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Autore: Old Fashioned    03/02/2019    18 recensioni
Una favolosa tenuta ai Caraibi smerciata per pochi soldi: per James Donovan, imprenditore non troppo fortunato, sembra l'affare della vita. Peccato che in quel luogo ci sia qualcosa che spinge chiunque vi si avventuri a scappare dopo poco in preda al terrore.
Toccherà al meticoloso uomo di fiducia del signor Donovan, Roderick Austin, occuparsi della faccenda. Egli indagherà sul passato della tenuta scoprendo verità scomode, che qualcuno vorrebbe assolutamente tenere nascoste.
Seconda classificata al contest “Terapia d'urto” indetto da molang sul forum di EFP.
Prima classificata al contest "I Doni della Medicina” Indetto da Dollarbaby sul forum di EFP e giudicato da Shilyss, a pari merito con "Di ghiaccio e di oscurità" di Yonoi
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve gente, secondo capitolo della storia di fantasmi. Grazie a tutti coloro che mi seguono, un ringraziamento particolare a chi mi ha lasciato il suo parere^^







Capitolo 2

Il telefono interno squillò, Donovan premette il viva voce e disse: “Sì?”
La segretaria annunciò: “Signor Donovan, è arrivato il signor Austin.”
L’imprenditore guardò l’orologio: le cifre sul display passarono da nove e cinquantanove a dieci in punto. “Faccia passare, prego.”
Meccanicamente si aggiustò il nodo della cravatta e si raddrizzò sulla sedia. Avrebbe voluto anche allineare le carte e le penne sulla scrivania, ma la porta che si apriva lo bloccò prima che potesse decorosamente riordinarle.
Sulla soglia comparve un uomo che poteva avere trent’anni portati male o quaranta portati ottimamente: lineamenti regolari, volto liscio, fisico asciutto, capelli castani senza alcuna venatura di grigio. L’espressione era neutra al pari del resto.
Portava un impeccabile completo blu, con cravatta in tinta.
Buon giorno, signor Donovan,” salutò, senza mutare l’espressione. Lo sguardo percorse la scrivania come uno scanner e l’imprenditore si sentì pervadere da una vaga sensazione di disagio. “Venga avanti, signor Austin,” disse comunque, “si sieda.”
Il nuovo arrivato raggiunse con passo misurato le poltroncine che si trovavano di fronte alla scrivania, si accomodò su una di esse e rimase a fissarlo in silenzio.
Immagino si chiederà perché l’ho fatta chiamare,” cominciò Donovan.
Non ci fu risposta. Austin si limitò a fissarlo serio, senza nemmeno un'alzata di sopracciglio per dimostrare interesse.
L'imprenditore si schiarì la gola, quindi chiese: “Come sta andando con la Steakhouse di Rodriguez?”
L’altro rimase impassibile, tuttavia a Donovan parve di cogliere nel suo tono una vaga ombra di critica quando rispose: “Ho finito l’altro ieri, signore. Le ho già mandato il rapporto via mail.”

Ha fatto presto,” rispose l’imprenditore, che aveva visto la comunicazione ma colpevolmente non l’aveva nemmeno aperta.
L’uomo spiegò: “Ho lavorato anche di notte.”
Capisco.” Dopo qualche secondo di silenzio, Donovan si sentì in dovere di chiarire: “Non sarebbe obbligato a farlo, signor Austin, anche perché non credo che la ditta al momento sia in grado di pagarle gli straordinari.”
Non mi interessano gli straordinari, signore. Mi interessa che il lavoro sia portato a termine in modo corretto e nel più breve tempo possibile.”
L’imprenditore non replicò. Si era chiesto spesso se quel misterioso individuo, assunto come contabile ma in pratica usato poi per qualsiasi compito richiedesse un bulldog in grado di azzannare un osso e non mollarlo più, fosse un autistico, un serial killer o semplicemente un workaholic[1] che pian piano si era fottuto la vita e la famiglia in favore del lavoro.
Lei è molto zelante,” si limitò a dirgli.
La constatazione lasciò l’altro impassibile. “Faccio solo il mio dovere, signor Donovan.”
Sotto lo sguardo immobile del suo collaboratore, l’imprenditore si trovò a sistemarsi per la seconda volta il nodo della cravatta. Infine gli chiese: “Lei è al corrente dei nostri investimenti sull’isola di St. John, signor Austin?”
Sì, signor Donovan.”
Sa anche che attualmente ci sta causando non pochi problemi?”
Sì.”
E come fa a saperlo?”
Laconica e vagamente sibillina, giunse la risposta: “Preferisco tenermi informato su ogni investimento della ditta.”
L’imprenditore rievocò fugacemente l’insegna gialla e rossa dell’ultimo all you can eat che aveva avviato e si chiese se Austin sapesse anche che aveva scelto gli ideogrammi per decorarla a caso, copiandoli da una confezione di biscotti della fortuna. “Beh, allora si sarà reso conto che niente sta andando per il suo verso, con quella maledetta tenuta,” brontolò.
L’ho notato, signor Donovan.” All’imprenditore parve di cogliere di nuovo una vaga eco del velato tono di critica di poco prima, come a dire: se lei mi avesse interpellato prima, non saremmo arrivati a questo punto.
Perfetto,” rispose l’altro, “ora le dirò qualcosa che forse non sa ancora, signor Austin: il rifiuto da parte di tre diverse imprese di occuparsi dei lavori di consolidamento della tenuta non ha avuto in nessuno dei casi motivazioni razionali. L’ultimo, Borowicz, si è addirittura sbilanciato a tirare in ballo fenomeni soprannaturali, come fantasmi o cose del genere. Lei che ne pensa?”
Che tali manifestazioni vengono invariabilmente spiegate con facilità da un buon illusionista. A tutt’oggi, non esistono cosiddetti fenomeni paranormali di cui vi sia evidenza scientifica.” Fece una breve pausa, quindi soggiunse: “Ammettendo che non le abbia consapevolmente mentito, ritengo che il signor Borowicz abbia interpretato come manifestazioni soprannaturali atti in realtà compiuti da sabotatori.”
Non avrebbe avuto motivi per mentirmi, inoltre non mi è sembrato un tipo particolarmente credulone,” obiettò Donovan. “Mi ha parlato di incidenti inspiegabili.” Tirò fuori di tasca il telefonino, quindi lo girò col display verso Austin e aggiunse: “Mi ha mandato questo.”
Si trattava di una fotografia che mostrava un muro coperto di segni dal pavimento all’alto soffitto. Le linee sembravano essere state tracciate con uno strumento acuminato e pesante, e in alcuni punti erano giunte così in profondità da arrivare ai mattoni e incidere anche quelli. Il color ruggine vivo della terracotta scheggiata spiccava come sangue nel fondo di quei solchi.
Austin si piegò appena in avanti per osservare meglio l’immagine, poi chiese: “Questo sarebbe il risultato dell’attività soprannaturale?”
Borowicz mi ha detto che la sera prima avevano appena finito di intonacarlo e il mattino dopo hanno trovato questo. Nessuno è entrato nella stanza.”
Potremmo più correttamente dire che non hanno visto nessuno entrare, signor Donovan.”
L’altro si raddrizzò sulla sedia e fece nuovamente scivolare in tasca il telefonino. Fissò il suo collaboratore, che al solito gli rimandò uno sguardo perfettamente neutro. “Nemmeno io credo ai fantasmi,” affermò poi irrigidendo la schiena, “o perlomeno credo che una banca in vena di riscuotere i crediti sia molto più pericolosa. Voglio che lei vada laggiù e scopra chi è che ci sta mettendo i bastoni fra le ruote.”
Austin accolse la notizia con la compostezza di un monaco zen. “Va bene, signor Donovan. Quando devo partire?”
Prima possibile. Prenda con sé chi vuole e vada laggiù a vedere cosa sta succedendo. La Donovan Enterprises sta rischiando il fallimento per colpa di quella maledetta tenuta.”

§

Austin scese dall’aliscafo e si guardò intorno: il molo al quale il natante aveva attraccato conduceva a un piccolo spiazzo circondato da file di bancarelle. Dal fatto che fossero vuote e coperte perlopiù da teli di plastica trasparente, egli dedusse che per quel giorno non era in programma l’arrivo di navi da crociera. Qualche indigeno sostava al limite della spianata con cartelli su cui erano scritti nomi in varie lingue, altri esibivano dépliant di alberghi o proponevano escursioni di ogni genere.
Un venditore di souvenir si aggirava tra i turisti proponendo collane di fiori come alle Hawaii, cappelli di paglia dalla tesa sfrangiata o fenicotteri rosa gonfiabili.
L’uomo oltrepassò la piccola folla e rifiutò con un cenno l’offerta di un taxi, quindi trasse di tasca una mappa della cittadina e la studiò per qualche secondo, incurante del sole a picco. Successivamente prese il voucher di un autonoleggio, individuò sulla cartina la sua posizione, rialzò la testa e fece scorrere lo sguardo sui palazzi che lo circondavano fino a che non ne ebbe localizzato l’insegna. A quel punto, rimise via le carte, si sistemò meglio il Panama bianco, si accertò che i revers della giacca di lino chiaro fossero a posto e si mosse in quella direzione.
L’ufficio era grande a sufficienza per ospitare una scrivania, uno schedario e un paio di sedie. Alle pareti vi era qualche pubblicità che mostrava le auto della compagnia nei luoghi più suggestivi della terra. Un condizionatore cigolante cercava di contrastare la calura esterna.
L’apertura della porta azionò un campanello. A quel suono, una tenda che si trovava dietro la scrivania si scostò e una ragazza vestita con una divisa gialla e nera gli si fece incontro. Prima che la tenda si richiudesse, Austin fece in tempo a vedere un tavolino con sopra una macchina del caffè.
Buon giorno,” lo salutò l’impiegata, “sono Liza, cosa posso fare per lei?”
Austin salutò a sua volta, quindi le porse il voucher.
La ragazza digitò qualcosa sul computer, quindi disse: “Vedo che ha noleggiato un’auto per due settimane. Intende visitare l’isola?”
Mi piace essere autonomo negli spostamenti.”
Andrà in spiaggia?”
Non penso ne avrò il tempo. Sono qui per svolgere alcune ricerche.”
Liza sollevò le sopracciglia e disse: “Oh, capisco.”
Austin non rispose. Era evidente che la sua interlocutrice avrebbe voluto sapere di più, ma il suo contegno riservato la intimidiva. “Posso avere l’auto?” le chiese.
Oh, ma certo! Certamente, mi scusi.” Ella aprì un cassetto e ne trasse un mazzo di chiavi, poi gli fece cenno di seguirla. Gli mostrò la macchina, gli aprì il bagagliaio in modo che lui potesse sistemarci dentro il suo trolley poi, mentre Austin stava per sedersi al posto di guida, raccolse il coraggio a due mani e gli chiese: “Si occupa di natura?”
Egli si voltò a fissarla. “Prego?”
Ecco… di solito qui arrivano solo turisti, non capita spesso che venga un ricercatore, quindi pensavo che volesse studiare il nostro parco nazionale.”
Allacciandosi la cintura di sicurezza, Austin rispose: “No, svolgerò delle ricerche a Christineberg.”
Il volto di Liza sembrò di colpo illuminarsi. “Allora lei è un esperto di soprannaturale?” gli chiese. “È venuto per studiare il fantasma?”
L’uomo mise in moto. “I fantasmi non esistono, signorina. E ora, se vuole scusarmi...” Innestò la retromarcia.
Stia attento!” gli gridò dietro Liza, guardandolo allontanarsi quasi con nostalgia.

Austin oltrepassò il cartello che indicava l’inizio del parco nazionale. Aveva impostato il tragitto sul navigatore satellitare e l’apparecchio gli dava un quattordici minuti e ventisette secondi all’obiettivo.
Osservò il paesaggio: abbandonata la costa, la macchina correva lungo una strada che serpeggiava in salita, costeggiata da muri compatti di banani, manghi, frangipani e piante di ibisco coperte di fiori scarlatti. Di tanto in tanto la vegetazione si interrompeva e si intravedevano sontuose ville, perlopiù in posizione panoramica e corredate di piscine.
Incrociò un cartello storto, piuttosto danneggiato dalle intemperie, che diceva: Museo della Schiavitù Christineberg, dieci miglia.
Controllò di non avere nessuno dietro, si fermò, innestò la retromarcia e si portò di nuovo accanto al cartello: aveva letto bene, c’era proprio scritto Museo della Schiavitù. In alto, al centro, c’era una specie di stemma nel quale si vedeva un braccio con una catena spezzata al polso, e sotto l’immagine la dicitura: Associazione Culturale Radici di St. John.
Col cellulare scattò una foto al consunto avviso, quindi si rimise in marcia.
Poco dopo notò che l’asfalto sembrava essersi fatto meno liscio, mentre sul manto stradale comparivano qua e là sassolini e foglie. Di nuovo si guardò intorno e notò che anche gli scorci sulle ville si erano fatti più rari. Ne vide una in lontananza, ma gli parve che avesse tutte le finestre chiuse e la piscina coperta da un telo di plastica.
Vide un altro cartello, stavolta così rovinato che ne riconobbe il tema solo grazie ai colori sbiaditi e allo stemma. Una scritta quasi cancellata dalla salsedine diceva: Museo della Schiavitù, mezzo miglio.
Raggiunse finalmente il cancello di Christineberg. Scese dalla macchina, lo spalancò e ai suoi occhi si offrì la stessa immagine che il signor Donovan gli aveva mostrato: uno spiazzo lastricato con una fontana al centro, la villa padronale, gli edifici ai lati, la vegetazione lussureggiante.
Considerò fra sé e sé che quando un cane randagio ha la fortuna di trovare nei rifiuti un osso con attaccate due libbre di carne, deve per prima cosa guardarsi dagli altri cani che glielo vogliono portare via.
Fuori di metafora, gli parve logico che Donovan, una volta acquisita una tenuta del genere, dovesse per prima cosa difendersi da chi avrebbe cercato di soffiargliela.
Parcheggiò la macchina, richiuse il cancello ed entrò nella villa. Si guardò intorno: penombra, non un rumore, odore di chiuso e fiori appassiti. La temperatura era fresca, addirittura fredda rispetto all’esterno.
Attraversò l’atrio, raggiunse l’uscita posteriore e con qualche fatica a causa dei catenacci arrugginiti la aprì. Si trovò su un secondo spiazzo lastricato circondato da costruzioni. Sulla base della planimetria che aveva consultato, riconobbe le stalle, il forno e la distilleria. Notò da una parte un mucchio di detriti: esso era composto principalmente da calcinacci, ma vi si notavano anche rifiuti di altro genere, fra i quali estrasse cartelli sbiaditi che avevano gli stessi colori di quelli che aveva trovato lungo la strada per la tenuta.
La prima tavola recitava: ‘Laboratorio’. Un testo esplicativo menzionava esperimenti condotti su cavie umane scelte tra gli schiavi. Vi erano alcune immagini, delle quali però ormai non si vedeva più nulla.
Austin lo lasciò cadere e ne raccolse un altro: ‘Fruste e Catene’. Secondo la didascalia, gli schiavi disobbedienti – si specificava che anche non salutare nel modo corretto la padrona della tenuta era considerata una disobbedienza – venivano in quel luogo sottoposti a terribili sevizie. Anche lì c’erano fotografie sgranate ormai ridotte a vaghe macchie di grigio e nero.
Il terzo cartello diceva: ‘Prigione’. Un quarto era un pannello esplicativo sull’attività della piantagione, nel quale veniva principalmente descritta la vita degli schiavi. Austin lesse con attenzione, aggrottando appena le sopracciglia quando incontrava parole che le intemperie avevano reso incomprensibili.
Alla fine abbandonò anche quel cartello e si diresse verso la distilleria. Nella porta erano stati praticati due fori e tra essi era stata passata una catena chiusa da un lucchetto. Nel mazzo di chiavi che il signor Donovan gli aveva consegnato, Austin trovò quella che lo apriva.
Spinse poi l’anta, che cedette cigolando, e diede un’occhiata all’ambiente: apparecchi per la spremitura della canna da zucchero, vasche per far fermentare il succo. Contro la parete, in una rientranza costruita apposta, torreggiava un alto distillatore a colonna annerito dagli anni. Non c’erano arredi, a parte le vestigia di quelli che Austin identificò come allestimenti del museo. In un angolo notò un manichino impolverato che rappresentava un nero vestito di stracci e con le catene ai piedi.
Attaccato al muro c’era un pannello che descriveva le fasi della produzione del rum. La procedura in sé era ridotta all’osso, mentre vi erano particolareggiate descrizioni del lavoro che veniva imposto agli schiavi, con specifica attenzione alle punizioni che attendevano chi tentava di ribellarsi.
Tutti gli edifici erano strutturati allo stesso modo: vi erano resti di arredi museali che riproducevano aspetti della vita quotidiana della tenuta, ma soprattutto gli allestimenti vertevano su come venivano trattati gli schiavi.
Austin tornò in cortile. Trasse di tasca un portasigari in cuoio chiaro, prese un Virginia Superior, tirò via il filo di sparto che lo attraversava e poi se lo accese. Per un po’ rimase seduto all’ombra esalando lente boccate di fumo e facendo frattanto vagare lo sguardo su quel mirabile esempio di architettura coloniale di fine settecento.
Attirò la sua attenzione una specie di gazebo un po’ discosto dalle altre costruzioni della proprietà, sicuramente posteriore rispetto al resto degli edifici, situato al limite della vegetazione ad alto fusto e ormai quasi completamente coperto di rampicanti.
La struttura – qualcosa a metà fra un luogo di svago e un edificio sacro – lo incuriosì a tal punto che abbandonò il suo sedile e vi si diresse.
Raggiunse così una piccola struttura ottagonale, al centro della quale si trovava una tomba. Sulla parete opposta alla porta vi era un altare, gli altri muri erano alti poco più di un metro, tanto che il tetto si reggeva solo su esili colonne.
Si chinò sulla lapide: Ingeborg Barrow nata Olafsson, 1752 – 1847.
Per terra c’erano i resti di un allestimento fotografico. Austin si chinò a osservarli incuriosito, perché a parte gli effetti delle intemperie, sembrava che qualcuno avesse tentato di appiccarvi il fuoco, o di distruggere i pannelli graffiandoli con qualcosa di acuminato. Su una delle poche tavole non del tutto rovinate si poteva ancora leggere: ‘Ingeborg Barrow, la crudele padrona di Christineberg’.
Cercò un altro po’ fra le tavole, ma a parte il logo dell’associazione storica non riuscì a distinguere altro.
In quel momento, si udì uno squillo. Austin estrasse dalla tasca il cellulare e controllò il display: Donovan.
Pronto?” disse.
A che punto siamo?”
Sto ultimando il sopralluogo, signor Donovan.”
Ha trovato qualcosa?”
Niente di rilevante, per ora.”
Ci fu una pausa, poi Donovan in tono cupo disse: “È inutile che le faccia presente che non abbiamo molto tempo, vero?”
La voce di Austin non variò minimamente di tono. “Ne sono consapevole.”
So che lei è un tipo meticoloso, ma non stia a controllare anche le virgole. Basta che scopra chi è che ci sta mettendo i bastoni fra le ruote, al resto penserò io.”
Potrebbe non essere così semplice, signor Donovan,” lo avvertì Austin. “In ogni caso, domani andrò a parlare con l'avvocato Keynes.”
Secondo lei c'è qualcuno nascosto nella proprietà? Io mi gioco le palle che c'è della gente imbucata da qualche parte, che salta fuori di notte per fare danni e gli imbecilli li scambiano per fantasmi.”
Austin annuì. “È anche la mia teoria, signor Donovan, tanto più che stando a quel che ho sentito pare ci siano veramente credenze del genere su questa villa.”
Beh, ma di certo non possono fregare lei, con dei trucchi così stupidi, non è vero?” La voce aveva un tono vagamente speranzoso.
Farò delle indagini,” rispose Austin laconico, quindi aggiunse: “E ora, se vuole scusarmi...”
Si scambiarono qualche formale saluto, quindi l'uomo chiuse la comunicazione e ripose il cellulare. Tornò al sigaro e ne aspirò una lenta boccata, quindi alzò gli occhi al cielo, constatando che il sole era ormai vicino all'orizzonte.
Si voltò di nuovo verso la villa, la cui ombra lunga dilagava sul cortile, e gli parve di notare un movimento in una delle finestre del piano superiore.
Puntò lo sguardo in quella direzione, ma notò solo una tenda che ondeggiava nella brezza serale.
Alzò le spalle ed entrò nell'edificio ormai immerso nella penombra. Fece scorrere la mano lungo la parete finché non trovò un interruttore e lo fece scattare, accendendo un'applique di vetro opalino. Chiuse poi con cura la porta dietro di sé e tirò tutti i catenacci.
Girò un po' per l'edificio, accertandosi che tutte le porte e le finestre fossero debitamente sbarrate.
Osservò quello che c'era nelle varie stanze. Sotto i teli bianchi che coprivano ogni cosa, l'arredamento aveva un aspetto addirittura opulento, ma a ben guardare era più vistoso che pregiato. Alcuni mobili gli parvero posteriori al periodo della villa, ed egli pensò che fossero stati portati lì in seguito, sempre per necessità di allestimento museale: dappertutto infatti c'erano pannelli esplicativi che descrivevano la vita dissoluta e spendacciona dei padroni di Christineberg.
Al piano di sopra, una passatoia di cocco suggeriva il percorso di un'ipotetica visita. Austin si affacciò su varie camere, trovandole tutte vuote, con le finestre sbarrate e i mobili coperti da teli bianchi. La polvere sul pavimento faceva capire che nessuno ci entrava da anni.
Individuò la stanza dalla finestra aperta solo perché nel buio dell'ambiente essa risaltava come un rettangolo leggermente più chiaro.
Accese la luce per andare a chiuderla e le sopracciglia gli si sollevarono per lo stupore: una delle pareti era completamente deturpata. I segni erano simili a quelli della foto che il signor Donovan gli aveva mostrato e sembravano sgraffi rabbiosi, come di qualcuno in preda all'ira e bisognoso di sfogarsi. Istintivamente si guardò intorno alla ricerca di qualche indizio di presenza umana, ma a una seconda occhiata si accorse che il velo di polvere che copriva il pavimento era perfettamente intatto: quei segni dovevano essere lì da chissà quanto.
Li fotografò comunque col cellulare, quindi andò a chiudere la finestra.

§

Austin passò il resto della sera a togliere le cicche e le lattine che gli uomini del signor Borowicz avevano lasciato nella stanza da letto. Successivamente consumò la cena che si era portato dietro, stese il sacco a pelo e andò a dormire.
Riaprì gli occhi alle prime luci dell'alba e si guardò intorno. A parte l'impressione che qualcuno avesse ogni tanto cantato da qualche parte – impressione che invariabilmente non aveva mai trovato conferma a un ascolto più accurato – la notte era trascorsa sostanzialmente tranquilla.
L'uomo si alzò e per prima cosa andò in bagno, dove si lavò e si rase accuratamente. Quando uscì, la sua attenzione venne attirata da una strana corrente d'aria.
Egli subito aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno per individuarne la provenienza. Fu a quel punto che udì una finestra sbattere al piano superiore.
Vi si diresse rapidamente e quando fu in cima alle scale si accorse che la finestra era la stessa che aveva chiuso la sera prima. In quel momento era aperta e la brezza faceva volare le tendine e sbattere le ante contro la parete.
Austin rimase per qualche istante fermo sulla soglia a osservarla. Di due cose era sicuro: che la sera prima l'aveva chiusa accuratamente e che il meccanismo di chiusura non aveva difetti, dal momento che l'aveva controllato.
D'istinto si voltò verso la parete coperta di segni e gli parve che essi fossero aumentati. Tornò a fissare la finestra, calcolò mentalmente la distanza fra la suddetta e il muro deturpato. Possibile che qualcuno l'avesse aperta da fuori, vi avesse appoggiato contro una scala e da lì, magari con qualche strumento montato su una prolunga, avesse scrostato l'intonaco?
Si avvicinò, guardò giù. Sotto c'era il lastricato, quindi una scala non avrebbe lasciato tracce, e che una finestra potesse essere aperta anche dall'esterno non era certo una novità: chiunque avesse subito un furto nel proprio appartamento era in grado di confermarlo.
La richiuse e tornò giù, solo per rendersi conto che a quel punto anche la porta d'ingresso era spalancata.
Istintivamente si guardò intorno. Quando era salito al piano di sopra, la porta era chiusa, il che significava che era stata aperta mentre lui era su. L'azione poteva essere stata compiuta solo da qualcuno che si trovava già nella villa, dal momento che i catenacci non si potevano azionare da fuori, o perlomeno non così rapidamente e senza alcun rumore.
Ad ogni buon conto si affacciò all'esterno, ma vide solo lo spiazzo lastricato circondato dal verde e ancora immerso nella vaga caligine dell'alba. Pensando a un ladro corse verso il luogo dove aveva dormito, solo per trovare i suoi effetti personali esattamente come li aveva lasciati.
Fece qualche passo meditabondo. Nella villa c'era qualcuno oltre a lui, questo ormai era chiaro, ma chi? Dove? Di nuovo si guardò intorno, ma la vecchia magione silenziosa e buia sembrava più disabitata che mai.

Lo studio dell'avvocato Keynes si trovava all'ultimo piano di una massiccia costruzione che originariamente doveva essere stata un magazzino di merci esotiche. A piano terra c'erano i soliti negozi di souvenir che vendevano rum, spezie e cianfrusaglie pseudo-artigianali, ma dal primo piano in poi cominciavano gli uffici.
Dopo alcune rampe di scale, Austin entrò in uno studio arredato con mobili in stile coloniale, probabilmente provenienti proprio dal magazzino dei piani sottostanti. Su uno degli schedari, di legno scuro e con maniglie d'ottone lucidato, c'erano ancora i nomi di antiche mercanzie. La scrivania era in stile nautico e aveva su tre lati un bordo leggermente rialzato per evitare che in caso di burrasca gli oggetti che vi erano posati sopra rotolassero a terra.
Al quarto lato sedeva un uomo che Austin giudicò suo coetaneo, biondo e abbronzato. Portava una leggera sahariana con i primi due bottoni slacciati e nel triangolo di pelle che l’indumento lasciava scoperto si intravedeva un tatuaggio polinesiano. Gli parve un tipo più portato alla vita di spiaggia che alle cause.
Lei dev’essere l’uomo di Donovan,” lo accolse questi.
L’avvocato Keynes?” chiese Austin per tutta risposta.
In persona. Cosa la porta da queste parti?” Indicò una delle sedie che si trovavano davanti alla scrivania e aggiunse: “Si accomodi.”
L’altro si sedette, trasse dalla valigetta che aveva con sé alcuni documenti e li postò sul piano del mobile, poi disse: “Sembra ci siano problemi con la proprietà di cui lei ha curato la vendita.”
Keynes aggrottò le sopracciglia con l’aria di essere sorpreso dalla notizia, ma Austin ebbe l’impressione che la cosa non lo cogliesse del tutto alla sprovvista.
Che genere di problemi?” chiese comunque l’avvocato. “Tasse impreviste? Acquirenti con diritto di prelazione che non erano stati interpellati?”
Austin lo fissò gelido e replicò: “Questo dovrebbe dirmelo lei, visto che il signor Donovan si è affidato a lei per le questioni burocratiche relative alla compravendita.” Tacque per qualche secondo, quindi soggiunse: “Ma non è questo che mi interessa al momento. Ho bisogno di sapere se c’erano altre parti interessate all’immobile.”
Keynes scosse la testa. “No, nessuno. Quel posto è...” Si interruppe. “È una proprietà impegnativa, non facile da piazzare,” concluse poi. Tossicchiò e distolse lo sguardo da quello di Austin.
A quel prezzo?”
È una proprietà impegnativa,” ripeté Keynes.
Perché sarebbe impegnativa?”
Beh… molti edifici, terreno, una villa antica…”
E che altro?” lo interruppe Austin.
Keynes parve quasi sussultare. “Altro?” replicò in tono tagliente. “Che altro ci dovrebbe essere?”
Qualcosa c’è, avvocato. Ci sono segni inequivocabili della presenza di estranei all'interno della proprietà”
Che intende dire?”
Che c’è qualcuno che ci si nasconde dentro o ci entra di notte. Io stesso ho visto tracce del passaggio di qualcuno non più tardi di questa mattina.”
Sarebbe a dire?”
Ho trovato aperte porte e finestre che avevo sbarrato, tanto per fare un esempio.”
L’avvocato prese a giocherellare nervosamente con una penna. “Non saprei,” disse poi, sempre evitando il suo sguardo. “Forse è il caso che si rivolga alla polizia, se ha sospetti di questo genere.”
Lei lo ritiene plausibile?”
Keynes alzò le spalle. “Non lo so. In fin dei conti è rimasta vuota per tanto tempo, può darsi benissimo che qualche spiantato ci sia andato ad abitare dentro, no?”
Qualche concorrente del signor Donovan che voglia convincerlo a disfarsi della proprietà a un prezzo ancora minore?”
Lo escludo,” rispose subito l’avvocato.
Austin annuì grave, di nuovo con l’impressione che il suo interlocutore gli avesse detto solo la metà di quello che sapeva. Raddrizzò il pacco di documenti che aveva posato sulla scrivania in modo che fosse perfettamente parallelo al bordo, quindi chiese: “A chi apparteneva la proprietà?”
Ha avuto varie vicissitudini,” fu la risposta. “Fu costruita dai danesi nella seconda metà del settecento, poi fu acquistata da Robert Barrow, un inglese, e sua moglie Ingeborg, che invece era una danese. Alla morte dell’uomo rimase di proprietà della vedova.”
E poi?”
L’avvocato si strinse nelle spalle e rispose: “Passò agli schiavi, ma queste cose le sanno molto meglio i curatori dell’associazione storica, che alla fine sono stati gli ultimi proprietari prima del signor Donovan. Dovrebbe chiedere a loro.”
Quelli del Museo della Schiavitù?”
Esattamente.”
Può dirmi qualcosa di questo museo?”
L’avvocato lo fissò perplesso. “perché lo chiede a me? Sono stati loro a organizzarlo, chi le può dare informazioni meglio di loro?”
Austin fece un lieve sorriso e rispose: “Conosce il detto, no? Non chiedere a un oste se il suo vino è buono.”
I due rimasero a fissarsi in silenzio per qualche secondo, infine l’avvocato disse: “Pare che questa signora Barrow non fosse esattamente uno stinco di santo, ecco. Pare che ne abbia fatte passare così tante a quei poveretti dei suoi schiavi che alla fine ci fu una rivolta e la cacciarono via.”
Di nuovo seguì qualche secondo di silenzio.
Questo è tutto,” disse Keynes e fissò Austin con l’aria di aspettarsi che questi si alzasse e prendesse commiato.
A prescindere dalle faccende degli schiavi,” disse invece l’altro imperterrito, “le pare logico che una tenuta del valore di milioni sia stata smerciata per poche centinaia di migliaia di dollari?”
Beh, non è certo una cifra piccola,” borbottò l'avvocato.
Ma è un decimo del suo reale valore.”
Sì, lo sarebbe, ma...” Keynes si interruppe.
Ma, cosa?”
Sono più di cinque anni che è invenduta. Capirà che il prezzo è andato man mano calando.”
Qualcuno a parte il signor Donovan la voleva?”
L'altro scosse la testa.
Di nuovo, Austin annuì come per prendere atto della cosa, poi chiese: “Quindi lei come spiega che tre imprese edili, una delle quali fatta venire appositamente da Miami, hanno rifiutato di proseguire i lavori nella villa?”
L'avvocato alzò le spalle con fare noncurante. “Non lo so. Forse non erano pagati abbastanza?”
Erano pagati il doppio della tariffa normale, perché il signor Donovan aveva bisogno che il lavoro fosse portato a termine nel più breve tempo possibile. Nielsen e Franklin, immagino li conoscerà, si sono ritirati, il primo dopo tre giorni e il secondo senza nemmeno effettuare un sopralluogo. Un tale Borowicz, titolare di un'impresa di Miami, è rimasto sul posto meno di una settimana e poi se n'è andato, dopo aver riferito incidenti e vandalismi di ogni genere.” Fece una pausa, poi in tono duro concluse: “Qui c'è qualcuno che sta consapevolmente sabotando l'attività del signor Donovan.”
L'espressione di Keynes si fece dura. Con voce tagliente rispose: “Allora le ripeto che forse farebbe meglio a rivolgersi alla polizia.”
Sullo stesso tono, Austin ribatté: “Lo farò senz'altro, avvocato. Speravo che lei avrebbe potuto darmi qualche indizio, ma evidentemente mi sbagliavo.”

La sede dell’Associazione Culturale Radici di St. John era situata un po’ fuori dal centro abitato. Si trattava di un edificio a un solo piano, in stile moderno, composto da blocchi quadrangolari disposti all’interno di un ampio giardino e collegati fra loro da corridoi con le pareti di vetro.
Austin si fermò appena fuori dalla recinzione e per un po’ rimase a guardare la struttura. Davanti all’ingresso c’era un bassorilievo che rappresentava degli schiavi africani incatenati, eretti e colmi di dignità nonostante i ceppi. Dietro di loro procedeva un individuo dall’aria spregevole, obeso e curvo, in abiti europei e armato di frusta.
Attraverso la porta a vetri si vedeva un atrio con un banco tipo reception, dietro il quale una ragazza di colore stava parlando al telefono. Al centro della stanza c’era un monumento che rappresentava una donna con le braccia levate in alto in segno di trionfo e catene spezzate che le pendevano dai polsi.
Austin entrò. Senza smettere si telefonare, la ragazza gli rivolse uno sguardo di scarsa simpatia, poi gli girò le spalle e continuò a parlare con il suo interlocutore.
Solo quando ebbe chiuso la comunicazione, ovvero qualche minuto dopo, si girò di nuovo verso di lui e squadrandolo con diffidenza gli chiese: “Desidera?”
Buon giorno, signorina,” le rispose lui, ostentando le maniere di un gentiluomo d’altri tempi, “sto cercando informazioni sulla tenuta di Christineberg.”
Lo sguardo della ragazza, già in partenza diffidente, si fece addirittura ostile. “Perché viene a cercarle proprio qui?” lo apostrofò con malagrazia.
Austin sollevò le sopracciglia. “Non siete un’associazione storica?” replicò.
La faccio parlare con la nostra direttrice, la signora Boyer,” tagliò corto la ragazza, sollevando di nuovo la cornetta e componendo un numero interno.
Grazie, signorina. Molto gentile.”

La signora Boyer arrivò poco dopo. Si trattava di una donna sulla cinquantina con una complicata acconciatura di treccine. Era talmente magra che ad Austin ricordò vagamente la mummia di Tutankhamen e portava un largo abito africano dai colori sgargianti.
Buon giorno,” lo salutò squadrandolo sospettosa, “sono Imani Boyer. Cosa posso fare per lei?”
Mi chiamo Roderick Austin, lavoro per la Donovan Enterprises. Come ho detto alla sua collaboratrice, mi servono informazioni su Christineberg.”
La donna strinse gli occhi e due rughe verticali le comparvero alla radice del naso. “Non si può certo definire una bella pagina della nostra storia,” proferì, quasi in tono di vago rimprovero.
Austin si limitò a fissarla con sguardo neutro. “Che intende dire?” le chiese.
La donna assunse un'espressione decisamente scontenta. “Intendo dire che Christineberg era una specie di Terzo Reich in miniatura, se capisce cosa intendo.”
Lo sguardo di Austin rimase neutro. “Veramente no,” fu la risposta.
Venga nel mio studio,” disse allora la signora Boyle. Attraversarono nel tragitto una sala ricreativa disseminata di divani e pouf sui quali uomini e donne, tutti di colore, leggevano o conversavano fra loro a bassa voce. Al loro passaggio, una ragazza alzò la testa, squadrò Austin con aria schifata, poi si rivolse all'amica e in tono sufficientemente alto da essere udita anche da lui disse: “Apri la finestra, c'è puzza di gallina bagnata.”
L'uomo fece finta di niente.
Raggiunsero un ufficio arredato con mobili provenienti da artigianato equo e solidale, quindi la signora Boyle disse: “Poiché sembra non capire il concetto di Terzo Reich in miniatura, vedrò di essere più chiara: parliamo di eugenetica, tanto per cominciare.”
Austin trasse di tasca un taccuino e una penna, segnò la parola, quindi chiese: “Ovvero?”
Non sa cos'è l'eugenetica?”
No, non so in che modo venisse praticata nella piantagione.”
La donna aggrottò di nuovo le sopracciglia, quindi in tono tagliente rispose: “I coniugi Barrow, e successivamente la vedova, quando il signor Barrow morì, obbligavano schiavi con determinate caratteristiche fisiche ad accoppiarsi fra di loro.” Sogguardò Austin scrutandone le reazioni, ma l'uomo rimase impassibile.
Inoltre facevano esperimenti sugli esseri umani,” proseguì allora la donna, “abbiamo trovato il laboratorio con dentro tutti gli strumenti medici.” Fece una pausa, quindi in tono sinistro proclamò: “Quei ferri orribili grondano del sangue delle mie sorelle e dei miei fratelli.”
Nel silenzio che seguì si udì solo la punta della penna di Austin che scorreva sul foglio. “Altro?” chiese poi l'uomo, con l'aria del droghiere che interpella la massaia.
I turni di lavoro massacranti potrebbero interessarle?” replicò la donna in tono sarcastico. “Le frustate, le privazioni, i polsi e le caviglie costantemente piagati dalle catene, le orge organizzate per gli altri proprietari terrieri della zona con le ragazze più belle?”
La penna continuava a scorrere sul foglio.
Quando gli schiavi non potevano più lavorare, venivano uccisi e dati in pasto ai maiali. I tentativi di fuga erano puniti con mutilazioni spaventose, le donne erano obbligate a sfinirsi di gravidanze, con l’atroce consapevolezza che i loro figli avrebbero avuto davanti quella vita terribile.” La signora Boyle fece una pausa, quindi in tono velenoso sibilò: “Ecco quello che la sua razza ha fatto alla mia.”
Austin smise di scrivere, alzò lo sguardo dal taccuino e senza modificare la sua espressione disse: “Signora, le più recenti teorie scientifiche negano l'esistenza delle razze.”
La donna strinse le labbra, quindi gli girò le spalle e da una pila di libri tutti uguali ne sfilò uno. “Preda questo,” gli disse porgendoglielo, “si faccia un'idea.”
Austin lo osservò. Il titolo era: 'Gli orrori di Christineberg'. Lo sfogliò brevemente e chiese: “Che fine ha fatto la signora Barrow?”
Ci fu una rivolta. Gli schiavi finalmente riuscirono a cacciarla via e ad appropriarsi di ciò che spettava loro di diritto.”
La donna fu uccisa?”
La signora Boyle gli rivolse un’occhiata di sdegno. “No di certo. A differenza di quella specie di deviata, gli schiavi avevano un cuore. Le permisero di andarsene.”
E allora perché a Christineberg c’è la sua tomba?”
Alla domanda seguirono non meno di cinque secondi di silenzio. Infine, la donna rispose: “Non lo so perché ci sia la tomba. Forse il governo dei bianchi ha voluto lasciare un monumento funebre in suo onore, per rinsaldare il proprio potere sui neri.”
In quanto proprietari della tenuta, non avete mai pensato di farla rimuovere?”
Come le ho detto, noi abbiamo un cuore. Non profaniamo tombe.”
Non aveva detto che era solo un monumento?”
La donna strinse le labbra, diventando più che mai simile alla mummia di Tutankhamon, quindi in tono asciutto rispose: “Si legga il libro, ci troverà molte informazioni interessanti. Sono venticinque dollari.”
Austin trasse dalla tasca interna della giacca il portafogli, lo aprì rivelando banconote perfettamente allineate e ordinate per valore, tirò fuori due pezzi da dieci e uno da cinque, glieli porse e disse: “Vorrei la ricevuta, per favore.”
La signora Boyle scribacchiò qualcosa su un pezzo di carta e glielo porse. Austin rimase immobile. “Qualcosa che abbia valore legale, per favore.”
Mentre la donna compilava una regolare fattura, egli le chiese: “Perché il museo è stato chiuso e la proprietà venduta?”
Ella lo fissò torva e ribatté: “Come mai tutte queste domande? È un poliziotto, per caso?” Strappò il foglio con malagrazia, glielo porse e aggiunse: “E comunque, non sono cose che la riguardano.”
Mi riguardano eccome, visto che la proprietà è stata acquistata dalla società per cui lavoro e ci sono problemi.”
Per qualche secondo rimasero a fissarsi negli occhi, poi la signora Boyle disse: “Noi siamo un’associazione storica. Se vuole sapere qualcosa della storia di St. John, chieda quello che vuole. Diversamente, si presenti con un avvocato.”

Quando fu in macchina, Austin attivò il viva voce e fece partire una chiamata.
Il telefono squillò una volta sola, quindi dall’altra parte si udì: “A che punto siamo?”
Sto indagando, signor Donovan.”
Veda di sbrigarsi, io l’ho mandata laggiù per risolvere il problema. Le banche mi stanno addosso, non c’è più tempo.”
Me ne rendo conto, ma la situazione non è per niente chiara.”
La voce dell’imprenditore vibrò di apprensione. “Come sarebbe a dire che non è chiara? È saltata fuori un’ipoteca? Tasse non pagate?”
Niente del genere. Ma vede, abbiamo un duplice problema: c’è qualcosa che sia l’avvocato che i precedenti proprietari sanno ma non mi stanno dicendo, inoltre ci sono dei vandali che di notte girano per la proprietà. Devo capire se le due cose sono collegate.”
Lo sono sicuramente, Austin. Chiami la polizia e faccia arrestare i delinquenti che si permettono di entrare nella mia proprietà.”
Prima dovrei vederli, immagino.”
Come sarebbe a dire che dovrebbe vederli?”
Ieri notte li ho solo sentiti e ho trovato i risultati questa mattina. Si nascondono nella villa.”
La voce di Donovan si alzò di tono. “Nella villa? Li scovi immediatamente, voglio sapere chi sono e chi li manda!”
Va bene.”
Austin allungò la mano per chiudere la chiamata, ma Donovan disse: “Senta, e quella storia strana?” Il tono sembrava quasi imbarazzato.
Che storia, signore?”
Quella dei fenomeni paranormali. Lei cosa ne pensa?”
I fenomeni paranormali non esistono, signor Donovan.”









[1] Comportamento patologico di una persona troppo dedita al lavoro e che per esso pone in secondo piano la sua vita sociale e familiare.


   
 
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