Capitolo
56
(Sospira
Pereira)
Era mattina inoltrata quando Kumals – reduce da un turno di sorveglianza
all’attendamento dei mezzi lupi, dopo aver salutato Mordecai
a sua volta diretto a casa propria per riposarsi, una volta che Yuta e Uther avevano dato loro il
cambio – si trascinò su stancamente per le scale del suo ex appartamento a Tairans, aprì la porta, e si trovò davanti la scena di
Danny, Andrea e Ramo stipati sul divano che facevano colazione pescando fette
di pizza da un enorme cartone da asporto.
Kumals li contemplò
per un istante con un sorrisetto e un sopracciglio inarcato, un’espressione
ironicamente divertita.
«Sembrate una specie di gruppo punk
all’ultima spiaggia. O qualcosa del genere…» commentò
quindi entrando, chiudendo la porta, e raggiungendo la sua poltrona sulla quale
si abbatté a sedere stancamente. La poltrona ondeggiò ampiamente. Kumals istintivamente si aggrappò un poco ai braccioli, e
corrugò le sopracciglia con infastidita disapprovazione.
«Bentornato.» lo accolse Ramo, con un accenno
di sincero sorriso. Danny gli porse il cartone della pizza.
Kumals sospirò
piuttosto teatralmente. «Non c’è niente di più simile ad una vera e propria colazione…?» lamentò.
Ramo si alzò dal divano mentre finiva di
ingurgitare una fetta di pizza e si diresse in cucina. «Cercherò…»
offrì.
Andrea si era seduta più dritta e lo
stava guardando con aria attenta e seria. «Tutto bene…
là?» chiese.
«Mh-mh.» annuì
distrattamente Kumals, le braccia piegate con i
gomiti appoggiati sui braccioli, ora che aveva trovato il modo di stare seduto
senza che la poltrona traballasse troppo; aveva tutta l’aria di un equilibrio
precario. Alzò le mani e le incrociò davanti al viso, osservando Danny al di
sopra di esse con aria riflessiva e ponderante. «Sembri sentirti meglio…» osservò, con fare attentamente casuale.
Danny smise di masticare e lo studiò con
espressione tra il sorpreso e il vagamente sospettoso. «Sì…
meglio.» si limitò a confermare, con quella che sembrava una tattica cautela.
Raramente Kumals era tipo da dedicarsi alle formalità
tra di loro, non senza tutt’altro scopo preciso in mente almeno.
Kumals annuì
distrattamente, ancora osservandolo per un poco con aria riflessiva. Poi di
punto in bianco si alzò in piedi e annunciò verso la cucina «Lascia perdere,
Ramo. Faccio colazione fuori. Ah, e Danny viene con me.»
«Cosa?» fece Ramo, affacciandosi alla
soglia della cucina con aria stupita.
«Dove?» domandò Danny, fissandolo basito
e ancora più sospettoso.
«Perché?» chiese immediatamente Andrea.
Kumals si fermò,
guardandoli ad uno ad uno significativamente. Andrea e Danny si scambiarono una
breve occhiata, anche loro piuttosto colpiti dal profluvio di domande
ridondanti. Poi stavano tutti e tre guardando compattamente Kumals,
con una sfumatura chiaramente dubbiosa nello sguardo, quella di Danny più
tendente al sospettoso, quella di Ramo all’incerto, quella di Andrea al
preoccupato.
«Beh, a fare colazione, no?» Kumals optò per rispondere direttamente a Danny, agitando
appena una mano a mezz’aria come per dissipare tutta quell’importanza che
sembrava essersi addensata sulla questione, e cercando quindi di farla passare
per semplice e banale. Non sembrò poter convincere nessuno degli altri.
«Dove?» domandò di nuovo Danny.
Kumals alzò gli occhi
al soffitto. «In un… bar?» disse, il tono che
suggeriva chiaramente quanto ritenesse la domanda stupida e inutile.
Danny alzò un sopracciglio, palesando
che non aveva nessuna intenzione di bersela.
Kumals riabbassò lo
sguardo su di lui, e in particolare sul bendaggio assortito ben intravedibile
al di sotto della maglietta. «Oh, e potresti metterti una giacca addosso?
Qualcosa di largo, magari, in modo da non sembrare una specie di mummia. Sai
meglio di me che la gente ha strane concezioni a proposito di come sia
appropriato vestirsi, ma meglio non attirare troppa attenzione su di noi… come al solito, d’altro canto.»
«Perché, è una cosa possibile riuscirci,
da parte nostra?» ironizzò Ramo.
Kumals emise un lungo
sospiro sardonico, e tornò a guardare Danny – che non si era mosso né sembrava in
procinto di farlo nel prossimo futuro – con una certa paziente aspettativa.
«Allora? Andiamo?»
Danny si corrucciò, ancora studiandolo
sospettosamente. «Okay… Cosa c’è sotto?»
Kumals iniziò a
fingere una delle sue più candide espressioni di sincera sorpresa e offesa; ma
quando sembrò ricordarsi che era stanco e che Danny non si sarebbe mosso così
facilmente, parve decidere di cambiare tattica. «E va bene. Avrei bisogno di
scambiare due parole con te, ecco tutto. È così…
difficile riuscirci? O vuoi un invito più formale?» ribatté con calma pazienza.
Danny esitò cocciutamente per un altro
lungo momento, ma poi sembrò prendere una decisione e si alzò, agguantando il
suo giubbetto e iniziando a infilarselo.
Kumals emise un
leggero sospiro sollevato, poi individuò immediatamente che Andrea stava per
aprire la bocca con tutta l’aria di voler protestare, e si rivolse rapidamente
a lei con un sorriso rassicurante. «Niente di, hum,
grave. Solo due parole tra di noi, e, beh, visto che devo fare colazione, nel frattempo…»
Danny emise un piccolo verso rassegnato,
aprendo la porta. «Va bene… andiamo e basta.» lo
interruppe «Prima andiamo prima torniamo, giusto?» aggiunse, scoccando ad
Andrea uno sguardo come per rivolgersi soprattutto a lei.
Andrea sembrò decidere di non alzarsi
dal divano né di protestare, come sembrava sul punto di fare, anche se con
notevoli riserve in proposito a giudicare dalla sua espressione.
«Splendido.» schioccò la lingua Kumals affabilmente. «Andrea, Ramo…
a dopo.» si accomiatò sventolando brevemente un sommario saluto con la mano, e
uscendo dietro di Danny.
Fece per battergli una mano sulla spalla
amichevolmente mentre si accingevano a scendere le scale, ma evitò all’ultimo
con un’occhiata al bendaggio che ancora lo avvolgeva in più punti, accompagnata
da una piccola smorfia.
Danny sospirò e roteò appena gli occhi,
mentre scendevano le scale. «Sto meglio davvero.» gli disse.
Kumals annuì un poco e
sorrise tra sé e sé. «Ne sono lieto.» disse sinceramente.
***
Danny era praticamente certo che Kumals gli volesse parlare di cose molto serie, come
chiedergli una sincera opinione di quali speranze avessero di cavarsela con i
suoi consimili mezzi lupi rimasti attendati poco fuori Tairans;
o tutt’al’più come Uther fosse rimasto coinvolto in
tutto quello.
Ma Kumals si
limitò ad avviarsi lungo le strade di Tairans in un
silenzio quieto e sereno, districandosi tra esse con tranquilla familiarità. E
quando Danny fece per iniziare a dire qualcosa, Kumals
lo interruppe con uno spensieratamente allegro «Non ora… Prima la colazione,
poi le chiacchiere.»
Danny corrugò la fronte, stranito, ma si
limitò per il momento ad assecondarlo.
Quando tuttavia spuntarono in una
piccola e tranquilla piazzetta pigramente illuminata dalla luce della tarda
mattinata, e Kumals si diresse pacificamente verso i
tavolini disposti fuori da un bar dall’aria domesticamente
accogliente, Danny si fermò stupito e buttò fuori «Aspetta un momento. Vuoi
dire che stiamo sul serio andando semplicemente a fare colazione?»
Kumals si girò a
dedicargli un’espressione sorpresa, inarcando un sopracciglio. «Non è quello
che ho detto?»
Danny gli scoccò uno sguardo
significativo che la diceva lunga in proposito a quanto – conoscendolo – si
potesse decidere di prenderlo sempre alla lettera, ma riprese a camminare di
fianco a lui, limitandosi ad un «Con te non si può mai sapere…»
in tono scherzoso ma con ogni intenzione.
Kumals lo spiò appena
di sbieco, sorridendo un poco. «Non capisco proprio cosa ci trovi di così strano… In tempi come questi, avere un mezzo lupo al
proprio fianco è probabilmente la maniera più sicura di aggirarsi per questa
città.»
Danny alzò un sopracciglio. «Non direi
proprio che tu sia il tipo da avere bisogno di una guardia del corpo. O da
ammetterlo.»
Kumals accennò un
sorrisetto. «Attento… questo sembrava quasi un complimento.»
«Hai ragione. Errore mio.» rispose Danny
a tono, facendolo sogghignare di nuovo.
Una volta raggiunti i tavolini fuori dal
cafè, Danny vide con sua sorpresa Kumals
approcciarne uno già occupato, nonostante fossero quasi tutti liberi. L’uomo
che vi sedeva sembrò agli occhi di Danny il più innocuo e comune dei cittadini,
con la sua aria comune di abituale cliente qualsiasi da bar, la sua corporatura
bassa e piuttosto rotonda, i capelli diradati dall’età sulla cinquantina, e il
suo alzare lo sguardo al loro approcciarsi dal giornale che stava sfogliando
con la fronte corrugata come in un erculeo tentativo di concentrazione nella
lettura al di là di un tempestoso e ostinato coagulo di preoccupazioni
assortite.
Tuttavia, vedendo Kumals
fece un cenno con la testa, e immediatamente la sua espressione si corrucciò in
una sorta di riconoscimento familiare e soprattutto affatto entusiasta. Il che
apparve a Danny un’espressione potenzialmente molto adatta a chi fosse
avvicinato da Kumals e in generale lo conoscesse
abbastanza, ma non avesse avuto modo di affezionarcisi in qualche modo; Kumals d’altro canto tendeva a renderlo difficile come se
fosse una sorta di suo hobby a tempo perso.
«Capitano Pereira…»
salutò Kumals sommariamente, sedendosi bellamente su
una delle sedie libere. «Quanto tempo…»
Danny si bloccò di netto dove si trovava
e spalancò gli occhi, studiando rapidamente meglio l’uomo, mentre quella
sottile sensazione di qualcosa che non lo convinceva del tutto in lui si
concretizzava istantaneamente in una conferma sfacciatamente palese. Era un
poliziotto in borghese. Anzi, un capo della polizia locale.
L’uomo piegò il giornale mettendolo da
parte con un piccolo grugnito, fissando Kumals con un
ché di rassegnato e sempre meno entusiasta. «Mai abbastanza…»
mugugnò.
Kumals sorrise appena,
impassibile, con aria accondiscendente. Poi fissò Danny, affatto sorpreso di
trovarlo ancora fermo in piedi e intento a studiare l’uomo da capo a piedi e
viceversa con espressione inscurita. «Puoi sederti, se vuoi.» offrì «Il nostro
capitano Pereira, qui, non morde, anche se a volte abbaia.»
Danny gli rivolse uno sguardo
estremamente significativo, alzando entrambe le sopracciglia, con un ché di
piuttosto accusatorio e vagamente tradito.
«Come puoi notare c’è abbondanza di sedie… Non resta che sceglierne una.» insistette tuttavia Kumals, fissandolo a sua volta con intenzione, come se
avesse colto perfettamente il suo sguardo e gliene stesse restituendo uno che
conteneva una richiesta di dargli fiducia per il momento.
Danny rimase perfettamente fermo dove si
trovava, mentre l’uomo contemplava la scena con vaga curiosità attenta,
tamponandosi un poco di sudore dal collo con un fazzoletto di tessuto.
Kumals sospirò appena,
sebbene un angolo delle labbra inclinato decisamente e forse inconsciamente in
un sorrisetto tradisse una sorta di comprensione abituata e piuttosto
apprezzante in fondo.
«Ebbene sì, il nostro Pereira qui è uno
sbirro. Ma è anche incidentalmente una persona abbastanza onesta per i nostri
standard.»
Pereira gli dedicò un’occhiata
decisamente corrucciata pur senza troppe speranze, che infatti Kumals ignorò con la sua consueta ed elegante nonchalance.
Danny iniziò a percepire un leggero ma spontaneo sogghigno cercare di farglisi strada sul volto; perché quella sembrava una
situazione in cui Kumals non avrebbe perso occasione
di far pentire a quel poliziotto di trovarsi lì con loro, e suo malgrado si
sentì tentato di sedersi per godersi la scena.
Come se gli avesse letto nel pensiero – o più
probabilmente come se avesse notato puntualmente quel minuto mutamento nella
sua espressione, e avesse tutte le intenzioni di approfittarsi immediatamente
di quel sottile vantaggio captato grazie alla sua capacità d’osservazione e al
fatto che lo conosceva bene – Kumals aggiunse
prontamente «Non devi farci amicizia, e nemmeno parlarci, come immagino tu
preferisca evitare di fare. Mi stai semplicemente accompagnando. Indi per cui,
non credo che ora prendere una sedia e sederti qui possa infrangere così madornalmente il tuo codice personale a riguardo degli
sbirri, no?»
Kumals ignorò di nuovo
bellamente un’altra smorfia di Pereira nel sentire quella definizione, e spinse
gentilmente una sedia libera verso Danny.
Danny si arrese e si sedette, con espressione
comunque acutamente contrariata, e non lesinando nel lanciare a Kumals un’ultima occhiata che faceva chiaramente sapere che
quella non gliel’avrebbe perdonata così facilmente.
«Un giovane anarchico…?»
domandò Pereira rivolto a Kumals, con appena un
accenno di vago interesse.
«Uno di questi due termini sicuramente
non si adatta a lui, anche se non ti dirò quale, Pereira.» rispose Kumals con compassata calma.
Danny sapeva che si riferiva al fatto
che, a causa del suo essere un mezzo lupo, aveva più anni di quanti non si
potesse desumere dal suo aspetto esteriore.
Pereira, d’altro canto, non poteva
saperlo, e lanciò l’ennesima occhiata a Kumals tra il
rassegnato e il decisamente confuso, aggrottando la fronte come di fronte ad un
complicato indovinello in cui lui non trovava alcun particolare divertimento, e
anzi sospettava fosse scortese porgli con tanta beneamata tranquillità.
«Ma tutto quello che devi sapere, è che
un amico.» proseguì colloquiantemente Kumals «Un mio amico. Detto questo, va da sé che ha tutta
la mia fiducia e protezione. E spero che ti ricorderai bene della sua faccia,
perché se un domani dovesse mai venire a chiedere la tua collaborazione, o
viceversa come del resto è assai più probabile, potrai rivolgerti a lui come se
fossi io. Sempre che nel frattempo Danny abbia deciso di essere disposto a fare
una piccola eccezione per te…» aggiunse, con una chiaramente percettibile
sfumatura di complimentosa e divertita soddisfazione.
Danny spiò verso Kumals
per un istante confuso. Ma per il resto rimase seduto a braccia incrociate
continuando a tenere incollato sul loro interlocutore uno sguardo penetrante e
di pessimo umore, come se niente potesse convincerlo a non tenerlo sotto vigile
controllo, né trattenendosi dal lasciar trapelare che non gli piaceva affatto
stargli tanto vicino.
Pereira emise un altro lungo sospiro con
aria arresa. «Quante volte devo dirti, Kappa, che la polizia di Tairans non è a tua disposizione quando ritieni di averne bisogno… e che il fatto che io parli con te non significa e
non potrà mai significare questo?»
Danny si stupì per quel nome, ma rimase
in silenzio ascoltando attentamente.
Kumals stava
sorridendo appena, divertito. «Almeno tante volte quante io dovrò ripeterti che
non mi servirà mai a nulla l’aiuto di qualsiasi polizia, e che sono sempre
stato propenso a desiderare piuttosto che chiunque dei tuoi colleghi di
qualsiasi parte del mondo possa avere l’opportuna intuizione che il meglio che
potrebbe fare è togliersi dai piedi e non intralciarci quando c’è qualche
problema che ci compete da risolvere…» rispose con la
sua amabile tranquillità.
Da quel momento in poi sulla faccia di
Danny si insediò un accenno si sorrisetto divertito, perché stava
definitivamente realizzando che, dopotutto, rimanere ad assistere mentre Kumals faceva il gradasso con uno sbirro non era affatto
male.
«Kappa…»
ribatté Pereira con pazienza e una smorfia rassegnata «Io sono il
vice-commissario della polizia di Tairans, e come sai
tutto quello che succede nel territorio sotto la nostra giurisdizione è sempre
di nostra competenza. Tu e i tuoi… colleghi siete
abituati ad andare e venire a chiamata, ma io e i miei uomini siamo sempre qui
ad occuparci di qualsiasi problema possa riguardare questa città. A dirla tutta… è casa nostra, in un certo senso, e dovresti essere
tu in realtà a chiedere semmai il nostro via libera per fare…
cose come… quelle che fate di solito…»
Danny osservò come, nonostante i suoi
sforzi, l’uomo sembrasse piuttosto in difficoltà, come se francamente
riconoscesse per primo di non avere nessuna reale speranza di poter gestire Kumals; come se avesse abbandonato quella speranza già da
molto tempo.
La proprietaria del cafè
si avvicinò al loro tavolo, e Kumals ordinò la sua
colazione, poi, dopo aver invano atteso che Danny aprisse bocca, aggiunse
all’ordinazione un caffè per lui.
«Vice?» notò poi Kumals,
dopo che la donna si fu allontanata, scoccando un’occhiata incuriosita a
Pereira. «Mi pareva di ricordare che tu fossi l’ispettore capo…»
Pereira sospirò pesantemente. «Lo sono stato
fino al vostro ultimo… intervento. Dopodiché, sono
stato invitato a farmi da parte. Specialmente dopo che alcune delle cose che
erano successe sono risultate un po’ troppo… strane
per poter essere giustificate col fatto che avessi ricevuto precise informazioni
da… ‘fonti confidenziali’…»
«Oh. Spero che non sia stata colpa
nostra.» commentò Kumals, senza darsi pena di
sembrare dispiaciuto «Un fulgido esempio di come quando non si ha qualche immanicamento con i giusti personaggi importanti, tendano a
prendersela un po’ troppo sul personale per certe questioni.»
Pereira scosse la testa, con evidente
rassegnazione. «Ad ogni modo… È appunto come stavo
dicendo. Dopo quella… situazione particolare… voi siete tutti quanti spariti, e
a raccogliere i cocci sono rimasto io. Quindi… ti sarei estremamente grato se
stavolta mi dicessi prima di tutto quanto… è grave la
situazione… e quanto devo preoccuparmi esattamente?»
domandò, con una smorfia incerta, come se avrebbe preferito non sapere, non
saperne proprio nulla di nulla per sicurezza.
«‘Situazione’? Che cosa ti fa pensare
che ci sia una qualche ‘situazione’ in corso?» fece Kumals,
sbattendo appena le palpebre, e facendo scopertamente il finto tonto con
candida innocenza.
«Kappa… per favore…» sospirò Pereira, in
tono sostanzialmente di preghiera.
Il ritorno della proprietaria con le
loro ordinazioni lo costrinse a interrompersi per un momento, e aggiunse altro
zucchero al proprio caffè come se stesse cercando di farsi forza, mescolandolo
con sguardo basso e aria praticamente depressa.
«Prima di tutto…» riprese dopo che la
donna si fu allontanata, prendendo fiato come se stesse cercando di fare
appello a tutta la sua pazienza «So benissimo che non è tua abitudine chiamarmi
per un incontro di amichevole cortesia.»
«Hey, a quanto
pare nonostante il cambio di incarico le tue doti nel campo dell’indagine
brillano ancora fulgidamente.» commentò affabilmente Kumals,
mentre faceva la sua colazione con fare placidamente pacifico.
«E d’altro canto, sono anche abbastanza
sicuro che il tuo contegno nei miei confronti non sarebbe molto diverso da
quello del tuo amico qui…» proseguì Pereira rassegnato, accennando appena verso
Danny con un lieve movimento della testa, senza guardarlo «Se non fosse perché
l’esperienza ti ha insegnato che a volte collaborare con la polizia locale può
rivelarsi utile…»
«No, non direi utile.» osservò
distrattamente Kumals, sorseggiando tranquillamente
il suo caffè, e corresse come per amore di precisione «Dalla mia esperienza è
sempre stata piuttosto decisamente una tediosa perdita di tempo, nel migliore
dei casi. E non direi nemmeno ‘collaborare’. Avanti, Pereira, non offendermi
così. Sono certo che in fondo sai benissimo che mi guarderei bene dall’avere a
che fare con le sacre forze dello stato se non fosse strettamente necessario
talvolta… E devo dire che tu sei l’unico rappresentante d’esse con cui abbia
mai avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere.»
Pereira lo fissò. «Dubito che la cosa
più adatta da dire potrebbe essere qualcosa come ‘ne sono onorato’, giusto?»
Kumals annuì tra sé e
sé e si rivolse a Danny. «Che dicevo? Ottimo intuito.»
Pereira sospirò di nuovo pesantemente.
«Comunque, come dicevo è abbastanza ovvio che se sei di nuovo da queste parti e
hai pensato bene di… “perdere il tuo tempo” a invitarmi a prendere un caffè…
beh… dev’esserci una grande e grossa e brutta
‘situazione’ del tipo strano di cui ti occupi in arrivo dritta dritta su Tairans.»
Kumals scoccò un altro
sguardo a Danny. «Visto? Eccellenti doti investigative.» disse, facendogli
l’occhiolino.
Pereira emise un verso lamentoso,
scuotendo la testa. «Avanti, allora… Di quale maledizione o prossima fine del
mondo stiamo parlando questa volta? Che razza di micidiale minaccia di morte e
distruzione starebbe per calare sulla mia città e saresti venuto ad
annunciarmi?»
Kumals sorrise appena,
piegandosi in avanti appoggiato con i gomiti sul tavolino, guardandolo per la
prima volta con una sorta di penosa compassione relativamente sincera. «Suvvia,
non essere così pessimista… Non devi preoccuparti, come sempre d’altro canto
quando sono io a occuparmi della faccenda. È vero, sta in effetti e
potenzialmente per arrivare qualcosa di bello grosso e minaccioso. Ma se sono
qui significa anche che ci penserò io a disinnescare il pericolo ancora prima
che si scateni al suo massimo. Su questo mi pare di non essermi mai smentito,
sbaglio?»
Pereira sornacchiò un commento
assertivo, suo malgrado.
Kumals sorrise un poco
di più, felinamente. «Esatto. E… beh, è per questo che la polizia non può che
guadagnarne dall’avere l’onore di ricevere una mia dritta. Tramite naturalmente
la tua copertura eccellente della mia identità e dei reali motivi per cui
vengono prese certe misure. Per questo, come sempre: non c’è di ché. Sai che i
ringraziamenti troppo smaccati non sono il mio genere…»
Pereira alzò lo sguardo al cielo con
aria totalmente rassegnata.
«Ad ogni modo…» proseguì tranquillamente
imperturbabile Kumals «Il motivo per cui ti ho
contattato è essenzialmente questo: ci serve una rete di sicurezza, perché
stavolta potremmo dover funambolare non poco,
nonostante la nostra indubbia abilità… E so bene che entrambi ci troviamo
d’accordo sul fatto che non vorremmo mai che un eventualissimo fallimento
temporaneo da parte mia e dei miei consociati rischiasse di mettere in pericolo
l’incolumità di tutta quanta Tairans. Giusto?»
Pereira impallidì e tossì nel suo caffè,
facendoselo andare di traverso e iniziando a tossire corposamente.
«Stavo pensando…»
suggerì Kumals affabilmente, battendogli qualche
pacca sulla schiena come per non farlo strozzare «Che l’evacuazione della città
potrebbe essere un buon rimedio di sicurezza.»
Pereira strabuzzò gli occhi, divenne
paonazzo, lo fissò orrorificato, ed esclamò «Che
cosa?!», abbastanza forte da far voltare un pacifico vecchietto seduto
dall’altra parte dello schieramento di tavolini che stavo sfogliando un
giornale, almeno altre due persone che stavano transitando per la piazzetta, e
far alzare in volo un gruppetto di piccioni intenti a beccare briciole sparse
lì intorno dalla colazione di precedenti clienti.
Kumals gli dedicò uno
sguardo criticamente significativo alzando entrambe le sopracciglia.
Pereira sembrò sforzarsi di riprendersi
con impegno, rivolgendo intorno un paio di tirati sorrisi che si supponeva
dovessero essere rassicuranti verso chi si era girato. Poi si sporse tuttavia
verso Kumals, chinandosi sul tavolino il più
possibile, e guardandolo dritto negli occhi sibilò concitatamente «Kappa… di che cosa diavolo stiamo parlando??»
Kumals riprese a
sorseggiare il suo caffè tranquillamente. «Sì, un’evacuazione generale mi
sembra un’eccellente idea. Direi il minimo, almeno per cominciare.»
Da quel momento in poi, Pereira iniziò a
tamponarsi senza posa col suo fazzoletto di stoffa il sudore sempre più
cospicuo, e continuò a guardarlo come se avrebbe voluto disperatamente credere
che Kumals stesse scherzando o volesse prenderlo in
giro o stesse comunque esagerando, ma allo stesso tempo non riuscisse nemmeno a
sperare che si trattasse di un simile caso, o che lui sarebbe mai riuscito
veramente a persuadersene.
***
Occorsero diversi altri minuti a Kumals per spiegare – o meglio, Danny non poté fare a meno
di ammirare l’abilità con cui lui riuscì ad essere perfettamente convincente
sulla reale gravità della situazione senza allo stesso tempo rivelare cosa
stesse effettivamente succedendo – e soprattutto a Pereira per calmarsi un
poco.
Il vice commissario ascoltava sempre più
pallido e sudato, e ordinava un tè freddo dietro l’altro zuccherandoli come se
non ci fosse un domani, o come se stesse iniziando a convincersi sempre più che
potesse davvero e quanto mai letteralmente ‘non esserci un domani’, mano a mano
che Kumals parlava.
Non sembrava nemmeno che Pereira fosse
così determinato a capire veramente di che cosa si trattasse in sé e per sé,
ovvero aldilà delle conseguenze pericolose che potevano riguardare Tairans e i suoi cittadini, perché quando Kumals rispose ad una delle sue domande con un
significativo e allo stesso tempo singolarmente pacifico «Preferisci non
saperlo, Pereira. Credimi.», l’uomo non tentò di saperne di più.
Quando alla fine Kumals
si alzò dal tavolino, e Danny fece altrettanto, Pereira sembrava sull’orlo di
una crisi di nervi.
«Te ne stai andando?» domandò, fissando Kumals ancora stravolto, pesantemente appoggiato al
tavolino come se invece di tè freddo avesse bevuto qualcosa di molto più
pesante, continuando a tamponarsi il collo e i lati della faccia col fazzoletto
di stoffa, come se tentasse di riprendersi almeno in parte.
Ebbene sì… Questi nostri incontri sono
sempre così tragicamente brevi, non è vero?» confermò con piglio leggero Kumals, appoggiando qualche moneta sul tavolino per
lasciare la sua parte del conto.
Pereira lo squadrò con un misto di
disperazione e rassegnazione irritata e critica. «Tanto per saperlo… Semmai
anche questa… cosa… dovesse andare a finire senza… troppi… danni… Tu e i tuoi
soci pensate di tornare a stabilirvi da queste parti, per caso?»
Kumals guardò in
distanza e sospirò appena. «Quell’epoca della mia vita è finita, ormai. Purtroppo,
forse…» disse distrattamente, con un’intonazione praticamente malinconicamente
contemplativa.
Danny lo spiò di sottecchi, piuttosto
sorpreso.
Pereira, dal canto suo, commentò
piuttosto con un sospiro profondamente sollevato.
Soundtrack: Der Kommissar
(Falco)
Credits:
il nome di Pereira l’ho preso dall’ottimo romanzo di Tabucchi ‘Sostiene
Pereira’, di cui il titolo di questo capitolo è una giocosa storpiatura. A
differenza di quello che scribacchio malamente io, il romanzo di Tabucchi vale
la pena di leggerlo.