostanza verdastra. Il conte e i suoi cavalieri trasalirono alla vista di tale orrore.
“Bhè? Non avete mai fatto una maschera all’argilla? Chi siete e cosa volete da me?”
Il conte non aveva la benché minima idea di cosa stesse parlando quella “cosa” ma, dopo aver stretto lo sguardo e indurito la mascella, prese fiato e disse:
“Io sono il conte Alexander Imre Fenec II della dinastia dei Dohnányi. Sono giunto fin qui per ordinarvi di annullare il maleficio che avete gettato sulla mia gente. Non avrò pietà per una creatura abominevole che gode nelle sofferenze altrui.”
Il mago chinò leggermente la testa guardando stupefatti i presenti… soprattutto uno dei due cavalieri che era di una bellezza annichilente anche se incolta. Dopo essersi ripreso, il mago esordì:

“Accomodatevi signor Conte. Sono curioso di sapere di quali crimini sono ingiustamente incolpato”. Il mago si scostò e, con un cenno della mano, fece loro segno di entrare. Poco prima di prendere posto al tavolo del salotto, con uno schiocco di dita il mago si rivestì e rimosse la maschera all’argilla dal suo volto. Ora indossava un semplice pantalone di lino e una polo verde prato. Gli uomini, diffidenti, ci misero alcuni secondi per decidere se entrare o meno ma, superati i timori iniziali, seguirono il mago nel salotto, continuando a guardarsi intorno straniti di quel posto.

“Posso offrirvi qualcosa da bare, signor Conte? Vostro figlio non ha apprezzato il tè che volevo offrirgli”. Un rapido movimento delle dita e dalla cucina arrivarono quattro bicchieri alti di tè freddo Earl Grey. Il mago invitò i cavalieri a prendere posto ma questi preferirono restare in piedi alle spalle del loro signore.
“Accetterei volentieri ma temo possa essere avvelenato e, alla luce di quello che sta succedendo nel mio borgo dal vostro arrivo, vi chiedo di annullare il maleficio che avete ingiustamente lanciato. Se mio figlio vi ha mancato di rispetto, vi chiedo umilmente perdono ma, vi scongiuro, non vendicatevi sulla mia gente. Sono brave persone…”
Il mago ascoltò ogni singola parola, basito dall’umiltà di quell’uomo che era pronto a mettere da parte l’onore per il bene del proprio popolo. Dopo aver deglutito un sorso di te, appoggiò il bicchiere sul tavolo e guardò con un sorriso triste l’uomo.
“Siete un bravo Conte e si vede che ci tenete al vostro popolo. Non preoccupatevi delle parole di vostro figlio… non mi offendo per così poco. Tuttavia ciò che sta succedendo nel vostro paese non ha nulla a che fare con me. Non ho motivo per rivalermi su di voi… potete credermi.” concluse fissando l’uomo dritto negli occhi.
“Sembrate una brava persona… ma le donne del mio paese si sono ammalate improvvisamente e devo trovare una soluzione a questo problema” Il conte ebbe un attimo di esitazione guardando il mago che gli stava davanti. Suo figlio aveva ragione, era un uomo davvero strano… decisamente giovane, forse della stessa età di suo figlio. “Posso fidarmi di voi, signor Mago?”
“Potete”
“Se posso fidarmi di voi… aiutatemi allora. Vi permetterò di stare su queste terre per tutto il tempo che vorrete se mi aiuterete a risolvere il problema al villaggio.” Come a sancire la sua concessione di fiducia, il Conte prese un bicchiere e bevve un sorso di tè, attirando lo sguardo preoccupato dei suoi cavalieri.
“Buono?” domandò sorridendo il mago, dopo averne bevuto un altro sorso.
“Ha una sapore strano! Non ho mai bevuto niente del genere… che cos’è?”
Il mago scoppiò a ridere prima di rispondere gioviale all’uomo “È una bevanda che sarà conosciuta a questa parte di mondo solo tra molti secoli”
“Secoli… ma… che magia è mai questa? Da dove venite?”
“Ho già detto a vostro figlio che vengo da molto lontano. Da un posto lontano… e anche da un tempo” Il mago si alzò in piedi portandosi davanti ad uno specchio nel suo salottino e con uno schiocco di dita si cambiò d’abito. Ora sembrava davvero un fattucchiere come voleva la tradizione folkloristica europea. Aveva indossato una tonaca lunga color blu scuro e un cappello a punta.

“Vedete, signor Conte, io non ho davvero bisogno di un qualche tipo di permesso per abitare queste terre ma vi ringrazio per avermelo concesso. Verrò con voi al villaggio per capire cosa sta succedendo e… se potrò aiutarvi, vi aiuterò.”
“Vi ringrazio ma… se la concessione terriera non conta per voi come pagamento… qualora risolveste il nostro problema, cosa volete in cambio?
“Siete davvero sveglio signor Conte!” ridacchiò il mago “Sono sicuro che troveremo un accordo”
  
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