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Autore: Carme93    26/01/2019    1 recensioni
Avete presente Conan, il piccolo e geniale detective?
Avete presente il film Seventeen again con Zac Efron?
Avete mai immaginato che cosa potrebbe accadere se anche il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, si ritrovasse un giorno a ritornare un ragazzino di dodici anni e calcare nuovamente i corridoi di Hogwarts in compagnia dei figli? E se questo li permettesse di conoscerli ancora meglio?
James e Albus sono pronti ad aiutare il padre a risolvere il nuovo caso e a farlo tornare adulto. Voi siete pronti a seguire le loro avventure?
(Storia ispirata proprio dal cartone e dal film sopracitati).
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo tredici
 
«Questa dove la metto, professore?».
«Vicino al vetro, per favore» rispose Neville.
Il ragazzo, all’incirca quattordicenne, obbedì spostando la pianta da un tavolo centrale a uno vicino al vetro della serra.
«Benji, porta quel sacco di concime nella serra numero due e prendine uno di terriccio».
«Sì, signore».
Harry si scostò appena in tempo e il ragazzino non lo urtò. Si appiattì ulteriormente alla parete e si passò una mano sulla fronte sudata: quel pedinamento stava andando per le lunghe. Le serre poi erano riscaldate a seconda del tipo di pianta che vi cresceva all’interno e, sicuramente, gli sarebbe salita la febbre visti i continui sbalzi di temperatura. Merlino, fuori c’erano zero gradi ed egli stava sudando come se fossero a luglio!
Era una settimana che, a turno, Harry e James pedinavano Vitious, la McGranitt e Neville, ma nessuno di loro aveva ‘commesso il fatidico passo falso’ come aveva preso a chiamarlo il figlio. O il loro uomo era molto più furbo di loro o la pista che avevano deciso di seguire si stava rivelando un grosso buco nell’acqua.
James quel giorno doveva seguire Vitious e Rose – sì, per necessità, avevano reclutato anche lei e Harry sperava ardentemente che Hermione non lo venisse mai a sapere - la Preside. Quella sera si sarebbero riuniti in Sala Comune, ma, a quel punto, Harry non aveva più molte speranze.
Neville era sempre e solo Neville. Non c’era bisogno di analizzare quello che beveva o mangiava, bastava ascoltarlo e vederlo interagire con allievi e colleghi: era gentile, disponibile e comprensivo. Era Neville, non c’era altro da dire. La Polisucco permette di assumere l’aspetto di un’altra persona, ma nemmeno un attore avrebbe potuto recitare così bene la parte.
Non conosceva altrettanto bene la McGranitt e Vitious, ma tutto sommato anche loro, le volte in cui era toccato a lui pedinarli, non avevano compiuto alcun gesto che risultasse lontano dall’immagine che si era fatto di loro da studente.
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione, ma ebbe la prontezza di far passare prima Neville. Fuori, nello spiazzo tra le serre c’era Benji, il ragazzino, coperto da capo a piedi di quello stesso terriccio che avrebbe dovuto usare per le piante. «Sono scivolato» bofonchiò imbarazzato.
Harry si accigliò: solo in televisione una persona scivola e si svuota un intero sacco in testa. Neville comunque si comportò proprio come l’amico che conosceva: aiutò il Tassorosso ad alzarsi e a darsi una ripulita, senza infierire minimamente. L’Auror, però, si guardò intorno e scorse quasi subito tre ragazzi nascosti dietro un albero. Sbuffò: altro che scivolare. Attese che Neville tornasse nella serra e raggiunse Benji che ripuliva il disastro.
«Ehi». Al ragazzino venne quasi un colpo vedendolo comparire dal nulla. Effettivamente avrebbe dovuto starci più attento. «Sono stati quei tre, vero? Affatturali».
I tre erano ancora nascosti, ma si erano distratti ridacchiando tra loro.
Benji lo fissava stralunato. «Ma che dici?».
Harry alzò gli occhi al cielo e puntò la bacchetta contro i tre ragazzi, che immediatamente iniziarono a galleggiare a testa in giù.
«Smettila, c’è il professore!» gli disse il Tassorosso.
Col cavolo, pensò Harry: n quella Scuola cominciavano a esserci un po’ troppi bulletti per i suoi gusti e, se non poteva attaccare Jaiden Brooks perché era piccolo, di certo non l’avrebbe fatta passare liscia a quei tre, sicuramente del quinto o del sesto anno.
«Ma che succede?» intervenne Neville attratto dalle strilla di quegli stupidi. Insomma neanche li stesse torturando! «Barney?!».
Harry gli sorrise e gli raccontò molto disinvoltamente che quello di Benji non era stato un incidente. «Mi sono stancato dei bulli della Scuola. Una volta non ce n’erano così tanti!».
Neville sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse la testa. «Mi occuperò dei fratelli Diderot».
Harry non la trovò una risposta soddisfacente e si avviò al castello seccato, ben intenzionato a trovare James e Rose e anticipare la loro riunione.
Per un caso del destino furono Rose e Albus a trovare lui.
«Ho riflettuto a lungo» gli comunicò solennemente Albus, mentre si avviavano verso la Torre di Grifondoro. «La prossima volta che Brooks dice una sola parola contro di me, gli risponderò a tono».
Harry non sapeva come replicare: da una parte avrebbe voluto dire ‘Era ora!’; dall’altra aveva paura che si facesse male, visto che il Serpeverde era robusto e fin troppo versato nelle arti magiche per uno del primo anno.
«Non dici nulla?» insisté Albus che probabilmente si aspettava un’altra reazione da parte sua. E come dargli torto! L’aveva sempre spinto a non farsi mettere i piedi in testa.
«Devi fare solo quello che ti senti» rispose senza neanche rendersene conto. Dopotutto non essere un attaccabrighe non era la fine del mondo, anzi. Forse Albus al posto del Tassorosso avrebbe raccontato a Neville che cos’era realmente accaduto. Ognuno affronta i problemi in modo diverso e Harry non poteva costringere suo figlio a cambiare il suo carattere, che andava più che bene in quel modo. «Però stai attento, quel tipo non mi piace. Il tuo incantesimo scudo non è abbastanza forte ancora». Albus annuì pensieroso, ma Harry non insistette. «Dov’è James?».
«Con i suoi compagni, fuori dall’aula di Trasfigurazione» rispose prontamente Rose.
«Allora vai a chiamarlo, ho bisogno di parlargli immediatamente».
«Ma l’intervallo è quasi finito!» esclamò Albus sorpreso.
«È urgente» ribatté in fretta Harry.
«Hai scoperto qualcosa?» gli chiese Rose a voce bassissima.
«No, per questo dobbiamo procedere e mettere in atto il suo piano».
«Quale piano?».
«Lui, lo sa. Per favore, ditegli di venire in Sala Comune».
«Vogliamo aiutare anche noi» si lamentò Rose.
«Non puoi saltare le lezioni. Tua madre ammazzerebbe entrambi».
«E James può?» replicò Rose testardamente.
«Sono suo padre» rispose Harry con ovvietà.
«Non è giusto!» sbottò Rose. «Riferirò il messaggio, così risolvi questo caso e te ne vai. Al e James non potranno più fare quello che vogliono!».
«Rosie…» tentò di rabbonirla Harry, ma la ragazzina era già scappata via.
«Io posso fare qualcosa?» gli chiese Albus incerto.
«No, ti ringrazio. In due saremo anche troppi».
Una volta raggiunta la Sala Comune, fortunatamente vuota grazie alle lezioni del mattino, non dovette attendere molto: James arrivò di corsa.
«Ma sei pazzo?» lo aggredì a sorpresa il ragazzino. «Mamma ci ucciderà! Mi hai fatto saltare una lezione con la Macklin! Non potevi chiamarmi prima che avevo Storia della Magia?».
«Mi dispiace che tu ti sia dovuto sorbire un’ora sulle guerre dei folletti» ribatté Harry ironicamente.
«Erano giganti. Robert dice che se facessero un gioco per il computer sulle guerre dei giganti, sarebbe più efficace delle lezioni di Rüf. A Ilvermorny non ci sono insegnanti fantasmi».
«E la storia è meno noiosa?».
«Secondo me, no» dichiarò il ragazzino senza neanche pensarci. «Robi, però, dice che è molto meglio».
Harry colse una nota amara nelle parole del figlio. «A Robert piace la scuola americana?» si azzardò a domandare.
«No!» rispose con veemenza James fulminandolo con lo sguardo. «Vedrai, si farà espellere e tornerà qui!». L’Auror evitò di far notare al figlio che non era così semplice, ma sperò per lui che sarebbe accaduto come desiderava. «Quindi vuoi rubare il Veritaserum, o ho capito male?» disse il ragazzino decidendo di cambiare velocemente argomento.
«Tu hai scoperto qualcosa su Vitious? Penso che stiamo perdendo solo tempo».
«Lo penso anch’io. Vitious è apposto. Ieri a lezione, un Tassorosso ha fatto scoppiare la caraffa d’acqua, che avremmo dovuto congelare, proprio addosso al professore, ma lui non si è arrabbiato. Non credo che il pozionista che cerchiamo possa avere la stessa pazienza di Vitious».
«No, infatti» concordò Harry. «Quindi dobbiamo procedere».
«Come?» lo esortò James.
«Agiremo durante la prima lezione pomeridiana di Mcmillan: entreremo con gli altri studenti in aula, ma nascosti sotto il Mantello dell’Invisibilità; approfittiamo di un momento di distrazione generale ed entriamo nella dispensa personale del professore; prendiamo il Veritaserum e torniamo indietro; infine aspettiamo la fine della lezione e usciamo con calma. Prima di cena andremo in cucina e metteremo il Veritaserum nel succo di zucca dei professori. Che ne dici?».
«È perfetto» commentò James ammirato. «Ma non potevi aspettare l’ora di pranzo per dirmelo? Ora come faccio con la Macklin?».
Harry boccheggiò: aveva dimenticato di aver a che fare con il figlio e non con uno dei suoi Auror! Complimenti! Poi ebbe un’illuminazione e svuotò lo zaino, in cui neanche a dirlo non c’era un solo libro.
«Prendi questa!» disse mettendogli una pasticca vomitosa in bocca.
«Papà!» gridò James furioso. «Stavolta lo dico veramente a mamma! Ma lo sai che Madama Chips le riconosce?».
«Davvero? E tuo zio non ha risolto in alcun modo?».
James gli lanciò un’occhiata di fuoco, ma qualunque commento stesse per fare – probabilmente poco carino –fu fermato dal primo conato di vomito.
 
Nel pomeriggio – James ormai completamente ristabilito – nascosti sotto il Mantello, secondo il piano, si recarono nei sotterranei. Harry gli aveva chiesto scusa un milione di volte, rendendosi conto di essersi comportato da vero stupido, ma James aveva tenuto il broncio per tutto il pranzo.
Si misero in fila con i Tassorosso del terzo anno appena in tempo. Il suono della campanella risuonò nei sotterranei silenziosi.
Il professor Mcmillan aprì la porta e fece segno di entrare e loro si intrufolarono seguendo il piano.  
I ragazzi fecero un po’ di confusione prendendo posto e Mcmillan dovette riportare l’ordine.
«Ora» sussurrò Harry.
Anche questa parte del piano filò liscia come l’olio.  
«Colloportus» pronunciò Harry bloccando la porta. «Così stiamo tranquilli. Cerchiamo il Veritaserum».
E qui ebbero difficoltà: le mensole erano strapiene di ingredienti e pozioni. Pazientemente Harry e James si misero a lavoro con impegno.
«Eccolo, è quello» annunciò James con voce roca per il troppo silenzio.
«Shhh» lo richiamò Harry. «O ti sentiranno!».
«Scusa» sussurrò allora il ragazzino. «È troppo in alto, lo prendi tu?».
Harry estrasse la bacchetta e fece levitare la boccetta verso di sé. Il liquido era bianco come l’acqua, ma con delle bollicine. Erano trascorsi ormai tanti anni da quando Severus Piton aveva minacciato di farne scivolare accidentalmente un paio di gocce nel suo succo di zucca serale.
«Ehi, papà, comunque ti ho perdonato. E naturalmente non lo dirò alla mamma».
«Grazie» ribatté Harry sorpreso. «Volevo solo aiutarti, non so che cosa mi sia passato per la mente».
«Zio Neville ha fatto finta di credere che avevo problemi di stomaco».
«Benedetto uomo» sospirò Harry. «Ora andiamo, nemmeno lui potrà giustificare la nostra presenza qui».
James si lasciò coprire con il mantello e, al suono della campanella, sbloccarono la porta e uscirono. E, a questo punto, la fortuna decise di abbandonarli: James inciampò nei lacci sciolti delle scarpe e cadde in avanti tirandosi il mantello, scoprendo in tal modo entrambi.
«E voi due che fate qui?».
Harry si voltò e sorrise a un Mcmillan interdetto, per poi ricordarsi di avere la boccetta in mano e nasconderla dietro la schiena. Oh, sì era tornato veramente un bambino!
 
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«Ma che cosa avevano in mente tuo padre e James?» sussurrò Rose per la millesima volta.
«Non lo so» sbuffò Albus.
«Ma non ti dà fastidio che ti mettano sempre in disparte?».
Albus sollevò gli occhi al cielo. «No, ora scusa». Raggiunse Scorpius e Alastor che li avevano preceduti.
«Allora, pronti per vincere la Coppa del Quidditch? Tuo fratello e Dai Baston mi sembrano in perfetta forma» disse Scorpius.
«Puoi scommetterci» rispose Albus, tentando di togliersi dalla mente le parole della cugina.
«Io ci avrei scommesso dall’inizio dell’anno» intervenne Rose. «Siete dei perdenti voi Serpeverde!».
«L’anno prossimo diventerò Cercatore e, vedrai, darò del filo da torcere a James» ribatté Scorpius.
«Oh, ma fammi il favore, entrerò anch’io in squadra e il vostro portiere non vedrà neanche la pluffa!».
«E voi? L’anno prossimo farete i provini?» chiese Scorpius rivolto ad Albus e Alastor.
«No» risposero all’unisono.
«Lascia perdere» sbuffò Rose. «Al odia la competizione, eppure sa volare molto bene».
«Mi mettono ansia le competizioni» specificò il ragazzo.
«Ti mettono ansia un milione di cose» infierì Rose. «Durante lo Smistamento stavi per avere un attacco di panico».
Albus la fulminò con lo sguardo. «Oh, quanto sei divertente!».
«Tu perché non lo farai?» domandò Scorpius ad Alastor, desiderando evitare una lite tra i due cugini.
«Non volo molto bene… Non mi piace…» bofonchiò Alastor in risposta.
«Non capirò mai che cosa ci faccia un Malfoy in compagnia di un Potter, una Weasley e uno Schacklebolt». La voce limpida e sarcastica di Jaiden Brooks risuonò nel corridoio deserto. «Sembra quasi l’inizio di una barzelletta». I suoi compagni di Serpeverde sghignazzarono come al solito. «Ditemi, è per caso una trovata politica? Non era tuo padre Schacklebolt a volere che la comunità magica dimenticasse le antiche rivalità di sangue? Oh, sì, lui durante l’ultima intervista».
A sorpresa Alastor rispose: «Mio padre è il Ministro della Magia, è normale che ricordi quelli che sono i principi cardini su cui si fonda il Ministero dalla fine della guerra contro Lord Voldermort».
«Allora ce l’hai la lingua! Pensavo che fossi muto. D’altronde un Purosangue che si unisce a una babbana non potrebbe dare risultati soddisfacenti… anche se dopotutto non hai alcuna deformazione…».
«Smettila» sibilò Scorpius estraendo la bacchetta.
«Come fai a sapere che cos’ha detto mio padre durante l’ultima intervista?».
La domanda rivolse l’attenzione di tutti verso Alastor e sciolse per un attimo la tensione creatasi.
«Leggo?» ribatté Brooks con ovvietà.
«Leggi il giornale?» ribatté Rose perplessa.
«Leggi le interviste di cronaca?» insisté Scorpius.
Albus si chiese che importanza avesse, probabilmente Brooks era un genio come tutti i professori pensavano.
«Siete analfabeti per caso? Sì, leggo gli articoli di cronaca» sbuffò Brooks.
«Non sei normale» dichiarò Rose.
«Potrei capire la pagina sportiva…» bofonchiò Scorpius.
«Oh sì, la pagina sportiva scritta da Ginny Weasley. Ti piace, vero, Malfoy? Hai sentito Potter, quando tua madre si stancherà di tuo padre non avrà problemi a trovare…».
Albus lo spinse e, avendolo preso di sorpresa, lo buttò a terra. «Non osare continuare» sibilò a denti stretti.
Brooks fu velocissimo a estrarre la bacchetta e colpire.
Albus fu sbalzato a terra e l’altro si rialzò. «State lontani» ordinò agli amici, pronti a intervenire. «Devo risolvere io la questione». Albus era furioso. Si rimise ai piedi.
«Oh, oh, sul serio Potter? Ma chi ti credi di essere?».
«Exsperliamus!».
La bacchetta di Jaiden Brooks volò via dalle mani del proprietario.
«Maledizione! E questo quando l’hai imparato? Quel cretino di McBridge non insegna nulla» sbottò Brooks. «Bene, allora battiamoci alla babbana. Non vorrai mica colpire con la magia un avversario disarmato?».
Albus sbuffò: sapeva di non avere speranze senza bacchetta, ma la ripose. Nessuno avrebbe detto che lui era stato sleale.
«Attento!» urlò Alastor.
«Stringi il pugno e tira con tutte le tue forze!» suggerì Scorpius.
In realtà Albus reagì d’istinto e si gettò sul Serpeverde. Ruzzolarono a terra e Brooks ebbe la meglio, colpendo il Grifondoro sul naso.
«Al, muoviti!» gridò Rose.
Albus tentò di divincolarsi, ma l’altro era troppo forte. Brooks gli strinse le braccia in una morsa d’acciaio e l’altro non riuscì a muovere neanche un muscolo. Era spacciato: Brooks l’avrebbe fatto a pezzi! Incassò un altro pugno e il meglio che poté fare fu non urlare e tentare di morderlo.
Brooks rise in modo abbastanza folle. «Ora, non ti senti più forte, eh Potter?».
Non si era mai sentito forte, si era solo stancato delle sue provocazioni.
«Che sta succedendo qui, eh?».
Un miagolio fastidioso precedette l’arrivo di Gazza, se mai qualcuno di loro avesse mai potuto confonderlo con qualcun altro.
«Sei fortunato» sibilò Brooks liberando Albus dalla stretta, ma il ragazzino furioso gli gettò le braccia al collo per trattenerlo e ricambiare almeno un pugno.
Successe tutto in un lampo. Gli occhi di Albus caddero sulla nuca del compagno e un tatuaggio, mai notato, risaltò immediatamente alla vista. Mollò la presa. Brooks corse via insieme agli altri Serpeverde, ma Albus, troppo scioccato, ignorò le sollecitazioni degli amici a fare altrettanto. Si riscosse leggermente soltanto quando Gazza lo prese per l’orecchio.
«Oh, sei nei guai! Oh, sì. Andiamo dalla Preside, Potter!».
Rose, Alastor e Scorpius tentarono di aiutarlo, ma Gazza fu irremovibile e li disse di andarsene.
Albus si lasciò trascinare in Presidenza con la mente rivolta completamente a quello che aveva visto. Non era mai stato nell’ufficio della Preside, perciò si stupì nel vedere la scala a chioccia celata dietro i gargoyle.
«Preside, Potter stava facendo a botte!» dichiarò solennemente Gazza spingendo avanti Albus.
Il ragazzino cominciò a rendersi conto della situazione in cui si era messo: l’occhiataccia della Preside non lasciava adito a dubbi. La stranezza, però, era la presenza del padre, sotto le vesti di Barney Weasley s’intende, e del fratello.
«Grazie signor Gazza, può andare» disse la McGranitt a denti stretti. «Devo per caso convocare la signora Potter per venire a capo di questa follia stasera?!».
«Ci sono io!» ribatté Harry offeso.
«Sei stato colto in fragrante dopo aver rubato nella scorta privata del professor Mcmillan! Il Veritaserum, poi!» sbottò la Preside per nulla condiscendente.
«Era un piano per trovare il misterioso pozionista» borbottò Harry.
«Ah, sì e anche combattere alla babbana fa parte della strategia?».
«Ehm, no… ma, vede, professoressa, lei non sa chi è Jaiden Brooks…» tentò Harry ma la McGranitt lo incenerì con gli occhi e tacque.
«Albus, perché stavi facendo a pugni?» chiese la professoressa a bruciapelo.
Il ragazzino, ancora turbato dagli ultimi avvenimenti, la fissò e rispose sinceramente: «Ha insultato mia madre».
«Ha fatto che cosa?!» urlò Harry.
«Se lo prendo, lo strozzo» saltò su anche James.
«Silenzio!» tuonò la Preside. «Insomma, è così che dà l’esempio ai suoi figli, signor Potter? E poi mi dice che non è necessario convocare sua moglie?».
«Se viene la mamma, lo strozza lei Brooks… di certo non ha bisogno che lo facciamo noi…» borbottò James. La McGranitt sembrò arrabbiarsi di più e Harry diede una gomitata al figlio maggiore: era impazzito o si era dimenticato di avere la Preside di fronte? Padre e figlio si prepararono alla sfuriata della donna.
«Mi dispiace, professoressa» esclamò Albus improvvisamente attirando l’attenzione su di lui. «È tutto l’anno che Brooks dà fastidio a me e ai miei amici. Mi ero stancato di farmi mettere i piedi in testa…».
«Te li ha messi in faccia, però. Guarda che lividi…» lo interruppe James.
«Smettila» gli sibilò Harry. Se c’era qualcuno in grado di rabbonire la McGranitt quello era Albus.
«So di avere sbagliato… sia perché non si risolvono le questioni con la violenza… soprattutto per questo… e poi Brooks è molto più forte di me, non è stata neanche una decisione furba da parte mia…».
«Sono contenta che almeno tu sia consapevole della gravità delle tue azioni».
«Sì, professoressa» assentì all’istante Albus. «Posso fare una domanda adesso?».
La Preside si stupì, anche se riuscì a simularlo molto meglio di James e Harry che spalancarono la bocca.
«Sì, naturalmente».
«L’uroboro è un serpente che si mangia la coda?».
«Sì, perché, Potter?».
Il battito del cuore di Albus accelerò: superato lo spavento, la sua mente aveva compreso che cosa l’avesse turbato tanto prima che Gazza lo trascinasse via.
«L’uroboro è il tatuaggio che è ha il pozionista che stai cercando?» quasi urlò il ragazzino voltandosi verso il padre.
«Sì… stai bene, Al?» replicò Harry preoccupato.
Albus iniziò a tremare leggermente e impiegò qualche secondo a ritrovare la voce. «Jaiden Brooks ha un tatuaggio a forma di uroboro sul collo».
Un silenzio sconvolto accolse le sue parole.
   
 
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