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Autore: ONLYKORINE    27/01/2019    1 recensioni
Storia vincitrice del Contest 'The world in a Book' il prompt era questo:
Jasmine, dopo aver trovato il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle, compreso il suo orrendo padre, si ritrova a dover accettare tre ragazzi, di cui una femmina, nello sesso appartamento dove dovrà rimanerci per un bel po'. Lei, una ragazza così solitaria, riuscirà ad aprirsi con qualcuno? Racconterà la sua storia o innalzerà un muro? Proverà a fidarsi o rimarrà nella sua bolla personale? E se non è la sola ad aver passato le pene dell'inferno?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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04.Amici o coinquilini?

Amici o coinquilini?

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Era febbraio. E si avvicinava San Valentino. Prima che morisse sua madre, Jasmine adorava San Valentino. Nella sua vecchia scuola c’erano tante iniziative per quella festa. E lei aveva Lenny, con cui passare quel giorno. Mentre ora… Pensò a Gabe. Gabe era carino, gentile e si poteva facilmente parlare con lui, non era male come aveva pensato all’inizio, ma Jasmine ancora non se la sentiva di iniziare qualcosa di più serio. Anche se, quando avevano parlato tutta la notte sul divano, aveva desiderato tantissimo che ci fosse l’occasione di un bacio.

Ma lui non aveva fatto il passo e lei, che era diventata così fredda e diffidente, non si era lasciata andare, facendogli capire che avrebbe gradito tantissimo posare le labbra sulle sue.

Sospirò.

 

Guardò Lucy dall’altra parte del Blue Market, che spostava una scatola e parlava con un cliente. Lei faceva sesso con Connor e con Will. Forse Lucy aveva capito tutto e quella indietro era lei. Avrebbe dovuto scoprire il suo segreto e farsi raccontare qualcosa.

Aveva scoperto che non ci sarebbero state ripercussioni se qualcuno fosse rimasto a dormire a casa, l’importante era che non ci fossero problemi fra di loro e che fossero tutti d’accordo. Aveva visto Will solo un’altra volta e doveva ammettere che era simpatico e, soprattutto, gli piaceva cucinare e avere qualcuno che si svegliava prima di te per cucinare, era un gran bell’affare. Sorrise mettendo in ordine le scatolette di legumi.

Ancora persa nei suoi pensieri, venne riportata alla realtà da Mike che le chiese di andare a controllare in magazzino perché Lucy era sparita da almeno un quarto d’ora.

 

La scala era ripida e lì sotto c’era umido e freddo. Chiamò Lucy a voce alta mentre scendeva gli ultimi scalini.

“Sono qui.”

Dal fondo del magazzino le arrivò un filo di voce alle orecchie. Non era neanche sicura di aver sentito bene. “Lucy, qui dove?” La luce che c’era lì giù era poca e leggermente fastidiosa. Poi la vide: la bambolina da film horror si teneva un braccio con la mano sinistra, e il braccio era tutto coperto di sangue. Lei aveva quello sguardo vacuo. Dannazione! “Ti sei fatta male?” Oddio che domanda stupida! Certo che si era fatta male!

Jasmine tornò su qualche gradino, chiamò a gran voce il proprietario per dirgli di chiamare i paramedici e poi tornò giù di corsa nel magazzino. Velocemente si fece spazio fra le varie scatole e raggiunse la ragazza.

“Cos’è successo?” le chiese, mentre la osservava. Era seduta per terra e probabilmente sotto shock, pensò, notando il viso pallido. Lei alzò il capo e indicò una scaffalatura rotta.

“Ho preso contro quel coso lì. Ha iniziato a sanguinare… Non smette più…” Guardò velocemente il braccio della ragazza ed effettivamente, il sangue non si era fermato, anzi continuava a inzuppare la maglietta. Si tolse il grembiule che Mike faceva indossare durante le ore di lavoro e lo appallottolò per premerlo sulla ferita di Lucy.

Il taglio era lungo e, attraverso lo strappo della maglietta, Jasmine vide troppa carne bianca per i suoi gusti. Lo coprì subito con quel fagotto improvvisato e si voltò verso la scala da cui stava scendendo Mike con il cordless per aiutare i soccorsi. Anche Mike sbiancò quando vide Lucy.

Nel giro di pochissimo arrivarono i paramedici che iniziarono a tagliare la manica della maglietta di Lucy per controllare il taglio. Lucy non fece resistenza, ma quando l’infermiere ebbe tolto tutta la stoffa dal braccio, ci fu un momento di silenzio. Tesissimo silenzio e Lucy si riprese. Iniziò ad agitarsi e a dire che non voleva essere toccata.

Jasmine si avvicinò per calmarla quando notò che i due paramedici non riuscivano nell’intento. Quando le fu vicina, notò anche lei il braccio della ragazza. Era pieno di cicatrici. Piccole cicatrici tonde, come di bruciatura e tantissimi segni lungo l’incavo del braccio. Li aveva anche Bill, quei segni. Iniezioni. La guardò in faccia e cercò di calmarla, nonostante quello che aveva visto l’avesse lasciata sconvolta. Nel momento in cui lei si calmò abbastanza da essere medicata, uno dei due paramedici, spostò anche la manica dell’altro braccio di Lucy e indicò al collega la cicatrice che aveva sul polso sinistro. I due si scambiarono un’occhiata strana, secondo Jasmine.

“Possiamo muoverci, per cortesia?” chiese allora, stizzita, ai paramedici. Quello più giovane la guardò con tristezza e annuì.

In men che non si dica erano al piano di sopra e dopo aver lanciato un’occhiata a Mike, disse che sarebbe andata in ospedale con Lucy. L’uomo non fece obiezioni.

 

Jasmine non sapeva cosa dire. Aveva voluto coprire Lucy da non sapeva cosa e ora si trovava con lei in una stanza dell’ospedale in attesa della visita. Lucy rabbrividì.

“Hai freddo?” Aveva lasciato la felpa di Lucy nell’armadietto, ma aveva la sua ancora addosso. La ragazza scosse la testa, ma Jasmine notò il suo disagio e il fatto che cercasse di coprirsi il braccio con la stoffa ancora attaccata alla manica. Si alzò in piedi e si tolse la felpa, appoggiandogliela delicatamente sul braccio.

“Grazie”. Lucy aveva pochissima voce ed era ancora pallida.

“Andrà tutto bene. Hanno detto che non si è reciso niente, nessun tendine, nessun nervo. Ti metteranno i punti e andiamo a casa, ok?” Jasmine cercò di essere chiara e sicura, nonostante l’ospedale le portasse alla mente brutti ricordi.

Lucy annuì e disse ancora sussurrando: “Io… Io…”

Jasmine per un attimo, ebbe quasi pietà di lei. “Non sei obbligata a dirmi niente, ok?” Lei annuì tristemente. “A meno che tu non voglia”. Le sorrise, prendendole la mano del braccio sano. Iniziava a pensare di aver sbagliato il suo giudizio anche su di lei.

Lucy guardò da un’altra parte.

“Non sono stata io”. Quando la guardò, Lucy le calamitò lo sguardo. “Solo questo ho fatto io” disse, toccandosi il polso sinistro coperto dalla manica. “So che l’hai visto…” Jasmine annuì e non disse niente. Poi Lucy si guardò il braccio nudo sotto la felpa. Si toccò varie cicatrici, quelle circolari sull’avambraccio, lentamente, come se ognuna di loro portasse alla mente un ricordo diverso. Quando Lucy arrivò a toccarsi i segni nell’incavo del gomito la guardò ancora. “All’inizio, neanche questi ho fatto io. Dopo… Dopo sì. Ho fatto anche altre cose…” Il suo sguardo vagò nella sala d’attesa, ma per fortuna non c’era gente vicino a loro. “Ora sono pulita. Da più di un anno”. Le sorrise.

“Mi fa piacere.”

Lucy dovette mal interpretare la sua frase perché le tirò una manica. “Te lo giuro. Non ho fatto entrare droga in casa. Non manderei mai all’aria il progetto!” Jasmine si bloccò. Lei non aveva pensato al progetto, non quella volta.

“A me fa piacere che tu stia bene. Non te l’ho detto per il progetto.”

Gli occhi di Lucy si fecero lucidi. Le spiegò di come il patrigno l’avesse iniziata alla droga per poterla tenere legata a sé. L’aveva fatto prima con sua madre, ma poi sua madre era morta e quando era rimasta solo lei, lui l’aveva presa in custodia con il parere favorevole dei servizi sociali e da lì era iniziata la sua gabbia. All’inizio il patrigno la torturava con le bruciature delle sigarette, ma poi, quando divenne abbastanza grande, aveva iniziato ad abusare di lei e dopo, l’aveva iniziata alla droga, per far sì che non fuggisse da nessuna parte. Quando si era decisa a ribellarsi aveva cercato la maniera di farlo definitivamente e si era tagliata le vene a scuola. Tutti avevano pensato che fosse una pazza suicida e invece lei aveva voluto salvarsi. Perché così avevano chiamato gli assistenti sociali e venendo affiancata da uno psicologo era riuscita ad uscirne e non vedere più il patrigno.

 

Alla fine del racconto, Lucy piangeva. Silenziosamente e copiosamente. Jasmine non riuscì a non abbracciarla. Sembrava una bambina. Una bambina timorosa. Aveva bisogno di essere rassicurata. Da quanto tempo qualcuno non la rassicurava? Oppure, era mai stata rassicurata? Si ricordò di come sua madre l’abbracciasse quando qualcosa andava male o lei si sentiva particolarmente giù di morale. Come le mancava sua madre in quel momento!

Quando chiamarono Lucy, lei entrò in ambulatorio da sola e Jasmine si alzò per prendere qualcosa di caldo al distributore automatico. Mandò intanto un SMS agli altri per spiegar loro cosa fosse successo.

Dopo venti minuti Connor entrò di corsa nella sala d’attesa con uno sguardo preoccupato in viso. Quando vide Jasmine le andò vicino. “Come sta? Dov’è?”

La ragazza alzò lo sguardo su di lui e indicò la porta dell’ambulatorio con un cenno del capo. “È lì dentro. Ha un taglio alla parte superiore del braccio, le stanno mettendo i punti”.

Connor si avvicinò alla porta e rimase in attesa dondolando sulla gambe, con le mani affondate nei jeans. Sentirono delle voci un po’ agitate venire dall’ambulatorio e il ragazzo si fece irrequieto. Si grattò il collo con un dito e Jasmine riconobbe nel gesto il suo disagio.  Si alzò gli andò vicino.

“Ci stanno mettendo un po’ tanto perché lei non ha voluto prendere… sai, gli antidolorifici?” Connor annuì sorpreso e lei continuò: “Vedrai che uscirà presto”.

“Lei è forte. Ce la può fare”. Annuì al ragazzo e lui continuò “Ti ha raccontato…”

“Si è tagliata la parte superiore del braccio, quando le hanno tagliato la manica della maglietta, abbiamo visto i segni. Non solo i buchi… anche il resto. Lei… ha voluto spiegarmi…”

Connor annuì. “Il suo patrigno era un bastardo. Ti ha detto anche cosa le faceva fare?” Jasmine annuì. Lui sospirò.

“Posso chiederti se state insieme? L’altra notte ho visto…”

Lo sguardo di Connor si fece bellicoso. “Mi sa che sei una di quelle che salta alle conclusioni facili, eh?”

“Non volevo offendervi!” Jasmine si sentì un po’ stizzita. In fin dei conti non aveva detto niente di male. Lo guardò malo modo e lui sospirò ancora.

“No, comunque. Noi non stiamo insieme. E prima che tu me lo chieda, no, non facciamo sesso. L’altra sera… Lei ha paura dei temporali. Mi ha chiesto di dormire con lei. Tutto qui”. Jasmine annuì. Lei pensava che fosse una ragazza facile. E invece aveva dovuto ricredersi. Su di lei. Su tutti.

Gabe entrò in sala d’attesa mentre Jasmine si dava della stupida per esser saltata alle ‘conclusioni facili’ come aveva dichiarato Connor. Quando li vide si avvicinò.

“Come va?” Jasmine gli sorrise.

“Sei venuto anche tu”. Non era proprio una domanda.

“Ho accompagnato Connor in macchina, per arrivare prima” spiegò. Jasmine però non smise di sorridere.

“Però sei ancora qui.”

“Certo!”

Lo sguardo del ragazzo le fece capire che lui dava per scontato il fatto che fosse ancora lì. Per un attimo li guardò: sembravano amici. Veri amici. Non quattro persone messe a caso nel progetto sperimentale dello Stato.

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***Eccomi qui con un altro capitolino... Buona lettura!! 😊

   
 
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