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Autore: NyxTNeko    28/01/2019    3 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 2 - Un fratello è un amico dato dalla Natura -


Cattedrale di Reims, 11 giugno 1775 

Dopo la morte di Luigi XV a causa del vaiolo, non avendo figli, in quanto scomparsi prematuramente e, di conseguenza, eredi diretti, salì al trono di Francia, il nipote ventenne: il Delfino Luigi XVI, insieme alla bellissima, ed anch'essa, giovanissima moglie Maria Antonietta d'Austria.
 

Maria Antonietta era la quindicesima e penultima figlia dell'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo Lorena, celebre in tutta Europa per la sua politica dispotica e illuminata, aperta al rinnovamento del suo Paese: tendenza che si era diffusa da inizio secolo su tutto il continente europeo.

In quella calda giornata d'estate, un'imponente e sontuosa cerimonia d'incoronazione venne organizzata e un grande entusiasmo si diffuse per tutto il Paese.

Carlo, che era entrato alla corte per varie commissioni riguardanti la gestione dell'isola, era rimasto a Versailles, ma anche da lì, riuscì ad essere informato. "Mi auguro solo che questi nuovi sovrani portino prosperità e pace" si disse speranzoso. L'Europa non aveva bisogno di guerre e di disordini.

Anche il popolo francese poneva enormi aspettative nei nuovi sovrani, sperando che la situazione in Francia sarebbe presto migliorata, che non avrebbero più dovuto spezzarsi la schiena e lavorare come fossero schiavi, senza tutele, diritti e sostenere le sempre opprimenti e odiose tasse per gli inutili banchetti e i balli di corte a Versailles.

Tuttavia la storia non sarà favorevole ai due giovanissimi e inesperti sovrani, i quali ignoreranno i reclami, le proteste nascoste sotto l’immagine di una nazione ricca e prospera, che porteranno loro ad eventi drammatici. Questa, però, è un'altra storia...

Ajaccio, 6 aprile 1778

La giovane e analfabeta balia Camilla Illari, entrata nella dimora dei Buonaparte poco dopo la nascita del piccolo Napoleone per allattarlo, a seguito di alcune complicanze avute da Letizia, bussò alla porta della stanza del secondogenito. Non udendo alcuna risposta e, credendo che stesse dormendo, lentamente aprì la porta e lo trovò in piedi, su di una sedia, a guardare assorto l'orizzonte lontano - Nabulio - emise la donna - Ma allora sei sveglio...

Nabulio era il vezzeggiativo che la madre aveva coniato per chiamare Napoleone, prendendolo dalla lingua corsa; utilizzato, poi, da tutti i membri della famiglia. A lui non dispiaceva affatto, seppur significasse letteralmente ficcanaso, poiché aveva il proverbiale difetto di impicciarsi continuamente in faccende che non lo riguardavano.

La voce di Camilla raggiunse il bambino, il quale, quasi ridestatosi, si voltò, la guardò per pochi secondi e rispose - Sì, scusatemi, non vi avevo sentito, stavo guardando l'alba e il cielo del mattino

La balia le sorrise - È una bella giornata oggi - disse radiosa. Camilla era una giovane ragazza molto graziosa, quasi coetanea di Letizia, dal fisico formoso e curvilineo. Aveva un viso perfettamente ovale, dal colorito olivastro, il naso piccolo, dritto, le labbra sottili e grandi occhi castani.

Possedeva un carattere docile e materno, che, in qualche modo, compensava la severità matronica di Letizia, provando a nascondere le marachelle e i disastri e se non ci riusciva, almeno ad alleggerire la punizione. 

Il ragazzino annuì e scese dalla sedia, rimettendola a posto - Si lo è - rispose laconico. Una volta aggiustato il tutto con particolare cura, aggiunse - Non dite a mia madre che mi sveglio molto presto la mattina - rivolse lo sguardo ancora una volta verso al cielo azzurro - Potrebbe preoccuparsi troppo per me...

La balia lo osservava: era diverso rispetto ai mesi precedenti, prima di ammalarsi, per pochissimo tempo e in forma lieve, di tisi. Non era un cambiamento fisico, poiché mostrava comunque un aspetto delicato, gracile e un carattere ribelle e vivace, quanto nello spirito. Quell'evento aveva segnato il ragazzino più di tutti gli altri. Aveva notato la sua sensibilità e l'acume incredibilmente sviluppato per la sua età - Certo - lo rassicurò la donna sorridendo dolcemente - Sarà il nostro piccolo segreto

Napoleone a quel punto ricambiò il sorriso velocemente, fidandosi della sua parola, per lui era come una seconda madre e le voleva bene al pari di quella naturale. Sapeva che non l'avrebbe tradito per nessun motivo.

- Ora tocca a quel pigrone di tuo fratello - ridacchiò la balia pensando a quanto fosse difficile far svegliare Giuseppe.

- Ci penso io a lui - le riferì il bambino, avviandosi verso l'uscita - Voi andate pure dalla mamma per dirle che vi raggiungiamo tra poco... - aprì la porta ed uscì, dirigendosi verso quella di Giuseppe, accanto alla sua.

Camilla, invece, arrivò nel salotto dove c'era Letizia che stava tenendo a bada i gli ultimi nati, Luciano ed Elisa, per riferirle il tutto.
 

Il terzogenito Luciano era molto simile a Napoleone: irriquieto e particolarmente vivace. Aveva gli occhi azzurri e i capelli corvini e mossi, come la madre, coperti dalla parrucca incipriata. Essendo ancora un infante, era pasciuto, dai lineamenti rotondi e dalle gote rosse, aveva quattro anni ma era già in grado di compiere piccoli e semplici ragionamenti.

Elisa, battezzata però come Maria Anna, era una graziosa bambina di soli due anni. Mostrava carattere e grande intelligenza, proprio come la madre. I suoi occhi erano chiari, come tutti i componenti della famiglia, lievemente sporgenti, i capelli castani chiari con riflessi dorati.
 

Aiutata da Camilla e dalla cuoca, che il più delle volte dava loro porzioni abbondanti, Letizia preparò la colazione per tutti i suoi piccoli.

Napoleone intanto era entrato nella stanza di Giuseppe, dormiva ancora, stretto tra le lenzuola sottili, mugugnando e sbiascicando qualcosa di incomprensibile. Lo scosse un po' - Giuseppe, Giuseppe, svegliati - gli sussurrava.

- Ancora qualche minuto Nabulio - mormorò nel sonno il maggiore, girandosi dall'altra parte.

Il minore insistette ed oltre a scuoterlo, tamburellava ripetutamente le dita sulla schiena che si era scoperta durante il movimento, senza alcun successo.

A quel punto, spazientito digrignò i denti, lo spinse giù dal letto con una forza incredibile. Quando Giuseppe cadde, fece un tonfo tremendo, sbattendo il muso sul pavimento e la testa contro il comodino - Ma...ma sei impazzito per caso? - gli chiese furibondo alzandosi da terra e lo raggiunse minaccioso, mentre si massaggiava la testa.

- Non ti svegliavi con le maniere buone - affermò Napoleone guardandolo altezzoso - E così ho pensato di farlo con le cattive - precisò con ovvietà.

- Mi hai fatto male... - si lamentò Giuseppe, la zona colpita gli doleva ancora - Pensa a cosa sarebbe successo se mi fossi rotto la testa, eh

- Ma se sei più robusto di me - gli ricordò il fratello, indicò su di sé il fisico magrolino - E poi non è morto nessuno cadendo dal letto, perciò smettila di lamentarti come un poppante

- Non mi sto lamentando... - borbottò Giuseppe passando la mano sul muso, al tatto pareva gonfio, la ripassò di nuovo sulla testa, dolorante - Avrò un bernoccolo gigante

- Un bernoccolo che diventerà più grande del tuo cervello se non andiamo da nostra madre - gli fece notare con sarcasmo a braccia conserte.

- Perché dovevo avere un fratello come te? - si domandò sospirando, raggiungendo il fratello alla porta.

- È la stessa cosa che mi chiedo anch'io! - sbottò Napoleone attraversando i corridoi, raggiungendo la piccola sala da pranzo, correndo.
 

Anche se fratelli, con una differenza d’età minima, di circa un anno e mezzo, Napoleone e Giuseppe erano profondamente diversi.  

Il primogenito, che aveva poco più di dieci anni, d'indole pacata, fin troppo tranquilla, non era molto incline al combattimento e alle risse, facilmente influenzabile dall'ambiente e dalle circostanze; amante della cultura ma poco propenso allo studio. Il padre decise, inizialmente, di destinarlo agli studi ecclesiastici, a causa della sua mansuetudine.

Era incredibilmente robusto per la sua età, di statura modesta, dai piccoli occhi cerulei ed intensi. Portava i capelli corti affinché potesse indossare con più facilità la parrucca usata dai ceti elevati dell'epoca: non disprezzava, infatti, il lusso e le comodità e si adattava alle mode in uso.

Il secondogenito, di otto anni, invece, era esattamente l'opposto: dal carattere ribelle e inquieto, dimostrò fin da piccolo un'enorme combattività, intuitività ed abilità nelle risse e nel ragionamento tattico; oltre ad una testardaggine ed una volontà che lo rendevano capace di studiare e di applicarsi giornalmente, distraendosi raramente e facendo pochissime pause.

Il padre, notando la sua indole vulcanica ed instancabile, comprese che la carriera militare sarebbe stata perfetta per lui. Il suo secondogenito sarebbe stato il primo della famiglia, dopo tanti secoli, ad intraprenderla.

Più gracile e piccolo del fratello, era, però, particolarmente resistente alla fatica; i lunghi capelli castano-rame erano lasciati liberi da nodi e parrucche anche se qualche volta era costretto ad indossarle, pur controvoglia, in particolari occasioni: era prevalentemente spartano e sobrio nei costumi e nel linguaggio.

I suoi penetranti e glaciali occhi grigio-azzurri, chiarissimi, riflettevano come uno specchio l'inquietudine e i turbamenti della sua giovane e sensibile anima. I suoi sbalzi d’umore erano molto frequenti e provocavano non pochi problemi alla famiglia e alla madre, che nonostante tutto, lo preferiva a Giuseppe.

Anche Napoleone era legato fortemente a lei e cercava, in ogni modo, di non farla adirare e stancare eccessivamente, soprattutto perché aspettava un altro bambino. Oltre al fatto che non gli piaceva quando la madre lo picchiava.
 

- Eccoci! - esclamarono i due una volta giunti nella sala pranzo per fare colazione, si accomodarono educati, come era stato insegnato loro - Buongiorno, madre

- Buongiorno a voi - ricambiò Letizia sedutasi anch'essa vicina ai due. Scorse il leggero rossore sul viso del maggiore - Giuseppe che hai sulla faccia? - domandò, gli fece segno di avvicinarsi.

- Nabulio mi ha letteralmente buttato giù dal letto per farmi svegliare, ed ho sbattuto il viso contro il pavimento - confessò Giuseppe facendo notare anche il bernoccolo.

- Fai anche la vittima ora, pigrone che non sei altro - mormorò sottovoce, a braccia conserte, gli occhi socchiusi.

- Nabulio! - Letizia sbattè violentemente la mano sul tavolo, facendo sobbalzare i presenti - Quante volte ti ho detto e ripetuto che devi comportarti in maniera educata! Soprattutto con tuo fratello maggiore!

- Prima di spingerlo l'ho chiamato, scosso e punzecchiato parecchie volte - rispose guardando il fratello torvo, ostile - Raccontale bene le versioni, Giuseppe

Nell'udire ciò la balia scoppiò a ridere, dopo essersi trattenuta per un bel po', accompagnata dai fratelli più piccoli che non avevano ben capito cosa stesse succedendo.

- Scusate signora Letizia - riuscì a dire, una volta smesso di ridere, ritornò ad avere un atteggiamento controllato - Non siate troppo severa con lui, in fondo, l'ha fatto per il bene di Giuseppe, magari d'ora in poi si sveglierà in orario...

Letizia guardò quei figli così diversi e sorrise leggermente - Per questa volta chiuderò un occhio, Nabulio - sospirò, rivolgendosi al figlio prediletto, successivamente parlò a quattrocchi con il maggiore - Quanto a te Giuseppe, ormai sei grande, dovresti essere tu da esempio per i tuoi fratelli più piccoli

Giuseppe l'ascoltava controvoglia, annuiva e beveva il latte nella ciotola, assieme alla frutta. Napoleone contemplava la scena con la coda dell'occhio, sorrideva sornione, trionfante del risultato ottenuto, gli era venuto pure l'appetito, mangiando tutto.

Una volta che ebbero finito di consumare il pasto si diressero nella stanza da bagno per lavarsi da cima a fondo, Letizia ci teneva alla pulizia dei suoi bambini, oltre che della casa, non avendo perso la tradizione di famiglia.

- Spero tu sia soddisfatto, Nabulio, alla fine hai ottenuto ciò che volevi, vincere - brontolò Giuseppe uscendo dal bagno dopo aver finito di lavarsi, aiutato dalla balia, e cedergli il posto.

- Ho fatto solo ciò che un fratello dovrebbe fare, Giuseppe, a differenza tua - ribattè Napoleone mettendogli una mano sulla spalla ed entrando con quell'espressione arrogante che lo contraddistingueva.

Giuseppe ridacchiò: nonostante i difetti e il caratteraccio voleva bene al suo fratellino ed era certo di essere ricambiato. Se fosse stato caratterialmente simile a lui, probabilmente si sarebbe annoiato tantissimo; con Napoleone vicino, questo non accadeva mai, perché aveva sempre in mente qualcosa di particolare da fare, mostrare, dire.

Pareva essere proprio lui il maggiore fra i due, probabilmente gli piaceva ricoprire tanto quel ruolo; fino a quando erano sull'isola, potevano essere chi volevano. Il problema sarebbe arrivato successivamente, divenuti davvero adulti, quando avrebbero dovuto compiere esclusivamente i doveri che il mestiere indicava loro di svolgere.

Napoleone, nella vasca, rivolse il pensiero al padre, si chiedeva quando sarebbe tornato, scriveva spesso alla famiglia, dicendo che non appena si sarebbe liberato dagli impegni, avrebbe fatto un salto da loro. Al ragazzino interessava tutt'al più sapere il momento in cui avrebbero lasciato la Corsica e studiare insieme agli invasori.

Cercando, però, di allontanare quel terribile addio, si concentrò sulla sua famiglia, di cui si sentiva responsabile, durante le lunghe assenze paterne. Rimembrò ai giorni nei quali era stato a letto, ammalato, più pallido del solito, quasi cadaverico. La madre era accanto a lui e lo accudiva, pregando. Lui la rassicurava, dicendo di restare tranquilla, perché sarebbe guarito.

Aveva provato sulla sua pelle quella sensazione di impotenza che gli aveva fatto comprendere le sue responsabilità, i suoi doveri, giurando di non voler essere mai più un peso. Quando guarì si sentì ritemprato nel corpo e nell'anima, più consapevole del suo ruolo. 

   
 
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