Amici
o coinquilini?
Era febbraio. E si avvicinava San
Valentino. Prima che morisse sua madre, Jasmine adorava San Valentino.
Nella
sua vecchia scuola c’erano tante iniziative per quella festa.
E lei aveva Lenny,
con cui passare quel giorno. Mentre ora… Pensò a
Gabe. Gabe era carino, gentile
e si poteva facilmente parlare con lui, non era male come aveva pensato
all’inizio, ma Jasmine ancora non se la sentiva di iniziare
qualcosa di più
serio. Anche se, quando avevano parlato tutta la notte sul divano,
aveva
desiderato tantissimo che ci fosse l’occasione di un bacio.
Ma lui non aveva fatto il passo e
lei,
che era diventata così fredda e diffidente, non si era
lasciata andare,
facendogli capire che avrebbe gradito tantissimo posare le labbra sulle
sue.
Sospirò.
Guardò Lucy
dall’altra parte del Blue
Market, che spostava una scatola e parlava con un cliente. Lei faceva
sesso con
Connor e con Will. Forse Lucy aveva capito tutto e quella indietro era
lei.
Avrebbe dovuto scoprire il suo segreto e farsi raccontare qualcosa.
Aveva scoperto che non ci sarebbero
state
ripercussioni se qualcuno fosse rimasto a dormire a casa,
l’importante era che
non ci fossero problemi fra di loro e che fossero tutti
d’accordo. Aveva visto
Will solo un’altra volta e doveva ammettere che era simpatico
e, soprattutto,
gli piaceva cucinare e avere qualcuno che si svegliava prima di te per
cucinare, era un gran bell’affare. Sorrise mettendo in ordine
le scatolette di
legumi.
Ancora persa nei suoi pensieri,
venne
riportata alla realtà da Mike che le chiese di andare a
controllare in magazzino
perché Lucy era sparita da almeno un quarto d’ora.
La scala era ripida e lì
sotto c’era
umido e freddo. Chiamò Lucy a voce alta mentre scendeva gli
ultimi scalini.
“Sono qui.”
Dal fondo del magazzino le
arrivò un
filo di voce alle orecchie. Non era neanche sicura di aver sentito
bene. “Lucy,
qui dove?” La luce che c’era lì
giù era poca e leggermente fastidiosa. Poi la
vide: la bambolina da film horror si teneva un braccio con la mano
sinistra, e
il braccio era tutto coperto di sangue. Lei aveva quello sguardo vacuo.
Dannazione! “Ti sei fatta male?” Oddio che domanda
stupida! Certo che si era
fatta male!
Jasmine tornò su qualche
gradino,
chiamò a gran voce il proprietario per dirgli di chiamare i
paramedici e poi
tornò giù di corsa nel magazzino. Velocemente si
fece spazio fra le varie
scatole e raggiunse la ragazza.
“Cos’è
successo?” le chiese, mentre la
osservava. Era seduta per terra e probabilmente sotto shock,
pensò, notando il
viso pallido. Lei alzò il capo e indicò una
scaffalatura rotta.
“Ho preso contro quel
coso lì. Ha
iniziato a sanguinare… Non smette
più…” Guardò velocemente il
braccio della
ragazza ed effettivamente, il sangue non si era fermato, anzi
continuava a
inzuppare la maglietta. Si tolse il grembiule che Mike faceva indossare
durante
le ore di lavoro e lo appallottolò per premerlo sulla ferita
di Lucy.
Il taglio era lungo e, attraverso
lo
strappo della maglietta, Jasmine vide troppa carne bianca per i suoi
gusti. Lo
coprì subito con quel fagotto improvvisato e si
voltò verso la scala da cui
stava scendendo Mike con il cordless per aiutare i soccorsi. Anche Mike
sbiancò
quando vide Lucy.
Nel giro di pochissimo arrivarono i
paramedici che iniziarono a tagliare la manica della maglietta di Lucy
per
controllare il taglio. Lucy non fece resistenza, ma quando
l’infermiere ebbe
tolto tutta la stoffa dal braccio, ci fu un momento di silenzio.
Tesissimo
silenzio e Lucy si riprese. Iniziò ad agitarsi e a dire che
non voleva essere
toccata.
Jasmine si avvicinò per
calmarla
quando notò che i due paramedici non riuscivano
nell’intento. Quando le fu
vicina, notò anche lei il braccio della ragazza. Era pieno
di cicatrici.
Piccole cicatrici tonde, come di bruciatura e tantissimi segni lungo
l’incavo
del braccio. Li aveva anche Bill, quei segni. Iniezioni. La
guardò in faccia e
cercò di calmarla, nonostante quello che aveva visto
l’avesse lasciata
sconvolta. Nel momento in cui lei si calmò abbastanza da
essere medicata, uno
dei due paramedici, spostò anche la manica
dell’altro braccio di Lucy e indicò
al collega la cicatrice che aveva sul polso sinistro. I due si
scambiarono
un’occhiata strana, secondo Jasmine.
“Possiamo muoverci, per
cortesia?”
chiese allora, stizzita, ai paramedici. Quello più giovane
la guardò con
tristezza e annuì.
In men che non si dica erano al
piano
di sopra e dopo aver lanciato un’occhiata a Mike, disse che
sarebbe andata in
ospedale con Lucy. L’uomo non fece obiezioni.
Jasmine non sapeva cosa dire. Aveva
voluto coprire Lucy da non sapeva cosa e ora si trovava con lei in una
stanza
dell’ospedale in attesa della visita. Lucy
rabbrividì.
“Hai freddo?”
Aveva lasciato la felpa
di Lucy nell’armadietto, ma aveva la sua ancora addosso. La
ragazza scosse la
testa, ma Jasmine notò il suo disagio e il fatto che
cercasse di coprirsi il
braccio con la stoffa ancora attaccata alla manica. Si alzò
in piedi e si tolse
la felpa, appoggiandogliela delicatamente sul braccio.
“Grazie”. Lucy
aveva pochissima voce
ed era ancora pallida.
“Andrà tutto
bene. Hanno detto che non
si è reciso niente, nessun tendine, nessun nervo. Ti
metteranno i punti e
andiamo a casa, ok?” Jasmine cercò di essere
chiara e sicura, nonostante
l’ospedale le portasse alla mente brutti ricordi.
Lucy annuì e disse
ancora sussurrando:
“Io… Io…”
Jasmine per un attimo, ebbe quasi
pietà di lei. “Non sei obbligata a dirmi niente,
ok?” Lei annuì tristemente. “A
meno che tu non voglia”. Le sorrise, prendendole la mano del
braccio sano.
Iniziava a pensare di aver sbagliato il suo giudizio anche su di lei.
Lucy guardò da
un’altra parte.
“Non sono stata
io”. Quando la guardò,
Lucy le calamitò lo sguardo. “Solo questo ho fatto
io” disse, toccandosi il
polso sinistro coperto dalla manica. “So che l’hai
visto…” Jasmine annuì e non
disse niente. Poi Lucy si guardò il braccio nudo sotto la
felpa. Si toccò varie
cicatrici, quelle circolari sull’avambraccio, lentamente,
come se ognuna di
loro portasse alla mente un ricordo diverso. Quando Lucy
arrivò a toccarsi i
segni nell’incavo del gomito la guardò ancora.
“All’inizio, neanche questi ho
fatto io. Dopo… Dopo sì. Ho fatto anche altre
cose…” Il suo sguardo vagò nella
sala d’attesa, ma per fortuna non c’era gente
vicino a loro. “Ora sono pulita.
Da più di un anno”. Le sorrise.
“Mi fa
piacere.”
Lucy dovette mal interpretare la
sua
frase perché le tirò una manica. “Te lo
giuro. Non ho fatto entrare droga in
casa. Non manderei mai all’aria il progetto!”
Jasmine si bloccò. Lei non aveva
pensato al progetto, non quella volta.
“A me fa piacere che tu
stia bene. Non
te l’ho detto per il progetto.”
Gli occhi di Lucy si fecero lucidi.
Le
spiegò di come il patrigno l’avesse iniziata alla
droga per poterla tenere
legata a sé. L’aveva fatto prima con sua madre, ma
poi sua madre era morta e
quando era rimasta solo lei, lui l’aveva presa in custodia
con il parere
favorevole dei servizi sociali e da lì era iniziata la sua
gabbia. All’inizio
il patrigno la torturava con le bruciature delle sigarette, ma poi,
quando
divenne abbastanza grande, aveva iniziato ad abusare di lei e dopo,
l’aveva
iniziata alla droga, per far sì che non fuggisse da nessuna
parte. Quando si
era decisa a ribellarsi aveva cercato la maniera di farlo
definitivamente e si
era tagliata le vene a scuola. Tutti avevano pensato che fosse una
pazza
suicida e invece lei aveva voluto salvarsi. Perché
così avevano chiamato gli
assistenti sociali e venendo affiancata da uno psicologo era riuscita
ad
uscirne e non vedere più il patrigno.
Alla fine del racconto, Lucy
piangeva.
Silenziosamente e copiosamente. Jasmine non riuscì a non
abbracciarla. Sembrava
una bambina. Una bambina timorosa. Aveva bisogno di essere rassicurata.
Da
quanto tempo qualcuno non la rassicurava? Oppure, era mai stata
rassicurata? Si
ricordò di come sua madre l’abbracciasse quando
qualcosa andava male o lei si
sentiva particolarmente giù di morale. Come le mancava sua
madre in quel
momento!
Quando chiamarono Lucy, lei
entrò in
ambulatorio da sola e Jasmine si alzò per prendere qualcosa
di caldo al distributore
automatico. Mandò intanto un SMS agli altri per spiegar loro
cosa fosse
successo.
Dopo venti minuti Connor
entrò di
corsa nella sala d’attesa con uno sguardo preoccupato in
viso. Quando vide
Jasmine le andò vicino. “Come sta?
Dov’è?”
La ragazza alzò lo
sguardo su di lui e
indicò la porta dell’ambulatorio con un cenno del
capo. “È lì dentro. Ha un
taglio alla parte superiore del braccio, le stanno mettendo i
punti”.
Connor si avvicinò alla
porta e rimase
in attesa dondolando sulla gambe, con le mani affondate nei jeans.
Sentirono
delle voci un po’ agitate venire dall’ambulatorio e
il ragazzo si fece
irrequieto. Si grattò il collo con un dito e Jasmine
riconobbe nel gesto il suo
disagio. Si
alzò gli andò vicino.
“Ci stanno mettendo un
po’ tanto perché
lei non ha voluto prendere… sai, gli
antidolorifici?” Connor annuì sorpreso e
lei continuò: “Vedrai che uscirà
presto”.
“Lei è forte.
Ce la può fare”. Annuì
al ragazzo e lui continuò “Ti ha
raccontato…”
“Si è tagliata
la parte superiore del
braccio, quando le hanno tagliato la manica della maglietta, abbiamo
visto i
segni. Non solo i buchi… anche il resto. Lei… ha
voluto spiegarmi…”
Connor annuì.
“Il suo patrigno era un
bastardo. Ti ha detto anche cosa le faceva fare?” Jasmine
annuì. Lui sospirò.
“Posso chiederti se state
insieme?
L’altra notte ho visto…”
Lo sguardo di Connor si fece
bellicoso. “Mi sa che sei una di quelle che salta alle
conclusioni facili, eh?”
“Non volevo
offendervi!” Jasmine si
sentì un po’ stizzita. In fin dei conti non aveva
detto niente di male. Lo
guardò malo modo e lui sospirò ancora.
“No, comunque. Noi non
stiamo insieme.
E prima che tu me lo chieda, no, non facciamo sesso. L’altra
sera… Lei ha paura
dei temporali. Mi ha chiesto di dormire con lei. Tutto qui”.
Jasmine annuì. Lei
pensava che fosse una ragazza facile. E invece aveva dovuto ricredersi.
Su di
lei. Su tutti.
Gabe entrò in sala
d’attesa mentre
Jasmine si dava della stupida per esser saltata alle ‘conclusioni facili’ come aveva
dichiarato Connor. Quando li vide si
avvicinò.
“Come va?”
Jasmine gli sorrise.
“Sei venuto anche
tu”. Non era proprio
una domanda.
“Ho accompagnato Connor
in macchina,
per arrivare prima” spiegò. Jasmine
però non smise di sorridere.
“Però sei
ancora qui.”
“Certo!”
Lo sguardo del ragazzo le fece capire che lui dava per scontato il fatto che fosse ancora lì. Per un attimo li guardò: sembravano amici. Veri amici. Non quattro persone messe a caso nel progetto sperimentale dello Stato.
-
-
-