5.
Joshua
sedeva stremato accanto alla possente quercia sacra del Vigrond e, a un
passo
da lui, anche Kate stava tentando di riprendersi dall’uso
smodato del suo
potere.
Dilavare
le menti dei Cacciatori non era stato difficile come processo in
sé – Kate aveva
spiegato a Joshua che era semplice trovare le tracce dei licantropi
nelle loro
menti umane. Era
come cercare un faro in
una notte buia. Balzava subito all’occhio.
Quello
che le aveva prosciugato le forze, era stato ripetere quel procedimento
per
ogni membro della banda di malfattori.
Aver
potuto attingere ai poteri enormi di Fenrir, però, le aveva
impedito di cedere,
pur se questo aveva quasi ridotto allo svenimento la guida del branco
di
Londra.
In
quel momento, infatti, Kate stava assorbendo le energie che tanto
generosamente
le stava offrendo la quercia, mentre Joshua era al suo sesto energy
drink,
condito da ottimi hamburger e snack al cioccolato.
Sarebbe
stato impensabile spostarli dal Vigrond, in quel momento. Un solo
movimento li
avrebbe fatti collassare del tutto. Era necessario attendere che le
loro
condizioni si stabilizzassero, prima di condurli a Walford
Manor.
“Come
ti senti, Fenrir?” domandò Kate a un certo punto,
reclinando il capo di
riccioli ramati per scrutarlo con curiosità.
“Diciamo
che comincio a risentire le gambe. Prima, credevo che me le avessero
tagliate
di netto” ironizzò lui, ingollando la sua settima
lattina di red bull. “Tu
come stai?”
La
giovane wicca si passò
una mano nella
massa di riccioli che le ricadevano disordinatamente sulle spalle e,
con un
sospiro, ammise: “Non ho mai prelevato così tanta
energia, da un licantropo e,
onestamente, temevo di averti fatto del male. Perché non hai
voluto farti dare
il cambio da Hati e Sköll? Erano ancora in forze, quando sei
intervenuto tu.”
“Diciamo
che era mio dovere farlo, visto che il guaio l’ho causato
io” si limitò a dire
Joshua, lanciando uno sguardo verso l’alto, dove il primi
lampi di luce del
sole nascente stavano tingendo il cielo di giallo e rosso.
L’alba era giunta.
Kate
sorrise comprensiva, a quelle parole, e mormorò:
“Mia madre e mio padre si sono
presi la colpa per anni, per ciò che mi successe dicendomi
che, se fossero
stati più accorti, si sarebbero resi conto della
stupidità delle mie compagne
di classe. Ma come avrebbero potuto, mi dico?”
Joshua
sapeva a grandi linee che Kate era stata vittima di bullismo, durante
l’adolescenza, e che la sua ritrosia ai rapporti umani
dipendeva da questo. Ma
non era al corrente di tutta la verità.
Tirandosi
le ginocchia al petto, Kate aggiunse: “Forse pensarono che,
bruciandomi viva,
avrebbero risolto i miei problemi, … chissà. Mi
dissero che le persone coi i miei
capelli non meritavano che di bruciare e, per anni, li ho odiati. I
miei
capelli, intendo.”
Joshua
capiva bene quel problema. Essendo nato albino, il bullismo aveva fatto
parte
della sua vita fin dalla tenera età e, per anni, aveva
chiesto ai genitori perché
l’avessero fatto nascere così.
Solo
con la Mutazione e l’età adulta era venuto a patti
con la sua unicità fisica,
perciò sapeva a cosa si stesse riferendo Kate. Per quanto i
capelli rossi
fossero molto meno rari degli albini, rimanevano comune un elemento
fisico poco
comune e, come sempre, questo scatenava la rabbia assurda di persone
dalla
mentalità chiusa e cieca.
“Alla
fine, capii che era sciocco addossarmi colpe che non avevo,
anche se è difficile passare sopra all'assoluta mancanza di
pietà che può albergare nelle persone. Inoltre,
anche il
principe Harry ha i capelli rossi, eppure è
amatissimo!” sorrise divertita
Kate, ammiccando con i dolci occhi di giada.
“Io
pensavo di tingermeli di verde… tanto per cambiare un
poco” dichiarò a quel
punto Joshua, sfiorandosi una ciocca con le mani.
“Sarebbe
un’idea divertente. Dopotutto, hai una tavolozza unica su cui
lavorare” annuì
Kate, ammiccando complice.
Lui
le sorrise e, allungando una mano per sfiorarle il viso con una
carezza,
mormorò: “Grazie, wicca,
per i tuoi
servigi e le tue parole.”
Kate
sorrise appena, a quel tocco, ma non resistette molto e, con un cenno
di scuse,
si scostò. Joshua, però, non se la prese,
comprendendo bene i motivi di quel
disagio.
Quanto
doveva essere difficile, per lei, lasciar avvicinare le persone che
poco
conosceva, foss’anche un lupo del calibro di un Fenrir?
Joshua
ritirò quindi la mano per riporla in grembo e, con lo
sguardo, osservò gli
umani e i neutri che erano rimasti al Vigrond per non lasciarli soli
nel bosco.
Era
stato inutile dire loro che non sarebbe successo nulla.
Avevano
semplicemente scelto un punto in cui sdraiarsi mentre Hati,
Sköll e gli altri
licantropo presenti si erano trasformati e posizionati accanto a loro
per
tenerli al caldo.
Quel
cerchio di licantropi, al cui interno si trovavano degli umani, era
davvero
bizzarro ma, al tempo stesso, condensava bene l’immagine che
avrebbe desiderato
vedere per il suo branco.
Niente
più divisioni, niente più creature di serie A e
serie B. Erano tutti parimenti
suoi figli, sia che mettessero su pelo o meno.
Il
cinguettio di alcuni uccellini segnò definitivamente
l’inizio della giornata e,
a quel dolce suono bucolico, alcuni iniziarono a risvegliarsi.
Stiracchiandosi,
uno dei neutri scrutò divertito la barriera lupesca che li
aveva protetti dal
freddo notturno e, alzandosi lentamente, si apprestò a
scavalcarla, pur se a
fatica.
A
quel punto, avvicinandosi a grandi passi alla quercia, il neutro si
inginocchiò
accanto al suo Fenrir e a Kate e domandò: “Come
state? Vi siete ripresi?”
“Credo
che ora sarà possibile spostarci” ammise Joshua,
allungando una mano verso il
neutro, che la afferrò per aiutarlo ad alzarsi.
Sorreggendo
il proprio Fenrir, il neutro quindi chiese: “Come sentite le
gambe, Fenrir?”
“Un
po’ indolenzite, ma reggono” annuì lui,
provando a rimanere in piedi da solo.
Kate
provò a sollevarsi da sola ma, nel farlo, provocò
il risveglio immediato di
Susan – o la lupa non aveva affatto dormito, pur di
vegliarla? – che, trottando
veloce verso di lei, mugugnò una protesta al suo indirizzo.
La
giovane wicca allora rise, si
aggrappò alla gorgiera della lupa e, grazie alle sole forze
della licantropa,
si eresse senza problemi.
“Okay…
direi che non sverrò” mormorò dopo
alcuni secondi Kate, sollevando il pollice
verso l’alto.
Nel
frattempo, anche il resto del gruppo si destava dopo quella notte di
intense e contrastanti
emozioni.
Portare
fuori dalla foresta i Cacciatori era stata la parte più
laboriosa e scomoda di
tutte, poiché aveva richiesto un sacco di tempo e un via vai
continuo dal
Vigrond al luogo in cui si trovavano le auto degli umani.
Alla
fine, comunque, avevano condotto in un luogo terzo ogni membro della
banda – in
modo tale che non potessero risalire al bosco del Luogo di Potere
– e, a quel
punto, tutti avevano deciso di riposarsi.
Proprio
in quel momento, giungendo di corsa e perfettamente sbarbato
– ma quando mai
Colton non era perfettamente in ordine? – il giovane padrone
della tenuta li
salutò e disse: “Oh, bene! Vedo che siete tutti
più in forze, stamani. Spero
abbiate fame e vogliate ristorarvi un poco, perché ho
preparato un banchetto
alla villa degno di tale nome. Gretchen stava appunto preparando un
cestino per
portarvelo ma, se potete spostarvi, le dico di aspettare alla
villa.”
“Preparato?
Hai preparato tu il banchetto?” ironizzò Joshua.
Arrossendo,
Colton replicò: “Beh, fatto
preparare.
Ammetto candidamente che, se doveste mangiare con quel che so io di
cucina,
dovreste accontentarvi di un uovo al tegamino e poco altro.”
Battendogli
una mano sulla spalla, Joshua asserì per contro:
“Io vivo di pizza e cibi
pronti, lo sai. Non sono esattamente un mago dei fornelli.”
“Se
lo sapesse Estelle, correrebbe qui per insegnarvi tutti i segreti della
cucina”
ironizzò a sua volta Kate, salendo in groppa a Susan.
“Oserei dire che Bright è
anche ingrassato, da quando stanno insieme. Il che la dice lunga, su
quanto sia
brava.”
Joshua
sollevò divertito un sopracciglio, ben sapendo quanto il
metabolismo dei lupi
fosse accelerato e famelico di
calorie.
“Beh,
non so se ingrasserete o meno, stamattina, ma penso che non rimarrete
delusi”
si limitò a dire Colton, mentre inviava un messaggio al
cellulare di Gretchen
perché non partisse da Walford
Manor
con i viveri per Fenrir e Kate.
Ciò
fatto, lanciò un’occhiata agli umani e ai neutri
presenti al Vigrond e sorrise
divertito.
“Direi
che dovremo fare servizio taxi, stamattina.”
Fenrir
assentì con un sorriso e, di comune accordo, Susan avrebbe
riaccompagnato alla
villa dei Waldorf Kate e Joshua, mentre il resto dei licantropi avrebbe
offerto
il proprio dorso al resto dei presenti.
Quando
tutti furono pronti, perciò, quella stravagante processione
ebbe inizio e, per
Joshua, fu uno dei momenti più esilaranti della sua vita.
Avrebbe
anche ricordato con piacere quell’evento, vedendolo come il
primo passo per una
convivenza più equa se non fosse stato che, alla fin fine,
doveva ancora
occuparsi di Theo.
Seguendo
le sue istruzioni, Keath lo aveva ucciso e, per evitare di assaggiare
anche per
errore il sangue di un traditore, Freki aveva preferito usare una delle
pistole
di Geri.
La
pallottola gli aveva sventrato il cervello, lasciando abbastanza ioduro
d’argento al suo passaggio perché il sangue ne
venisse contaminato, e la
riparazione cellulare risultasse impossibile.
Quei
dannati proiettili erano un’invenzione del Geri di Bryan
delle Isole Orcadi.
Chimico di professione, aveva messo a punto un proiettile a espansione
che
rilasciava ioduro d’argento liquido a contatto con le pareti
carnose dei lupi.
Il
risultato era stato devastante e, per quanto Keath avesse aborrito il
gesto di
Theo, il suo corpo riverso sul sottobosco lo aveva lasciato senza fiato
per
diversi secondi.
Il
pensiero che Gwen possedesse un simile concentrato di potenza, insieme
alle sue
micidiali armi bianche in argento puro, aveva fatto nascere nel Freki
più di un
pensiero, e nessuno di essi era stato allegro.
A
rigor di logica, ogni membro mannaro di qualsiasi branco sapeva che i
Geri
erano armati fino ai denti al solo scopo di fermare i lupi ma, un conto
era
saperlo, un conto era vederlo.
Pur
se lui era un Freki, quella realtà dei fatti lo aveva
lasciato vagamente
stordito.
Non
sapendo però di che farsene del corpo, Keath lo aveva
avvoltolato nel suo
giaccone e lo aveva portato fino alle ghiacciaie del palazzo dei
Waldorf, in
attesa di una decisione di Fenrir.
Fenrir
che, in quel momento, doveva decidere se disfarsi definitivamente del
cadavere,
bruciandolo, o se gettarlo in una fossa comune all’insaputa
degli umani ignari.
Qualsiasi
cosa avesse scelto, in ogni caso, ne avrebbe portato il peso sul cuore
per il
resto della sua vita.
Non
era stato in grado di vedere la verità negli occhi del suo
migliore amico e,
cosa forse ancora peggiore, non aveva avuto il coraggio di dargli il
colpo di
grazia, delegando il tutto al suo Freki.
Che
fosse o meno la norma, per lui era lo stesso. Era stato un codardo, e
non se lo
sarebbe mai perdonato.
***
I
cuochi della villa dei conti Walford avevano dato il meglio di loro,
preparando
un buffet davvero degno della regina.
Le
pietanze si sprecavano, e ogni ben di dio era stato posizionato su
enormi
tavoli perché potessero essere agevolmente raggiunti da
qualsiasi angolazione
possibile.
Ritto
accanto alla finestra mentre sbocconcellava una tartina di frutta,
Joshua si
riscosse dal suo momentaneo torpore quando vide avvicinarsi Keath.
Il
panino al prosciutto e maionese che stava divorando aveva le dimensioni
di un
piatto di portata ma, per la fame che avevano tutti, era quasi uno
stuzzichino.
“Se
ti vedo ancora con quella faccia da funerale nei prossimi trenta
secondi, giuro
che ti prendo a calci nel culo, anche se sei il mio Fenrir”
esordì Keath,
crollando a sedere su una vicina poltrona per poi guardare Joshua in
cagnesco.
“La
tua regalità ti precede, Keath. Quella poltrona deve essere
del settecento, e
tu ti ci sei buttato sopra come un caterpillar” gli fece
notare Fenrir, sviando
il commento del suo Freki.
Freki
che, però, non si fece fregare e replicò
caustico: “Non sviare l’argomento,
Joshua. Quel che è successo può capitare, e
può anche capitare che un Fenrir
sbagli. Io e Geri esistiamo anche per questo, sai?!”
“Avrei
potuto farvi ammazzare tutti, per un mio errore” gli
ringhiò contro a quel
punto Fenrir, irritandosi.
Keath,
allora, in barba a qualsiasi istinto di conservazione, si
alzò di scatto dalla
poltrona e afferrò al collo Joshua, spingendolo poi contro
il muro con fare
rabbioso.
Immediatamente,
Hati fu su di lui, le zanne ben in evidenza e gli artigli a un soffio
dalla sua
gola esposta.
“Non
un movimento di più, Keath, se non vuoi che ti squarci la
gola” sibilò Michael,
gli occhi già mutati nel suo caldo coloro nocciola di lupo.
“Rinfodera
gli artigli, idiota. Non gli farei mai del male, ma questo cretino deve
capire
che non è un dio, e perciò è fallibile
tanto come qualsiasi altra creatura
vivente” ringhiò per contro Keath, senza mai
lasciare lo sguardo del suo
Fenrir.
Joshua
scrutò a sua volta quelle iridi scure e pregne di qualcosa
che sembrava molto
simile alla compassione. Curioso che il suo Freki fosse in grado di
provare un
simile sentimento.
Dopo
un istante, quindi, mormorò: “Chetati, mio Hati.
Questo imbecille deve avere le
fregole, ecco perché non riesce a star fermo.”
Quella
frase fece scoppiare a ridere Keath che, mollando la presa,
esclamò: “Mi ti
farei anche, Fenrir, ma dubito che Gretchen sarebbe
d’accordo. Mi sa un tantino
possessiva, la tua nuova ragazza.”
Michael
sbuffò un’imprecazione tra i denti e tutti, nel
salone, tirarono un sospiro di
sollievo, già pronti a essere testimoni di una rissa in
grande stile.
I
corpi di tutti si rilassarono e molti dei presenti, poggiando le mani
sulla
prima superficie piana utile, mormorarono uno scongiuro per lo scampato
pericolo.
Veder
combattere tre lupi non era cosa da tutti i giorni; vedere uno scontro
tra un
Freki, un Fenrir e un Hati, era un evento biblico.
“Sei
un vero stronzo, Keath… ma ho capito cosa volevi
dire” borbottò Joshua,
massaggiandosi il collo indolenzito.
“Sembra
che con te funzionino solo le maniere forti…”
celiò Freki, scrollando le
spalle. “…perciò, vista la tua testa
dura, ho pensato che sbattertela contro il
muro potesse servire.”
Colton
scelse quel momento per tossicchiare e dire: “Muro che,
ovviamente, tu
ripagherai… vero, Keath?”
Freki
fissò senza capire il giovane nobile che, sorridendo con un
certo divertimento,
indicò il muro in questione e la notevole conca che si era
formata a seguito
della zuccata di Joshua.
“Oh”
gracchiò Keah, notando anche la carta da parati rovinata e
ormai
irrecuperabile. “Quanto diavolo costa questa roba?”
“Beh,
la carta da parati è in seta italiana e prodotta nel Sud
Italia. Se non erro,
da qualche parte dovrei avere anche i campioni per gli
ordini” chiosò il
nobiluomo, tamburellandosi il mento con un dito.
Keath
impallidì leggermente nel sentir parlare di ‘seta
italiana’ perché, a suo modo di vedere,
tutto ciò che proveniva da quel
Paese, era di qualità e perciò molto, molto
costoso.
Michael
batté una mano sulla spalla di Keath e, sardonico,
celiò: “Vedi cosa succede a
fare i cazzoni?”
“Quanto
sei simpatico” brontolò per contro Freki, snudando
per un attimo i denti.
L’arrivo
di Gretchen dalle cucine impedì a Michael di rincarare la
dose e, quando la
donna notò il muro rovinato e il sangue fresco che macchiava
il colletto della
felpa di Joshua, esalò: “Cosa mi sono persa, nei
due minuti in cui sono stata
in cucina?”
“Io
che mi sbatto il tuo uomo” scrollò le spalle
Keath, andandosene verso il tavolo
dei rinfreschi come se niente fosse e scatenando le risate collettive
dei
presenti.
Gretchen
fissò senza parole Joshua e Michael e
quest’ultimo, ammiccando al suo Fenrir,
dichiarò: “Beh, sbattuto, ti ha sbattuto, in
effetti…”
“Vai
a mangiare, Mich… hai bisogno di cibo, sennò dici
scemenze” brontolò Joshua,
sorridendo poi a Gretchen, che si avvicinò con aria a
metà tra il confuso e il
divertito.
Lanciata
poi un’occhiata al muro, la donna mormorò:
“Immagino che sia stato un rapporto
molto violento. Hai ammaccato il muro…”
“Non
ti ci mettere anche tu, Gretch…”
brontolò Joshua, tastandosi la ferita sulla
testa e già in via di guarigione. Bruciava un po’,
ma era sopportabile.
Lei
gli sorrise con dolcezza e replicò: “A parte la
tua testa ammaccata, stai bene?”
Joshua
tornò serio, a quelle parole e, annuendo, la prese
sottobraccio e la condusse
fuori dal salone, subito seguito dal fischio irriverente di Keath e dal
‘buona fortuna, capo!’
di Fergus.
Fenrir
non si prese neanche la briga di mandarli al diavolo e, dopo avere
scortato
Gretchen in un salottino adiacente, chiuse la porta alle loro spalle e
mormorò:
“E’ morto, Gretch… non
c’è più.”
Lei
si limitò a stringerlo in un abbraccio, abbraccio che Joshua
replicò con forza,
l’enorme corpo tremante e prossimo al crollo.
Non
si lasciò andare alle lacrime – non ne aveva, per
T.J. – ma gracchiò disperato:
“Come ho potuto essere così sciocco da credergli?
Da non accorgermi di ciò che
stava succedendo? Di ciò che stava diventando?”
Carezzandogli
la schiena, i corti capelli di neve e le ampie spalle, Gretchen gli
sussurrò
contro il torace: “Joshua, tu lo amavi. Era come un fratello,
per te. Il tuo
cuore non ha mentito. Ma non puoi farti carico delle sue menzogne e dei
suoi
errori.”
“E
se veramente io lo avessi soffocato con la mia presenza?”
sussurrò per contro
lui, reclinando il viso fino a poggiare la fronte contro la spalla di
Gretchen.
Lei
si irrigidì un istante, a quelle parole e, gelida,
replicò: “Chiunque
appartenga a un branco, sa che non potrà esservi nessuno
più importante di
Fenrir. Così come tutti sanno che i Gerarchi sono tre, e tre
soli. E’ noto a
tutti. Se non lo ha accettato, non è un problema
tuo.”
“Tutti
dovrebbero essere importanti”
replicò Joshua. “Noi ci siamo salvati grazie
all’aiuto di una cucciola umana.”
Sospirando,
Gretchen assentì ma ribadì con fermezza:
“E’ verissimo, ogni vita è importante,
Joshua, ma in un branco vige una legge piramidale che non conosce
eccezioni. Se
non fosse così, l’intero sistema collasserebbe.
Gli uomini che sono venuti con
te per proteggere il branco, lo hanno fatto perché hanno
avuto fiducia in te, e
tu in loro. E’ questo, ciò che fa un leader. A
volte potrai sentirti solo,
lassù al vertice, ma qualcuno deve farlo. E sì,
la tua vita è più importante
delle altre perché, senza di te, nessun altro vivrebbe, nel
branco. La
gerarchia è vitale, in un clan di licantropi. Non a caso, i
Consigli sono visti
per la maggiore con sospetto e, di solito, durano molto poco.”
“Quello
di Duncan…” replicò Joshua,
interrompendola.
“Non
mi pregio di conoscere bene Fenrir di Matlock come lo conosci tu ma, in
tutta
onestà, ove c’è un Fenrir, non dovrebbe
esserci un Consiglio, a meno che il
Fenrir in questione non sia un ragazzino. E Duncan McAlister non mi
sembra un
bambino da accudire” sottolineò Gretchen.
“C’è
stato un rimpasto di potere, a suo tempo, e Duncan ha preferito che
intervenisse il Consiglio…” iniziò col
dire Joshua, azzittito però da un bacio
di Gretchen.
“Non
mi interessa come lui gestisce il suo branco, ma come tu
gestisci il tuo e, come lo stai facendo, secondo me va bene.
Credo che interagire maggiormente con umani e neutri sia stato
fantastico, e
sono certa che questo renderà il tuo branco ancor
più forte e coeso” sottolineò
la donna, scostandosi da lui per prendergli le mani. “Ora,
dimmi di Theodor.”
Lui
assentì e le spiegò le decisioni di Keath
riguardo al concedere a lui l’onore,
e l’onere, di scegliere la fine del traditore.
Solitamente,
Freki prendeva in autonomia questo genere di decisioni ma, trattandosi
di T.J.,
aveva preferito chiedere il parere di Joshua.
“Portami
da lui” dichiarò alla fine Gretchen.
“Sarò con te, quando deciderai.”
Joshua
si limitò ad annuire e, mano nella mano, si avviarono verso
i piani inferiori
di Walford Manor per raggiungere le
antiche ghiacciaie e il luogo in cui si trovava il corpo di T.J.
Forse,
insieme a lei, sarebbe stato più semplice scoprire in che
modo porre fine al
viaggio sulla Terra della persona che lui aveva creduto essere un amico
sincero
e fidato.
***
Il
corpo di T.J. era stato gentilmente composto su una riolite dai colori
perlacei, intagliata per formare un parallelepipedo perfetto.
Forse,
in passato, era stata usata per la lavorazione delle carni da sistemare
nelle
celle ricolme di neve ma, in quel momento, era solo un’ara su
cui era posto il
corpo morto del licantropo.
Keath
aveva preventivamente coperto il volto di Theo – onde evitare
che qualcuno
vedesse ciò che il proiettile aveva lasciato – ma,
a giudicare dal sangue che
inzuppava il telo di cotone, i danni erano più che chiari.
La
morte doveva essere stata istantanea.
Poco
a lato del corpo, Keath aveva inoltre sistemato gli effetti personali
di T.J. e
Joshua, nel sollevarne il cellulare, lo accese e notò la
presenza di una
password.
“Potresti
darlo a Michael. Lavorando in polizia, potrebbe sapere come
aprirlo” lo
consigliò Gretchen, ma Joshua stava già digitando
un numero di quattro cifre,
che risultò essere esatto.
Sorpresa,
lei lo guardò dubbiosa e lui, scrollando le spalle,
mormorò: “E’ la data in cui
T.J. mi ha battuto in una gara di corsa. Evidentemente, si sentiva davvero prevaricato dalla mia presenza,
o dall’ingiustizia di non aver ricevuto lui stesso la
livrea.”
“E
tu, perché te lo ricordavi?”
“Perché
è stata la prima volta in cui T.J. mi ha detto che avrei
dovuto farmi avanti
con te” ammise lui, sorridendole.
“Oh.
Davvero?” mugugnò Gretchen, lanciando
un’occhiata veloce al cadavere prima di
tornare a scrutare in viso Joshua. “E questo,
quand’è successo?”
“L’anno
scorso, a luglio” asserì Joshua, facendola
sorridere per un istante.
“Piuttosto
duro di comprendonio, allora” chiosò lei.
“Abbastanza”
mormorò lui, scorrendo le foto all’interno del
telefono. Nulla che valesse la
pena di salvare. Soltanto dei selfie
e poco altro.
Non
un parente a cui affidare il corpo, o una donna da avvisare. T.J. si
era
ridotto a essere solo, e ad avere come ultima compagnia dei Cacciatori.
Lui,
le carte e null’altro.
“Ma
perché ti sei ridotto così?”
mormorò Joshua, spegnendo il cellulare.
“Avrebbe
potuto andare in un centro di recupero per la ludopatia spacciandosi
come un
comune umano, se avesse voluto. Oppure, avrebbe potuto chiedere a Mr
Rinaldi.
Secondo me, avrebbe ottenuto tutto l’aiuto
possibile” sottolineò Gretchen,
stringendogli una mano per dargli forza. “O anche, molto
semplicemente, avrebbe
potuto chiedere a te, il suo amico. Ma non l’ha fatto,
perciò non è colpa di
nessuno, se non sua. Mettitelo in testa. Non si può salvare
qualcuno che non
vuole essere salvato. Puoi tentare, ma non raggiungere
l’impossibile. Quello, è
vietato a chiunque.”
“Forse…
ma mi viene sempre il dubbio di non essermi accorto di nulla
perché non volevo accorgermi di
nulla.”
“In
che senso?” volle sapere Gretchen.
“Ho
sempre fatto finta che gli umani e i neutri non ci fossero, che dovevo
prendermene cura, ma che non fossero realmente un mio problema, e ho
rischiato
di pagare carissimo questa mia superficialità” le
fece notare lui, sentendosi
male al solo pensiero di essere stato così ipocrita.
“Allo stesso modo, forse
ho cancellato dalla mia mente i difetti di T.J., dipingendolo migliore
di
quanto in realtà non fosse.”
“Anche
quanto, ti saresti comportato come una persona qualsiasi, ma capisco
cosa
intendi dire” assentì Gretchen. “Un
Fenrir deve essere più accorto e non
affidarsi soltanto alle sensazioni superficiali.”
“Esatto.
E in questo ho fallito clamorosamente” sospirò
Joshua.
“Gli
uomini ai piani superiori dicono il contrario”
sottolineò per contro la donna.
“Hai la loro fiducia e il loro rispetto, e non credo possa
esservi
soddisfazione più grande, per un capo. Quanto
all’aver mal giudicato Theo, può
capitare. Come tutti ti stanno ripetendo fino allo sfinimento, non sei infallibile, e devi iniziare ad
accettarlo.”
“Non
mi sbatterai al muro per convincermi?” ironizzò
Joshua per spezzare il senso di
smarrimento che provava.
Tutti
loro avevano ragione, in teoria, ma nella pratica era difficile
crederci.
Lei
allora gli sorrise, lo strinse in un abbraccio e mormorò:
“Lascio le maniere
forti a Keath. Lui è più esperto di me in questo
genere di… approcci.”
A
quelle parole, Joshua sollevò un sopracciglio con interesse
e Gretchen,
scoppiando a ridere, chiosò: “Ehi, non avrai mica
pensato che, in due anni e
più nel tuo branco, non abbia mai
fatto sesso per mero divertimento?”
Nonostante
tutto, Joshua rise e, scuotendo il capo, esalò:
“Dovevo saperlo che Keath non
ti avrebbe mai lasciata stare senza un assaggio.”
“Oh,
ci siamo assaggiati a vicenda, se è per questo, ed
è stato divertente, ma la
cosa è nata e morta lì”
scrollò le spalle con divertimento lei, prima di
tornare seria e aggiungere: “C’era qualcun altro
che volevo, e lo sai bene.”
“Già”
annuì lui, poggiando la fronte contro la sua.
“Cosa devo fare, Gretch?”
“Vuoi
piangerlo in un luogo fisico, quando avrai volontà di farlo?
Oppure, non
desideri più vedere nulla che lo rappresenti?” gli
domandò semplicemente lei.
I
passi – ma ancor prima l’aura e l’aroma
ferino – di Keath risuonarono nella
cantina umida e profumata di vino, salumi e formaggi e, quando si
avvicinò a
Gretchen e Joshua, mormorò: “Ehi, capo. Come siamo
messi?”
“Stavo
per l’appunto decidendo” disse Joshua, sbuffando
nervosamente.
Freki
assentì ma, estraendo il suo cellulare, borbottò:
“Prima di farlo, però, forse
dovresti dare un’occhiata a queste. Ho mandato uno dei miei a
controllare
l’appartamento di T.J. per essere certi che non avesse
spifferato ad altri il
nostro segreto e, beh… è saltato fuori
questo.”
Ciò
detto, allungò il telefono a Joshua che, afferratolo con
mano tremante, sfogliò
le fotografie e osservò i filmati fatti da una delle
sentinelle del branco.
Le
ricevute di pagamento inevase si sprecavano, così come i
messaggi in
segreteria, che erano uno peggio dell’altro, il seguente
più minaccioso del
precedente.
C’erano
fotografie effettuate a T.J. in bische di dubbia fama –
inviategli, con tutta
evidenza, per incastrarlo e metterlo di fronte ai suoi peccati
– o con
prostitute d’alto bordo adescate in locali che,
evidentemente, non poteva
permettersi.
“Ma
chi diavolo eri, T.J.?” mormorò sgomento Joshua,
restituendo il cellulare a
Keath.
“E’
chiaro che è finito in un circolo vizioso da cui non
è più riuscito a uscire, e
i Cacciatori ne hanno approfittato non appena lo hanno smascherato per
quello
che era” dichiarò Keath, scrollando le spalle.
“Di sicuro, per tenere il branco
all’oscuro di tutto, ha dimostrato una tempra mentale che ben
pochi potrebbero
vantare, ma è l’unico complimento che mi sento di
fargli.”
Joshua
assentì e, lanciato uno sguardo al corpo inerme di T.J.,
ringhiò: “Brucialo.
Non voglio più avere a che fare con lui.”
Ciò
detto, si scusò con entrambi e, quasi di corsa,
fuggì dalla cantina, desideroso
di rimanere da solo e inspirare l’aria del bosco, di qualcosa
che lo facesse
sentire al sicuro e non divorato dall’odio.
Rimasti
soli, i due licantropi si studiarono vicendevolmente per diversi
secondi ma,
alla fine, fu Gretchen a parlare.
“Cosa
non gli hai detto?”
“Sei
un po’ troppo intuitiva, per i miei gusti, femmina”
sbuffò Keath, infilando le
mani nel suo giubbotto di pelle nera.
“Hai
distolto lo sguardo da Joshua, quando hai parlato del lato oscuro di
T.J. Tu
non abbassi mai lo sguardo,
Keath”
sottolineò Gretchen, scrollando le spalle con noncuranza.
A
quel punto, Freki si esibì in un ghigno e disse:
“C’era un motivo se mi era
piaciuto ruzzolarmi con te… hai un cervello, oltre a un bel
faccino.”
Suo
malgrado, Gretchen rise di quello che, forse, poteva essere considerato
un
complimento e, annuendo affabile, asserì: “Troppo
gentile, grazie. Ma torniamo
a noi. Cosa hai nascosto?”
“Se
te lo dico, dovrai nasconderglielo per tutta la vita. Vuoi davvero
questo peso,
Gretch?” replicò Freki, tornando serio.
La
donna, allora, sgranò leggermente gli occhi ed
esalò: “Cos’avete
trovato?”
“La
sentinella che ho inviato là era Freddie Johnson. E tu sai
che lavoro fa, no?”
Gretchen
aggrottò la fronte e assentì. Freddie era un noto
psichiatra londinese e, non
di rado, veniva assoldato dalla polizia per delle perizie su feroci
criminali.
“Freddie
ha trovato dei diari, infilati sotto un’asse del parquet,
dove c’era
praticamente di tutto. Appunti sui soldi che doveva a tizio e caio,
commenti su
locali e baldracche ma, quello che più lo ha preoccupato,
è stato il diario più
recente.”
Lei
assentì, desiderosa di sapere pur se la paura le faceva
tremare le mani. Fino a
dove si era spinta la follia di T.J.?
“Freddie
crede che fosse affetto da disturbo delirante, e che questo lo abbia
spinto ad
affondare nei vizi per smarcarsi da ciò che credeva il male.
Nel caso
specifico, Joshua” le spiegò Keath. “Da
quel che ha scritto in quel cavolo di
diario, T.J. pensava che Joshua avesse ricevuto tutto, dalla vita,
mentre lui
niente e, questi suoi tentativi di ottenere ricchezza e potere che
credeva gli
spettassero di diritto, lo hanno logorato fino a consumarlo.”
“Ma
perché?” ansimò sgomenta Gretchen.
“Joshua
viene da una famiglia benestante, con due genitori che lo amano, mentre
T.J.
no. Suo padre è un bevitore incallito, e lo sa il cielo
quante volte Michael lo
ha tirato fuori dai guai. Sua madre, invece, li ha lasciati quando lui
aveva
quattordici anni. Ha resistito fino a quando il figlio ha superato la
face
pre-trans e poi si è data alla macchia.”
Avvicinandosi
al corpo esanime di T.J., Keath aggiunse: “Per sbarcare il
lunario, T.J. faceva
dei lavoretti presso i vicini, e i genitori di Joshua spesso lo
ospitavano a
casa sua, provvedendo ai suoi bisogni. Forse, questo ha scatenato in
lui un
senso di competizione e di inferiorità che lo hanno portato
a impazzire.”
“Non
lo giustifica, però” sottolineò
Gretchen, avvicinandosi a Freki.
“No,
per conto mio, un traditore è un traditore, ma almeno
sappiamo da cosa è nato
tutto. Se Joshua sapesse che il suo amore lo ha portato a un odio
così
sconfinato, però, non so proprio come la prenderebbe, per
questo dovrai
tacere.”
Quelle
parole furono seguite da uno sguardo ferale e Gretchen, sorridendogli
nonostante la velata minaccia appena ricevuta, mormorò:
“Gli sei davvero
fedele.”
“E’
ovvio, femmina. Joshua è un buon Fenrir, e non meritava una
grana simile.
Dovrai avere buona cura di lui.”
“Buona
cura?” ripeté dubbiosa Gretchen, ma lui
ghignò per diretta conseguenza.
“Non
mi inganni, femmina. Seguiresti quell’uomo anche in capo al
mondo, perciò vedi
di allenarti, o non sarai pronta per l’Ordalia”
dichiarò Keath, dandole una
pacca sulla spalla prima di aggiungere: “Ora vai. Non credo
che tu voglia
assistere a quello che farò tra poco.”
Lei
si limitò a un assenso e, dopo un’ultima occhiata
a Keath, tornò a i piani
superiori di Walford Manor.
N.d.A.:
grazie alle accurate indagini di Keath, scopriamo fino a dove T.J. si
sia
spinto, e quanto Freki desideri preservare la salute mentale del suo
Fenrir,
negli anni a venire. Che dire? Gretchen riuscirà a mantenere
la promessa, o
sarà onesta fino in fondo con Joshua?