Capitolo
55
(Invisible scars)
Quando le porte del treno fermo nella
stazione di Tairans si aprirono rispondendo al
meccanismo automatico, Yuta scese gli scalini
trascinandosi dietro un’ingombrante valigia, sulla schiena i suoi due cerchi
con lama da combattimento debitamente avvolti come al solito in due grandi teli
di spessa stoffa che impedivano alla vista di chiunque non sapesse esattamente
di cosa si trattasse di vederli, e facendo vagamente somigliare l’involto ad
uno specchio avvolto alla belle’e’meglio in modo che non rischiasse di
rompersi.
Ferma in piedi sulla banchina, Yuta appoggiò la valigia a terra e si rialzò, guardandosi
intorno senza fretta, con espressione contemplativa e distante. «Quanto tempo…»
mormorò tenuemente tra sé e sé.
Fermatasi di fianco a lei dopo essere a
sua volta scesa dal treno, Andrea alzò lo sguardo sul suo viso, avendo a
malapena distinto le parole tra il rumoreggiare della folla di passeggeri che
salivano e scendevano sciamando loro intorno come un mare un poco agitato attorno
ad una sorta di piccola isola.
«Devi avere molti ricordi qui…» disse
piano Andrea, con tatto.
Yuta sorrise con
gentile malinconia, come più che altro a se stessa o ai suoi ricordi, e infine
scosse appena la testa, come riprendendosi, e si chinò tornando a raccogliere
la propria valigia.
«Già. Ma non è il momento di farsi
prendere da essi, giusto?» disse, con piglio più deciso, rivolgendo un sorriso
ad Andrea. «Credo sia piuttosto il momento di andare a vedere che cosa diavolo
hanno combinato quegli altri quaggiù.»
Andrea si limitò ad annuire, prima di
incamminarsi con lei verso l’uscita della stazione, procedendo affiancate con
un passo notevolmente determinato.
***
«Ti dispiacerebbe bussare, cara?»
domandò gentilmente Yuta, mentre con uno sbuffo di fatica
depositava di nuovo la sua valigia sul pianerottolo, per poi rialzarsi in piedi
e piazzarsi le mani sulla schiena, riprendendo fiato.
Andrea si riscosse dalla sua
osservazione dell’assolutamente comune aspetto dell’interno del piccolo
condominio, che stava fissando senza posa come se stesse cercando di cogliere
qualcosa di straordinario in esso che, tuttavia, sembrava mancare
completamente, e annuì. «Certo…» rispose, prima di seguire con lo sguardo
l’indice puntato con cui Yuta le stava indicando una
delle due porte su quel pianerottolo, e avvicinarsi ad essa.
Bussò alla porta senza staccare gli
occhi da essa, stringendo le labbra, avviluppata in un corposo turbinio di
pensieri ed emozioni.
Pochi istanti dopo, la porta si spalancò
con un energico svolazzo, e dietro di essa apparve Kumals,
che la fissò per un momento completamente immobile e in silenzio, prima di
sorridere luminosamente. «Oh, ben arrivata!» cinguettò amabilmente.
«Ciao, Kumals…»
fu tutto ciò che riuscì a dire Andrea, con un che di irrigidito.
Kumals la studiò
rapidamente da capo a piedi, e infine sorrise di nuovo, più sinceramente, e
spalancò un poco le braccia. «Beh, è un po’ che non ci vediamo. Mi è concesso
un abbraccio?» domandò, in tono scherzosamente imitante un che di quasi formale.
Un po’ più rilassata, Andrea riuscì a
tirare fuori un piccolo sorriso e fece un passo avanti, abbracciandolo. Kumals le ricambiò l’abbraccio, poi, tenendola gentilmente
per le spalle, si fece indietro e la guardò con un sorriso cortesemente
affettuoso. «A proposito, bello questo nuovo colore di capelli.»
Andrea sorrise e annuì. «Grazie.»
«Se avete finito con i convenevoli…
potremmo entrare?» intervenne Yuta, il tono piuttosto
burbero.
Kumals alzò lo sguardo
su di lei e spalancò di nuovo le braccia. «Yuta! Un
abbraccio?» esclamò, con entusiasmo smaccato ed evidentemente scherzosamente
esagerato.
«Sì, dopo, ora vuoi spostarti e farmi
passare, per favore?» replicò Yuta, sbuffando e
costringendolo di fatto a farsi in fretta da parte per evitare di essere travolto,
mentre lei superava la soglia carica dei suoi bagagli. Andrea ne approfittò per
seguirla prontamente dentro l’appartamento, nel quale riprese a guardarsi
attentamente intorno con vivida curiosità, come se stesse cercando di
registrarne ogni singolo particolare con accuratezza precisa.
Yuta depositò la
valigia e si tolse l’involto dalle spalle facendogli seguire la stessa sorte
sul pavimento, prima di guardarsi attorno a sua volta e schioccare appena la
lingua significativamente.
Kumals le si affiancò e
le diede un paio di leggere gomitatine nel fianco. «Quanti ricordi, eh?»
chiese, con evocativa complicità.
Yuta corrugò appena
la fronte e sorrise un poco, continuando a guardarsi intorno. «Ci sono cose che
non cambiano mai. Come la vostra capacità di tenere un minimo di decente ordine
e pulizia in questo posto.» osservò.
«Beh, ma siamo stati un po’ impegnati,
ultimamente…» tentò di ribattere Kumals, sulla
difensiva «E comunque, l’accoglienza di questo posto prescinde certamente dalle
sue condizioni strettamente igieniche. È qualcosa che è racchiuso nel vero
spirito di queste mura e…»
«Dov’è Danny?» chiese di punto in bianco
Andrea.
Kumals si interruppe,
e lui e Yuta si voltarono a guardarla.
«Oh, certo, non che io sia geloso di
tante attenzioni, s’intende…» si riprese Kumals
«Anche se forse, se avessi l’abitudine di trovare con tanta ammirevole costanza
e testardaggine il modo di farmi del male, allora magari per qualche misterioso
motivo potrei meritarmi un po’ più di genuina considerazione. E davvero, non
che…»
Yuta roteò gli occhi
e marciò con decisione verso la porta accostata della camera da letto, subito
seguita dappresso da Andrea; Kumals rinunciò al suo
discorso e le seguì prontamente, cambiando immediatamente registro. «Anche se
non meno merito andrebbe riconosciuto a chi viene poi a raccogliere i cocci,
bendare i feriti, accudirli amorevolmente senza far loro mancare nulla e…»
Yuta spalancò la
porta e si dispose sulla soglia, le mani piantate con decisione sui fianchi.
Dopo un istante di silenzio, Danny
esclamò dal letto un felice e sorpreso «Yuta!»,
mentre Ramo, seduto su una sedia lì accanto, le sorrise di affettuosa amicizia
con un non meno sorpreso «Hey.»
«Danny! Per la miseria!» sorrise Yuta caldamente, dando l’idea di non essere in quel momento
in grado come avrebbe voluto di riuscire a tirare fuori quella che sarebbe
probabilmente risultata come una ramanzina.
Quando il suo sguardo si spostò di nuovo su
Ramo, questi iniziò subito a riportare in tono responsabile «Stavo giusto
dicendo a Danny che dovrebbe pazientare almeno un altro giorno prima di alzarsi
dal letto, dopodiché…»
La sua voce si affievolì e si spense
quando Andrea si affacciò a sua volta sulla soglia.
Di colpo cadde un totale silenzio.
«Andrea…» mormorò infine Danny. Poi,
dopo una lunga pausa, come se qualcosa lo avesse improvvisamente distratto dal
suo cercare le parole adatte al momento, e dopo aver evidentemente deglutito,
riuscì di nuovo a dire in tono impallidito «Hai… cambiato colore ai capelli.»
Kumals strinse le
labbra e tentò di lanciare a Danny un’occhiata di sincero avvertimento, anche
se probabilmente era troppo tardi, e soprattutto gli occhi di lui non
sembravano essere disposti a staccarsi da Andrea. Yuta
fece una sibilante inspirazione e trattenne il fiato.
E poi Andrea stava avanzando nella
stanza ad ampi passi, salendo sul letto in ginocchio fermandosi di fianco a
Danny, e gli stava tirando un schiaffo schioccante su una guancia.
Di nuovo cadde il silenzio.
Danny la stava ancora fissando, stavolta
con sguardo decisamente spalancato.
E Andrea iniziò praticamente ad urlare
con trasporto alterato «Tu sei quasi morto e tutto quello che ti viene in mente
è che ho cambiato colore ai capelli?!?»
Danny sembrava ancora così perso nella
sua contemplazione fra il frastornato, l’ammirato e il relativamente
terrorizzato, da non riuscire nemmeno a boccheggiare senza suono come si deve.
Yuta sentì Kumals accanto a lei prendere fiato come per dire qualcosa,
e repentinamente e scioltamente, con un che di perfettamente abituato, sporse il
braccio di lato e gli premette una mano a tappargli la bocca, facendolo
tossicchiare per la sorpresa e l’interruzione improvvisa di qualsiasi cosa
stesse per dire.
«Ramo? Non dovevi parlarmi di…?» iniziò Yuta, e prima che riuscisse a proseguire Ramo stava già
balzando in piedi come se la sedia fosse di punto in bianco diventata rovente,
esclamando un fervente «Sì. Sì! Certamente!», e affrettandosi ad uscire dalla
stanza con un trafelato e immediato tale trasporto da quasi travolgere sia lei
che Kumals, i quali d’altro canto lo seguirono
prontamente.
Yuta fece per
chiudere la porta dietro di loro, quando Ramo si sporse di nuovo sulla soglia
e, con notevole sforzo imbarazzato, disse con cautela «Hem…
solo… viste le condizioni di ripresa, anche se tutto va bene, magari ci andrei
un po’ piano con i pugni e magari cercando di non colpire proprio i punti che…»
Yuta lo prese
gentilmente ma fermamente per un braccio, sospingendolo fuori dalla stanza, e
chiuse la porta dietro di loro.
Danny e Andrea erano ancora immobili,
come se non avessero affatto percepito che cosa stava accadendo loro intorno,
fissandosi reciprocamente negli occhi.
Dopo un poco, Andrea disse con una calma
quasi irreale «Sei un idiota, sai…?»
«Sì… credo… di sì.» ammise Danny,
annuendo appena e tentando un vago accenno di sorriso. Vide gli occhi di lei
inumidirsi un poco. «E… ti sta bene. Il nuovo colore. Non che con questo voglio
affatto dire che quello di prima invece…» si affrettò ad aggiungere.
Andrea alzò di nuovo la mano e Danny
socchiuse gli occhi in attesa di un altro schiaffo. Invece lei gli accarezzò la
guancia colpita, osservandola per un momento distrattamente, come se stesse
cercando di decidere quanto male potesse avergli veramente fatto.
«E… questo era il minimo sindacale…» gli
mormorò ancora.
«Anche in questo caso…
credo di sì.» disse piano Danny, riaprendo completamente gli occhi per
guardarla. «E mi sei mancata moltissimo.» aggiunse in un sussurro limpidamente
calmo e sincero.
Andrea tornò a fissarlo dritto negli
occhi. «Tu lo sai che tutte queste non sono valide ragioni, vero?»
Danny annuì con aria tranquillamente
aperta. «Sì. Non credo di averle, a dirla tutta… delle valide ragioni. Ma non è
per questo che te lo sto dicendo… È perché è dannatamente vero.»
Andrea emise un sospiro quasi sbuffante.
«Sei un dannato idiota, ecco che cosa è dannatamente vero.» ribatté, con calma
sicurezza.
Danny annuì di nuovo un poco,
distrattamente.
Dopo qualche altro istante di assoluta
immobilità e scambio di sguardi, si mossero quasi all’unisono, e Andrea gli si
gettò tra le braccia allacciandogli le sue al collo.
Danny inalò bruscamente attraverso il
naso e dopo un piccolo sussulto si irrigidì appena, e Andrea si staccò subito,
tirandosi un poco su di nuovo e mormorando in fretta dispiaciuta «Scusa, scusa…
Sei ferito, ti farò male.»
«No.» replicò Danny con calma,
guardandola negli occhi e trattenendola appena per le braccia. «O non importa
così tanto al momento.» aggiunse caparbiamente.
Andrea si chinò a baciarlo.
Qualche momento dopo, Andrea si era ormai
sistemata a pancia in giù sul letto, accanto a lui e un poco tra le sue
braccia, ancora cercando di non avere troppo del suo peso su di lui, e lo stava
guardando accarezzandogli ancora la guancia colpita.
Danny le passò le dita tra i capelli,
ora tinti di un acceso fucsia scuro, con un che di profondamente affettuoso e
allo stesso tempo complicemente scherzoso e
sbarazzino. «Ti stanno bene davvero.» osservò, sorridendole.
Andrea sornacchiò un leggero verso
ironico ma sinceramente divertito, e dopo avergli stampato un altro bacio sulle
labbra si tirò su a sedere sul bordo del letto, iniziando a togliersi le
scarpe. «Certo che mi stanno bene. Altrimenti non li avrei colorati così.»
ribatté in tono leggero e colloquialmente divertito.
Improvvisamente, per Andrea era come se
non fosse così importante quanto fossero terribili le storie che Yuta le aveva raccontato, con esitazione e suo malgrado, di
quello che era successo lì in quei giorni; improvvisamente si sentiva come se
l’intero universo le potesse anche garantire che sarebbe andato tutto bene da
quel momento in poi, che le cose terribili non possono veramente succedere e
devono essere solo una specie di leggenda metropolitana, o un’esagerazione
drammatica.
«Come è andata in Germania da tua
madre?» chiese Danny, il tono sospeso in una sorta di stato trasognatamente
distratto e pacifico, lo sguardo che seguiva ogni minimo gesto di lei come se
fosse saturato di un suo particolare fascino e di un significato che andasse
oltre la prosaica apparenza, o come se stesse ancora cercando di persuadersi
che lei era veramente lì e non era un suo delirio da sogno causato
eventualmente dagli anti-dolorifici di Ramo.
Andrea fece spallucce, mentre si
liberava definitivamente delle scarpe e si infilava sotto le coperte sistemandosi
di nuovo accanto a lui.
«Bene. Le solite cose. Come giro di
saluti a tutti i parenti, minimizzazione di quello che è successo alla scuola
d’arte mesi fa e di come è tutto a posto e sto bene e procedono bene gli studi,
shopping e film e così via, conoscere meglio il fidanzato di mia madre…»
riportò con tono leggero, prima di tornare a fissarlo più intenzionalmente
dritto negli occhi «Ma credevo che le cose interessanti fossero successe qui,
piuttosto…?»
Danny la accolse abbracciandola intorno
alla vita e tirandola un po’ più contro il suo fianco, con un ché di
profondamente grato e un accenno di sospiro quasi di sollievo.
«È… una lunga storia… » ammise infine,
rivolgendo lo sguardo al soffitto.
Andrea annuì un poco, poi abbassò lo
sguardo e iniziò a sfiorare appena in punta di dita, con precauzione attenta,
le fasciature che sporgevano dal collo della maglietta di lui. Rabbrividì
quando notò quanto fossero vicine al collo di Danny, pensando che chi gliele
aveva inferte dovesse stare a tutti gli effetti cercando di ucciderlo senza
mezzi termini.
Sentendola tremare, Danny le prese
istintivamente la mano nella sua, stringendola, e riabbassò lo sguardo su di
lei. «Non è così brutta come sembra.» le mormorò, guardandola serio e intento.
Andrea rialzò lo sguardo nel suo e
inarcò un sopracciglio, come a chiedergli implicitamente se pensava che lei
fosse davvero così stupida.
Danny sospirò e chiuse gli occhi, mentre
Andrea riprese tranquillamente ad accarezzargli il petto e le spalle, e lui
nonostante tutto si stava profondamente rilassando. «D’accordo… non è stata
esattamente una… hum… passeggiata.» ammise «Ma ora
sto bene. Mi sto riprendendo. Hai sentito Ramo, giusto un’altra giornata e sarò
come nuovo.»
«Devi essere tornato come nuovo molte
volte, non è vero?» mormorò lei, fissando le bendature sulle quali stava
scorrendo la punta delle dita, con un che di riflessivo.
Danny riaprì gli occhi e la guardo,
sorpreso. «Che cosa intendi?» chiese quietamente, studiando la sua espressione
assorta.
«Sei stato ferito molte volte, vero?»
mormorò ancora lei, continuando a fissare le fasciature.
Danny si irrigidì appena, e Andrea alzò
lo sguardo nel suo, proseguendo con calma riflessiva e dolente «Ogni volta
sparisce tutto. Perciò, potresti anche essere stato ferito molte volte… e anche
se fossero state brutte ferite… Non ne è rimasto nemmeno un segno, quasi di
nessuna. Nemmeno una cicatrice. Tutte… cicatrici invisibili…»
Danny deglutì, sostenendo il suo
sguardo, e poi appoggiò la fronte contr la sua e domandò in un mormorio «Ha tutta… questa importanza…?»
Andrea sembrò rifletterci sopra per un
poco. Dopodiché si sporse a dargli un morbido bacio a stampo. «Forse.» disse,
in tono gradualmente più leggero «Magari… pensi che essere ricoperto di
cicatrici ti renderebbe più affascinante?»
Danny ridacchiò di cuore, riconoscendo
con gratitudine lo scherzo alleggerente «Ne dubito.»
«Beh, sì… anch’io…» mormorò Andrea,
tornando ad abbassare lo sguardo sui bendaggi che stava sfiorando con tocco
leggero, fissandole con sguardo di nuovo tendente al corrucciato e dolente.
Danny le prese le mani tra le sue,
stringendole gentilmente. Dopo un poco, lei rialzò lo sguardo nel suo, e lui
disse «Onestamente… penso che la cosa più difficile sia stato sopportare Kumals al mio capezzale. A pensarci bene, di solito è
sempre questa la parte peggiore.»
«Oh… Dunque è per questo che sei così
felice che sia arrivata io? Così posso tenerti Kumals
alla larga?» celiò lei, sorridendo complicemente
ironica.
Danny ridacchiò. «Non oserei chiedere
tanto a nessuno.» ribatté in scherzo, prima di tirarla un poco più vicina e
baciarla di nuovo.
«Ah, quasi dimenticavo.» fece Andrea
dopo un poco, staccandosi.
«Che cosa?» chiese distrattamente Danny.
Andrea sorrise in modo accattivante e in
qualche modo un po’ preoccupante, alzandosi dal letto.
Danny sospirò appena, mettendo su un
procinto di broncio deluso. «Non rimarresti qui un altro po’…?»
Andrea agitò vagamente la mano a
mezz’aria mentre si incamminava verso la porta «Torno subito.»
Dopo un poco, in effetti, Andrea fu di
ritorno nella stanza e tornò a sistemarsi accanto a lui, ma stavolta aveva in
mano quella che Danny riconobbe come la sua macchina fotografica, con la quale
stava tranquillamente trafficando con fare abituato.
«Dal momento che non sei potuto venire
con me, mi sa che ti toccherà sorbirti una sequenza di foto di casa, di mia
madre e il suo fidanzato, e cose del genere. Non preoccuparti, sarò magnanima e
rapida ed efficace. Ma mamma ci teneva che vedessi almeno le loro facce, o
qualcosa del genere…» lo informò Andrea, con piglio pratico e leggero.
Tuttavia Danny si irrigidì un poco, e
lei lo guardò interrogativamente. Ma lui abbassò lo sguardo sembrando
combattuto e leggermente a disagio.
Come intuendo, Andrea disse «Non
importa, sai…? Che vi conosciate di persona e roba del genere. Mia madre non è
quel tipo di persona… genitoriale soffocante o simili. E comunque… immagino che
potrebbe essere un po’ difficile riuscire a condurre una conversazione
convenzionale con le domande tipo come ‘che fai nella vita?’ e cose del genere…
intendo, trattenendosi dal ridere per le risposte che si potrebbero inventare.»
Danny rialzò lo sguardo guardandola
sorridere complicemente divertita, e d’impulso la
tirò verso di se per baciarla, abbracciandola poi stretta e affondandole il
viso nel collo, ispirando il suo odore.
Accarezzandogli la nuca con calma, lei
aggiunse ancora in tono affettuosamente divertito «E comunque… trovo quasi
offensivo che mi consideri il tipo di persona che ci tiene ad apparenze di
questo tipo, come presentare ai genitori chi si sta frequentando, e cose del
genere.»
Danny sorrise contro il collo di lei.
«Magari sono io quello che verrebbe anche a farsi un giro in Germania e a fare
un saluto rapido e indolore a tua madre e al suo ragazzo. Beh, non appena mi sarò
procurato una versione credibile di ‘che cosa faccio nella vita’… e cose del
genere.»
Andrea ridacchiò, e lo sentì rilassarsi
di nuovo contro di lei, come se stesse lasciando scivolare via da sé tutta la
tensione. Lo sentì iniziare ad addormentarsi quietamente, come se fosse
terribilmente stanco e non fosse riuscito da giorni a dormire sul serio.
Sorrise tra sé e sé allora, pur continuando a ritenere, dopotutto, che quella
sensazione che tutto sarebbe andato in ogni caso bene da quel momento in poi,
fosse comunque piuttosto stupida.
Ma non era male, come sensazione. Non
era affatto male.
***
Kumals si mosse per
l’ennesima volta sulla sua poltrona ora decisamente traballante, come cercando
di trovare l’esatta posizione in cui essa riusciva ancora a stare relativamente
ferma, a patto di non spostare troppo il proprio peso.
«Sei proprio sicuro che non hai idea di
che cosa possa essere successo alla mia poltrona, Ramo?» domandò,
concentrandosi con una smorfia piuttosto irritata sul suo tentativo di trovare l’esatta
posizione che stava cercando.
«Sì. No. Cioè, non ne ho idea.» disse
Ramo in fretta, prima di sparire in cucina annunciando evasivamente «Farò del
tè. O del caffè. O qualcosa.»
«Caffè per me, grazie.» disse
automaticamente Yuta.
Seduta sul divano del salotto, Yuta stava sfogliando distrattamente uno degli album di
ritagli di giornale che parlavano di fatti paranormali che stava tenendo sulle
ginocchia, come se nemmeno stesse veramente guardandolo, e più che altro lo
stesse usando come un antistress, almeno a giudicare dal modo relativamente
rabbioso con cui girava le pagine.
Kumals guardò i suoi
movimenti corrugando le sopracciglia. «Potresti andarci piano, con quel libro?
È un po’ vecchiotto, e già era in condizioni decisamente economiche quando lo abbiamo
acquistato “nuovo”… figuriamoci adesso.»
Yuta alzò su di lui
uno sguardo temibilmente corrucciato. «Come minimo è già sorprendente che non
finisca in polvere solo a guardarlo.» commentò, chiuse sonoramente il tomo
senza tanti complimenti, e lo gettò sul divano accanto a lei, ignorando
tranquillamente lo sguardo disapprovante di Kumals, e
anzi puntandogli negli occhi il suo con decisione. «Come ti è saltato in
mente?»
Kumals alzò le
sopracciglia rivolgendole un’occhiata quanto mai innocentemente confusa «Di
fare cosa?»
«Non ci provare nemmeno.» lo avvertì Yuta, tradendo appena un sorrisetto di familiare
riconoscimento dei suoi modi «Lo sai benissimo. Mandare qui Danny quando Uther…
a proposito, dove diavolo è esattamente Uther?»
Kumals assunse un modo
e una posizione compassatamente composti, nonostante il dondolio della poltrona
zoppa «Come ho detto, il nostro Uther è attualmente coraggiosamente impegnato
in una delicata missione che…»
«Stronzate a parte.» lo interruppe Yuta caparbiamente «Dove – diavolo – si – è – cacciato –
Uther?» scandì, prima di considerarlo con sospettosa superiorità dubbiosa
«Sempre che tu lo sappia, naturalmente. È sparito di nuovo, per caso?»
Kumals la fissò con
aria sdegnata. «D’accordo, forse avevo tralasciato di calcolare che un nutrito
gruppo di mezzi lupi decidesse di piazzare la sede della loro setta proprio qui
vicino a Tairans, e mentre proprio Uther e Danny
erano qui. D’altro canto, non è mia abitudine informarmi quotidianamente sugli
spostamenti di ogni mezzo lupo esistente al mondo, ammesso che ciò sia
lontanamente possibile. Ma di certo non sono ancora messo così male da
permettere a Uther di andarsene in giro a scorazzare da solo dopo quello che è
successo qui, e…»
«Quindi? Dov’è?» incalzò Yuta, perfettamente immune al suo tono da convincente
oratore, tenendolo inchiodato con lo sguardo.
Kumals sospirò,
comunque mantenendo un contegno di arieggiata serietà. «Oh, è andato a tenere
sott’occhio l’accampamento dei sopramenzionati mezzi lupi. Con un nostro fido
collaboratore, naturalmente.»
Yuta spalancò gli
occhi e si alzò in piedi, alzando significativamente la voce. «Stai scherzando,
vero?»
Kumals la guardò con
apparente imperturbabile calma. «Non c’è affatto bisogno di agitarsi.»
puntualizzò, tuttavia dovendosi sforzare di rimanere del tutto calmo di fronte
al modo in cui lei lo stava fissando con fare battagliero. «C’è Mordecai con
lui.»
Yuta rimase suo
malgrado interdetta per un momento. «Mordecai?»
Kumals annuì
tranquillamente. «Sì, esatto, Mordecai. Ricordi? L’esperto che…»
«Quello che ci ha dato una mano con
quella faccenda al porto quando…?» lo interruppe Yuta,
ancora piuttosto sorpresa.
Kumals annuì di nuovo,
interrompendola a sua volta. «Precisamente lui.»
Yuta sembrò
ponderare attentamente la cosa per un poco, e infine si lasciò ricadere a
sedere sul divano, pur continuando a fissarla affatto soddisfatta. «Hai
stabilito dei turni di sorveglianza all’accampamento dei mezzi lupi.» osservò,
senza propriamente chiederlo.
Kumals le rivolse uno
sguardo saputo e quasi altezzoso. «Certo. Come minimo. E in caso di problemi lo
sapremmo immediatamente…» riportò, sfilandosi di tasca un cellulare, e
agitandolo a mezz’aria per mostrarglielo, come se si stesse rivolgendo ad una
platea di mormoni allo scopo di convincerli dell’utilità della tecnologia
moderna.
Yuta fissò il
telefonino, poi tornò a guardarlo come se gli stesse chiedendo implicitamente
se si fosse rincretinito, e in ogni caso per fargli presente che stava
esagerando con i suoi modi.
Dopo un momento di esitazione, Kumals rifece sparire il cellulare in tasca. «Come vedi…»
insistette tuttavia «Tutto sotto controllo, al momento.»
Yuta inarcò
significativamente un sopracciglio. «Ah, davvero? Al momento… già. E per quanto
riguarda come risolvere la situazione con quei mezzi lupi fuori di testa?»
Kumals assunse un
contegno ancora più sostenuto, ma allo sguardo di Yuta
non sfuggì il furtivo movimento – peraltro sottolineato in modo traditore dal
traballare della poltrona – con cui si agitò appena come per mettersi più
comodo.
«Naturalmente, questa è una faccenda che
va affrontata con la massima attenzione e delicatezza, e dobbiamo muoverci con
una certa fermezza e senza perderci troppo sugli allori, dal momento che…»
«Non abbiamo molto tempo, vero?» lo
interruppe lei senza mezzi termini, chinandosi in avanti, incrociando le mani e
guardandolo con ancora maggiore attenzione decisa.
Kumals esitò solo
brevemente, e lei stava già chiedendo «Quanto?»
Kumals fece una
leggera smorfia e distolse lo sguardo, come se fingesse di pensarci sopra.
«Kumals.» lo
richiamò in tono severo e stringente Yuta. «Quanto –
tempo – abbiamo – esattamente?» lo interrogò con voce bassa e seria, scandendo
le parole.
Kumals si schiarì la
voce e agguantò una tazza di tè probabilmente freddo già da parecchio dal
tavolo lì vicino, bevendone strategicamente un lungo sorso come se avesse
deciso di vuotarla in un colpo.
«Quattro giorni a partire da domani.» le
rispose un’altra voce.
Yuta si girò a
guardare Ramo, fermo sulla soglia della cucina con le braccia incrociate al
petto, il tono serio e lo sguardo tinto di una grave nota di preoccupazione
abbassato sul pavimento.
Lei lo studiò per un poco, poi tornò a
girarsi verso Kumals, e trovò conferma nel modo in
cui lui stava fissando Ramo con una certa disapprovazione.
Yuta sospirò
profondamente e si lasciò ricadere contro lo schienale del divano pesantemente.
«Merda.» commentò, con generosa significatività.
Kumals si schiarì
nuovamente la voce e iniziò in tono ordinatamente composto «Tutto
considerato…», ma si interruppe prontamente quando la porta della camera da
letto si aprì, e tutti fissarono in quella direzione.
Andrea uscì dalla stanza guardandosi
tranquillamente intorno sul pavimento, individuò il suo zaino e si inginocchiò
accanto ad esso iniziando a frugarvi dentro finché non ne estrasse la sua
macchina fotografica.
Rialzatasi in piedi, sembrò
improvvisamente realizzare che tutti la stavano fissando e si immobilizzò. «Che
succede?» domandò.
Dopo un breve ma compatto silenzio, Kumals prese fiato per dire qualcosa, e Yuta
lo precedette prontamente con un «Niente. Proprio niente.». Le sorrise quindi
caldamente e in modo rassicurante. «Come sta Danny?»
«Bene. Beh, per come può stare bene
visto che…» iniziò a rispondere Andrea, poi fermandosi un momento come se non sapesse
bene come continuare. «Bene, tutto sommato.» si corresse definitivamente.
«Splendido.» annuì Yuta,
instillando nella parola tutto il più sincero significato d’essa.
Andrea rivolse a tutti loro un ultimo
sguardo non particolarmente persuaso, e ancora relativamente sospettoso, ma
infine sembrò decidersi a voltarsi su se stessa e a tornare nella camera da
letto chiudendosi la porta alle spalle.
Dopo qualche altro istante di silenzio,
Ramo occhieggiò verso gli altri due con un certo nervosismo. «Non l’avrà…
cioè…?»
Yuta si voltò a
guardarlo, alzando un sopracciglio, incoraggiandolo implicitamente a
continuare, piuttosto incuriosita.
Ramo abbassò lo sguardo e si strinse
nelle spalle, muovendo un poco i piedi sul pavimento a disagio.
«…picchiato…ancora?» si costrinse a terminare, come se non fosse per nulla
convinto nemmeno lui della domanda.
Yuta sbatté rapidamente
le palpebre un paio di volte, poi sbuffò appena e agitò un poco una mano a
mezz’aria. «Niente più del necessario.» commentò distrattamente.
Ramo rialzò di colpo lo sguardo su di
lei, inquieto, e Kumals emise un lieve sbuffo
divertito.
«Quindi, fra quattro giorni esatti si
scatenerà l’inferno qui?» riprese Yuta, piantando
impietosamente uno sguardo deciso su Kumals.
Lui le ricambiò lo sguardo con composta
serietà, alzando le sopracciglia. «Certo che no. Noi faremo in modo che non
accada.» disse come se ne fosse certo.
Yuta gettò le
braccia al cielo con un sonoro verso sarcastico. «Certo. E con noi intendi…
quanti siamo, esattamente? Cinque persone, contando Mordecai? Sei, contando
Danny conciato in quel modo? Sette con Andrea che come minimo dovremmo fare in
modo che lasciasse la città e se ne andasse il più lontano possibile, magari
chiudendola direttamente in una scatola da imballaggio con i buchi per
respirare e spedirla via perché altrimenti col cavolo che si tirerebbe
indietro…?»
Kumals la osservò per
un momento piuttosto colpito da quel particolare di pragmatica pianificazione
improbabile.
«E questo è quanto.» proseguì
imperterrita Yuta «Contro un nutrito manipolo di
mezzi lupi impazziti e coordinati che tra quattro giorni saranno al meglio
della loro incontrollabilità scatenata in mezzo ad una cittadina di persone
praticamente inermi e quasi sicuramente totalmente ignare.»
Kumals sembrò concentrarsi
meglio per cercare qualcosa di valido da controribattere,
mentre Ramo abbassava lo sguardo a terra mordendosi il labbro con aria
preoccupata e seria.
«Oh, ma giusto, d’altra parte io sono
solo l’ultima arrivata…» continuò Yuta, ironica
«Quindi sono certa che avrai già sviluppato un ottimo piano per risolvere tutto
brillantemente, e devo essere io che mi sto agitando per nulla. Anche perché,
un ottimo piano a prova di mezzi lupi impazziti durante la notte senza luna che
scorazzano per tutta… ah… Tairans, nientemeno!... è
il minimo che spiegherebbe perché siete così tranquilli voialtri qui ora.»
Per qualche denso momento cadde un
pesante silenzio.
Infine, Kumals
tentò speranzosamente uno sguardo amichevolmente accattivante in direzione di Yuta. «Beh, abbiamo affrontato di peggio…»
Richiuse prontamente la bocca notando il
modo praticamente omicida con cui lei lo stava inchiodando seriamente con lo
sguardo alla sua traballante poltrona ammaccata.
«Forse…» mormorò Ramo sconsolato, come
se stesse ragionando ad alta voce «Dovremmo procurarci quella scatola coi buchi
che dicevi…»
Yuta si voltò a
guardarlo. Assai esplicitamente basita, oltre che come se gli stesse
implicitamente chiedendo se stava dicendo sul serio, o se stava anche solo
pensando a quello che stava dicendo.
Ramo tornò a zittirsi con un leggero
tossicchiare imbarazzato, dopo aver notato lo sguardo di lei, e tornò a fissare
il pavimento con la fronte aggrottata come se fosse tornato a immergersi in
un’impegnata e profonda riflessione alla ricerca di qualcosa di più utile da
dire.
Yuta riprese a
fissare Kumals con le sopracciglia significativamente
sollevate. Come a sottolineare che, dopotutto, forse l’ultima arrivata era
anche quella che stava avendo uno straccio di prospettiva più realistica di
quella di tutti loro sulla situazione.
Soundtrack:
Read
my mind (the Killers) o Human (the Killers) – per la 1a parte (okay, tecnicamente la seconda)
Cannonball
(the Breeders)
Sciocchezze dello scribacchiatore: e noi che
ci preoccupavamo dell’arrivo di Kumals. Poveri sciocchi.
Perdonatemi (oppure no), non ho revisionato tantissimo, ma dovrebbe essere tutto nella
norma di “terribilità” in cui scribacchio io.
Inoltre (dettagli più tecnici):
se la dimensione del carattere
è cambiata rispetto ai precedenti capitoli:
sorry, il mio computer ha avuto un accidente, ho dovuto reinstallare word eccetera, e per qualche misterioso motivo che supera le mie
capacità di comprensione (non molto vaste, anzi) risulta questa
modifica e devo ancora capire se e come riesco a venirci a patti nella messa
on-line. Fatto ancora più affascinante: ho recentemente scoperto che alcuni errori
di calligrafia non sono dovuti a me, ma al fatto che (sempre
per ragioni assai oscuramente
misteriose) nel passaggio da format word a formato html sparisce qualche lettera. Giuro che è vero.
L’ho visto coi miei occhi.
Comunque, mentre pondero la possibilità che il mio
computer sia posseduto e che ci vorrebbe
un/a esorcista e basta, sono lieto di
informarvi che ho trovato una semplice
soluzione: correggere gli errori direttamente
in format html. Ma spero capirete
che è una faticaccia assurda (da tutti i
punti di vista: tanto più perché
è demenziale che accada qualcosa di simile). Quindi non garantisco nulla. Sì, so che ci
tenevate da morire a sapere per filo e per segno i bizzarri acciacchi
del mio computer (sicuramente
dovuti in buona parte al mio beatamente non capire dove-come-cosa sia il problema
tecnico); sicuramente il modo migliore
di finire/iniziare una settimana,
ne convengo.