Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: VeganWanderingWolf    03/03/2019    0 recensioni
questa è la seconda storia della serie '4 di picche' - Vero che Danny si aspettava di poter rivedere qualcuno dei “colleghi” dei 4 di picche, ma forse non così presto e in una situazione tanto potenzialmente grave. Non solo. Dal suo passato rispunta una vecchia conoscenza che sa essere tutt’altro che innocua. E per finire, sembra che la sua vecchia conoscenza abbia individuato con precisione uno dei suoi punti deboli per eccellenza… e che sia ad un passo dall’affondarci le zanne…
Genere: Comico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie '4 di picche'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 56

(Sospira Pereira)

 

Era mattina inoltrata quando Kumals – reduce da un turno di sorveglianza all’attendamento dei mezzi lupi, dopo aver salutato Mordecai a sua volta diretto a casa propria per riposarsi, una volta che Yuta e Uther avevano dato loro il cambio – si trascinò su stancamente per le scale del suo ex appartamento a Tairans, aprì la porta, e si trovò davanti la scena di Danny, Andrea e Ramo stipati sul divano che facevano colazione pescando fette di pizza da un enorme cartone da asporto.

Kumals li contemplò per un istante con un sorrisetto e un sopracciglio inarcato, un’espressione ironicamente divertita.

«Sembrate una specie di gruppo punk all’ultima spiaggia. O qualcosa del genere…» commentò quindi entrando, chiudendo la porta, e raggiungendo la sua poltrona sulla quale si abbatté a sedere stancamente. La poltrona ondeggiò ampiamente. Kumals istintivamente si aggrappò un poco ai braccioli, e corrugò le sopracciglia con infastidita disapprovazione.

«Bentornato.» lo accolse Ramo, con un accenno di sincero sorriso. Danny gli porse il cartone della pizza.

Kumals sospirò piuttosto teatralmente. «Non c’è niente di più simile ad una vera e propria colazione…?» lamentò.

Ramo si alzò dal divano mentre finiva di ingurgitare una fetta di pizza e si diresse in cucina. «Cercherò…» offrì.

Andrea si era seduta più dritta e lo stava guardando con aria attenta e seria. «Tutto bene… là?» chiese.

«Mh-mh.» annuì distrattamente Kumals, le braccia piegate con i gomiti appoggiati sui braccioli, ora che aveva trovato il modo di stare seduto senza che la poltrona traballasse troppo; aveva tutta l’aria di un equilibrio precario. Alzò le mani e le incrociò davanti al viso, osservando Danny al di sopra di esse con aria riflessiva e ponderante. «Sembri sentirti meglio…» osservò, con fare attentamente casuale.

Danny smise di masticare e lo studiò con espressione tra il sorpreso e il vagamente sospettoso. «Sì… meglio.» si limitò a confermare, con quella che sembrava una tattica cautela. Raramente Kumals era tipo da dedicarsi alle formalità tra di loro, non senza tutt’altro scopo preciso in mente almeno.

Kumals annuì distrattamente, ancora osservandolo per un poco con aria riflessiva. Poi di punto in bianco si alzò in piedi e annunciò verso la cucina «Lascia perdere, Ramo. Faccio colazione fuori. Ah, e Danny viene con me.»

«Cosa?» fece Ramo, affacciandosi alla soglia della cucina con aria stupita.

«Dove?» domandò Danny, fissandolo basito e ancora più sospettoso.

«Perché?» chiese immediatamente Andrea.

Kumals si fermò, guardandoli ad uno ad uno significativamente. Andrea e Danny si scambiarono una breve occhiata, anche loro piuttosto colpiti dal profluvio di domande ridondanti. Poi stavano tutti e tre guardando compattamente Kumals, con una sfumatura chiaramente dubbiosa nello sguardo, quella di Danny più tendente al sospettoso, quella di Ramo all’incerto, quella di Andrea al preoccupato.

«Beh, a fare colazione, no?» Kumals optò per rispondere direttamente a Danny, agitando appena una mano a mezz’aria come per dissipare tutta quell’importanza che sembrava essersi addensata sulla questione, e cercando quindi di farla passare per semplice e banale. Non sembrò poter convincere nessuno degli altri.

«Dove?» domandò di nuovo Danny.

Kumals alzò gli occhi al soffitto. «In un… bar?» disse, il tono che suggeriva chiaramente quanto ritenesse la domanda stupida e inutile.

Danny alzò un sopracciglio, palesando che non aveva nessuna intenzione di bersela.

Kumals riabbassò lo sguardo su di lui, e in particolare sul bendaggio assortito ben intravedibile al di sotto della maglietta. «Oh, e potresti metterti una giacca addosso? Qualcosa di largo, magari, in modo da non sembrare una specie di mummia. Sai meglio di me che la gente ha strane concezioni a proposito di come sia appropriato vestirsi, ma meglio non attirare troppa attenzione su di noi… come al solito, d’altro canto.»

«Perché, è una cosa possibile riuscirci, da parte nostra?» ironizzò Ramo.

Kumals emise un lungo sospiro sardonico, e tornò a guardare Danny – che non si era mosso né sembrava in procinto di farlo nel prossimo futuro – con una certa paziente aspettativa. «Allora? Andiamo?»

Danny si corrucciò, ancora studiandolo sospettosamente. «Okay… Cosa c’è sotto?»

Kumals iniziò a fingere una delle sue più candide espressioni di sincera sorpresa e offesa; ma quando sembrò ricordarsi che era stanco e che Danny non si sarebbe mosso così facilmente, parve decidere di cambiare tattica. «E va bene. Avrei bisogno di scambiare due parole con te, ecco tutto. È così… difficile riuscirci? O vuoi un invito più formale?» ribatté con calma pazienza.

Danny esitò cocciutamente per un altro lungo momento, ma poi sembrò prendere una decisione e si alzò, agguantando il suo giubbetto e iniziando a infilarselo.

Kumals emise un leggero sospiro sollevato, poi individuò immediatamente che Andrea stava per aprire la bocca con tutta l’aria di voler protestare, e si rivolse rapidamente a lei con un sorriso rassicurante. «Niente di, hum, grave. Solo due parole tra di noi, e, beh, visto che devo fare colazione, nel frattempo…»

Danny emise un piccolo verso rassegnato, aprendo la porta. «Va bene… andiamo e basta.» lo interruppe «Prima andiamo prima torniamo, giusto?» aggiunse, scoccando ad Andrea uno sguardo come per rivolgersi soprattutto a lei.

Andrea sembrò decidere di non alzarsi dal divano né di protestare, come sembrava sul punto di fare, anche se con notevoli riserve in proposito a giudicare dalla sua espressione.

«Splendido.» schioccò la lingua Kumals affabilmente. «Andrea, Ramo… a dopo.» si accomiatò sventolando brevemente un sommario saluto con la mano, e uscendo dietro di Danny.

Fece per battergli una mano sulla spalla amichevolmente mentre si accingevano a scendere le scale, ma evitò all’ultimo con un’occhiata al bendaggio che ancora lo avvolgeva in più punti, accompagnata da una piccola smorfia.

Danny sospirò e roteò appena gli occhi, mentre scendevano le scale. «Sto meglio davvero.» gli disse.

Kumals annuì un poco e sorrise tra sé e sé. «Ne sono lieto.» disse sinceramente.

 

***

 

Danny era praticamente certo che Kumals gli volesse parlare di cose molto serie, come chiedergli una sincera opinione di quali speranze avessero di cavarsela con i suoi consimili mezzi lupi rimasti attendati poco fuori Tairans; o tutt’al’più come Uther fosse rimasto coinvolto in tutto quello.

Ma Kumals si limitò ad avviarsi lungo le strade di Tairans in un silenzio quieto e sereno, districandosi tra esse con tranquilla familiarità. E quando Danny fece per iniziare a dire qualcosa, Kumals lo interruppe con uno spensieratamente allegro «Non ora… Prima la colazione, poi le chiacchiere.»

Danny corrugò la fronte, stranito, ma si limitò per il momento ad assecondarlo.

Quando tuttavia spuntarono in una piccola e tranquilla piazzetta pigramente illuminata dalla luce della tarda mattinata, e Kumals si diresse pacificamente verso i tavolini disposti fuori da un bar dall’aria domesticamente accogliente, Danny si fermò stupito e buttò fuori «Aspetta un momento. Vuoi dire che stiamo sul serio andando semplicemente a fare colazione?»

Kumals si girò a dedicargli un’espressione sorpresa, inarcando un sopracciglio. «Non è quello che ho detto?»

Danny gli scoccò uno sguardo significativo che la diceva lunga in proposito a quanto – conoscendolo – si potesse decidere di prenderlo sempre alla lettera, ma riprese a camminare di fianco a lui, limitandosi ad un «Con te non si può mai sapere…» in tono scherzoso ma con ogni intenzione.

Kumals lo spiò appena di sbieco, sorridendo un poco. «Non capisco proprio cosa ci trovi di così strano… In tempi come questi, avere un mezzo lupo al proprio fianco è probabilmente la maniera più sicura di aggirarsi per questa città.»

Danny alzò un sopracciglio. «Non direi proprio che tu sia il tipo da avere bisogno di una guardia del corpo. O da ammetterlo.»

Kumals accennò un sorrisetto. «Attento… questo sembrava quasi un complimento.»

«Hai ragione. Errore mio.» rispose Danny a tono, facendolo sogghignare di nuovo.

Una volta raggiunti i tavolini fuori dal cafè, Danny vide con sua sorpresa Kumals approcciarne uno già occupato, nonostante fossero quasi tutti liberi. L’uomo che vi sedeva sembrò agli occhi di Danny il più innocuo e comune dei cittadini, con la sua aria comune di abituale cliente qualsiasi da bar, la sua corporatura bassa e piuttosto rotonda, i capelli diradati dall’età sulla cinquantina, e il suo alzare lo sguardo al loro approcciarsi dal giornale che stava sfogliando con la fronte corrugata come in un erculeo tentativo di concentrazione nella lettura al di là di un tempestoso e ostinato coagulo di preoccupazioni assortite.

Tuttavia, vedendo Kumals fece un cenno con la testa, e immediatamente la sua espressione si corrucciò in una sorta di riconoscimento familiare e soprattutto affatto entusiasta. Il che apparve a Danny un’espressione potenzialmente molto adatta a chi fosse avvicinato da Kumals e in generale lo conoscesse abbastanza, ma non avesse avuto modo di affezionarcisi in qualche modo; Kumals d’altro canto tendeva a renderlo difficile come se fosse una sorta di suo hobby a tempo perso.

«Capitano Pereira…» salutò Kumals sommariamente, sedendosi bellamente su una delle sedie libere. «Quanto tempo…»

Danny si bloccò di netto dove si trovava e spalancò gli occhi, studiando rapidamente meglio l’uomo, mentre quella sottile sensazione di qualcosa che non lo convinceva del tutto in lui si concretizzava istantaneamente in una conferma sfacciatamente palese. Era un poliziotto in borghese. Anzi, un capo della polizia locale.

L’uomo piegò il giornale mettendolo da parte con un piccolo grugnito, fissando Kumals con un ché di rassegnato e sempre meno entusiasta. «Mai abbastanza…» mugugnò.

Kumals sorrise appena, impassibile, con aria accondiscendente. Poi fissò Danny, affatto sorpreso di trovarlo ancora fermo in piedi e intento a studiare l’uomo da capo a piedi e viceversa con espressione inscurita. «Puoi sederti, se vuoi.» offrì «Il nostro capitano Pereira, qui, non morde, anche se a volte abbaia.»

Danny gli rivolse uno sguardo estremamente significativo, alzando entrambe le sopracciglia, con un ché di piuttosto accusatorio e vagamente tradito.

«Come puoi notare c’è abbondanza di sedie… Non resta che sceglierne una.» insistette tuttavia Kumals, fissandolo a sua volta con intenzione, come se avesse colto perfettamente il suo sguardo e gliene stesse restituendo uno che conteneva una richiesta di dargli fiducia per il momento.

Danny rimase perfettamente fermo dove si trovava, mentre l’uomo contemplava la scena con vaga curiosità attenta, tamponandosi un poco di sudore dal collo con un fazzoletto di tessuto.

Kumals sospirò appena, sebbene un angolo delle labbra inclinato decisamente e forse inconsciamente in un sorrisetto tradisse una sorta di comprensione abituata e piuttosto apprezzante in fondo.

«Ebbene sì, il nostro Pereira qui è uno sbirro. Ma è anche incidentalmente una persona abbastanza onesta per i nostri standard.»

Pereira gli dedicò un’occhiata decisamente corrucciata pur senza troppe speranze, che infatti Kumals ignorò con la sua consueta ed elegante nonchalance. Danny iniziò a percepire un leggero ma spontaneo sogghigno cercare di farglisi strada sul volto; perché quella sembrava una situazione in cui Kumals non avrebbe perso occasione di far pentire a quel poliziotto di trovarsi lì con loro, e suo malgrado si sentì tentato di sedersi per godersi la scena.

 Come se gli avesse letto nel pensiero – o più probabilmente come se avesse notato puntualmente quel minuto mutamento nella sua espressione, e avesse tutte le intenzioni di approfittarsi immediatamente di quel sottile vantaggio captato grazie alla sua capacità d’osservazione e al fatto che lo conosceva bene – Kumals aggiunse prontamente «Non devi farci amicizia, e nemmeno parlarci, come immagino tu preferisca evitare di fare. Mi stai semplicemente accompagnando. Indi per cui, non credo che ora prendere una sedia e sederti qui possa infrangere così madornalmente il tuo codice personale a riguardo degli sbirri, no?»

Kumals ignorò di nuovo bellamente un’altra smorfia di Pereira nel sentire quella definizione, e spinse gentilmente una sedia libera verso Danny.

Danny si arrese e si sedette, con espressione comunque acutamente contrariata, e non lesinando nel lanciare a Kumals un’ultima occhiata che faceva chiaramente sapere che quella non gliel’avrebbe perdonata così facilmente.

«Un giovane anarchico…?» domandò Pereira rivolto a Kumals, con appena un accenno di vago interesse.

«Uno di questi due termini sicuramente non si adatta a lui, anche se non ti dirò quale, Pereira.» rispose Kumals con compassata calma.

Danny sapeva che si riferiva al fatto che, a causa del suo essere un mezzo lupo, aveva più anni di quanti non si potesse desumere dal suo aspetto esteriore.

Pereira, d’altro canto, non poteva saperlo, e lanciò l’ennesima occhiata a Kumals tra il rassegnato e il decisamente confuso, aggrottando la fronte come di fronte ad un complicato indovinello in cui lui non trovava alcun particolare divertimento, e anzi sospettava fosse scortese porgli con tanta beneamata tranquillità.

«Ma tutto quello che devi sapere, è che un amico.» proseguì colloquiantemente Kumals «Un mio amico. Detto questo, va da sé che ha tutta la mia fiducia e protezione. E spero che ti ricorderai bene della sua faccia, perché se un domani dovesse mai venire a chiedere la tua collaborazione, o viceversa come del resto è assai più probabile, potrai rivolgerti a lui come se fossi io. Sempre che nel frattempo Danny abbia deciso di essere disposto a fare una piccola eccezione per te…» aggiunse, con una chiaramente percettibile sfumatura di complimentosa e divertita soddisfazione.

Danny spiò verso Kumals per un istante confuso. Ma per il resto rimase seduto a braccia incrociate continuando a tenere incollato sul loro interlocutore uno sguardo penetrante e di pessimo umore, come se niente potesse convincerlo a non tenerlo sotto vigile controllo, né trattenendosi dal lasciar trapelare che non gli piaceva affatto stargli tanto vicino.

Pereira emise un altro lungo sospiro con aria arresa. «Quante volte devo dirti, Kappa, che la polizia di Tairans non è a tua disposizione quando ritieni di averne bisogno… e che il fatto che io parli con te non significa e non potrà mai significare questo?»

Danny si stupì per quel nome, ma rimase in silenzio ascoltando attentamente.

Kumals stava sorridendo appena, divertito. «Almeno tante volte quante io dovrò ripeterti che non mi servirà mai a nulla l’aiuto di qualsiasi polizia, e che sono sempre stato propenso a desiderare piuttosto che chiunque dei tuoi colleghi di qualsiasi parte del mondo possa avere l’opportuna intuizione che il meglio che potrebbe fare è togliersi dai piedi e non intralciarci quando c’è qualche problema che ci compete da risolvere…» rispose con la sua amabile tranquillità.

Da quel momento in poi sulla faccia di Danny si insediò un accenno si sorrisetto divertito, perché stava definitivamente realizzando che, dopotutto, rimanere ad assistere mentre Kumals faceva il gradasso con uno sbirro non era affatto male.

«Kappa…» ribatté Pereira con pazienza e una smorfia rassegnata «Io sono il vice-commissario della polizia di Tairans, e come sai tutto quello che succede nel territorio sotto la nostra giurisdizione è sempre di nostra competenza. Tu e i tuoi… colleghi siete abituati ad andare e venire a chiamata, ma io e i miei uomini siamo sempre qui ad occuparci di qualsiasi problema possa riguardare questa città. A dirla tutta… è casa nostra, in un certo senso, e dovresti essere tu in realtà a chiedere semmai il nostro via libera per fare… cose come… quelle che fate di solito…»

Danny osservò come, nonostante i suoi sforzi, l’uomo sembrasse piuttosto in difficoltà, come se francamente riconoscesse per primo di non avere nessuna reale speranza di poter gestire Kumals; come se avesse abbandonato quella speranza già da molto tempo.

La proprietaria del cafè si avvicinò al loro tavolo, e Kumals ordinò la sua colazione, poi, dopo aver invano atteso che Danny aprisse bocca, aggiunse all’ordinazione un caffè per lui.

«Vice?» notò poi Kumals, dopo che la donna si fu allontanata, scoccando un’occhiata incuriosita a Pereira. «Mi pareva di ricordare che tu fossi l’ispettore capo…»

Pereira sospirò pesantemente. «Lo sono stato fino al vostro ultimo… intervento. Dopodiché, sono stato invitato a farmi da parte. Specialmente dopo che alcune delle cose che erano successe sono risultate un po’ troppo… strane per poter essere giustificate col fatto che avessi ricevuto precise informazioni da… ‘fonti confidenziali’…»

«Oh. Spero che non sia stata colpa nostra.» commentò Kumals, senza darsi pena di sembrare dispiaciuto «Un fulgido esempio di come quando non si ha qualche immanicamento con i giusti personaggi importanti, tendano a prendersela un po’ troppo sul personale per certe questioni.»

Pereira scosse la testa, con evidente rassegnazione. «Ad ogni modo… È appunto come stavo dicendo. Dopo quella… situazione particolare… voi siete tutti quanti spariti, e a raccogliere i cocci sono rimasto io. Quindi… ti sarei estremamente grato se stavolta mi dicessi prima di tutto quanto… è grave la situazione… e quanto devo preoccuparmi esattamente?» domandò, con una smorfia incerta, come se avrebbe preferito non sapere, non saperne proprio nulla di nulla per sicurezza.

«‘Situazione’? Che cosa ti fa pensare che ci sia una qualche ‘situazione’ in corso?» fece Kumals, sbattendo appena le palpebre, e facendo scopertamente il finto tonto con candida innocenza.

«Kappa… per favore…» sospirò Pereira, in tono sostanzialmente di preghiera.

Il ritorno della proprietaria con le loro ordinazioni lo costrinse a interrompersi per un momento, e aggiunse altro zucchero al proprio caffè come se stesse cercando di farsi forza, mescolandolo con sguardo basso e aria praticamente depressa.

«Prima di tutto…» riprese dopo che la donna si fu allontanata, prendendo fiato come se stesse cercando di fare appello a tutta la sua pazienza «So benissimo che non è tua abitudine chiamarmi per un incontro di amichevole cortesia.»

«Hey, a quanto pare nonostante il cambio di incarico le tue doti nel campo dell’indagine brillano ancora fulgidamente.» commentò affabilmente Kumals, mentre faceva la sua colazione con fare placidamente pacifico.

«E d’altro canto, sono anche abbastanza sicuro che il tuo contegno nei miei confronti non sarebbe molto diverso da quello del tuo amico qui…» proseguì Pereira rassegnato, accennando appena verso Danny con un lieve movimento della testa, senza guardarlo «Se non fosse perché l’esperienza ti ha insegnato che a volte collaborare con la polizia locale può rivelarsi utile…»

«No, non direi utile.» osservò distrattamente Kumals, sorseggiando tranquillamente il suo caffè, e corresse come per amore di precisione «Dalla mia esperienza è sempre stata piuttosto decisamente una tediosa perdita di tempo, nel migliore dei casi. E non direi nemmeno ‘collaborare’. Avanti, Pereira, non offendermi così. Sono certo che in fondo sai benissimo che mi guarderei bene dall’avere a che fare con le sacre forze dello stato se non fosse strettamente necessario talvolta… E devo dire che tu sei l’unico rappresentante d’esse con cui abbia mai avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere.»

Pereira lo fissò. «Dubito che la cosa più adatta da dire potrebbe essere qualcosa come ‘ne sono onorato’, giusto?»

Kumals annuì tra sé e sé e si rivolse a Danny. «Che dicevo? Ottimo intuito.»

Pereira sospirò di nuovo pesantemente. «Comunque, come dicevo è abbastanza ovvio che se sei di nuovo da queste parti e hai pensato bene di… “perdere il tuo tempo” a invitarmi a prendere un caffè… beh… dev’esserci una grande e grossa e brutta ‘situazione’ del tipo strano di cui ti occupi in arrivo dritta dritta su Tairans

Kumals scoccò un altro sguardo a Danny. «Visto? Eccellenti doti investigative.» disse, facendogli l’occhiolino.

Pereira emise un verso lamentoso, scuotendo la testa. «Avanti, allora… Di quale maledizione o prossima fine del mondo stiamo parlando questa volta? Che razza di micidiale minaccia di morte e distruzione starebbe per calare sulla mia città e saresti venuto ad annunciarmi?»

Kumals sorrise appena, piegandosi in avanti appoggiato con i gomiti sul tavolino, guardandolo per la prima volta con una sorta di penosa compassione relativamente sincera. «Suvvia, non essere così pessimista… Non devi preoccuparti, come sempre d’altro canto quando sono io a occuparmi della faccenda. È vero, sta in effetti e potenzialmente per arrivare qualcosa di bello grosso e minaccioso. Ma se sono qui significa anche che ci penserò io a disinnescare il pericolo ancora prima che si scateni al suo massimo. Su questo mi pare di non essermi mai smentito, sbaglio?»

Pereira sornacchiò un commento assertivo, suo malgrado.

Kumals sorrise un poco di più, felinamente. «Esatto. E… beh, è per questo che la polizia non può che guadagnarne dall’avere l’onore di ricevere una mia dritta. Tramite naturalmente la tua copertura eccellente della mia identità e dei reali motivi per cui vengono prese certe misure. Per questo, come sempre: non c’è di ché. Sai che i ringraziamenti troppo smaccati non sono il mio genere…»

Pereira alzò lo sguardo al cielo con aria totalmente rassegnata.

«Ad ogni modo…» proseguì tranquillamente imperturbabile Kumals «Il motivo per cui ti ho contattato è essenzialmente questo: ci serve una rete di sicurezza, perché stavolta potremmo dover funambolare non poco, nonostante la nostra indubbia abilità… E so bene che entrambi ci troviamo d’accordo sul fatto che non vorremmo mai che un eventualissimo fallimento temporaneo da parte mia e dei miei consociati rischiasse di mettere in pericolo l’incolumità di tutta quanta Tairans. Giusto?»

Pereira impallidì e tossì nel suo caffè, facendoselo andare di traverso e iniziando a tossire corposamente.

«Stavo pensando…» suggerì Kumals affabilmente, battendogli qualche pacca sulla schiena come per non farlo strozzare «Che l’evacuazione della città potrebbe essere un buon rimedio di sicurezza.»

Pereira strabuzzò gli occhi, divenne paonazzo, lo fissò orrorificato, ed esclamò «Che cosa?!», abbastanza forte da far voltare un pacifico vecchietto seduto dall’altra parte dello schieramento di tavolini che stavo sfogliando un giornale, almeno altre due persone che stavano transitando per la piazzetta, e far alzare in volo un gruppetto di piccioni intenti a beccare briciole sparse lì intorno dalla colazione di precedenti clienti.

Kumals gli dedicò uno sguardo criticamente significativo alzando entrambe le sopracciglia.

Pereira sembrò sforzarsi di riprendersi con impegno, rivolgendo intorno un paio di tirati sorrisi che si supponeva dovessero essere rassicuranti verso chi si era girato. Poi si sporse tuttavia verso Kumals, chinandosi sul tavolino il più possibile, e guardandolo dritto negli occhi sibilò concitatamente «Kappa… di che cosa diavolo stiamo parlando??»

Kumals riprese a sorseggiare il suo caffè tranquillamente. «Sì, un’evacuazione generale mi sembra un’eccellente idea. Direi il minimo, almeno per cominciare.»

Da quel momento in poi, Pereira iniziò a tamponarsi senza posa col suo fazzoletto di stoffa il sudore sempre più cospicuo, e continuò a guardarlo come se avrebbe voluto disperatamente credere che Kumals stesse scherzando o volesse prenderlo in giro o stesse comunque esagerando, ma allo stesso tempo non riuscisse nemmeno a sperare che si trattasse di un simile caso, o che lui sarebbe mai riuscito veramente a persuadersene.

 

***

 

Occorsero diversi altri minuti a Kumals per spiegare – o meglio, Danny non poté fare a meno di ammirare l’abilità con cui lui riuscì ad essere perfettamente convincente sulla reale gravità della situazione senza allo stesso tempo rivelare cosa stesse effettivamente succedendo – e soprattutto a Pereira per calmarsi un poco.

Il vice commissario ascoltava sempre più pallido e sudato, e ordinava un tè freddo dietro l’altro zuccherandoli come se non ci fosse un domani, o come se stesse iniziando a convincersi sempre più che potesse davvero e quanto mai letteralmente ‘non esserci un domani’, mano a mano che Kumals parlava.

Non sembrava nemmeno che Pereira fosse così determinato a capire veramente di che cosa si trattasse in sé e per sé, ovvero aldilà delle conseguenze pericolose che potevano riguardare Tairans e i suoi cittadini, perché quando Kumals rispose ad una delle sue domande con un significativo e allo stesso tempo singolarmente pacifico «Preferisci non saperlo, Pereira. Credimi.», l’uomo non tentò di saperne di più.

Quando alla fine Kumals si alzò dal tavolino, e Danny fece altrettanto, Pereira sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.

«Te ne stai andando?» domandò, fissando Kumals ancora stravolto, pesantemente appoggiato al tavolino come se invece di tè freddo avesse bevuto qualcosa di molto più pesante, continuando a tamponarsi il collo e i lati della faccia col fazzoletto di stoffa, come se tentasse di riprendersi almeno in parte.

Ebbene sì… Questi nostri incontri sono sempre così tragicamente brevi, non è vero?» confermò con piglio leggero Kumals, appoggiando qualche moneta sul tavolino per lasciare la sua parte del conto.

Pereira lo squadrò con un misto di disperazione e rassegnazione irritata e critica. «Tanto per saperlo… Semmai anche questa… cosa… dovesse andare a finire senza… troppi… danni… Tu e i tuoi soci pensate di tornare a stabilirvi da queste parti, per caso?»

Kumals guardò in distanza e sospirò appena. «Quell’epoca della mia vita è finita, ormai. Purtroppo, forse…» disse distrattamente, con un’intonazione praticamente malinconicamente contemplativa.

Danny lo spiò di sottecchi, piuttosto sorpreso.

Pereira, dal canto suo, commentò piuttosto con un sospiro profondamente sollevato.

 

Soundtrack: Der Kommissar (Falco)

 

Credits: il nome di Pereira l’ho preso dall’ottimo romanzo di Tabucchi ‘Sostiene Pereira’, di cui il titolo di questo capitolo è una giocosa storpiatura. A differenza di quello che scribacchio malamente io, il romanzo di Tabucchi vale la pena di leggerlo.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: VeganWanderingWolf