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Autore: AdhoMu    04/02/2019    7 recensioni
["Principenny" Clearwater / Charlie Weasley (et Percy Weasley)]
"Weasley.
Patronimico riferito ad antichissima famiglia magica inglese, appartenente al rinomato gruppo delle Sacre Ventotto. I suoi membri sono tradizionalmente affiliati alla Casa di Grifondoro e presentano un biotipo ben preciso, costituito da capelli rossi, pelle chiara e lentigginosa ed occhi di colore variabile fra il celeste e il nocciola."
Ah: e sono anche maledettamente numerosi, aggiungerei io.
E pure fascinosi, accidenti a loro.

Dodici caselle. Dodici draghi.
Riusciranno Penny e Charlie a recuperarli tutti prima della Battaglia Finale?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antonin Dolohov, Charlie Weasley, Filius Vitious, Penelope Clearwater, Percy Weasley
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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6. Di drago in burrasca.
 
- Ha ammazzato i miei zii... – mi aveva detto Charlie poco dopo che eravamo fuggiti dalla Riserva dei Lungocorni Rumeni.
Io lo avevo ascoltato orripilata, senza azzardarmi a proferire verbo, mentre lui, spaventosamente serio, mi raccontava che proprio ad Antonìn Dolohov, durante la Prima Guerra Magica, era stata attribuita la morte di Fabian e Gideon Prewett, i due fratelli di sua madre.
- ...quindi capirai che non esagero quando affermo che Dolohov è uno dei criminali più pericolosi e senza scupoli nel quale potremmo avere la sfortuna di imbatterci.
Ah, non avevo dubbi.
Ai tempi però, e così era stato anche in occasione delle nostre successive fughe, io mi ero ingenuamente illusa che, a scapito della ferocia di Dolohov, la fortuna ci avrebbe sempre assistiti e che, muovendoci con prudenza e buon senso, l’avremmo sempre fatta franca.
Evidentemente mi sbagliavo.
Il cupo Mangiamorte, per chissà quale ragione, sembrava essere al corrente della nostra Missione e, soprattutto, ci aveva dimostrato più di una volta di conoscere in anticipo le nostre prossime mosse.
 
Eravamo ormai a fine dicembre quando, dopo essere passati da Islanda, Norvegia e Pirenei, ci accingevamo a raggiungere la Svezia.
La buona notizia era che, apparentemente, i nostri spostamenti aleatori dovevano aver messo in difficoltà i nostri inseguitori dal momento che, in seguito all'episodio di Odessa, non ci eravamo mai più imbattuti né in Dolohov né in altri loschi figuri malintenzionati.
Le cose però, a causa di due motivi ben distinti, procedevano a rilento.
Prima di tutto, il drastico peggioramento del clima: con l’avvicinarsi dell’inverno con le sue nevicate e le sue spesse nebbie, infatti, ci era sempre più difficile individuare gli accessi delle Riserve e, una volta dentro, individuare i draghi, che spesso e volentieri preferivano rimanersene rintanati nelle loro tane scavate nella roccia delle montagne.
In secondo luogo, c’era poi il problema della Passaporta rotta.
Subito dopo aver lasciato l'Ucraina, a metà ottobre, avevamo deciso di affrontare subito i paesi scandinavi, nella fattispecie il più lontano e remoto di tutti: l'Islanda. Emil, il responsabile della Riserva delle Furie Buie, ci aveva ricevuti assai benevolmente: nei mesi precedenti, un intenso scambio epistolare con Sturgis Podmore l’aveva messo al corrente della situazione assai critica in cui verteva la Comunità Magica Inglese.
Se non tentiamo in qualche modo di arginare la cosa – gli aveva scritto Sturgis in una delle sue lettere, che lui ci mostrò – le ripercussioni a livello mondiale saranno devastanti: numerose specie di draghi rischieranno di scomparire visto che, quasi sicuramente, gli esemplari verranno catturati per essere usati come materia prima da Pozione o brutalmente schiavizzati.
E così, Emil ci aveva subito portati da Finn che, in quel momento, se ne stava placidamente acciambellato nella sua tana scavata nelle pendici del vulcano Eyjafjöll.
Simile ad uno strabiliante incrocio fra un grosso gatto ed una salamandra, la Furia Buia era assolutamente splendida: la sua pelle coperta di lucide squame nere come ossidiana, illuminate dai bagliori della lava, riluceva di un brillìo ammaliatore che attrasse il mio sguardo e lo mantenne fisso su di lui come il pendolo di un ipnotizzatore. Quando lo vidi e potei ammirarne la bellezza, compresi come mai Charlie aveva deciso di tatuare su di sé l’immagine di una di quelle meravigliose bestie.
Finn era davvero un gran bravo drago, particolarmente acuto e molto, molto intelligente. Non si dimostrò affatto ostile quando lo chiamai per nome; anzi: nel giro di qualche secondo si era già avvicinato a noi per fiutarci con grande curiosità. Nell’osservarlo, io rimasi molto sorpresa dal fatto che ad un animale così piccolo (era, fra tutti, l’esemplare dotato di minori dimensioni) venisse attribuito un potere distruttivo così grande. Ovviamente mi sbagliavo alla grande e questo, ahinoi, Finn ce lo dimostrò non appena un Charlie in assoluta fibrillazione lo ebbe istigato a gran voce di “farci vedere cosa sapeva fare”.
Non l’avesse mai fatto.
La Furia Buia, in incontenibile solluchero, si produsse in una serie di frenetici voli all’interno della caverna, facendoci più volte il pelo e travolgendo metodicamente qualsiasi ostacolo e/o oggetto gli si parasse davanti.
 Fra cui anche, e qui casca l’asino signore e signori, il bagaglio che Charlie aveva incautamente posato sul pavimento della tana, senza preoccuparsi di accostarlo alla parete. Il povero zaino descrisse una parabola dalla curvatura perfetta e andò a spiaccicarsi contro un muro di roccia particolarmente bugnato: in quella l’annaffiatoio di latta, nonché nostra Passaporta, fu sbalzato fuori dalla tasca e attraversò a balzi la caverna, in un sottofondo di costernate urla nostre e assordante clangore metallico.
- Mi... mi sa che l’abbiamo perso – mi confidò Charlie quella sera mentre, con la lingua fuori per la concentrazione, cercava di riassestare l’eccesso di ammaccature con la bacchetta, la cui punta era stata trasformata in un martelletto gommato.
Io, che in quel momento stavo cercando di sedare un diverbio fra Suzy e Pavlo (con László che, infido come non mai, fomentava la lite, Konsti che dormiva rinchiuso in un silenzio ostinato e Finn che ridacchiava divertito, vispo come un furetto del colore della notte), lo guardai sgomenta.
- Come cacchio facciamo a tornare indietro? – gli domandai, scoraggiata al pensiero delle miglia e miglia di mare gelato che ci separavano dal Continente; decisamente troppe, in effetti, per tentare una smaterializzazione d’emergenza.
Lui scosse la testa, stringendo le labbra.
- Non lo so, Penny.
Per nostra fortuna il giorno dopo, in un ultimo eroico atto di vitalità, la Passaporta si riattivò, con un pulsare intermittente e un po’ claudicante. L’oggetto mi parve tutt’altro che affidabile, ma le alternative erano ridotte all’osso.
- Non abbiamo altra scelta, Pen – ribadì  Charlie ed io, ben sapendo che aveva ragione, trassi un respiro profondo, chiusi gli occhi e afferrai di scatto l’annaffiatoio.
Strappo all’ombelico, immagini vorticose, sensazione di risucchio.
Quando posammo i piedi a terra, una caratteristica bandiera rossa con croce blu decorata da ghiaccioli simili a piccole stalattiti ci rivelò che la gloriosa Passaporta ci aveva condotti a destinazione, sani e salvi in suolo norvegese.
Poi, dopo un altro paio di sofferti bagliori pulsanti, il nostro valoroso mezzo di trasporto si disattivò, questa volta per sempre.
 
Arrivammo alla Riserva dei Dorsorugoso Norvegesi sotto ad una nevicata così forte da impedirci di vedere a mezzo metro di distanza. E se a ciò si aggiunge il fatto che i Guardiani locali si erano dati da fare per mantenere celato l’accesso, potrete certo immaginare quanto ci fu difficile, in quell’occasione, trovare la strada.
Per nostra fortuna però, in quella Riserva, Charlie aveva degli amici.
Non semplici conoscenti, non volti sconosciuti celati dietro formali scambi di corrispondenza in pergamena; no: proprio amici, amici con la A maiuscola.
E fu così che, mente noi ci guardavamo intorno smarriti in quell’immensità bianca e alienante, intenti a tirarci su i baveri e indecisi sul da farsi, un getto di scintille rosse emesse poco lontano attirò i nostri sguardi, inducendoci a trotterellare goffamente in quella direzione.
- Weasley!
- Bjørn!...
Un paio di vivaci occhi azzurri, appena appena visibili sotto l’orlo di una buffa cuffia di lana rossa a disegni bianchi con tanto di ponpon, ci osservava da uno spioncino circondato dal nulla.
- Abbiamo disilluso il portone – ci spiegò sorridendo il giovane, un mago gioviale e molto, molto alto non appena ci fummo intrufolati dentro.
Bjørn, Knut, Oddvar e Hilde, che erano stati colleghi di Charlie in Romania, ci accolsero con un sacco di feste, abbracci e pacche sulle spalle che mi fecero letteralmente svolazzare qua e là. La cena, che consumammo all’interno di una saletta rivestita di assi di legno di pino chiaro in compagnia di tutto il personale in servizio, fu deliziosa e molto allegra; e ancor più allegrotto fu il dopocena, quando sulla tavola ormai sgombera atterrarono una decina di bicchierini di cristallo smerigliato e un paio di bottiglie che Knut definì “da non appoggiare mai, per nessuna ragione, nelle vicinanze di un drago, o l’esplosione è garantita”.
Charlie, rosso in viso, rideva di gusto man mano che antichi aneddoti venivano ritirati fuori.
- Siete sempre i soliti – sghignazzava, puntando alternativamente il dito sugli ex-colleghi.
- Senti chi parla – lo rimbeccò Hilde, strizzandomi l’occhio. – “Sangue Weasley, eruzione in vista!...”
- Già – rise Oddvarr, le guance tinte di un’allegra sfumatura papavero. - Come quella volta che aiutammo il tuo fratellino a contrabbandare un drago!...
- Che fratellino?! – chiesi stupita io, sconvolta all’idea che potesse essersi riferito a Percy.
Non si trattava di lui, ovviamente (figuriamoci!), ma il loro racconto, altresì amplificato dai numerosi bicchierini di acquavite che l’allegra combriccola cacciò giù fra un’infornata di Biscottini di Bacche e l’altra, mi lasciò letteralmente sbalordita. Quando appresi che Ron Weasley, aiutato da Harry Potter e Hermione Granger, aveva organizzato in gran segreto un prelievo di drago da Hogwarts per salvare il culo ad Hagrid, mi chiesi con quale costernazione avrebbe reagito il terzogenito Weasley se fosse venuto a conoscenza della cosa.
- E a questo proposito domani – mi disse Charlie accostandosi a me in modo assai confidenziale e infilando con delicatezza le dita fra i miei capelli per carezzarmi fugacemente la nuca – ci aspetta una gran bella sorpresa.
Io, che mi ero fatta più rossa di quanto già non fossi in precedenza, gli rivolsi un’occhiata intrigata, sforzandomi di ignorare le risatine generali.
Top secret – rispose lui in tono furbesco, mimando di chiudersi la bocca con una cerniera. – Ma non vedo l’ora.
Quella notte dormii poco.
Forse per l’eccesso di acquavite che ancora mi faceva bruciare le interiora, forse per l’eccitazione provocatami dalla misteriosa sorpresa che mi attendeva l’indomani. O forse, semplicemente, perché mi sentivo ancora il tocco ruvido e irresistibile delle dita di Charlie sulla pelle del collo. Sta di fatto che faticai non poco a chiudere occhio.
Il giorno dopo, la grande sorpresa (davvero molto, molto grande, in effetti) ci fu rivelata.
Subito dopo colazione, Bjørn e Hilde ci fecero calzare delle speciali paia di Ciaspole Magiche Anti Affondo e ci condussero all’interno del bosco, per poi calarsi con noi in un grosso pozzo tubolare scavato della terra viva.
- Ed eccola qui, la nostra reginetta – disse Hilde abbassando la voce, dopo che avemmo percorso all’incirca una cinquantina di metri. – Non è uno splendore?
A Charlie brillavano gli occhi.
- È... è meravigliosa!...- esclamò lui, facendoci trasalire. – Ma quanto sei cresciuta, Norberta!...
Io, in quel momento, non potei non dargli ragione.
La draghessa ci aveva sentiti entrare e aveva subito alzato la bella testa allungata.
Era maestosa, imponente, regale; e dall’occhiata che ci rivolse, mi avvidi subito che era anche molto, molto pericolosa. Cinque o sei creste basse e nere, lucide e taglienti come selce scheggiata,  le percorrevano la schiena dalla base del collo alla coda; gli occhi arancioni, fissi su di noi, non ci abbandonavano per un solo attimo.
Ciao Norberta – le dissi, avanzando di un passo. – Sei bellissima, lo sai?
- Modestia a parte – mi rispose lei, lasciando andare un piccolo sbuffo di fumo nero e stiracchiando pigramente le grosse ali irte di aculei.
Charlie, in piedi dietro di me, tratteneva il fiato.
- Senti – proseguii io, sedendomi a terra con estrema cautela. – Ti piacerebbe fare un salto in Inghilterra per salutare un vecchio amico?
 
La Scatola Portadraghi cominciava ad essere affollata.
Dopo aver prelevato Norberta, avevamo raggiunto la Riserva dei Crestaguzza dei Pirenei avvalendoci di un allacciamento di camini clandestino allestito in gran segreto da Knut, che da un paio di anni frequentava una tizia di Andorra. 
Marta, così si chiamava la vivace strega dai grandi occhi neri che, senza battere ciglio, ci vide uscire un po' imbarazzati di sotto la cappa del suo salotto, ci ricevette con grande entusiasmo e ci mise subito in contatto con i suoi conoscenti della Riserva, cosicchè nel giro di un paio di giorni fummo in grado di fare ritorno in Norvegia tramite metropolvere.
Malvina, la Crestaguzza che portammo via con noi, era una chica di tredici metri e cinquanta ricoperta di scaglie color fiamma viva, una chiostra di denti bianchi e acuminati come scimitarre saracene ed una cresta dorsale da far impallidire, con le dovute proporzioni, un Marlin Blue di quelli più dotati.
- Fatte attenzione alla cresta: per loro è fondamentale nella dispersione del calore - ci raccomandò Ernesto, uno dei responsabili del Parco mentre Malvina prendeva posto nel suo scompartimento. - Non deve essere assolutamente ripiegata, o l'esemplare richia di incendiarsi.
- Non ti preoccupare: io e Penny baderemo a Malvina e alla sua cresta come se si trattasse di nostra figlia – gli promise solennemente Charlie mentre io, che nel frattempo ero arrossita fino alla punta dei capelli, annuivo con tutta la convinzione che fui in grado di tirare fuori.
 
Dalla Norvegia alla Svezia, rispetto alle distanze che avevamo coperto  in precedenza, era quel che i babbani usano definire “un tiro di schioppo”.
Una volta che ci fummo intabarrati per bene nei nostri caldi mantelli di lana di pecore Vello Magico, messici a disposizione dai gentilissimi titolari dell’allevamento Midgen-McLaggen delle Isole Orcadi (Eloise e Cormac erano filiati alla Causa e non mancavano di fornire aiuto ai membri dell’Ordine), salimmo a bordo di una slitta trainata da una muta mista di Crup a Pelo Lungo e di Kneazle delle Nevi, capitanata da Oddvar che, per l’occasione, indossava un’elegante colbacco di pelo di talpa con tanto di paraorecchi incorporato.
Per raggiungere la Riserva dei Grugnocorto ci vollero tre giorni e mezzo; la neve cadeva fitta intorno a noi, ma i nostri incantesimi di respingimento ci tennero all’asciutto mentre, davanti ai nostri occhi, il nostro sestetto di bestie assortite correva senza apparentemente sfiorare il suolo immacolato, quasi avessero le ali ai piedi.
- Annika sarà proprio contenta di vederti – aveva sogghignato Bjørn al momento dei saluti, guadagnandosi in risposta un grugnito da parte di Charlie.
Fu proprio così, infatti.
Annika Berger, una delle Guardiane della Riserva e anch’ella ex-domatrice di stanza in Romania, non aspettò neppure che Charlie fosse sceso per bene dalla slitta per gettargli le braccia al collo. Gran bella ragazza questa Annika, dovetti ammettere, osservando di sottecchi la sua bionda chioma setosa e il brillìo degli occhi verdi come smeraldi. Davvero graziosa e evidentemente, vista l’occhiata poco lusinghiera che mi rivolse quando si accorse di me, assai interessata all’altrettanto piacente Weasley dai capelli ramati.
Ebbi piena riprova dei miei sospetti qualche ora dopo quando, fresca di doccia e affamata come un lupo, mi recai nelle cucine in cerca di qualcosa da sbocconcellare. Mentre passavo accanto al salotto, un timbro che conoscevo assai bene mi indusse a fermarmi dietro la porta.
Annika e Charlie si trovavano insieme; erano seduti davanti al camino e mi davano le spalle. Chiacchieravano: le loro voci, squillanti ed allegre, si sovrapponevano al secco schioccare dei ceppi che ardevano festosamente a pochi centimetri dai loro visi.
- Stai bene coi capelli corti... – stava dicendo Annika, tendendo la mani per afferrare uno dei corti riccioli rosso fiamma di Charlie.
Punta sul vivo, stavo per avvicinarmi e manifestare la mia presenza quando lei, di punto in bianco, gli fece scivolare le braccia intorno al collo e stampò le graziose labbra rosate su quelle di lui. Io rimasi di sasso, trattenendomi per un pelo dall’urlare a squarciagola un tutt’altro che diplomatico “Ma che caaaazzo fai?!”; non ce ne fu bisogno, però, perché Charlie si tirò subito indietro e si staccò da lei scuotendo la testa.
- Ma Annika!...
- Oh – sbuffò lei, delusa. – Perché, Charlie? Perché mi dici sempre di no?
- Lo sai, il perché.
Lei gli rivolse un’occhiata amareggiata.
- Ancora?... Ancora quella benedettissima Dora?
Charlie mugugnò qualcosa che mi sfuggì.
- Non mi dirai... no! – la voce di Annika risuonò incredula. - Fammi indovinare... no, dai?! Quella... quella principessina infiocchettata...?
- Lascia perdere Anni, va bene?
Se Charlie sembrava seccato, io ero letteralmente incazzata nera.
- Ci ho preso?... – insistette la giovane svedese.
- Ascolta: non sono aff...
Ma prima che Charlie potesse terminare la frase, delle urla provenienti dall’esterno della casa fecero saltare in piedi tutti quanti. Dalla porta, che era stata aperta di scatto, entrò di corsa un giovane mago scarmigliato, rosso di fiatone e visibilmente atterrito.
- Invasione! Tentativo di invasione!...
In men che non si dica l’intera squadra si riversò fuori, me e Charlie compresi.
Quando giungemmo alla radura indicataci dal ragazzo, una scena apocalittica ci si parò davanti agli occhi. Un nutrito gruppo di Mangiamorte era riuscito ad impastoiare un’enorme femmina di Grugnocorto, che ruggiva e si dibatteva disperatamente mentre, nel frattempo, un altro gruppetto nerovestito si impossessava di un drago più giovane, probabilmente il suo cucciolo.
All’arrivo della squadra al gran completo, incantesimi e maledizioni cominciarono a fioccare più abbondanti della neve che, instancabile, continuava ad ammantare il suolo.
Vidi Annika che, fuori di sé, colpiva due sventurati assalitori con sciabolate di luce, mentre Charlie tentava di recidere i lacci magici che mantenevano imprigionata la draghessa. Gli altri guardiani, nel frattempo, avevano circondato il manipolo di invasori; quelli, vedendosi accerchiati, cominciarono a smaterializzarsi uno dopo l’altro, scomparendo in inquietanti sbuffi di fumo nero.
Improvvisamente, in quel marasma, il mio sguardo incrociò quello di Antonìn Dolohov, che si era avvicinato di soppiatto al draghetto. Lui mi fissò per un lungo attimo, più raggelante del ghiaccio che ci circondava; la sua espressione di pietra ricolmò il mio cuore di gelido sgomento.
Quando capii quello che aveva intenzione di fare gridai con quanto più fiato avevo in gola e, senza pensarci due volte, lo attaccai; lui però fu più veloce di me e, rapidamente, si eclissò in un lampo di luce verde.
Charlie dovette tirarmi su di peso per staccarmi dal corpo esanime del draghetto; io urlavo e scalciavo come una pazza, ormai incapace di pronunciare una frase di senso compiuto. Passammo le ore successive riuniti nel salotto della Sede insieme a tutti gli altri; ricordo di avere pianto calde e copiose lacrime di indignazione e di tristezza col naso affondato nell’incavo del collo di Charlie, che per tutta la notte mi tenne stretta a sé, la guancia posata sulla mia fronte. Dalla mia postazione lo sentii tirare su col naso, tremare, digrignare i denti ed imprecare a mezza voce; ed io, attraverso lo strato spesso di lana calda del suo maglione con le toppe ai gomiti, potei percepire tutta la sua rabbia, la sua amerezza e il suo dolore.
Ad un certo punto, una mano delicata si posò sul mio braccio, spingendomi ad alzare la testa.
Era Annika.
- Ho visto quello che hai cercato di fare – mi apostrofò, porgendomi una grossa tazza di té nero col latte e molto zucchero.
Io le restituii lo sguardo, sfregandomi gli occhi arrossati con il dorso della mano.
- Non è servito a niente – le risposi afferrando la tazza e abbassando il capo, mesta.
– Sei stata coraggiosa: Linnaeus te ne sarebbe molto grato – mi disse lei, prima di indicarmi il tè con un cenno del capo. - Se ne vuoi ancora, mi trovi in cucina.
E così detto, si dileguò in silenzio.
Tre giorni dopo Karen, la draghessa superstite, si unì ufficialmente al nostro serraglio bene assortito.
 
Salutammo l’arrivo del 1998 dall’alto dei picchi alpini, ospiti dei Magimonaci che abitavano quelle remote catene montuose per occuparsi dei draghi Grigiofumo.
Strana specie, quella insediata sulle Alpi Svizzere. Non troppo grossa, capace di mimetizzarsi perfettamente fra le rocce e straordinariamente sfuggente; bastava un nonnulla: un fruscio, un rumore, un gesto troppo brusco e zac, i Grigiofumo scomparivano in battito di ciglia, lasciandosi dietro dense nuvole di vapore cinereo ed estremamente dannoso per i bronchi umani.
- Nei secoli passati – ci spiegò Fra’ Mathieu mentre, con carezze lente e misurate, lisciava le pliche di pelle coriacea del collo di Claude, il nostro prossimo compagno di viaggio – dovevamo tenere chiusi i passi alpini durante il periodo della muta, quando la livrea grigia cade e i draghi diventano giallo limone. In quel periodo le loro esalazioni sono di puro zolfo, e quindi immediatamente fatali per i babbani e i maghi troppo incauti.
Al monastero, che avevamo raggiunto grazie ad un Kanelbullar a Smaterializzazione Potenziante (*) preparatoci da Annika, ci trattenemmo per circa tre settimane, giusto il tempo di dare modo a Claude di abituarsi a noi senza tentare di intossicarci ad ogni parola che gli rivolgevamo.
Dopodiché, dopo aver ricevuto con immensa gratitudine una speciale Passaporta Transoceanica creata per noi dal Consiglio dei Magimonaci Anziani, io, Charlie e il nostro prezioso carico ci catapultammo alle Azzorre, la tappa più remota della nostra affannosa corsa contro il tempo.
 
Post-scriptum:
Eloise Midgen e Cormac McLaggen sono una mia OTP che compare spesso nelle mie storie (cfr. Appuntamento al Buio...pesto Peruviano e Le prodigiose sorprese ecc.): dopo essersi messi insieme alla fine del loro settimo anno sono andati a vivere sulle Isole Orcadi, dove allevano pecore fatate, le famose Vello Magico delle Shetland (cfr. Cavillo Geographics alla voce Ovis Aries Incantatus).
Perdonatemi per la battutaccia sui Keazle delle Nevi, vi prego, ma soprattutto per l’indelicatissimo ritardo nel rispondere alle recensioni... prometto di rimediare quanto prima; grazie per la pazienza.
(*) Dolce tipico svedese, in questo caso incantato per potenzializzare gli effetti della Smaterializzazione.
   
 
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