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Autore: atsogaovlas    08/02/2019    1 recensioni
Mi sono sempre chiesto come ci si sente quando si ama qualcuno, specie se quella persona e anche noi stessi abbiamo un vuoto dentro da riempire, forse io e la mia ex, "Anna" eravamo la risposta ai vuoti reciproci o forse no. Gabbiano non è altro che la mia storia e la sua, la storia di un ragazzo che vorrebbe planare sulle cose dall'alto, senza esserne troppo coinvolto, ma che si trova a dover fare i conti con la tempesta e la burrasca di una rottura dolorosa, dettata da premesse peggiori.
E' quasi tutto uno sfogo, sulla quale vorrei costruire una storia e imparare a scrivere cimentandomi direttamente con un pubblico online, tutto qua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Domande La mattina seguente uscì di casa presto, faceva freddo e c'era molta umidità. Questo dava quella fastidiosa sensazione di stare quasi svestiti, poiché il freddo si attaccava e trapassava qualunque capo uno si mettesse addosso, rendendo  quasi inutile l'atto di coprirsi. Guardai il cielo e c'era un sole raggiante. Dal fabbro vicino casa venivano rumori fastidiosi di flex e martellate. Fissai per un attimo il cielo, era di un blu terso ed era stupendo. Era bello poter guardare il cielo e non sentirmi sconvolto dall'agorafobia e dalla vastità delle cose. Tiravo su col naso perchè ero ancora influenzato così mi ero assicurato di portarmi dei fazzolettini. Ripensai ad Anna ed ero nervoso: dovevo incontrare la mia psichiatra di lì a poco e non sarebbe stato semplice, non lo era mai confrontarmi con me stesso, specie ora. Sentii vibrare il telefono in tasca, era mia madre:

"Pronto?"
"Ciao tesoro, come stai?"
"Bene Ma, sto qui che mi sono vestito, sono un pò rincoglionito stamattina, adesso sto andando dalla dottoressa..."
"Ah, bene." seguii un attimo di silenzio
"Tu come stai, Ma?"
"Sto bene, vado al lavoro, oggi dovrei tornare a casa prima..."
"Mh, bene. Lavori troppo."
"Già. Hai controllato quella storia del concorso dei vigili urbani qui a Varese? Potrebbe essere una buona occasione per.."
Cristo, perchè continua ad assillarmi con questa storia?
"Ah si Ma, devo farlo, sicuramente manderò la domanda" dissi velocemente
"Eh si Sà, qualcosa devi fare alla fine, ti devi muovere..."
Cristo, ci risiamo
"Senti Ma, hai ragione, adesso vedo cosa posso fare appena torno a casa. Non so neanche se vale la pena farlo, devo anche vedere se papà ha intenzione di chiudere quella roba in Francia se no mi sa che vado lì."
"Mh, si capisco ma la domanda puoi farla lo stesso intanto."
Sbuffai - "Va bene, quando torno a casa"
"Okay, allora stai andando adesso dalla dottoressa?"
"Si sono quasi arrivato, stacco che vado dentro, ciao Ma"
"Ciao Tesoro"

Tesoro... mi mancava mia madre.

Arrivai davanti all'edificio, si trovava poco distante da casa mia, era come un grosso blocco color giallo canarino scolorito. Un blocco dove ero "costretto" ad andare ogni mese, una volta al mese se ero fortunato. Entrai, e improvvisamente, al contrario dell'aspetto piuttosto anonimo che aveva all'esterno, al suo interno si capiva immediatamente che ci si trovava in una struttura appartenente alla sanità pubblica:
pavimenti con piastrelle ampie e bianche, muri per metà superiore bianchi ed inferiori quasi di un verde smeraldo, anch'esso sbiadito malissimo. Le luci al neon ronzavano sulla mia testa. E c'era odore di alcool e disinfettanti. Percorsi il corridoio per andare dove si trovavano gli psichiatri e gli psicologi, al muro si trovavano un sacco di fotografie di uno dei pazienti - un omone grosso come una montagna ma dall'aria simpatica - con in mano la sua collezione di farfalle. In tutte le foto. Ne guardai meglio una dove teneva in mano una teca con una farfalla grande quanto la mia testa. Sentì le zampette di quella cosa sulle mie spalle, le sue ali grandi e delicate come carta svolazzarmi intorno emettendo come un fruscio... rabbrividii.
Cristo Santo, che razza di hobby inquietante.
Ero sempre stato impaurito dagli insetti, ma la cosa era peggiorata da quando avevo incominciato a star male, qualche anno addietro. Era diventato qualcosa di ridicolo e derisibile. Come tutte le cose che mi mettevano inquietudine e che prima, invece, erano solo cose...normali.

Arrivato in sala d'attesa trovai l'omone delle farfalle, giocherellava con una palla pazza, di tanto in tanto, usava uno yo-yo. Non parlava mai e si limitava ai convenevoli. Ma quando mi guardò, non disse nulla. Non gli dissi nulla neanche io ed entrai nell'anticamera dell'ufficio dove riceveva la mia dottoressa.

"Salve, avrei appuntamento con la dottoressa Giurdo, era per le undici ma penso di essere in anticipo." Come sempre.
Uno degli impiegati - erano tre! Non due, tre! Tre persone per fare segreteria in un ambulatorio piccolissimo?! - mi guardò da sopra i suoi occhiali con l'aria di chi era stato interrotto durante il suo cruciverba preferito.
"Ah si, si..." fece
dall'altra parte della stanza, in un angolo che non potevo vedere il suo collega fece "Antò lo vuoi il caffé, te lo preparo?"
l'infastidito fece cenno di si, poi si rivolse a me e con un tono che sembrava un misto tra la noia e la scocciatura fece:
"Siediti in sala d'attesta, a breve ti riceve"
Benvenuti nel sistema sanitario nazionale, dove nessuno vuol fare niente e sono in tre per fare le cose che può fare una persona sola, Cristo santo
Mi sedetti e aspettai. Fumai un paio di sigarette fuori, in una zona all'aperto che si trovava attaccata alla sala d'attesa, poi l'infastidito venne e mi disse che era il mio turno di entrare, mi attaccai frettolosamente i capelli - che stavo lasciando allungare da quando io e Anna stavamo ancora insieme, a lei piacevano i capelli lunghi negli uomini,così come piaceva a me portarli - con il codino che avevo rubato ad Anna quando era qui con me, prima di risalire a Chieti. Anna... un tonfo al cuore. Improvvisamente mi trovai a pensare di nuovo a lei e al suo dannato codino, ai suoi capelli, al suo viso... Anna mi aveva lasciato, mi aveva lasciato nonostante tutti i miei sforzi.

"Hey tu! La dottoressa ti riceve!"
"Oh, si mi scusi."

Mi avviai ed entrai, chiusi la porta e la dottoressa era lì, seduta, bella come sempre. Era una bellissima donna  e molto professionale, il che la rendeva ancora più bella.
I suoi occhi neri mi scrutarono e mi sentii a disagio, sebbene cercassi sempre, quando mi sedevo, di mantenere la posizione del mio corpo molto rilassata.

"Buongiorno!
Ma lei è sempre più alto, ma come fa?" fece sorridendo per poi aggiungere "Qual'è il suo segreto?"
Era chiaro che volesse mettermi a mio agio, era chiaro che invece queste cose facevano l'esatto opposto. Ero negato per questo tipo di convenevoli.
"Ehh!! - esclamai per prendere tempo, cercando di farmi venire qualcosa di simpatico in mente - i miei mi hanno messo a mollo i piedi da bambino, e come le piante sono "sparato" in alto"
Cristo, che figura di merda, perchè non mi viene niente di decente?
Rise e per circostanza risi anche io, poi mi guardò e disse: "Come andiamo?"
Feci una smorfia.
"Non so cosa risponderle perch-"
"Aspetta - mi interruppe - prima fisicamente, come stai fisicamente?"
"Sto bene - ripensai ai miei polmoni - sto bene tutto sommato, mangio regolare, ogni tanto dormo male e mi sento molto stanco, ma penso di star bene ."
"Ottimo,stanco per cosa? I farmaci? Li hai presi o hai continuato a non prenderli? Ultimamente stavi meglio e abbiamo interrotto la paroxetina, hai avuto altri attacchi di panico?"
"No, no. Nessun attacco, sento solo molta ansia. Forse la stanchezza è dovuta agli orari sballati in cui vado a letto. -era così? Mi sentivo perennemente stanco...era solo una questione di dormire bene e meglio? Non dissi nient'altro al riguardo - Ho preso dello xanax nell'ultimo mese, in tutto sarà stato cinque o sei volte."
"Ne sentiva il bisogno?"
"Più come rinforzo, per darmi forza quando avevo paura che tutto crollasse"
"Capisco... e con la palestra come va, si sta ancora allenando?"
"Si, beh, non vado più in palestra, mi alleno a casa oramai, ho comprato anche qualche attrezzo, mi sto appassionando al calisthenics, grazie ad un amico"
"Mh, andare in palestra era anche un occasione per non stare a casa"
E' vero, lo era, ed era tremendamente importante.
"Si ma non mi piaceva l'ambiente"
"Capisco, per il resto? Come si sente? Con Anna come va?"
Anna...
"Sto bene, si insomma, sto veramente bene. Anna è stata qui e siamo stati insieme anche se ha un sacco di problemi suoi e cose sue e sembra che più io faccia per entrambi, più io sbagli qualcosa, non riusciamo a smettere di litigare, oramai litighiamo...litigavamo quasi una volta al mese e adesso lei è partita e..." e mi ha lasciato, mi ha lasciato perchè dice che sono menefreghista e che non ce la fa più e ha accumulato troppe cose dentro che non riesce più a controllare, che non riesce a controllare perchè la verità è che lei ha i suoi problemi irrisolti che la dominano e mi ha lasciato per questo  "...e abbiamo deciso di interrompere il nostro rapporto. Forse è meglio così. Nel senso, sono triste e mi fa male, ma mi rendo conto che lei deve essere libera e che io non posso trattenerla."
Mi guardò per un attimo in silenzio. Poi disse:
"Come la fa sentire il fatto che abbiate rotto, cosa significa per lei questa rottura, come si sente al riguardo?"
"Come mi devo sentire? So solo che questa volta non posso di nuovo spuntare dal nulla e chiederle di riprovarci dopo un mese e mezzo."
"In che senso?"
"Nel senso che devo pensare a me e alla mia vita. Devo trovare il modo di risolvere le cose, le MIE cose. E' da undici mesi che non facevamo più l'amore e non trovavamo un punto d'incontro e io ce l'ho messa tutta. Mi ci sono fiondato a capofitto. Per undici mesi ho misurato tutto al millimetro e sono stanco."
La dottoressa si sistemò meglio sulla sedia. Feci la stessa cosa.
"Cosa le ha detto Anna? Quali erano le sue motivazioni per questa rottura?"
"Dice che ero menefreghista. Che non le davo le attenzioni che meritava."
"Ed è vero?"
"No. E mi fa incazzare."
"Beh, è comprensibile se ritiene di aver fatto tutto quanto possibile".
Perchè l'ho fatto, giusto? O no? E se avessi sbagliato tutto invece? Se fossi stato un completo disastro? Se ci fosse un altro modo che non ho ancora trovato che possa salvare il mio rapporto con lei?
"Immagino di si. Anche perchè mi sento vuoto, mi sento vuoto senza di lei." conclusi.
I suoi occhi neri continuavano a scrutarmi, piegò leggermente la testa verso sinistra, poi, unì le mani sul tavolo. Stava cercando di elaborare il punto, lo faceva sempre in questo modo.
"Da quando lei viene qui, ha fatto dei giganteschi passi avanti. Davvero. Ma continua a lanciarsi in situazioni disperate in cui prova in tutti i modi a salvare un rapporto morente oramai da quasi un anno. Non pensa che forse sarebbe meglio lasciar andare e basta? Semplicemente occuparsi di se stesso, trovare un lavoro, sistemarsi veramente e stare bene, stare bene davvero?"
"Ma io con lei stavo bene."
Ed era vero, anche quando Anna era lontano per l'Università, io stavo bene, se stavo con lei a scherzare al telefono. E quando lei era con me fisicamente, io non sentivo più il mondo pesarmi addosso come aveva sempre fatto da che io avessi memoria.
"Si ma con lei..." incalzò "...mentre lei deve stare bene già DA SOLO e poi con qualcun altro, ma solo dopo. Non potrà star bene con nessuno se si fa carico di ogni cosa per stare bene con qualcun altro, capisce? Non si può essere felici veramente se si è felici solo con qualcuno accanto. La felicità viene da sé prima di tutto. E poi si condivide con gli altri. Tutti i tentativi che lei ha fatto, li ha fatti prchè amava Anna e voleva vederla felice e magari voleva anche che fosse felice con lei, okay, ma non ha mai veramente cercato la SUA felicità. Comprende quello che le dico? Deve amare se stesso per poter amare qualcun altro incondizionatamente. Se no è solo un circolo vizioso in cui si spera che l'altro copra dei vuoti che noi abbiamo dentro. E fa stare male."
Netta, precisa, dritto al punto, come sempre.
"Si, me ne rendo conto."
Ed era vero, me ne rendevo conto, ma io speravo di poter salvare me ed Anna insieme, e non solo me o solo lei. E lei se n'era andata.
"Si ricordi di se stesso. Di stare bene, di non pensare ai fallimenti e di andare avanti con la speranza che andrà meglio se ci lavora su.
Per il resto, come va con la ricerca del lavoro?"


Quella sera, quando mi sdraiai sul letto e ripensai alla discussione con la dottoresa, ripensai al mio passato e pensai ad Anna. Pensai agli ultimi litigi che fummo costretti ad affrontare, ai rinfacci, alle discussioni senza fine in cui dire che ci si amava non bastava più e sembrava che ci fosse quasi un buco nero al centro di tutto che incominciava a risucchiare tutte le buone intenzioni per una risoluzione pacifica, per tornare ad amarsi come all'inzio, spensierati.
Presi il telefono e aprì la chat di Anna, guardai tutti i messaggi delle ultime due settimane, incoraggiamenti su incoraggiamenti per quell'esame che le pesava tanto e le metteva ansia perchè la teneva bloccata in un mondo di studi che non le piacevano, messaggi in cui le dicevo che mi mancava, che l'avrei chiamata più tardi, messaggi che io credevo servissero a rinforzare il concetto che tenevo a lei e che non volevo perderla, dove esprimevo il mio amore per lei con parole semplici di tutti i giorni. In cui le donavo delle attenzioni del tutto normali, che lei avrebbe rinfacciato come mancanze, quando invece volevo solo lasciarle i suoi spazi come mi aveva chiesto.

Non c'erano sms o chiamate. Posai il telefono sul comodino.
Mi sentivo sconfitto e il petto si strinse in una morsa come quasi l'uomo delle farfalle ci si fosse seduto sopra per impedirmi di respirare.
Il cuore si gonfiò di una strana sensazione e gli occhi diventarono lucidi. Promisi che non avrei pianto e non lo feci.
Stesi lì, a fissare il soffitto e cercare di capire qualcosa, qualcosa che era inafferabile per me, una domanda grande come il cielo, che vorticava su di me e cercava di risucchiarmi quando avevo un attacco agorafobico.

Perchè tutto questo?
Perchè?

   
 
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