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Autore: Ellie_x3    01/02/2019    10 recensioni
Aveva sperimentato un tipo ben diverso d'amore, lui, un sentimento crudele e meschino che non faceva altro che male.
Tagliava in profondità le membra di un uomo, recidendo i muscoli, non lasciando altro che languore, scavando nelle ossa fino a prosciugare qualsiasi ricordo dell'essere umano che era stato in passato. Il sentimento mostrato da Alain aveva in sé la dolce sfrontatezza dell'attrazione: inequivocabile, sì, ma di gran lunga meno disperato e violento di ciò che provava Rossignol.
Magari, si disse, non esistono tipo diversi d'amore, ma solo uomini che lo vivono diversamente.
Forse Rossignol stava mentendo e non era affatto amore quello che provava per Alain, ma una cosa era certa: Alain era innamorato di lui.
Genere: Angst, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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II

 

"Lasciatemi dire che siete oltremodo sfortunato, amico mio."
Rossignol, dal lato opposto del tavolo da gioco, inarcò un sopracciglio. Impaziente per natura, aveva perso qualsiasi interesse per il gioco nel momento in cui d’Artois aveva parlato. 
I pretesti non lo interessavano affatto.
"Direi piuttosto il contrario, monsieur." replicò, abbassando le carte e mostrandole all'avversario. "Stavo vincendo."
Era bizzarro che il conte iniziasse a discorrere d'altro durante un gioco che richiedeva una certa concentrazione e una frase così vaga non poteva che significare che c’erano questioni più impellenti d'una partita a carte. 
“Dovreste smettere di frequentare quella donna, Rossignol. Vincete troppo spesso, per la vostra età.” 
Rossignol ringraziò che fossero soli, ad eccezione di un manipolo di domestici che sfaccendavano dietro al piano da accordare e ai tendaggi da spolverare, sentendo il calore salirgli alle guance.
“Se avete da ridire sui miei modi—”
“Non ho da ridire sui vostri modi, ma sulle compagnie che scegliete.”
Il ragazzo si era domandato come il suo avversario potesse essere così tranquillo giocando una mano che l'avrebbe portato alla sconfitta
– e ad una perdita più o meno ingente  ma, d'altra parte, d’Artois era conosciuto per le disinvolte sconfitte a carte. Tuttavia, come tutti, Rossignol sapeva che non era saggio vincere troppo contro il conte d'Artois: nonostante fosse allegro di spirito ed un buon perdente, non si poteva mai prevedere se e quando se ne sarebbe potuto risentire. Il rischio era che se ne lamentasse con il re suo fratello o  – peggio!   con la regina, e Rossignol non aveva alcuna intenzione di rischiare.
In quel momento, d'Artois si sciolse in un sospiro, lasciando le proprie carte sul tavolo.
Due re. Rossignol gli lanciò un’occhiata perplessa. 
“Ad ogni modo, no, non parlavo del gioco." dichiarò, lasciandosi andare contro lo schienale imbottito della sedia, appoggiando il collo sull'asta di legno. Alcuni ricci castano scuro gli accarezzavano il collo, tracciando mezzelune sulla gola lasciata scoperta dalla giacca mal abbottonata. "Notre Majesté vi ha notato, l'altra sera."
"Ah." 
D’Artois gli scoccò un’occhiata buia, ma il giovane non avrebbe saputo dire altro. Non era stato visto in anni trascorsi gomito a gomito con il migliore amico della regina e ora, l'unica notte che si prestava ad una sciocca scommessa, veniva notato?
Senza dubbio, quella era sfortuna.
"Dice che desidera vedervi. Naturalmente sa la verità, Yolande non ha perso tempo a metterla a parte della scommessa.”
"Non se n'è risentita, non è vero?"
D'Artois rise, piano, giocherellando con gli angoli delle carte.
"Au contraire, l'ha trovato divertente." Disse, "E ciò che la regina trova divertente deve far parte della sua cerchia: vi invita ad un'udienza privata domattina, a Versailles."

Temo di non essere nemmeno in condizione d'incontrare una vecchia parente, pensò Rossignol, con una smorfia, figurarsi una regina.
Seppur con imbarazzo, Rossignol sapeva che avrebbe dovuto rinunciare e mostrarsi conscio dei propri limiti: giovane, impuro e inviso persino ai propri genitori, che erano ben felici di vederlo il meno possibile, era certo che una creatura deliziosa come Marie Antoinette l'avrebbe disdegnato in breve tempo. 
Tuttavia non si poteva negare alcunché alla regina, men che meno la propria obbedienza: se lei chiamava, Rossignol rispondeva. Avrebbe trovato le parole per convincere il sarto a fargli credito, in un modo o nell'altro, ed a suo padre avrebbe chiesto in dono una nuova parrucca con la scusa d’essere ricevuto dalla Regina in persona. Aveva vissuto a Versailles per così tanti mesi che ormai aveva pensato che non sarebbe mai successo. 
Rossignol, così deciso, chinò il capo in un grazioso cenno d'assenso.
"Va bene, verrò."
Il conte rimase in silenzio un istante, come a soppesare la sincerità di quelle parole, ma dopo un momento si aprì in un sorriso. Qualcosa, nelle sue membra, si rilassò; quando si mostrava disinteressato era più simile ad una rosa in boccio che ad uno stoccafisso come i suoi fratelli e pari, notò Rossignol, e notevolmente più attraente.
Quando i loro sguardi si incrociarono, il giovane osservò anche che d'Artois lo guardava con grande affetto e, ora Rossignol non sapeva se dirsene lusingato o offeso, un certo senso di protezione.
"Potrebbe essere presente anche il principe T. al petit dejeneur della Regina, vi avverto. Desiderate che vi tolga d'imbarazzo, se se ne presentasse la necessità?"
Lui scosse la testa.
"No, lasciate che me ne occupi io."
"Come desiderate, ma vi avverto: non sarà molto disposto ad ascoltare le vostre argomentazioni."
"L'orgoglio ferito è davvero così forte da annebbiare la ragione d'un uomo amabile?" si domandò il ragazzo, a mezza voce.
"Come sapete che è amabile?" replicò d'Artois, inarcando un sopracciglio. "Tutto quello che avete visto era a causa del vostro travestimento."
"E come sapete voi che non è amabile?"

D’Artois si strinse nelle spalle. 
Se avessero avuto la risposta, probabilmente, la natura umana sarebbe stata molto meno complessa e indicibilmente più noiosa.
Tuttavia, entrambi conoscevano il principe come un uomo ben più saggio di quello che avrebbe potuto attaccar briga davanti all'intera corte: fintanto che rimanevano in pubblico la faccenda era sotto controllo e Rossignol non aveva troppa voglia di portarla avanti.
Per quanto d'Artois avesse tentato di inserire il giovane compagno nella danza di Versailles, dato che il suo rango gli avrebbe certamente concesso qualche privilegio presso il re, Rossignol non ne voleva sapere. Che garanzia c'era, quindi, che il ragazzo sapesse portarsi al cospetto della regina? Preferiva le sale dell'Opera, le commediole scandalose messe in scena a porte chiuse, il vino e le amanti facoltose. Come una piccola Du Barry, ma con un viso infinitamente più angelico, Rossignol era una fonte sicura per atteggiamenti poco consoni ed, all'occasione, imbarazzanti.
"Cosa dovrò dire alla regina?" domandò.
D'Artois scosse le spalle, versandosi del vino. A Versailles non poteva neanche toccare una brocca senza che qualcuno gliela porgesse gridando all'insulto, quindi era ben felice della libertà offerta dagli appartamenti di Parigi. 
Poteva comprendere i sentimenti della sua sfortunata cognata, tanto dolce eppure ingabbiata in una prigione d'etichetta dove neanche il più pietoso dei cortigiani avrebbe mai e poi mai rinunciato al privilegio di servirle qualcosa. A volte se ne sentiva schiacciare lui, che era capace di lasciare che i dispiaceri gli scivolassero addosso senza degnarli di uno sguardo, e non osava immaginare come potessero tormentare la povera 'Toinette. 
Eppure, era in parte cosciente anche delle motivazioni d'ansia di Rossignol.
"Qualsiasi cosa che la intrattenga." consigliò, dopo averci pensato su per qualche istante "Scherzate pure, è una donna che apprezza le battute, ma non esagerate mai."
“Capisco.”
"Inchinatevi e non datele mai la schiena. La regina non si fa problemi lei stessa ad infrangere l'etichetta quando è nell'intimità della sua cerchia, e con lei si respira un’atmosfera rilassata che difficilmente si troverebbe altrove, tuttavia ricordate che è la sovrana."
"Dicono che sorrida spesso." mormorò Rossignol, come se non avesse ascoltato una sola parola. 
D'altra parte, questo d'Artois lo sapeva, il ragazzo era particolare e dava sempre l'impressione d'essere distratto.  
"Sì." 
disse d'Artois, prendendo un sorso di vino "Ed è molto bella."
Rossignol alzò lo sguardo sul compagno. La luce del tramonto conferiva al ragazzo una un’aura cangiante, facendo sembrare i suoi occhi ora azzurri ora grigi, ma sempre chiarissimi.
"Desidero davvero far piacere alla mia regina, Charles. Ditemi come e seguirò i vostri consigli: io e Notre Majesté già in comune abbiamo l'affetto che proviamo per voi, che per me siete come un fratello, ma non basterà di certo per diventarle amico."
A quelle parole, d'Artois sentì il cuore stringersi nel petto. Si chiese se fosse colpa dell'affetto per quel ragazzo cresciuto con lui, forse, o forse erano i modi seduttori di Rossignol? Appariva così puro, ma lo conosceva troppo bene per non scorgervi della malizia.
Scosse la testa, nascondendo l'imbarazzo nell'ennesimo sorso di vino, e parlò:
"Rammentate che Notre Majesté s'annoia facilmente, ma è di buon cuore e d'animo gentile. Non viziatela apertamente, ma fatela sentire apprezzata. Siate cortese, ma non viscido. E ovviamente alla moda, ma non scadete nella volgarità.”
Rossignol annuì, la fronte appena aggrottata.
“Ricordate che disprezza gli adulteri e gli immorali, ma non è una bacchettona. Sopratutto, non mentite per alcun motivo al mondo."
C
on ben presenti le parole del conte, il ragazzo allungò un braccio sul tavolo da gioco per prendere le carte abbandonate da d'Artois. Incapace di star serio troppo a lungo, il giovane trovava diletto nell'interrompere discorsi troppo seri: prendendo a mischiare il mazzo, socchiuse gli occhi. 
“Potrò insegnare a Notre Majestè dei giochi di prestigio con le carte.”
D'Artois rise, battendo il pugno sul tavolo.
“Ah, so già come finirà. Farete di 'Toinette un'eretica, Rossignol.”
“No, vi sbagliate. Farò sì che per lei il tempo non esista, che le ore durino istanti e che la notte sia come il giorno; credo che sia questo ciò che mi riesce meglio.”

 

#

 

Rossignol sapeva di essere bello.
Non gli serviva niente più che uno specchio d'acqua limpida in cui ammirare il proprio riflesso per rendersene conto. Come un moderno Narciso, con l'unica differenza che, ad un certo punto, il riflesso stesso avrebbe preso vita per affogare la propria controparte. Ad ogni buon conto, farselo dire da una regina era un ottimo modo per cominciare la giornata e sia Marie Antoinette che la graziosa contessa di Polignac espressero con tanta foga il loro entusiasmo che Rossignol non potè fare a meno di arrossire. D'Artois, con un colpetto di tosse imbarazzato, diede una pacca sulla spalla del giovane conte. 
Poco importava che la regina fosse abbastanza allegra da dimenticare ogni regola, protetta com'era dall'intimità conferita dall'udienza strettamente informale, poiché Rossignol di certo non poteva permettersi il lusso d'essere scortese. Chiunque a Versailles era conscio del poco amore di madame per le regole del palazzo, ma di Rossignol non era ancora stato detto nulla.
D'Artois, che aveva già scorto il giovane T. fra i pochi presenti, sperò che non scoppiasse una rissa.
Ovviamente, doveva immaginare che Rossignol fosse poco incline a star lontano dai guai.
“Oh! Ma io vi conosco: siete il principe di quella sera! T., sbaglio forse?”
"Sbagliate, monsieur." replicò freddamente lui, ergendosi in tutta la sua statura e alzando il mento molto al di sopra della testa del ragazzo, che invece lo guardava ad occhi spalancati. "Non ho idea di chi voi siate."
Rossignol, riconoscendo l'inganno, sorrise. 
"Mio caro principe, sono colui che vi ha fatto torto di recente. Vi ho riconosciuto e colgo l'occasione per venire a scusarmi."
Marie Antoinette, in un grazioso svolazzare di trine e accompagnata dal pesante fruscio della stoffa, si mise in mezzo a loro e guardò lungamente ora l'uno, ora l'altro. Sbatteva le lunghe ciglia bionde come una farfalla e l'entusiasmo tradiva la sua età non più giovane, contornando la bocca e le guance con sottili rughe d'espressione.
"Principe, via, perdonatelo." incitò, con uno spettro di risata nella voce. 
Era ovvio che il teatrino messo in piedi da Rossignol la stesse divertendo molto, lo si comprendeva dalla vivacità con cui si esprimeva, e anche il giovane sentiva d'essere allegro. Aveva notato anche che d’Artois si torceva le mani, ma aveva nulla da temere: Rossignol celava la più intima convinzione che il principe T. fosse di buon carattere, quindi non c'era modo che si opponesse ai desideri di Antoinette.
Non in pubblico, perlomeno.
Era davvero un uomo facile alla burla altrui, quel principe dal bel viso. Uno sciocco fatto e finito.
"Lo farò, Madame, se è il vostro desiderio." Replicò un istante dopo, chinando il capo. Rossignol sorrise tra sè e sè, e Marie Antoinette si avvicinò ondeggiando al principe.
"Ma state nascondendo un sorriso!" esclamò, prima di rivolgersi a Rossignol, "Rossignol, siete già stato perdonato, vedete?"
"Vedo, Votre Majestè. Sono fortunato che il principe sia tanto magnanimo." 
"È perché siete irresistibile, piccolo usignolo." si intromise la voce chioccia di Yolande de Polignac. 
"Yolande!" la richiamò d'Artois, scoppiando in una risata.
La donna strizzò gli occhi scuri, le labbra piegate in un'espressione languida. Aveva un fare che a Rossignol ricordava una gatta infiocchettata, intenta a far fusa e compiaciuta del proprio lavoro, ma scosse le spalle senza protestare. Una tale vivacità nella sovrana e nella sua più intima amica faceva solo apparire la principessa di Lamballe più eterea e malmessa del solito.
Rossignol, inclinando il capo, sorrise cercando in ogni modo di ricordare a sè stesso come apparire modesto.
"Siete davvero adorabile." mormorò la regina, portandosi una mano alle labbra, studiando Rossignol ora da davanti, ora da dietro. Gli fece sollevare il mento, con delicatezza, e il suo bel sorriso si allargò. "Potrei vestirvi ancora da ragazza? Lo permettete?"
Il ragazzo annuì.
"Disponete di me come preferite, Majestè." rispose, senza mancare di lanciare uno sguardo a T. 
Come aveva previsto, sul viso del principe era apparso del rossore che prima non era presente, nonostante la fronte solcata da minuscole rughe che convergevano fra le sopracciglia scure. 
"A Rossignol non dispiace poi tanto indossare un corpetto" scherzò d'Artois, alzando al cielo un bicchiere semivuoto di vino rosso. 
La principessa di Lamballe sospirò, accasciandosi laconicamente sul bracciolo del divanetto in velluto; dal modo in cui il suo petto si alzava e abbassava affannosamente sembrava che faticasse a respirare, immagine di certo aiutata dal pallore delle sue guance e dalle labbra bianche come il latte. 
“In tal caso, vi proporrei volentieri uno scambio. La mia povera schiena fa così male..." 
Rossignol si morse le labbra, incrociando le braccia al petto, e pensò che forse l'avrebbe fatto davvero. C’era della poesia, nel modo in cui il corpo femminile veniva piegato dal ferro. Era un canto, una metamorfosi: la bellezza al posto dell’ignoranza, la gioventù imperfetta immolata su un altare pagano. Sarebbe stato felice di partecipare ad un gioco laddove il dolore diventava una prova di forza ed uno strumento di seduzione, benchè di tortura, ed era di certo un passatempo che l'avrebbe tenuto occupato per un po'. 
Non gli importava davvero che, dal fianco della regina, d’Artois gli stesse inviando discreti cenni di diniego, né che la Regina e la Polignac sembrassero, al contrario, estremamente entusiaste: non sarebbero stati loro a decidere dei suoi passatempi.
“Trovate che mi donerebbe, Yolande?”
“Direi che ne abbiamo avuto una prova piuttosto eloquente.” 
“Molto bene, dunque. Se prometto di non recar danno a nessuno, questa volta, posso farlo.” 
Immediatamente il principe T. era arrossito alla menzione della situazione poco piacevole causata dall’inesistente Charlotte e, ormai, Rossignol non potè fare a meno di notare che non lo guardava più. Ma poi, perchè mai avrebbe dovuto?
Per quanto il principe T. si sentisse ancora frustrato dalla beffa di cui era stato inaspettata vittima, Rossignol l’aveva visto incapace di qualsiasi tipo di controllo.
Quella sera, Rossignol l’aveva visto soccombere al sentimento prima e all’imbarazzo poi. Un uomo come lui, cresciuto con la promessa del chiostro, che faceva della pazienza un vanto e della sobrietà una regola, si era mostrato preda di quella parte di sé di cui aveva certamente sospettato l'esistenza ma mai esperito gli effetti.

 

Se avesse potuto, avrebbe preso un cavallo dalle scuderie e sarebbe fuggito. 
Il principe T. voleva scappare da Versailles, sparire nell’ombra per almeno un’ora o due, ma vi era dolorosamente legato.
Una cosa gli era chiara, tuttavia: 
Rossignol era il diavolo, ma con il viso di un cherubino. Androgino e malevolo, il cuore del principe fremeva e doleva ad ogni gesto del suo volto, ad ogni torsione del suo polso. Da come l'aveva salutato con garbo e si era scusato, si era illuso che almeno di fronte alla Regina avesse dei modi eleganti e discreti, ma si era presto rivelato un giullare confusionario.
Non stava certo a lui giudicare, ma a Yolande de Polignac piaceva quel tipo di giovane chiassoso e di bell’aspetto, e ciò aveva giocato a favore di Rossignol.
T. era stato, al contrario, poco socievole e taciturno. Pochi potevano immaginare che la ritrosia che aveva mostrato nei confronti della compagnia (e dell’ospite d’onore in particolare) per tutto il pomeriggio, e che era continuata a cena, non era che la vergognosa figlia d'un sentimento più forte della simpatia e, al tempo stesso, meno puro dell'amore. 
La marchesa De La Motte, più esperta in certe situazioni, s'era già premurata di lanciare a T. più d'una occhiata di compatimento. Sembrava che sapesse che Rossignol non era nell'animo né uomo né donna (come avrebbe potuto essere, altrimenti, violento come Caino e malizioso come Eva?), e sembrava controllarlo senza dire una parola. Ad ogni buon conto, il pomeriggio era passato ed il principe T. si era confinato in un angolo: osservava Rossignol e Yolande de Polastron giocarsi le proprietà di Lauzun ai dadi, senza mai stancarsi di trovare nuove sfumature nella pelle di quello che si era rivelato essere un giovane nobile, non più alla portata delle sue vergognose intenzioni romantiche.
Se non altro, ora approcciarlo era molto meno complicato. Nonostante le risate generali che avevano accompagnato la vicenda, nessuno sospettava un sincero interesse di T. Nei confronti di un ragazzino. 
Vendetta o passione che fosse, nessuno l’avrebbe sospettato né dell’uno, nè dell’altro: di certo non lui, così noioso, quasi pari al Sovrano in mancanza di gusto e senso del divertimento.
Mentre così pensava, sentì un brivido freddo lungo la nuca. 
Il conte d'Artois si era avvicinato al tavolo da gioco in una marsina smeraldo ed aveva stretto le spalle di Rossignol in un abbraccio fraterno. Sussurrandogli all'orecchio qualcosa aveva sorriso, scostandogli un ricciolo dalla fronte. T., che conosceva i pettegolezzi su d’Artois, si chiese se non fosse quello il modo in cui si guardano i libertini legati dai medesimi peccati.
Tuttavia, il rapporto fra i due non lo impensieriva. 
Altra storia riguardava un distinto gentiluomo che aveva tallonato il conte fino al tavolo da gioco e che si stava presentando. Il principe poteva riconoscerne i tratti dalla sera del ballo: trentenne, slanciato seppur non alto, con i capelli color rame liberi dalla parrucca e il tricorno orlato d'oro. Immediatamente, il principe T. si vergognò d'essere stato lui stesso a presentarlo a Rossignol. 
Era stato detto che Alain D'Ovigny aveva il profilo d'un re e la cortesia d'un cortigiano.
In verità, sentendo una fitta allo stomaco ed una più profonda al cuore, T. dovette ammettere che non s'era mai sentito così minacciato durante tutta la giornata. Yolande cercava in ogni modo di mettersi in mostra, ma era certa che sarebbe stato Rossignol ad avanzare la prima mossa. Al contrario, D’Ovigny guardava Rossignol come un frutto maturo. 
Il principe, mordendosi le labbra, riconobbe il pericolo solo perchè vi era improvvisamente diventato sensibile. Non s'era mai preoccupato di nulla in vita sua, se non delle elementari necessità corporali e spirituali, ma ora ogni cellula del suo corpo si sentiva elettrizzata. 
Sollevò il braccio e subito si trovò accanto un paggio. 
“Ho bisogno di scrivere una lettera.” Lanciò un’occhiata al tavolo, ora fonte di risate e di bicchieri fatti tintinnare uno contro l’altro, e deglutì pesantemente, “In privato.”

Doveva agire in fretta se non desiderava perdere contro D’Ovigny. Quest'ultimo, senza dirlo apertamente, s'era dichiarato suo rivale nel momento in cui aveva posato gli occhi su Rossignol.
Carta e penna, aiutate da fretta e gelosia, sarebbero bastate per raggiungere lo scopo o per distruggere per sempre le più dolci speranze. Rossignol avrebbe declinato le più amorevoli richieste, nell'infelice caso in cui non le avesse trovate consone, oppure le avrebbe accettate e la storia avrebbe fatto il suo corso: a questo punto, non gli importava. Qualsiasi risultato sarebbe andato bene. D’Ovigny poteva sconfiggerlo T. Scacciò il pensiero con una scrollata del capo ma non trovarlo immobile in un angolo, silenzioso e incapace di dar voce ai propri sentimenti.
La tentazione l'aveva trovato sprovveduto, disarmato, già una volta. T. Aveva deciso che quella lettera sarebbe stata la bandiera bianca sulla quale avrebbe provveduto ad elencare i motivi di resa. 
Il principe T., nell'atto d'alzarsi e di scusarsi con la loro gentile ospite, aveva lanciato un ultimo sguardo al tavolo dei dadi: Alain aveva preso il posto di Rossignol, che si era spostato e spiava il gioco da sopra la spalla della principessa Carlotta, ma i due si scambiavano sguardi che facevano stringere lo stomaco del principe in una morsa. Che vincesse o perdesse, Rossignol omaggiava il conte con il suo sorriso più luminoso. 
Sì, la più disperata delle situazioni richiedeva un fermo intervento.

 

#

 

Incontratemi al boschetto di Dioniso appena potete.
Aspetterò tutto il tempo che vi piacerà farmi aspettare.
Colui che si compiace d'esservi fedele.

 

"Possibile?" mormorò Rossignol, incupitosi, quando gli fu consegnato sul piattino d'argento un biglietto che era stato piegato più volte con mano imprecisa e non sigillato. Sembrava scritto di fretta.
Temeva l'ombra d'angoscia che gli si era dipinta sul viso: Yolande e Charles lo guardavano, curiosi, ed era chiaro che gli altri fingessero solamente il loro disinteresse.
"Cos'è?"
Rossignol sfoggiò il suo miglior atteggiamento da annoiato, scrollando le spalle e il capo.
"Un'amica mi chiede di tornare a Parigi." 
"Ah!" esclamò d'Artois, come se capisse l'intera faccenda.
Carlotta sorrise da dietro le mani chiuse per lanciare i dadi, ma non disse niente.
"Non ci andrete, vero?" aggiunse d’Artois, poggiando i gomiti sul tavolo, "Non ci potete lasciare così."
Rossignol scoppiò a ridere.
"Ma non sto giocando affatto!" replicò, indietreggiando di un passo.
Aveva ceduto il suo posto ad un gentiluomo da poco conosciuto e che, in verità, gli piaceva molto. A causa di questa nuova compagnia gli dispiaceva allontanarsi, ma certi affari meritavano tutta la sua attenzione e non aveva intenzione di rimandare.
"Ah, lasciatelo stare, monsieur!" rispose Yolande, schiaffeggiando scherzosamente la mano di d'Artois "Una donna non può vivere senza di voi, Rossignol. Io lo capisco: vi conosco da così poco e già vi adoro. Quante lettere simili dovete ricevere al giorno? Cento? Mille?"
"Yolande, non fate la modesta. Avete ricevuto lettere del genere molte più volte di quanto non abbia fatto io." replicò il giovane.
Era sconvolgente il modo in cui si rivolgeva a chi gli era superiore in rango ed età, ma la consapevolezza del proprio fascino l'aveva reso, nel tempo, sfrontato. Yolande esplose in una risata lusingata. 
“É vero, è vero.”
“Yolande, non avete mai ricevuto mille lettere—”
“Questo lo dite voi, mio caro conte, e solo perchè siete geloso.”
Nel passare accanto ad Alain, Rossignol ebbe cura di sfiorarne il braccio piegato, e sperò che nessuno se ne fosse accorto. 
"Se mi volete scusare, rispondere alla povera signora con le rassicurazioni che abbisogna è mio dovere."
"Che cavaliere siete, amico mio.” Gli urlò d'Artois, sollevando un sopracciglio, e Rossignol, che già gli dava le spalle, si compiacque di sentirlo aggiungere in tutt'altro tono: "Par bleau, Alain, mi fate infuriare! Smettetela di vincere!"
Rossignol ripeté quelle parole a sé stesso, incapace di mascherare la propria soddisfazione. Nel passare uno specchio, si fermò per aggiustare il collo della giacca: giovane e vittorioso come un Alessandro, amato più di Adone. 
Smettila di vincere, Rossignol.
Diventerai odioso. 

 

#

 

"Forse vi ho sconvolto più di quanto pensassi." 
Il principe T. ammiccò dalla penombra, come se si nascondesse dalla luce stessa della luna piena
Accanto alla statua di marmo, la silhouette del principe era poco più di una sfumatura nera nel cortile circolare ma Rossignol lo vedeva come se fosse pieno giorno. 
"Forse." rispose, incrociando le braccia al petto. Lo guardava apertamente, con tutta la franchezza d'un dio, incurante di ferirlo con ogni battito di palpebre. "Forse avete sovvertito terra e cielo, quella notte: ditemelo voi.”
Rossignol scosse la testa, un sorriso imbarazzato a piegargli le labbra.
“Non so cosa dirvi, ad essere onesto.”
“L’avevate forse premeditato?"
"Cosa?'
"Di farmi innamorare di voi."
"Sono un uomo come voi, principe." 
Una frase tanto sciocca, che pure doveva essere pronunciata, strappò a T. una risata. Rossignol notò che non gli illuminava gli occhi chiari, che rimanevano spenti e tristi. Era un peccato vedere occhi così belli eppure così smorti, come se nulla al mondo potesse accenderli.
"Quello, credetemi, lo vedo bene." 
“Perdonatemi. Sentivo di dover fare chiarezza, dopo—”
“Non parliamone più.” Replicò il principe, stringendosi nelle spalle, “Ma come vedete le cose non sono cambiate. Ed è proprio questo ciò che più mi dà da pensare."
Rossignol scosse la testa con un "ah" di gola, profondo e simile al lamento d'un animale ferito. Aveva preso a camminare su e giù, calciando il ghiaino. 
“Eppure è quello che avrebbe dovuto fermarvi.” rispose, dopo averci pensato su per qualche istante. Si era sciolto i capelli, aveva lanciato il cappello e slacciato la cravatta, ma ugualmente si sentiva ingombrato da abiti troppo stretti. 
“Non fate l’errore di pensare che la cosa non mi turbi, Rossignol.” Vide il principe esitare, aggrottando la fronte, “Posso chiamarvi Rossignol?”
“Beh, visto che evidentemente non mi chiamo Charlotte—”

Visto che evidentemente non mi chiamo Charlotte.
Il principe T. poteva immaginare I motivi dietro il comportamento sgarbato di Rossignol: era preda dello stesso senso di imbarazzo e vergogna di cui T. si sentiva prigioniero. 
Ad ogni modo, anche il disagio vestiva le guance di Rossignol di un rosa acceso che le rendeva invitanti.
Guardandolo, T. trattenne il respiro: vestito con gonna e corsetto aveva la delicatezza di una donna, ma ora mostrava la fermezza d'un uomo in divenire. Batteva le palpebre ed era Charlotte, lo guardava di nuovo e tornava ad essere Rossignol.
"Siete il diavolo." mormorò, prima di poter pensare.
Rossignol gli lanciò un'occhiata, gli occhi azzurri spalancati.
“Ah, bene. Mi dite che mi amate, eppure mi offendete in questo modo?" 
"Temevo di offendervi solo dichiarando i miei sentimenti." puntualizzò il principe, con una certa tranquillità. Rossignol spalancò gli occhi, sorpreso da tanta sfrontatezza. Perchè non avrebbe dovuto esserlo?, si disse T., quando il primo a esserne sorpreso sono io?
“Offendermi?” 
“Sono certo che capirete il perchè.” 
“Potrei andare ora in una qualsiasi chiesa, sono certo che sapete cosa fanno a quelli come voi.”
“L’accusa di un libertino.” Mormorò T., socchiudendo gli occhi. Rossignol era indietreggiato, ma continuava a passarsi le dita fra i capelli come se non potesse stare fermo, “Vi confesso, sono sollevato. Può forse essere che non siete solo un ragazzino che si diverte a ingannare gli altri?"

A quelle parole, Rossignol sentì un gran calore salire al viso e temette d'essere arrossito. 
Non di piacere, né di vergogna: si sentiva profondamente toccato dalle parole che gli erano state rivolte. Ne aveva disgusto. E poi, che accusa era? Non aveva ingannato volutamente nessuno. 
Non era colpa sua.
Non era mai stata neanche lontanamente colpa sua.
"E voi, dunque? Non mi state forse prendendo in giro ora? Ah, bella vendetta mi presentate: dite di esservi innamorato di me. Come se non sapessi che vi state prendendo una bella rivincita.“
Il principe T. barcollò come se fosse stato schiaffeggiato. 
“Una rivincita?” gli fece eco.
Era tanto alto che raggiungeva quasi la cinta della statua di Dioniso, ma si distingueva dalla forma del dio greco in eleganza: un'ombra sottile nel buio del giardino. Una sagoma dalla quale Rossignol si ritrovò a non riuscire a distogliere lo sguardo. 
Prima di quella bizzarra confessione, più simile ad un'accusa, T. ai suoi occhi era stato un damerino in tacchi e parrucca incipriata, con la mente obnubilata dal desiderio platonico nei confronti d'una campagnola che neanche era mai esistita; ora Rossignol scorgeva infine la profondità del suo sguardo, e il modo in cui pregava di farsi capire.
Rossignol guardava il principe e vedeva l'infinito.
Dedizione e perversione condividevano uno spazio nel cuore di quell'uomo magro dai tratti cesellati, ingentiliti dalla massa di ricci scuri. L'aveva definito uomo, donna e demone: ancora osava parlare d'amore e fingere di essere serio? 
In tutto questo tempo, il principe aveva anch'esso guardato Rossignol senza rispondere, come rapito. Entrambi si sarebbero stupiti della similarità dei loro pensieri, per quanto essi fossero impossibili da esprimere senza offendere se stessi e l'altro.
"Allora?" 
“Allora non vi capisco, Rossignol. Ed è evidente che voi non capite chi vi sta parlando.”
Tuttavia, c'è da dire, ne né l'uno né l'altro erano abituati a far la corte ad un uomo. Non sapevano come leggersi né, tanto meno, come trovarsi. 
“Ebbene, sono qui, spiegatevi.” Sbottò il ragazzo, aggrottando la fronte. “Perchè sono io a non capire voi, e perchè vi ostinate a continuare con questa burla anche quando non fa più ridere nessuno.”
“A questo punto, capireste?”
Tale mancanza di risolutezza lo infastidì enormemente: iniziava a diventare impaziente. Disperava per avere una reazione che non fosse tiepida e distante.
"Stiamo perdendo tempo, dunque. Molto bene. Volete una risposta al vostro scherzo? Terminare la vostra vendetta? Eccovi: sono venuto qui per farvi la cortesia di dirvi che non provo il più debole sentimento per voi. Non scrivetemi. Se ci rivedremo, non venite a parlarmi. Mi avete offeso a sufficienza stanotte per mille anni e vi prego, vi prego, di non causarmi ulteriore imbarazzo. Addio." 

Se solo quell’idiota sapesse, pensò Rossignol nel dargli le spalle. 
Il principe era silenzioso, tanto che si sentivano le risate dei cortigiani negli angoli più frequentati del giardino, ma la sua presenza era come una bruciatura sulla pelle di Rossignol.
Si chiese se non fosse la fine meritata d'un brutto scherzo, ma in tal caso sarebbe stata la Marchesa de La Motte quella da punire. Lui, lo avrebbe ripetuto ed urlato fino a che la voce non gli fosse diventata rauca, non aveva colpe. Non quella sera, almeno. No, quel dolore al petto doveva essere una punizione per gli anni passati bevendo, giocando e pensando che la vita fosse solo rose, vino e belle donne.
Ora il fato gli presentava davanti un uomo della categoria che Rossignol aveva sempre deriso, credulone e impettito, bigotto e vigliacco, ma che gli toccava quel cuore che il giovane aveva creduto d'aver perso una notte fra le vie fangose di Parigi.
Perché mai doveva ricordarsi d'essere un umano solo quando provava dolore? La gioia, il senso di vittoria non gli davano sensazioni altrettanto vive.
E dire che era stata, fino a quel momento, una così bella serata.

 
   
 
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