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Autore: VeganWanderingWolf    04/02/2019    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
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Capitolo 55

(Invisible scars)

 

Quando le porte del treno fermo nella stazione di Tairans si aprirono rispondendo al meccanismo automatico, Yuta scese gli scalini trascinandosi dietro un’ingombrante valigia, sulla schiena i suoi due cerchi con lama da combattimento debitamente avvolti come al solito in due grandi teli di spessa stoffa che impedivano alla vista di chiunque non sapesse esattamente di cosa si trattasse di vederli, e facendo vagamente somigliare l’involto ad uno specchio avvolto alla belle’e’meglio in modo che non rischiasse di rompersi.

Ferma in piedi sulla banchina, Yuta appoggiò la valigia a terra e si rialzò, guardandosi intorno senza fretta, con espressione contemplativa e distante. «Quanto tempo…» mormorò tenuemente tra sé e sé.

Fermatasi di fianco a lei dopo essere a sua volta scesa dal treno, Andrea alzò lo sguardo sul suo viso, avendo a malapena distinto le parole tra il rumoreggiare della folla di passeggeri che salivano e scendevano sciamando loro intorno come un mare un poco agitato attorno ad una sorta di piccola isola.

«Devi avere molti ricordi qui…» disse piano Andrea, con tatto.

Yuta sorrise con gentile malinconia, come più che altro a se stessa o ai suoi ricordi, e infine scosse appena la testa, come riprendendosi, e si chinò tornando a raccogliere la propria valigia.

«Già. Ma non è il momento di farsi prendere da essi, giusto?» disse, con piglio più deciso, rivolgendo un sorriso ad Andrea. «Credo sia piuttosto il momento di andare a vedere che cosa diavolo hanno combinato quegli altri quaggiù.»

Andrea si limitò ad annuire, prima di incamminarsi con lei verso l’uscita della stazione, procedendo affiancate con un passo notevolmente determinato.

 

***

 

«Ti dispiacerebbe bussare, cara?» domandò gentilmente Yuta, mentre con uno sbuffo di fatica depositava di nuovo la sua valigia sul pianerottolo, per poi rialzarsi in piedi e piazzarsi le mani sulla schiena, riprendendo fiato.

Andrea si riscosse dalla sua osservazione dell’assolutamente comune aspetto dell’interno del piccolo condominio, che stava fissando senza posa come se stesse cercando di cogliere qualcosa di straordinario in esso che, tuttavia, sembrava mancare completamente, e annuì. «Certo…» rispose, prima di seguire con lo sguardo l’indice puntato con cui Yuta le stava indicando una delle due porte su quel pianerottolo, e avvicinarsi ad essa.

Bussò alla porta senza staccare gli occhi da essa, stringendo le labbra, avviluppata in un corposo turbinio di pensieri ed emozioni.

Pochi istanti dopo, la porta si spalancò con un energico svolazzo, e dietro di essa apparve Kumals, che la fissò per un momento completamente immobile e in silenzio, prima di sorridere luminosamente. «Oh, ben arrivata!» cinguettò amabilmente.

«Ciao, Kumals…» fu tutto ciò che riuscì a dire Andrea, con un che di irrigidito.

Kumals la studiò rapidamente da capo a piedi, e infine sorrise di nuovo, più sinceramente, e spalancò un poco le braccia. «Beh, è un po’ che non ci vediamo. Mi è concesso un abbraccio?» domandò, in tono scherzosamente imitante un che di quasi formale.

Un po’ più rilassata, Andrea riuscì a tirare fuori un piccolo sorriso e fece un passo avanti, abbracciandolo. Kumals le ricambiò l’abbraccio, poi, tenendola gentilmente per le spalle, si fece indietro e la guardò con un sorriso cortesemente affettuoso. «A proposito, bello questo nuovo colore di capelli.»

Andrea sorrise e annuì. «Grazie.»

«Se avete finito con i convenevoli… potremmo entrare?» intervenne Yuta, il tono piuttosto burbero.

Kumals alzò lo sguardo su di lei e spalancò di nuovo le braccia. «Yuta! Un abbraccio?» esclamò, con entusiasmo smaccato ed evidentemente scherzosamente esagerato.

«Sì, dopo, ora vuoi spostarti e farmi passare, per favore?» replicò Yuta, sbuffando e costringendolo di fatto a farsi in fretta da parte per evitare di essere travolto, mentre lei superava la soglia carica dei suoi bagagli. Andrea ne approfittò per seguirla prontamente dentro l’appartamento, nel quale riprese a guardarsi attentamente intorno con vivida curiosità, come se stesse cercando di registrarne ogni singolo particolare con accuratezza precisa.

Yuta depositò la valigia e si tolse l’involto dalle spalle facendogli seguire la stessa sorte sul pavimento, prima di guardarsi attorno a sua volta e schioccare appena la lingua significativamente.

Kumals le si affiancò e le diede un paio di leggere gomitatine nel fianco. «Quanti ricordi, eh?» chiese, con evocativa complicità.

Yuta corrugò appena la fronte e sorrise un poco, continuando a guardarsi intorno. «Ci sono cose che non cambiano mai. Come la vostra capacità di tenere un minimo di decente ordine e pulizia in questo posto.» osservò.

«Beh, ma siamo stati un po’ impegnati, ultimamente…» tentò di ribattere Kumals, sulla difensiva «E comunque, l’accoglienza di questo posto prescinde certamente dalle sue condizioni strettamente igieniche. È qualcosa che è racchiuso nel vero spirito di queste mura e…»

«Dov’è Danny?» chiese di punto in bianco Andrea.

Kumals si interruppe, e lui e Yuta si voltarono a guardarla.

«Oh, certo, non che io sia geloso di tante attenzioni, s’intende…» si riprese Kumals «Anche se forse, se avessi l’abitudine di trovare con tanta ammirevole costanza e testardaggine il modo di farmi del male, allora magari per qualche misterioso motivo potrei meritarmi un po’ più di genuina considerazione. E davvero, non che…»

Yuta roteò gli occhi e marciò con decisione verso la porta accostata della camera da letto, subito seguita dappresso da Andrea; Kumals rinunciò al suo discorso e le seguì prontamente, cambiando immediatamente registro. «Anche se non meno merito andrebbe riconosciuto a chi viene poi a raccogliere i cocci, bendare i feriti, accudirli amorevolmente senza far loro mancare nulla e…»

Yuta spalancò la porta e si dispose sulla soglia, le mani piantate con decisione sui fianchi.

Dopo un istante di silenzio, Danny esclamò dal letto un felice e sorpreso «Yuta!», mentre Ramo, seduto su una sedia lì accanto, le sorrise di affettuosa amicizia con un non meno sorpreso «Hey

«Danny! Per la miseria!» sorrise Yuta caldamente, dando l’idea di non essere in quel momento in grado come avrebbe voluto di riuscire a tirare fuori quella che sarebbe probabilmente risultata come una ramanzina.

 Quando il suo sguardo si spostò di nuovo su Ramo, questi iniziò subito a riportare in tono responsabile «Stavo giusto dicendo a Danny che dovrebbe pazientare almeno un altro giorno prima di alzarsi dal letto, dopodiché…»

La sua voce si affievolì e si spense quando Andrea si affacciò a sua volta sulla soglia.

Di colpo cadde un totale silenzio.

«Andrea…» mormorò infine Danny. Poi, dopo una lunga pausa, come se qualcosa lo avesse improvvisamente distratto dal suo cercare le parole adatte al momento, e dopo aver evidentemente deglutito, riuscì di nuovo a dire in tono impallidito «Hai… cambiato colore ai capelli.»

Kumals strinse le labbra e tentò di lanciare a Danny un’occhiata di sincero avvertimento, anche se probabilmente era troppo tardi, e soprattutto gli occhi di lui non sembravano essere disposti a staccarsi da Andrea. Yuta fece una sibilante inspirazione e trattenne il fiato.

E poi Andrea stava avanzando nella stanza ad ampi passi, salendo sul letto in ginocchio fermandosi di fianco a Danny, e gli stava tirando un schiaffo schioccante su una guancia.

Di nuovo cadde il silenzio.

Danny la stava ancora fissando, stavolta con sguardo decisamente spalancato.

E Andrea iniziò praticamente ad urlare con trasporto alterato «Tu sei quasi morto e tutto quello che ti viene in mente è che ho cambiato colore ai capelli?!?»

Danny sembrava ancora così perso nella sua contemplazione fra il frastornato, l’ammirato e il relativamente terrorizzato, da non riuscire nemmeno a boccheggiare senza suono come si deve.

Yuta sentì Kumals accanto a lei prendere fiato come per dire qualcosa, e repentinamente e scioltamente, con un che di perfettamente abituato, sporse il braccio di lato e gli premette una mano a tappargli la bocca, facendolo tossicchiare per la sorpresa e l’interruzione improvvisa di qualsiasi cosa stesse per dire.

«Ramo? Non dovevi parlarmi di…?» iniziò Yuta, e prima che riuscisse a proseguire Ramo stava già balzando in piedi come se la sedia fosse di punto in bianco diventata rovente, esclamando un fervente «Sì. Sì! Certamente!», e affrettandosi ad uscire dalla stanza con un trafelato e immediato tale trasporto da quasi travolgere sia lei che Kumals, i quali d’altro canto lo seguirono prontamente.

Yuta fece per chiudere la porta dietro di loro, quando Ramo si sporse di nuovo sulla soglia e, con notevole sforzo imbarazzato, disse con cautela «Hem… solo… viste le condizioni di ripresa, anche se tutto va bene, magari ci andrei un po’ piano con i pugni e magari cercando di non colpire proprio i punti che…»

Yuta lo prese gentilmente ma fermamente per un braccio, sospingendolo fuori dalla stanza, e chiuse la porta dietro di loro.

Danny e Andrea erano ancora immobili, come se non avessero affatto percepito che cosa stava accadendo loro intorno, fissandosi reciprocamente negli occhi.

Dopo un poco, Andrea disse con una calma quasi irreale «Sei un idiota, sai…?»

«Sì… credo… di sì.» ammise Danny, annuendo appena e tentando un vago accenno di sorriso. Vide gli occhi di lei inumidirsi un poco. «E… ti sta bene. Il nuovo colore. Non che con questo voglio affatto dire che quello di prima invece…» si affrettò ad aggiungere.

Andrea alzò di nuovo la mano e Danny socchiuse gli occhi in attesa di un altro schiaffo. Invece lei gli accarezzò la guancia colpita, osservandola per un momento distrattamente, come se stesse cercando di decidere quanto male potesse avergli veramente fatto.

«E… questo era il minimo sindacale…» gli mormorò ancora.

«Anche in questo caso… credo di sì.» disse piano Danny, riaprendo completamente gli occhi per guardarla. «E mi sei mancata moltissimo.» aggiunse in un sussurro limpidamente calmo e sincero.

Andrea tornò a fissarlo dritto negli occhi. «Tu lo sai che tutte queste non sono valide ragioni, vero?»

Danny annuì con aria tranquillamente aperta. «Sì. Non credo di averle, a dirla tutta… delle valide ragioni. Ma non è per questo che te lo sto dicendo… È perché è dannatamente vero.»

Andrea emise un sospiro quasi sbuffante. «Sei un dannato idiota, ecco che cosa è dannatamente vero.» ribatté, con calma sicurezza.

Danny annuì di nuovo un poco, distrattamente.

Dopo qualche altro istante di assoluta immobilità e scambio di sguardi, si mossero quasi all’unisono, e Andrea gli si gettò tra le braccia allacciandogli le sue al collo.

Danny inalò bruscamente attraverso il naso e dopo un piccolo sussulto si irrigidì appena, e Andrea si staccò subito, tirandosi un poco su di nuovo e mormorando in fretta dispiaciuta «Scusa, scusa… Sei ferito, ti farò male.»

«No.» replicò Danny con calma, guardandola negli occhi e trattenendola appena per le braccia. «O non importa così tanto al momento.» aggiunse caparbiamente.

Andrea si chinò a baciarlo.

Qualche momento dopo, Andrea si era ormai sistemata a pancia in giù sul letto, accanto a lui e un poco tra le sue braccia, ancora cercando di non avere troppo del suo peso su di lui, e lo stava guardando accarezzandogli ancora la guancia colpita.

Danny le passò le dita tra i capelli, ora tinti di un acceso fucsia scuro, con un che di profondamente affettuoso e allo stesso tempo complicemente scherzoso e sbarazzino. «Ti stanno bene davvero.» osservò, sorridendole.

Andrea sornacchiò un leggero verso ironico ma sinceramente divertito, e dopo avergli stampato un altro bacio sulle labbra si tirò su a sedere sul bordo del letto, iniziando a togliersi le scarpe. «Certo che mi stanno bene. Altrimenti non li avrei colorati così.» ribatté in tono leggero e colloquialmente divertito.

Improvvisamente, per Andrea era come se non fosse così importante quanto fossero terribili le storie che Yuta le aveva raccontato, con esitazione e suo malgrado, di quello che era successo lì in quei giorni; improvvisamente si sentiva come se l’intero universo le potesse anche garantire che sarebbe andato tutto bene da quel momento in poi, che le cose terribili non possono veramente succedere e devono essere solo una specie di leggenda metropolitana, o un’esagerazione drammatica.

«Come è andata in Germania da tua madre?» chiese Danny, il tono sospeso in una sorta di stato trasognatamente distratto e pacifico, lo sguardo che seguiva ogni minimo gesto di lei come se fosse saturato di un suo particolare fascino e di un significato che andasse oltre la prosaica apparenza, o come se stesse ancora cercando di persuadersi che lei era veramente lì e non era un suo delirio da sogno causato eventualmente dagli anti-dolorifici di Ramo.

Andrea fece spallucce, mentre si liberava definitivamente delle scarpe e si infilava sotto le coperte sistemandosi di nuovo accanto a lui.

«Bene. Le solite cose. Come giro di saluti a tutti i parenti, minimizzazione di quello che è successo alla scuola d’arte mesi fa e di come è tutto a posto e sto bene e procedono bene gli studi, shopping e film e così via, conoscere meglio il fidanzato di mia madre…» riportò con tono leggero, prima di tornare a fissarlo più intenzionalmente dritto negli occhi «Ma credevo che le cose interessanti fossero successe qui, piuttosto…?»

Danny la accolse abbracciandola intorno alla vita e tirandola un po’ più contro il suo fianco, con un ché di profondamente grato e un accenno di sospiro quasi di sollievo.

«È… una lunga storia… » ammise infine, rivolgendo lo sguardo al soffitto.

Andrea annuì un poco, poi abbassò lo sguardo e iniziò a sfiorare appena in punta di dita, con precauzione attenta, le fasciature che sporgevano dal collo della maglietta di lui. Rabbrividì quando notò quanto fossero vicine al collo di Danny, pensando che chi gliele aveva inferte dovesse stare a tutti gli effetti cercando di ucciderlo senza mezzi termini.

Sentendola tremare, Danny le prese istintivamente la mano nella sua, stringendola, e riabbassò lo sguardo su di lei. «Non è così brutta come sembra.» le mormorò, guardandola serio e intento.

Andrea rialzò lo sguardo nel suo e inarcò un sopracciglio, come a chiedergli implicitamente se pensava che lei fosse davvero così stupida.

Danny sospirò e chiuse gli occhi, mentre Andrea riprese tranquillamente ad accarezzargli il petto e le spalle, e lui nonostante tutto si stava profondamente rilassando. «D’accordo… non è stata esattamente una… hum… passeggiata.» ammise «Ma ora sto bene. Mi sto riprendendo. Hai sentito Ramo, giusto un’altra giornata e sarò come nuovo.»

«Devi essere tornato come nuovo molte volte, non è vero?» mormorò lei, fissando le bendature sulle quali stava scorrendo la punta delle dita, con un che di riflessivo.

Danny riaprì gli occhi e la guardo, sorpreso. «Che cosa intendi?» chiese quietamente, studiando la sua espressione assorta.

«Sei stato ferito molte volte, vero?» mormorò ancora lei, continuando a fissare le fasciature.

Danny si irrigidì appena, e Andrea alzò lo sguardo nel suo, proseguendo con calma riflessiva e dolente «Ogni volta sparisce tutto. Perciò, potresti anche essere stato ferito molte volte… e anche se fossero state brutte ferite… Non ne è rimasto nemmeno un segno, quasi di nessuna. Nemmeno una cicatrice. Tutte… cicatrici invisibili…»

Danny deglutì, sostenendo il suo sguardo, e poi appoggiò la fronte contr la sua e domandò in un mormorio «Ha tutta… questa importanza…

Andrea sembrò rifletterci sopra per un poco. Dopodiché si sporse a dargli un morbido bacio a stampo. «Forse.» disse, in tono gradualmente più leggero «Magari… pensi che essere ricoperto di cicatrici ti renderebbe più affascinante?»

Danny ridacchiò di cuore, riconoscendo con gratitudine lo scherzo alleggerente «Ne dubito.»

«Beh, sì… anch’io…» mormorò Andrea, tornando ad abbassare lo sguardo sui bendaggi che stava sfiorando con tocco leggero, fissandole con sguardo di nuovo tendente al corrucciato e dolente.

Danny le prese le mani tra le sue, stringendole gentilmente. Dopo un poco, lei rialzò lo sguardo nel suo, e lui disse «Onestamente… penso che la cosa più difficile sia stato sopportare Kumals al mio capezzale. A pensarci bene, di solito è sempre questa la parte peggiore.»

«Oh… Dunque è per questo che sei così felice che sia arrivata io? Così posso tenerti Kumals alla larga?» celiò lei, sorridendo complicemente ironica.

Danny ridacchiò. «Non oserei chiedere tanto a nessuno.» ribatté in scherzo, prima di tirarla un poco più vicina e baciarla di nuovo.

«Ah, quasi dimenticavo.» fece Andrea dopo un poco, staccandosi.

«Che cosa?» chiese distrattamente Danny.

Andrea sorrise in modo accattivante e in qualche modo un po’ preoccupante, alzandosi dal letto.

Danny sospirò appena, mettendo su un procinto di broncio deluso. «Non rimarresti qui un altro po’…?»

Andrea agitò vagamente la mano a mezz’aria mentre si incamminava verso la porta «Torno subito.»

Dopo un poco, in effetti, Andrea fu di ritorno nella stanza e tornò a sistemarsi accanto a lui, ma stavolta aveva in mano quella che Danny riconobbe come la sua macchina fotografica, con la quale stava tranquillamente trafficando con fare abituato.

«Dal momento che non sei potuto venire con me, mi sa che ti toccherà sorbirti una sequenza di foto di casa, di mia madre e il suo fidanzato, e cose del genere. Non preoccuparti, sarò magnanima e rapida ed efficace. Ma mamma ci teneva che vedessi almeno le loro facce, o qualcosa del genere…» lo informò Andrea, con piglio pratico e leggero.

Tuttavia Danny si irrigidì un poco, e lei lo guardò interrogativamente. Ma lui abbassò lo sguardo sembrando combattuto e leggermente a disagio.

Come intuendo, Andrea disse «Non importa, sai…? Che vi conosciate di persona e roba del genere. Mia madre non è quel tipo di persona… genitoriale soffocante o simili. E comunque… immagino che potrebbe essere un po’ difficile riuscire a condurre una conversazione convenzionale con le domande tipo come ‘che fai nella vita?’ e cose del genere… intendo, trattenendosi dal ridere per le risposte che si potrebbero inventare.»

Danny rialzò lo sguardo guardandola sorridere complicemente divertita, e d’impulso la tirò verso di se per baciarla, abbracciandola poi stretta e affondandole il viso nel collo, ispirando il suo odore.

Accarezzandogli la nuca con calma, lei aggiunse ancora in tono affettuosamente divertito «E comunque… trovo quasi offensivo che mi consideri il tipo di persona che ci tiene ad apparenze di questo tipo, come presentare ai genitori chi si sta frequentando, e cose del genere.»

Danny sorrise contro il collo di lei. «Magari sono io quello che verrebbe anche a farsi un giro in Germania e a fare un saluto rapido e indolore a tua madre e al suo ragazzo. Beh, non appena mi sarò procurato una versione credibile di ‘che cosa faccio nella vita’… e cose del genere.»

Andrea ridacchiò, e lo sentì rilassarsi di nuovo contro di lei, come se stesse lasciando scivolare via da sé tutta la tensione. Lo sentì iniziare ad addormentarsi quietamente, come se fosse terribilmente stanco e non fosse riuscito da giorni a dormire sul serio. Sorrise tra sé e sé allora, pur continuando a ritenere, dopotutto, che quella sensazione che tutto sarebbe andato in ogni caso bene da quel momento in poi, fosse comunque piuttosto stupida.

Ma non era male, come sensazione. Non era affatto male.

 

***

 

Kumals si mosse per l’ennesima volta sulla sua poltrona ora decisamente traballante, come cercando di trovare l’esatta posizione in cui essa riusciva ancora a stare relativamente ferma, a patto di non spostare troppo il proprio peso.

«Sei proprio sicuro che non hai idea di che cosa possa essere successo alla mia poltrona, Ramo?» domandò, concentrandosi con una smorfia piuttosto irritata sul suo tentativo di trovare l’esatta posizione che stava cercando.

«Sì. No. Cioè, non ne ho idea.» disse Ramo in fretta, prima di sparire in cucina annunciando evasivamente «Farò del tè. O del caffè. O qualcosa.»

«Caffè per me, grazie.» disse automaticamente Yuta.

Seduta sul divano del salotto, Yuta stava sfogliando distrattamente uno degli album di ritagli di giornale che parlavano di fatti paranormali che stava tenendo sulle ginocchia, come se nemmeno stesse veramente guardandolo, e più che altro lo stesse usando come un antistress, almeno a giudicare dal modo relativamente rabbioso con cui girava le pagine.

Kumals guardò i suoi movimenti corrugando le sopracciglia. «Potresti andarci piano, con quel libro? È un po’ vecchiotto, e già era in condizioni decisamente economiche quando lo abbiamo acquistato “nuovo”… figuriamoci adesso.»

Yuta alzò su di lui uno sguardo temibilmente corrucciato. «Come minimo è già sorprendente che non finisca in polvere solo a guardarlo.» commentò, chiuse sonoramente il tomo senza tanti complimenti, e lo gettò sul divano accanto a lei, ignorando tranquillamente lo sguardo disapprovante di Kumals, e anzi puntandogli negli occhi il suo con decisione. «Come ti è saltato in mente?»

Kumals alzò le sopracciglia rivolgendole un’occhiata quanto mai innocentemente confusa «Di fare cosa?»

«Non ci provare nemmeno.» lo avvertì Yuta, tradendo appena un sorrisetto di familiare riconoscimento dei suoi modi «Lo sai benissimo. Mandare qui Danny quando Uther… a proposito, dove diavolo è esattamente Uther?»

Kumals assunse un modo e una posizione compassatamente composti, nonostante il dondolio della poltrona zoppa «Come ho detto, il nostro Uther è attualmente coraggiosamente impegnato in una delicata missione che…»

«Stronzate a parte.» lo interruppe Yuta caparbiamente «Dove – diavolo – si – è – cacciato – Uther?» scandì, prima di considerarlo con sospettosa superiorità dubbiosa «Sempre che tu lo sappia, naturalmente. È sparito di nuovo, per caso?»

Kumals la fissò con aria sdegnata. «D’accordo, forse avevo tralasciato di calcolare che un nutrito gruppo di mezzi lupi decidesse di piazzare la sede della loro setta proprio qui vicino a Tairans, e mentre proprio Uther e Danny erano qui. D’altro canto, non è mia abitudine informarmi quotidianamente sugli spostamenti di ogni mezzo lupo esistente al mondo, ammesso che ciò sia lontanamente possibile. Ma di certo non sono ancora messo così male da permettere a Uther di andarsene in giro a scorazzare da solo dopo quello che è successo qui, e…»

«Quindi? Dov’è?» incalzò Yuta, perfettamente immune al suo tono da convincente oratore, tenendolo inchiodato con lo sguardo.

Kumals sospirò, comunque mantenendo un contegno di arieggiata serietà. «Oh, è andato a tenere sott’occhio l’accampamento dei sopramenzionati mezzi lupi. Con un nostro fido collaboratore, naturalmente.»

Yuta spalancò gli occhi e si alzò in piedi, alzando significativamente la voce. «Stai scherzando, vero?»

Kumals la guardò con apparente imperturbabile calma. «Non c’è affatto bisogno di agitarsi.» puntualizzò, tuttavia dovendosi sforzare di rimanere del tutto calmo di fronte al modo in cui lei lo stava fissando con fare battagliero. «C’è Mordecai con lui.»

Yuta rimase suo malgrado interdetta per un momento. «Mordecai?»

Kumals annuì tranquillamente. «Sì, esatto, Mordecai. Ricordi? L’esperto che…»

«Quello che ci ha dato una mano con quella faccenda al porto quando…?» lo interruppe Yuta, ancora piuttosto sorpresa.

Kumals annuì di nuovo, interrompendola a sua volta. «Precisamente lui.»

Yuta sembrò ponderare attentamente la cosa per un poco, e infine si lasciò ricadere a sedere sul divano, pur continuando a fissarla affatto soddisfatta. «Hai stabilito dei turni di sorveglianza all’accampamento dei mezzi lupi.» osservò, senza propriamente chiederlo.

Kumals le rivolse uno sguardo saputo e quasi altezzoso. «Certo. Come minimo. E in caso di problemi lo sapremmo immediatamente…» riportò, sfilandosi di tasca un cellulare, e agitandolo a mezz’aria per mostrarglielo, come se si stesse rivolgendo ad una platea di mormoni allo scopo di convincerli dell’utilità della tecnologia moderna.

Yuta fissò il telefonino, poi tornò a guardarlo come se gli stesse chiedendo implicitamente se si fosse rincretinito, e in ogni caso per fargli presente che stava esagerando con i suoi modi.

Dopo un momento di esitazione, Kumals rifece sparire il cellulare in tasca. «Come vedi…» insistette tuttavia «Tutto sotto controllo, al momento.»

Yuta inarcò significativamente un sopracciglio. «Ah, davvero? Al momento… già. E per quanto riguarda come risolvere la situazione con quei mezzi lupi fuori di testa?»

Kumals assunse un contegno ancora più sostenuto, ma allo sguardo di Yuta non sfuggì il furtivo movimento – peraltro sottolineato in modo traditore dal traballare della poltrona – con cui si agitò appena come per mettersi più comodo.

«Naturalmente, questa è una faccenda che va affrontata con la massima attenzione e delicatezza, e dobbiamo muoverci con una certa fermezza e senza perderci troppo sugli allori, dal momento che…»

«Non abbiamo molto tempo, vero?» lo interruppe lei senza mezzi termini, chinandosi in avanti, incrociando le mani e guardandolo con ancora maggiore attenzione decisa.

Kumals esitò solo brevemente, e lei stava già chiedendo «Quanto?»

Kumals fece una leggera smorfia e distolse lo sguardo, come se fingesse di pensarci sopra.

«Kumals.» lo richiamò in tono severo e stringente Yuta. «Quanto – tempo – abbiamo – esattamente?» lo interrogò con voce bassa e seria, scandendo le parole.

Kumals si schiarì la voce e agguantò una tazza di tè probabilmente freddo già da parecchio dal tavolo lì vicino, bevendone strategicamente un lungo sorso come se avesse deciso di vuotarla in un colpo.

«Quattro giorni a partire da domani.» le rispose un’altra voce.

Yuta si girò a guardare Ramo, fermo sulla soglia della cucina con le braccia incrociate al petto, il tono serio e lo sguardo tinto di una grave nota di preoccupazione abbassato sul pavimento.

Lei lo studiò per un poco, poi tornò a girarsi verso Kumals, e trovò conferma nel modo in cui lui stava fissando Ramo con una certa disapprovazione.

Yuta sospirò profondamente e si lasciò ricadere contro lo schienale del divano pesantemente. «Merda.» commentò, con generosa significatività.

Kumals si schiarì nuovamente la voce e iniziò in tono ordinatamente composto «Tutto considerato…», ma si interruppe prontamente quando la porta della camera da letto si aprì, e tutti fissarono in quella direzione.

Andrea uscì dalla stanza guardandosi tranquillamente intorno sul pavimento, individuò il suo zaino e si inginocchiò accanto ad esso iniziando a frugarvi dentro finché non ne estrasse la sua macchina fotografica.

Rialzatasi in piedi, sembrò improvvisamente realizzare che tutti la stavano fissando e si immobilizzò. «Che succede?» domandò.

Dopo un breve ma compatto silenzio, Kumals prese fiato per dire qualcosa, e Yuta lo precedette prontamente con un «Niente. Proprio niente.». Le sorrise quindi caldamente e in modo rassicurante. «Come sta Danny?»

«Bene. Beh, per come può stare bene visto che…» iniziò a rispondere Andrea, poi fermandosi un momento come se non sapesse bene come continuare. «Bene, tutto sommato.» si corresse definitivamente.

«Splendido.» annuì Yuta, instillando nella parola tutto il più sincero significato d’essa.

Andrea rivolse a tutti loro un ultimo sguardo non particolarmente persuaso, e ancora relativamente sospettoso, ma infine sembrò decidersi a voltarsi su se stessa e a tornare nella camera da letto chiudendosi la porta alle spalle.

Dopo qualche altro istante di silenzio, Ramo occhieggiò verso gli altri due con un certo nervosismo. «Non l’avrà… cioè…?»

Yuta si voltò a guardarlo, alzando un sopracciglio, incoraggiandolo implicitamente a continuare, piuttosto incuriosita.

Ramo abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle, muovendo un poco i piedi sul pavimento a disagio. «…picchiato…ancora?» si costrinse a terminare, come se non fosse per nulla convinto nemmeno lui della domanda.

Yuta sbatté rapidamente le palpebre un paio di volte, poi sbuffò appena e agitò un poco una mano a mezz’aria. «Niente più del necessario.» commentò distrattamente.

Ramo rialzò di colpo lo sguardo su di lei, inquieto, e Kumals emise un lieve sbuffo divertito.

«Quindi, fra quattro giorni esatti si scatenerà l’inferno qui?» riprese Yuta, piantando impietosamente uno sguardo deciso su Kumals.

Lui le ricambiò lo sguardo con composta serietà, alzando le sopracciglia. «Certo che no. Noi faremo in modo che non accada.» disse come se ne fosse certo.

Yuta gettò le braccia al cielo con un sonoro verso sarcastico. «Certo. E con noi intendi… quanti siamo, esattamente? Cinque persone, contando Mordecai? Sei, contando Danny conciato in quel modo? Sette con Andrea che come minimo dovremmo fare in modo che lasciasse la città e se ne andasse il più lontano possibile, magari chiudendola direttamente in una scatola da imballaggio con i buchi per respirare e spedirla via perché altrimenti col cavolo che si tirerebbe indietro…?»

Kumals la osservò per un momento piuttosto colpito da quel particolare di pragmatica pianificazione improbabile.

«E questo è quanto.» proseguì imperterrita Yuta «Contro un nutrito manipolo di mezzi lupi impazziti e coordinati che tra quattro giorni saranno al meglio della loro incontrollabilità scatenata in mezzo ad una cittadina di persone praticamente inermi e quasi sicuramente totalmente ignare.»

Kumals sembrò concentrarsi meglio per cercare qualcosa di valido da controribattere, mentre Ramo abbassava lo sguardo a terra mordendosi il labbro con aria preoccupata e seria.

«Oh, ma giusto, d’altra parte io sono solo l’ultima arrivata…» continuò Yuta, ironica «Quindi sono certa che avrai già sviluppato un ottimo piano per risolvere tutto brillantemente, e devo essere io che mi sto agitando per nulla. Anche perché, un ottimo piano a prova di mezzi lupi impazziti durante la notte senza luna che scorazzano per tutta… ah… Tairans, nientemeno!... è il minimo che spiegherebbe perché siete così tranquilli voialtri qui ora.»

Per qualche denso momento cadde un pesante silenzio.

Infine, Kumals tentò speranzosamente uno sguardo amichevolmente accattivante in direzione di Yuta. «Beh, abbiamo affrontato di peggio…»

Richiuse prontamente la bocca notando il modo praticamente omicida con cui lei lo stava inchiodando seriamente con lo sguardo alla sua traballante poltrona ammaccata.

«Forse…» mormorò Ramo sconsolato, come se stesse ragionando ad alta voce «Dovremmo procurarci quella scatola coi buchi che dicevi…»

Yuta si voltò a guardarlo. Assai esplicitamente basita, oltre che come se gli stesse implicitamente chiedendo se stava dicendo sul serio, o se stava anche solo pensando a quello che stava dicendo.

Ramo tornò a zittirsi con un leggero tossicchiare imbarazzato, dopo aver notato lo sguardo di lei, e tornò a fissare il pavimento con la fronte aggrottata come se fosse tornato a immergersi in un’impegnata e profonda riflessione alla ricerca di qualcosa di più utile da dire.

Yuta riprese a fissare Kumals con le sopracciglia significativamente sollevate. Come a sottolineare che, dopotutto, forse l’ultima arrivata era anche quella che stava avendo uno straccio di prospettiva più realistica di quella di tutti loro sulla situazione.

 

 

 Soundtrack:

Read my mind (the Killers) o Human (the Killers) – per la 1a parte (okay, tecnicamente la seconda)

Cannonball (the Breeders)

 

Sciocchezze dello scribacchiatore: e noi che ci preoccupavamo dell’arrivo di Kumals. Poveri sciocchi.

 

Perdonatemi (oppure no), non ho revisionato tantissimo, ma dovrebbe essere tutto nella norma diterribilità” in cui scribacchio io.

 

Inoltre (dettagli più tecnici): se la dimensione del carattere è cambiata rispetto ai precedenti capitoli: sorry, il mio computer ha avuto un accidente, ho dovuto reinstallare word eccetera, e per qualche misterioso motivo che supera le mie capacità di comprensione (non molto vaste, anzi) risulta questa modifica e devo ancora capire se e come riesco a venirci a patti nella messa on-line. Fatto ancora più affascinante: ho recentemente scoperto che alcuni errori di calligrafia non sono dovuti a me, ma al fatto che (sempre per ragioni assai oscuramente misteriose) nel passaggio da format word a formato html sparisce qualche lettera. Giuro che è vero. L’ho visto coi miei occhi. Comunque, mentre pondero la possibilità che il mio computer sia posseduto e che ci vorrebbe un/a esorcista e basta, sono lieto di informarvi che ho trovato una semplice soluzione: correggere gli errori direttamente in format html. Ma spero capirete che è una faticaccia assurda (da tutti i punti di vista: tanto più perché è demenziale che accada qualcosa di simile). Quindi non garantisco nulla. , so che ci tenevate da morire a sapere per filo e per segno i bizzarri acciacchi del mio computer (sicuramente dovuti in buona parte al mio beatamente non capire dove-come-cosa sia il problema tecnico); sicuramente il modo migliore di finire/iniziare una settimana, ne convengo.

  
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