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Autore: EchoRosenrot_    09/02/2019    6 recensioni
"Si aspettava che la contattasse per testimoniare contro il suo borseggiatore, o che le facesse recapitare un richiamo per aver utilizzato il suo Quirk per uno scopo che forse, a ben guardarlo, qualcuno avrebbe potuto definire offensivo. Di certo no, non avrebbe mai creduto di vederlo piombare nel giardino di casa sua, con una mano affossata nella tasca della giacca ed una intenta a stringere quello che aveva tutta l’aria di essere un mazzo di fiori."
{EnjixRei Todoroki | Il rating potrebbe variare.}
I coniugi Todoroki, dalle origini alla follia.
Perché forse, in fondo, per un po' si sono perfino amati.
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Endeavor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Enji Todoroki non era mai in ritardo.
Ma d’altra parte Rei non indossava mai colori caldi, per cui quella doveva proprio essere la sera delle novità.
L’orologio affisso alla parete del salotto ticchettava in un suono esasperante e colmava il silenzio che aleggiava su entrambi i piani della modesta casa, reso più che mai opprimente dall’assenza dei suoi genitori che si erano recati fuori città per far visita a dei parenti in una di quelle lunghe e tediose riunioni familiari che Rei, se e quando poteva, evitava più che volentieri. Oltre la finestra il crepuscolo aveva ormai iniziato a lasciare il posto all’imbrunire, lungo la strada i lampioni si accendevano uno dopo l’altro sebbene il buio non fosse ancora fitto, e la ragazza dai capelli candidi sedeva sul divano con un libro tra le mani e lo sguardo che troppo spesso correva in direzione del quadrante, che segnava quasi le sette e mezza. Si era preparata per quella cena inattesa con largo anticipo appositamente per non far tardi come l’eroe delle fiamme le aveva caldamente suggerito quello stesso pomeriggio, e per sua somma fortuna Haruka si era offerta di aiutarla per farle guadagnare tempo. Non le sarebbe mai stata abbastanza grata per l’interminabile ora che aveva dedicato alla scelta dell’abbigliamento più adatto per l’occasione, ma la sua migliore amica era talmente esaltata dalla prospettiva di Endeavor e Rei a cena insieme che non aveva categoricamente accettato scuse e si era fiondata verso casa sua saltellando incessantemente lungo tutto il tragitto. Aveva frugato a lungo tra i vestiti, svuotando l’armadio di quasi tutto il suo contenuto (provvidenzialmente lanciato alla rinfusa sul letto di Rei), aveva brontolato un po’ con fare insoddisfatto e l’aveva costretta ad un defilè per osservarla con addosso sette diverse combinazioni di indumenti, nonostante le deboli proteste proferite con un certo disagio, che si rivelarono del tutto inutili di fronte alla sua caotica esuberanza. Lo aveva trovato quasi per sbaglio dopo ben quaranta minuti, alla fine, accuratamente ripiegato in una scatola ancora integra e sulla quale era affissa l’etichetta con su scritto il prezzo sbarrato da un vistoso segnale nero. Non aveva avuto bisogno di vederlo addosso all’amica per essere certa che fosse l’abito perfetto per quella serata, sebbene Rei non ricordasse di averlo acquistato o di averlo mai visto prima di quella sera. Probabilmente era uno di quei regali gettati nel dimenticatoio e che provvidenzialmente mostravano la loro utilità nei momenti più impensabili, semplice nella forma e di un intenso rosso granata, opaco e poco appariscente, che creava un netto e deciso contrasto con il candore delle sue ciocche e della sua pelle che Haruka aveva definito poetico. Era un colore molto lontano da lei, in effetti, che raramente avrebbe indossato di sua spontanea volontà, ben più avvezza a lasciarsi avvolgere da stoffe blu o bianche che riflettevano al meglio il suo temperamento tranquillo e fresco, ma quando aveva visto quell’abito dalla morbida gonna a campana -lunga fin poco sopra le ginocchia- calzare perfettamente attorno al proprio corpo da giovane donna in sboccio si era sentita a suo agio come se il rosso, in fondo, fosse diventato improvvisamente parte della sua vita. Un leggero velo di trucco sul viso per definire lo sguardo, qualche goccia di profumo ed infine si era ritrovata sul divano a leggere in attesa dell’arrivo di Enji.
A leggere un po’ troppo a lungo, decisamente più di quanto avesse programmato.
Il tempo scorreva con asfissiante lentezza, ogni secondo sembrava durare un’eternità, protraendosi e dilungandosi nella sua mente in una stridente e fastidiosa eco che a tratti le mozzava il respiro. Rei aveva iniziato a cambiare posizione ripetutamente sul divano, colta dall’opprimente sensazione che quel ritardo non fosse una mera dimenticanza e dal crescente timore che fosse accaduto qualcosa. Lo percepiva all’altezza dello stomaco e assumeva la forma di un peso ingombrante e fastidioso, un sentore sgradevole che accresceva la sua aspettativa ed ancor più la sua ansia.
Non era da lui.
Semplicemente non lo era, e la ragazza aveva smesso ormai da diversi minuti di concentrarsi realmente sulle pagine di quel libro sfogliato per inerzia, con la mente che vagava a briglia sciolta verso scenari per nulla gradevoli. La tensione si sciolse ormai a qualche minuto dalle otto, quando un deciso bussare contro la porta la fece sussultare: un tonfo improvviso seguito da un secondo ed un terzo, al suono del quale Rei lasciò cadere il libro per precipitarsi di gran corsa verso l’ingresso. Aprì la porta di scatto con una mano febbrilmente stretta attorno alla maniglia e l’altra tremante poggiata sul legno scuro dello stipite, il cuore martellava furiosamente nel suo petto ed il torace si sollevava in un rapido ansimare, ogni aspetto del suo viso e del suo sguardo tradiva l’angoscia che solo allora sembrò in grado di esprimere. Lentamente i suoi occhi grigi si sgranarono davanti ad un’immagine che la paralizzò sull’uscio con le labbra leggermente schiuse e la sensazione di star precipitando nel vuoto, come se una voragine si fosse aperta sotto i suoi piedi appositamente per inghiottirla.
«Chiedi sempre chi sia, prima di aprire la porta.» L’ammonì Enji, guardandola dall’alto con il solo occhio destro, austero e imponente nella sua considerevole altezza. La parte sinistra del suo volto era quasi del tutto celata da un panno che con insistenza l’eroe premeva sul viso accuratamente rasato, impedendole di incrociare il secondo dei due frammenti di cielo che era ormai abituata a sentire su di sé, e diversamente da quel pomeriggio non era avvolto dalle lingue fiammeggianti del suo Quirk offrendole una visione quasi completa dei suoi tratti marcati. I suoi capelli rossi erano leggermente scarmigliati, ma decisamente era l’ultima delle cose che la diciottenne avrebbe mai potuto notare in quel momento.
Un liquido rosso e viscoso dall’intenso odore ferrigno gocciolava lentamente sullo sterno di Endeavor, piccole chiazze si aprivano a deturpare la stoffa della camicia bianca che con tanta sapienza avvolgeva il suo torace ampio.
«Devo chiederti di lasciarmi entrare qualche momento, anche se i tuoi genitori non sono in casa.» L’uomo riprese a parlare, e la voce profonda ed innaturalmente calma che la raggiunse sembrò scuoterla con forza fino alle fondamenta della sua anima.
«Sta sanguinando...» Soffiò Rei con un filo di voce, facendosi da parte quel tanto che bastava da consentire ad Enji di oltrepassare la soglia di casa. Fu quando la luce dell’ingresso mise in evidenza la grande macchia rossa sul panno utilizzato dall’uomo per tamponare il volto che Rei percepì qualcosa scattare in lei. Simile ad uno schiocco di frusta, sfolgorante come una scintilla che innescò una vera e propria detonazione.
Il panico si impossessò di lei ancor prima che potesse realmente rendersene conto.
«Sta sanguinando!» Ripeté, questa volta ad un tono di voce ben più alto che attirò l’attenzione di Enji, intento a sfilarsi le scarpe. Lo vide voltarsi in sua direzione e sgranare leggermente il solo occhio a lei visibile a tradire un misto di sorpresa e confusione di cui la ragazza sembrò non curarsi affatto. Gli occhi di Rei erano inesorabilmente fissi su quelle macchie di troppo, la sua mente era dolorosamente pervasa dall’immagine di una ferita di cui non conosceva la gravità e parallelamente al focus su di essa aumentava anche il senso di oppressione che attanagliava il suo petto. Portò la mano destra ai propri capelli chiari, scostandoli dal viso con uno scatto un po’ troppo repentino, il suo respiro divenne rapido e l’ambiente circostante sembrò quasi sfumare come se fosse irreale. Mosse qualche passo incerto in direzione dell’uomo per stringere entrambe le mani attorno ad un suo braccio, e cercare -tremante- di condurlo in direzione del salotto, nonostante lui fosse perfettamente stabile sulle gambe atletiche.
«Io… oddio, ha perso molto sangue.» Farfugliò smarrita, con gli occhi che guizzavano a destra e sinistra in cerca di qualcosa, di una soluzione, di un’idea che la sua mente in stato confusionale non riusciva a trovare. Enji sospirò ed il suo sguardo si accigliò visibilmente ma Rei era troppo immersa nella sua bolla di angoscia ancestrale per notarlo.
«Rei.» La richiamò.
«Non si sforzi. Si stenda sul divano e… santo cielo… io farò qualcosa.» Parlava rapidamente ed il suo volto era cinereo, sentiva la gola secca e d’improvviso lasciò andare il braccio dell’eroe per iniziare a camminare velocemente attraverso il salotto.
«Rei.» Il tono di Enji era divenuto leggermente più grave e, nonostante si mantenesse contenuto, era facile percepire un velo di stizza nel modo in cui pronunciò il suo nome quella seconda volta. Una stizza che le scivolò addosso, incapace di sfondare la barriera ansiogena che la imprigionava mentre frugava tra le scartoffie su un ripiano in una ricerca quasi disperata e sconclusionata; alcuni fogli caddero per terra, ricoperti agli angoli da un sottile strato di brina. Riprese a parlare con una velocità inconsueta, tutto d’un fiato, con voce tremante, lasciando che tramite essa il suo turbamento fluisse come un fiume in piena, esondante e distruttivo.
«Serve un medico, serve immediatamente un medico, devo trovare il telefono, chiamerò un’ambulanza prima che...»
«Rei!»
La voce baritonale di Endeavor tuonò tra le mura della casa vuota, imperiosa e autoritaria, con una durezza priva di fronzoli che la investì con tanta violenza da arrestare definitivamente le sue parole sconnesse. La mano grande e ruvida dell’uomo le circondò il polso sinistro, sollevandolo sgraziatamente quel tanto che bastava da distanziare la sua mano dai plichi ormai sparsi su tutto il ripiano ligneo: la ragazza sentì una forza irruenta e ben superiore alla sua strattonarla lievemente, piuttosto rude nell’attirare il suo corpo per intero che si ritrovò a pochi, miseri centimetri da quello di Enji. Il suo palmo era rovente, deciso, avvolgeva il polso esile della giovane donna in una morsa ferrea mentre i suoi occhi, entrambi, la trafiggevano in un muto e severo rimprovero. Rei taceva, il respiro trattenuto, travolta dal calore emanato dal suo corpo e resa immobile da quella stretta forse un po’ dolorosa.
Adesso che il panno non premeva più sul suo volto, l’uomo sanguinava copiosamente da un lungo taglio che dalla tempia sinistra si dilungava fino a pochi millimetri dall’angolo del corrispettivo occhio.
«Tu sarai la moglie di un eroe.» Scandì la sua voce autorevole, con un tono ben più facile da tollerare ma che non ammetteva replica alcuna. «Questa potrebbe essere una prassi. Vedere tuo marito tornare a casa ferito e sanguinante, non vederlo tornare affatto e sapere poi che si trova in ospedale, non avere sue notizie per ore, perfino per giorni, vederlo in diretta televisiva mentre affronta un malvivente e fallisce nell’evitare un colpo. Tutto questo potrebbe diventare parte della tua vita quotidiana, Rei. E tu non potrai permettere al panico di pervaderti in questo modo. »
La ragazza lo fissava dal basso con gli occhi sgranati, vittima di uno strisciante imbarazzo che serpeggiava tra le mura della sua mente a placare il caos che fino a pochi istanti prima vi imponeva il suo dominio. E non era solo la distanza esigua dal corpo scultoreo di Enji Todoroki, era la consapevolezza delle sue inoppugnabili ragioni che la indussero remissivamente ad abbassare lo sguardo per puntarlo sul misero stralcio di pavimento che separava i due futuri coniugi.
Il tumulto emotivo si placò gradualmente e Rei si sentiva sempre più sciocca, secondo dopo secondo. Cosa pensava di poter risolvere, tremando e agitandosi in quel modo? Di certo non sarebbe stata di alcun aiuto se avesse continuato a congelare bollette e missive in cerca del telefono, ed era soltanto riuscita a mostrare tutta la sua debolezza. Una realtà che, a dirla tutta, le era piuttosto nuova: era sempre riuscita ad affrontare razionalmente e con grande consapevolezza situazioni turbolente di qualsiasi natura, non era da lei quell’incapacità di mantenere equilibrio e lucidità davanti ad un problema. Non aveva mai gradito la vista del sangue, certo, ma questo non aveva mai compromesso prima di quel momento la sua attitudine all’intervento. Lentamente la mano di Enji allentò la presa attorno al suo polso fino a lasciarlo andare del tutto e soltanto allora Rei trovò il coraggio di sollevare nuovamente gli occhi grigi sul suo viso. Nel farlo intercettò uno sguardo indecifrabile.
«Speravo smettesse di sanguinare prima che arrivassi. Non è grave, è meno profondo di quanto possa sembrare. È solo il calore che fa coagulare più lentamente, tutto qui. Qualche minuto e possiamo andare.» Puntualizzò, prima di tornare a premere il panno ormai lercio sul volto e dirigersi lentamente verso il divano, sul quale si sedette. «Mi serve solo qualcosa per pulirmi.»
La ragazza rimase chiusa in un cupo silenzio che sapeva di imbarazzo e mortificazione, e di nuovo volse lo sguardo verso il basso prima di dirigersi lentamente verso la stanza adiacente.

 

Enji chiuse gli occhi per qualche istante, una volta rimasto solo nel salotto di quella casa non sua. Aveva sempre avuto una soglia di sopportazione del dolore piuttosto alta, fin da molti anni prima di diventare Endeavor, e riuscire a ragionare con lucidità anche quando la sofferenza fisica minacciava di prendere il sopravvento era indubbiamente uno degli aspetti più importanti per un eroe. Non era quello il caso, per sua fortuna, a dispetto del sangue che insozzava il suo volto e la camicia non avvertiva particolarmente fastidio a quello che ostinatamente continuava ad etichettare come un semplice graffio, eppure faticava a mettere in ordine i pensieri che si rincorrevano caotici e rumorosi nella sua mente in un guazzabuglio inestricabile. Era abituato, in effetti, a vedere persone in preda al panico abbandonare qualsiasi controllo e lasciarsi pervadere dall’ansia, ne incontrava quotidianamente quando a testa alta e con determinazione affrontava i più disparati pericoli per mettere in salvo qualcuno, un qualcuno che nella maggior parte dei casi non aveva la benché minima capacità di gestire una situazione di pericolo o di elevata tensione.
Da questo punto di vista alle volte i civili erano tremendi.
Aveva visto decine di donne e uomini piangere disperatamente, strillare, agitarsi compulsivamente e aggrapparglisi addosso in balia di un atavico terrore, appena pochi giorni prima aveva anche ricevuto un colpo nel naso da un’anziana in piena crisi dopo esser stata presa in ostaggio da un Villain alto il triplo di lei ed il doppio dello stesso Endeavor, e con qualche sforzo aveva imparato a non biasimarli troppo indipendentemente da quanto fossero fastidiosi o di ostacolo al suo intervento. Lo sapeva, solo una fetta ristretta della popolazione aveva frequentato scuole per eroi, ed una ancor più minuta alla fine era riuscita a far carriera nel settore, per cui non poteva aspettarsi che possedessero tutti i suoi stessi nervi d’acciaio nel trovarsi coinvolti in certe situazioni. Quel che non si aspettava, in realtà, era che la stessa Rei che da sola era riuscita a rallentare l’uomo che le aveva strappato la borsa potesse reagire in modo tanto incontrollato al cospetto di un po’ di sangue. Di fronte al suo panico tangibile, di fronte alla sua preoccupazione intensa, ai suoi movimenti repentini e alla sua angoscia Enji aveva provato quell’unica emozione in grado di mandarlo fuori dai gangheri nel modo più esplosivo: il senso d’impotenza. Non si sentiva in colpa per aver alzato la voce, alla fine si era rivelato un ottimo metodo per farla rinsavire, ma iniziava a pensare che non fosse stata una buona idea bussare alla sua porta in quelle condizioni. Forse accentuare il suo ritardo, nonostante lo trovasse disdicevole, gli avrebbe consentito di medicarsi adeguatamente e risparmiare ad entrambi quanto appena accaduto. Dalla stanza accanto provenivano piccoli e radi rumori, come se Rei si muovesse con studiata cautela, e quando aprì gli occhi Enji notò per terra a pochi passi dal divano un libro dalla copertina bronzea, con le pagine aperte rivolte verso il legno del parquet come se fosse stato frettolosamente lasciato cadere.
Il suo tardare, probabilmente, aveva gettato Rei nel panico ancor prima che lui arrivasse.
Forse aveva cercato di distrarsi con la lettura, ma questo non era bastato a sedare le sue preoccupazioni, che erano poi esplose non appena aveva visto il sangue sul suo viso.
E ancora forse, sebbene fosse difficile crederlo e strano pensarlo, non era stata la vista del sangue a farle perdere il controllo, quanto il timore per la sua incolumità. Poteva concepirlo davvero?
I suoi occhi cerulei si spostarono automaticamente in direzione della porta che Rei aveva poco prima attraversato per sparire nei meandri della casa, all’insorgere di quella domanda: gli era concesso ipotizzare che quella ragazza, che ancora conosceva così poco, avesse tanto a cuore la sua salvaguardia nonostante fosse di fatto poco più che un estraneo? Ritornarono vivide nella sua mente le parole che le aveva sentito pronunciare appena poche ore prima -e che, sebbene lo negasse con veemenza, lo avevano tormentato per tutto il giorno-, quell’accorata difesa che nelle sue lunghe riflessioni Enji aveva attribuito un po’ alla necessità di Rei di preservare il suo orgoglio femminile, un po’ all’ammirazione che nutriva nei suoi confronti in quanto eroe, ma lentamente iniziò a farsi strada in lui l’idea che potesse celarsi qualcosa di più in esse. Una piccola scintilla traballante, che non sapeva se fosse in procinto di divampare in un caldo rogo luminoso o destinata ad estinguersi. E di fronte alla quale, tra l’altro, non sapeva affatto come reagire o anche soltanto cosa provare.
Distolse lo sguardo, appena un istante prima che la sua indefinita riemergesse dalla stanza accanto con una scatoletta bianca tra le braccia ed una pezzuola azzurra stretta nella mano destra. Aveva temporaneamente raccolto i capelli candidi in un fermaglio nero e il suo viso era ancora piuttosto pallido, ma di contro i suoi tratti sembravano più rilassati così come il suo sguardo, che vagliò rapidamente i fogli sparsi per terra mentre li superava con passo lungo. Adagiò la pezza su un tavolino basso di pregiato ciliegio posto davanti al divano, prima di sedersi al fianco di Enji e adagiare la valigetta sulle proprie gambe. Le sue mani si mossero con grazia fluente nel tirare fuori d essa del disinfettante che versò in un morbido batuffolo di cotone. Era particolarmente silenziosa, si manteneva ad una certa distanza dal suo corpo e non sorrideva, ma i suoi movimenti erano adesso fluidi e naturali, pregni della consueta spontaneità, come se l’angoscia fosse svanita nel nulla disperdendosi come un soffio di brezza. Quando l’aria fu pregna dell’intenso odore del disinfettante lo ripose accuratamente nella scatoletta e la spostò sul tavolino a far compagnia al rettangolo di stoffa azzurra, poi tornò in piedi.
«Non mi serve.» L’eroe aveva subito compreso quali fossero le sue intenzioni e fu rapido a spezzare il silenzio per primo, mugugnando con disappunto quelle poche parole che ebbero come solo risultato lo sguardo di Rei finalmente fisso sul proprio volto.
«La prego.» Rispose con fermezza, mentre si poneva di fronte a lui guardandolo dall’alto. Sembrava aver riacquistato pienamente il proprio autocontrollo, i suoi occhi erano ancora lucidi ma nelle iridi grigie che si ritrovò ad osservare riuscì a scorgere un’ombra di fierezza.
«La prego, mi permetta di rendermi utile.»
Rimasero a fissarsi reciprocamente per diverse frazioni di secondo: l’eroe delle fiamme seduto sul divano, Rei in piedi davanti a lui con i capelli raccolti e del disinfettante, intenta a reggere il suo sguardo. Poi d’improvviso la ragazza si mosse, seppur esitante, ed ancor prima che potesse impedirle di avvicinarsi Enji percepì il tocco gelido della sua mano sulla propria che stringeva ormai quasi compulsivamente il panno sporco di sangue contro il volto. I suoi polpastrelli erano quasi vellutati contro la sua pelle calda, freddi, leggeri nell’avanzare una tacita richiesta senza pretese: di fronte a tanta delicatezza, a discapito del suo pessimo carattere e del suo pessimo umore, l’uomo non trovò neanche una ragione valida per opporsi, permettendole di scostarla e svelare così la parte sinistra del suo viso, lungo la quale il sangue continuava a scorrere, seppur in minore quantità. Percorse i suoi tratti con sguardo analitico, e nel farlo Endeavor vide le sue sopracciglia sottili aggrottarsi appena in un’espressione assorta e concentrata mentre si chinava leggermene in sua direzione per iniziare a medicarlo con piccoli tocchi. Non batté ciglio, inscalfibile e rigido di fronte a quel dolore ben lontano dall’essere insopportabile, semplicemente la lasciò fare limitandosi a mantenere gli occhi fissi su alcune ciocche di capelli sfuggite alla morsa ferrea del fermaglio, che ricadevano lungo il suo collo candido. Si ritrovò a pensare che fosse piuttosto abituata ad utilizzare simili medicamenti, date le sue movenze metodiche e precise che stonavano violentemente con la ruggente ansia poco prima esibita alla vista del sangue.
«Volevo solo dirle che mi dispiace.» Soffiò Rei d’un tratto, con una voce bassa e leggermente arrochita che distrasse l’eroe dall’attento studio dei suoi sottili capelli perfettamente lisci. Per quanto possibile Enji mosse gli occhi in cerca del suo volto che riuscì a scorgere solo parzialmente, dal basso della sua posizione. «Non so cosa mi sia preso. Io ero… preoccupata. Ma ha ragione, non posso permettermi di perdere il controllo in questo modo. Non ci sarà una seconda volta, mi creda.» La sua voce era morbida e carezzevole, eppure tremava appena. Non lo stesso tremore che poco prima trasudava l’intensità della sua ansia, scandendo quegli attimi di panico e aberrazione, no, era un tremore carico di emozione, probabilmente di tutto l’imbarazzo che pronunciare ad alta voce quelle parole le stava costando.
Le ragazze erano un disastro. Erano un problema.
Stordivano gli uomini, destabilizzandoli, privandoli del loro baricentro, o almeno era questo ciò che sentiva così tanto spesso dire ai suoi coetanei, orgogliosamente certo che nulla di tutto ciò potesse riguardarlo da vicino, che niente e nessuno potesse sortire su di lui un simile effetto annichilente.
Ma su quel divano gli fu chiaro che Rei fosse un disastro ed un problema ben più di qualsiasi altra donna avesse incontrato prima di allora:bastò quella frase perché Endeavor potesse sentire qualcosa agitarsi furiosamente nel suo stomaco. Qualcosa di strano e poco definito, difficile da identificare con esattezza o catalogare, a metà strada tra il fastidio e il piacere; non sapeva neanche che si potessero provare due sensazioni radicalmente opposte contemporaneamente.
Rei si chiuse nuovamente in un rispettoso e imbarazzato silenzio che per un po’ rimase inalterato. Il batuffolo di cotone zuppo di disinfettante si muoveva con precisione lungo lo squarcio sottile e non troppo profondo, talvolta soffermandosi inclemente sulla carne viva, stretto in quella mano fredda che a volte, nel compiere quelle movenze così precise, carezzava il suo viso. La vide allontanarsi appena con l’intero corpo, forse per assicurarsi che il sangue fluisse con maggiore lentezza a dare prova di una più efficiente coagulazione, poi si chinò quanto bastava per recuperare un secondo batuffolo e delle steri strip. La nuova posizione da lei assunta gli consentiva finalmente di vederla in viso.
«Puoi anche evitare certe formalità.» Pronunciò l’eroe, e fu sufficiente che il suo timbro si diffondesse nella stanza perché la ragazza sussultasse impercettibilmente, forse colta alla sprovvista dalle sue parole dopo quel silenzio prolungatosi così a lungo. Si voltò a guardarlo, scostando le ciocche di capelli che ricadevano sul suo viso in un gesto che Enji aveva osservato innumerevoli volte e che aveva capito essere strettamente connesso al suo nervosismo. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma lui la precedette.
«Chiamarmi per nome, ad esempio. Darmi del tu.»
Una richiesta semplice, la sua, l’abbattimento di quei modi tanto garbati quanto distaccati che forse iniziavano un po’ a star stretti all’interno del loro rapporto ancora indefinito, una richiesta che sembrò sorprendere la giovane donna. Rimase a fissarlo basita per qualche istante, con gli occhi sgranati e le labbra leggermente dischiuse, come se le avesse chiesto di spogliarlo.

Dio, cosa vado a pensare?

Allontanò quel pensiero con la stessa rapidità con cui si era presentato, incuriosito dalla reazione di Rei che tornò frettolosamente a medicarlo, chiaramente in imbarazzo. Fu certo di vederla sorridere un istante prima che tornasse in piedi a sovrastare la sua figura per continuare, paziente e delicata, a ripulire la piccola ferita ed applicare una dopo l’altra le steri strip sulla sua pelle.
«Se lo desideri.» Mormorò, palesemente in difficoltà nel rivolgersi a lui senza quelle cerimonie alle quali era stata probabilmente indottrinata fin dalla più tenera età da genitori propensi a renderla perfettamente desiderabile da uomini di alto rango. Emise poi un versetto di soddisfazione quando posizionò l’ultima clip di sutura, prima di afferrare un cerotto bianco ed una garza dalla scatoletta. «Se vuoi posso cucinare qualcosa io, stasera. Non è indispensabile cenare fuori, data la situazione, End… Enji.»
La sua esitazione nel chiamarlo per nome lo fece sogghignare impercettibilmente.
«No. Andremo a cena come stabilito. Non sarà un cerotto a darmi fastidio e un vestito del genere non va sprecato per cenare in casa.»
L’uomo non si accorse subito di quanto le sue parole suonassero simili ad un complimento, lo realizzò solo dopo averlo letto sul volto di Rei che sotto i suoi occhi si accese di un puerile rossore. Vide le cremisi sfumature dipanarsi sulla pelle nivea dei suoi zigomi, concorrere a rendere per un istante le sue guance simili a pesche mature, e colto a sua volta dal disagio di aver avanzato un velato elogio distolse lo sguardo con un versetto stizzito, provvidenzialmente posto a dissimulare il suo stesso imbarazzo. No, decisamente, lui certe cose non sapeva farle e le chiacchiere dei suoi colleghi di fronte alle quali aveva sempre mostrato fastidio e disinteresse in quel momento non gli tornavano affatto utili. Tutte quelle smancerie, quelle assurde frasi romantiche degne di una soap opera che li facevano sembrare più degli idioti che dei veri uomini, erano totalmente fuori dalla sua portata.
Eppure era innegabile che la consapevolezza di avere tra le mani il potere di far arrossire una ragazza come Rei avesse un certo retrogusto piacevole.
«Sono felice che ti piaccia. »
Ancora un verso indecifrabile, mentre le dita fredde della ragazza scivolavano sulla sua pelle nell’applicare quel cerotto con estrema delicatezza, quasi temesse di romperlo. Aveva ancora tanto da imparare sulla capacità di resistenza d Enji Todoroki, ma forse non sarebbe stato troppo lieto di sposare una donna rude e sgraziata. In fin dei conti erano quei piccoli dettagli a renderla gradevole al di là del suo Quirk.
Non gradevole, no. Era un termine riduttivo, che non riusciva ad associare a Rei.
Desiderabile, forse.
«Bene, direi che abbiamo finito. Non sono sicura di riuscire a pulire la camicia, però. Il sangue macchia.» Disse la ragazza conducendo entrambe le mani tra i capelli candidi per far scattare il fermaglio e lasciare che le ciocche morbide tornassero libere di ricadere attorno al suo volto e lungo lo sterno.
«Non ha importanza. Inizio ad avere fame, nessuno farà caso a qualche macchia.» Borbottò Enji alzandosi dal divano per attraversare il salotto, seguito dallo sguardo di Rei che stava riponendo nel frattempo i medicamenti nella scatoletta. Stese le braccia verso l’alto per sgranchirle, l’aria si riempì di uno scroscio sinistro proveniente dalle sue articolazioni intorpidite dalla posizione sul divano e leggermente indolenzite dalla lunga attività quotidiana, poi si diresse verso l’ingresso. Sentì chiaramente Rei muoversi alle sue spalle, ne percepì i passi felpati e aggraziati sul pavimento di legno muoversi con una certa fretta ancora una volta al di là della porta che conduceva al resto dell’abitazione, probabilmente per recuperare la borsa o mettere a posto la scatoletta bianca, e non trovò necessario interrogarla prima del dovuto su quanto tempo intendesse perdere prima che potessero finalmente andare a cena. L’ora iniziava ad esser tarda, le energie spese nell’arco delle ore lavorative reclamavano con un certo ardore di essere colmate con del buon cibo, ma intimamente sperava di non essere incappato nell’ennesima ragazza ritardataria che aveva il bisogno fisiologico di sprecare mezz’ora in più del necessario prima di uscire da casa.
«Enji? »
Chiamò la sua voce esitante, nuovamente nel salotto.
«Mh?»
Chiese in risposta, senza voltarsi, intento ad allacciare le stringhe delle scarpe.
«Sarebbe inopportuno se ti chiedessi di raccontarmi cosa è successo? Lungo la strada o a cena, come preferisci.»
Il fruscio che udì annunciò chiaramente il suo essere intenta ad indossare il cappotto. Sorprendentemente rapida, la ragazza…
«Spiegati meglio.» Bofonchiò tornando in piedi. Fu allora che sentì qualcosa avvolgergli il collo, ed abbassando lo sguardo vide una sciarpa di leggero cotone, nera e grigia, scivolare sapientemente lungo il suo petto. Si voltò rapidamente in cerca degli occhi di Rei, che non faticò a trovare. Era ancora in piedi, in cima allo shikidai*, e ciò la rendeva quasi alla sua altezza o comunque le permetteva di guardarlo negli occhi senza sollevare il capo. Aveva sulle labbra quel sorriso piacevolmente gentile e cordiale, che illuminava i suoi tratti morbidi e li distanziava notevolmente dall’espressione contrita di paura e angoscia, colpevole di averli ingloriosamente deturpati nel pieno di quella crisi di panico che difficilmente l’eroe avrebbe dimenticato.
«Intendo che mi piacerebbe conoscerne le dinamiche.» Spiegò tranquillamente, conducendo entrambe le mani a sistemare accuratamente la sciarpa affinché coprisse le macchie di sangue sulla sua camicia. Aveva un taglio nettamente maschile, eppure il profumo emanato dalla stoffa era inequivocabilmente quello di Rei.
«Non so, che tipo di delinquente era, cosa stava facendo, in che modo gliele hai suonate o hai arrostito il suo didietro dopo che ti ha colpito.»
L’uomo teneva ancora lo sguardo fisso sulla sciarpa e su quelle mani che si muovevano a lisciarla con cura sul suo petto.
«Non devi fingere che ti interessino queste cose solo perché sarai mia moglie.» Rispose. Sorprendentemente Rei rise e condusse una mano alle labbra per contenerne il suono.
«Non sto fingendo. Io e Haruka parliamo per ore delle gesta degli eroi, mi interessa davvero! E voglio i dettagli.»
Enji aveva smesso di ascoltarla. La sua voce era diventata un indistinto, seppur piacevole, suono lontano nella sua mente che risuonava, piuttosto, di un martellante pulsare e dell’accavallarsi di strane sensazioni.
Quel profumo, quel tocco pacato, quel pianto, le lacrime attorno ai suoi occhi.

È lui il mio eroe.

Il suo sorriso, il suo sincero interesse, la delicatezza con cui lo aveva medicato, i capelli lungo la sua pelle.

Per me sarà sempre il numero uno.

Sollevò lo sguardo sul viso di Rei così repentinamente che la vide irrigidirsi per un istante.
«Sempre se non è un disturbo. Se ti va di parlarmene, ecco.» Aggiunse infatti, quasi volesse scusarsi di quella richiesta che ben poco aveva di illegittimo.
Endeavor era un uomo riflessivo, nel complesso, soprattutto (e forse soltanto) sul lavoro. Sapeva di dover valutare le conseguenze delle sue azioni, di dover cogliere ogni dettaglio per risolvere un caso nel migliore dei modi e con l’adeguata precisione, sapeva quando era il caso di muoversi con cautela, quando esitare. Ma era anche una testa calda, una delle peggiori. Lui non era soltanto l’eroe delle fiamme, lui era fuoco vivo a tutti gli effetti, indomabile, un rogo inestinguibile, un incendio inarrestabile che divampava con irruenza e poteva distruggere o creare, sterminare o scaldare. E delle fiamme che dominava con tanta maestria, senza dubbio possedeva l’impeto.
Il suo corpo si mosse ancor prima che la sua mente elaborasse un pensiero, che la razionalità potesse vagliare i rischi, le alternative, il significato stesso di quel gesto.
Entrambe le sue mani calde affondarono tra le ciocche argentate sulla nuca di Rei, in una presa tanto leggera quanto impositiva, e rapido la trasse a sé inclinando il capo quel poco che bastava per poter premere con forza le labbra sulle sue in un bacio rude, un po’ impacciato, ma del tutto spontaneo.

 

Fu come se il mondo circostante si fosse improvvisamente spento. Come se qualcuno avesse premuto un pulsante in grado di arrestare il tempo, porre a tacere ogni rumore, rendere fioca ogni luce. Si era interrogata innumerevoli volte su come sarebbe stato il suo primo bacio, gelosamente custodito per l’intera adolescenza in attesa di quel grande amore nel quale non aveva mai smesso di sperare. Lo aveva immaginato, screziandolo di tenerezza, sotto fiocchi di neve danzanti o pioggia battente come nei film, lo aveva immaginato con piacevoli melodie in sottofondo o con il fruscio del mare nelle orecchie, aveva immaginato che nella sua mente esplodessero variopinti fuochi d’artificio al solo tocco di labbra lungamente bramate e che il suo cuore urlasse la consapevolezza di aver trovato la sua perfetta metà.
Non c’era musica nell’aria, in un quel salotto che dal mare era piuttosto lontano. Non c’erano fuochi d’artificio nella sua mente. Regnava incontrastata la sensazione che il mondo intero non esistesse, che nulla vi fosse di realmente concreto al di fuori di quelle labbra calde contro le sue. No, non era affatto come Rei lo aveva immaginato, non si avvicinava neanche lontanamente alle sue fantasie ed aspettative. Eppure il suo cuore urlava lo stesso. Lo sentiva pulsare freneticamente nel suo petto, quasi fosse in procinto di collassare e portare via con sé ogni soffio di vita, lo sentiva risuonare nelle tempie, nella gola, mentre prigioniera di quelle mani grandi e forti, di quelle labbra decise e impazienti, viveva per la prima volta l’ebbrezza di un’inconsueta completezza. Andava bene. Andava tutto spaventosamente e meravigliosamente bene, era tutto così perfetto da rendere quasi ridicole e tutt’altro che allettanti le sue precedenti prospettive. Superata la sorpresa delle prime frazioni di secondo, lottando contro il buonsenso che le urlava quanto disdicevole potesse essere un simile gesto in casa dei suoi genitori, lasciò che le proprie mani si muovessero con tremula esitazione nel raggiungere le spalle larghe dell’eroe delle fiamme in un timido ma necessario sorreggersi. Sebbene lui si trovasse al di sotto dello shikidai, consentendole di guadagnare una ventina di centimetri in altezza, Rei dovette comunque issarsi sulle punte di entrambi i piedi ancora scalzi in un agito del tutto spontaneo: il suo corpo si muoveva da sé, come se sapesse esattamente cosa fosse giusto fare a discapito della sua proverbiale inesperienza, guidato da un istinto che la ragazza era sempre stata piuttosto attenta a tenere a bada. Percepì una mano di Enji, solo una, abbandonare la morbidezza delle sue ciocche ed un istante dopo il suo braccio le cinse con disinvoltura la vita, apparentemente per renderle più comodo il suo sostare sulle punte, ma generando di fatto una vicinanza tra i loro corpi che infiammò l’animo di Rei. Era una sensazione strana, per una come lei che conviveva con il ghiaccio fin dalla nascita, eppure estremamente gradevole, che rese naturale accogliere il moto di irruenza elargito dal futuro marito, quando questi schiuse le labbra a sfiorare le sue con la lingua, prima di violarle. L’intero corpo di Enji irradiava un intenso calore, le labbra erano tanto roventi che Rei temeva potessero marchiare le sue, ma fu solo quando percepì il tocco audace della sua lingua contro la propria che realizzò quanto il fuoco fosse parte effettiva di lui. Si lasciò guidare, improvvisamente stordita dalla sensazione di avere le viscere in subbuglio, si lasciò assaporare, contemporaneamente avvolgere e stravolgere dalle movenze perfettamente coordinate delle loro lingue coinvolte in una danza che sembravano aver provato infinite volte appositamente per divenire complici partner. Una reciproca esplorazione, che non richiedeva espliciti consensi e che lasciava parlare i corpi in una comunione che mai si sarebbe aspettata di ritrovare in un fidanzamento combinato. Non c’era spazio per le domande, in quel momento, per chiedersi quante donne avessero goduto prima di lei di quelle labbra infuocate, di quei baci rudi e screziati di aggressività, per chiedersi se fosse accettabile lasciarsi andare in quel modo tra le mura della stessa casa che condivideva con il padre, per chiedersi se fosse davvero possibile dimenticare di respirare così a lungo senza subire alcun danno cerebrale. C’era solo Enji ed il bacio che le stava donando, pur rubandolo con una certa irruenza.
Sentì i suoi denti perlacei stringerle piano il labbro inferiore, in un ultimo marchio di indiscusso dominio e possesso, prima che Endeavor si allontanasse dal suo volto facendola precipitare in un improvviso vuoto. Fu come se l’interruttore fosse nuovamente scattato, riattivando il mondo esterno ai due futuri coniugi e rendendola nuovamente padrona di sé e del proprio raziocinio. Scoprì di tremare appena, stretta dal braccio forte dell’eroe e da quella mano che ancora sostava tra i suoi capelli, e se fino a quel momento era rimasto silente ed impercettibile fu nell’arco di pochi secondi che si ritrovò investita in pieno da un inclemente imbarazzo, che con prepotenza prese possesso di ogni sua cellula e accese il suo viso di un intenso rossore impossibile da nascondere. Enji rimase immobile per qualche istante, senza smettere di stringere il corpo di Rei, ed emise un singolo sospiro flebile a pochi, miseri, irrilevanti millimetri dalle sue labbra prima di liberarla da quella cocente morsa ed indietreggiare di un singolo passo. Istantaneamente la ragazza abbassò lo sguardo sul pavimento, travolta da una modica dose di disagio e dall’impellente necessità di regolarizzare il respiro con sufficiente discrezione da non mostrare il suo stato di iperventilazione, ma vide con la coda dell’occhio l’eroe volgere il capo verso destra e cimentarsi in un colpetto di tosse dettato, ipotizzò, da un imbarazzo pienamente condiviso.
«Muoio di fame. Andiamo.»
Aggiunse quest’ultimo con il tono più basso di circa un’ottava rispetto al consueto, probabilmente per evitare che il silenzio prendesse il sopravvento e accrescesse il turbamento creatosi a seguito di quel bacio. Rei stentava ancora a credere che fosse realmente accaduto, non era neanche del tutto certa di aver recuperato pienamente le sue facoltà intellettive, ma le sue labbra ancora bruciavano ed il cuore sembrava intenzionato a non placare il suo battito. Ciononostante, in risposta a quell’esortazione annuì e scostò le ciocche chiare dietro le orecchie, prima di abbandonare la posizione sopraelevata garantitale fino a quel momento dallo shikidai per calzare delle comode scarpe nere dal tacco basso. Enji, nel frattempo, aveva già raggiunto la porta e con una mano in tasca la teneva aperta, lasciando che Rei lo precedesse al di fuori di essa. Ostinatamente evitava di guardarla, il ché per qualche istante gettò la diciottenne nel deliberato timore che nutrisse vergogna o rimorso per quanto appena accaduto. E se non fosse stato affatto soddisfacente, per lui? Il solo pensiero bastò a stringerle lo stomaco in una morsa dolorosa, mentre con lo sguardo basso chiudeva la porta con diversi -forse perfino troppi- giri di chiave. Il vialetto era fiocamente illuminato, per cui Rei si mantenne di fianco all’eroe nel percorrerlo, appena a qualche centimetro dal suo braccio, timorosa di inciampare nonostante le scarpe fossero piuttosto comode. Pur non guardandolo riusciva a percepire con estrema chiarezza quanto Endeavor fosse irrequieto: teneva una mano affossata nella tasca del cappotto, sbuffava ripetutamente fissando qualsiasi cosa non fosse Rei, e poi quasi di scatto condusse la mano libera ad avvolgere la sciarpa nera e grigia attorno al proprio collo, emettendo un mugugno indefinito che attirò, per la prima volta negli ultimi minuti, lo sguardo della ragazza. Sembrava avesse qualcosa da dire, il suo volto era corrucciato e lasciava trasparire uno sforzo quasi fisico. Quando prese fiato, dopo qualche secondo di smorfie accigliate, parlò come se una forza superiore lo stesse coercitivamente obbligando a farlo.
«Forse non avrei-»
«Sciocchezze!»
Rei si portò una mano alla bocca, sorpresa dal proprio scatto incontrollato. Le sue labbra si erano mosse in automatico non appena aveva intuito cosa il ragazzo stesse cercando di dire per esprimere il suo pensiero forse un po’ troppo spontaneamente. Percepì ancora una volta il viso surriscaldarsi quando colse gli occhi cerulei di Endeavor fissi su di lei.
«Intendo...wow.»
Questa volta condusse le mani a coprire completamente il viso, dandosi mentalmente della stupida per quell’affermazione ancora una volta priva di filtri, che aveva deliberatamente sostituito il suo timido tentativo di spiegare come non vi fosse alcun biasimo in quel bacio. Un commento del tutto inappropriato, che la fece sprofondare tra le braccia di un ulteriore, eccessivo, spropositato imbarazzo. Lei non poteva vederlo, ma sul volto dell’eroe delle fiamme apparve una smorfietta simile ad un sorriso.
«Wow, eh?»
La riprese, con quello che Rei non sapeva se interpretare come un tono di scherno o una conferma del suo commento. Conoscendolo, però, poteva ragionevolmente optare per la prima ipotesi. Scostò le mani dal proprio volto solo dopo lunghi istanti di profonda vergogna, arresa ormai alla consapevolezza di aver fatto una pessima figura e di non poter comunque nascondere il rossore che probabilmente avrebbe verniciato i suoi zigomi per il resto della serata.
«Ti interessa ancora sapere com’è andata?»
Ancora una volta fu la voce di Enji a spezzare il silenzio. Fissava la strada davanti a loro, con quella consueta aria austera e rigida che in qualche misura Rei aveva iniziato ad apprezzare. Ma almeno, ed era una consolazione, non sembrava più in procinto di esplodere. Sentì la tensione sciogliersi e il nodo al petto allentarsi abbastanza da consentirle di sorridere con garbo.
«Certo.»
Si incamminarono lungo il marciapiede senza fretta alcuna, nonostante l’ora di cena fosse già lontana e la fame (ma era davvero la fame?) iniziasse a contrarre lo stomaco di entrambi.

Endeavor non la respinse, quando prima che iniziasse il suo racconto Rei strinse esitante la sua mano.

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L'angolo di Echo_

Non so neanche da dove cominciare. Postare il nuovo capitolo con un simile ritardo è stato obbligatorio per una serie di fattori. Da una parte le incombenze universitarie (leggasi "esami") ne hanno rallentato notevolmente la stesura ma soprattutto, ed è anche evidente, la complessità è aumentata nell'arco di un singlo capitolo. Anzitutto la lunghezza è notevole rispetto ai precedenti e ho affrontato due tematiche in grado di mettermi in difficoltà. Ho sempre pensato, dati anche i miei studi in psicologia, che non fosse da escludere una fragilità emotiva di base per quanto riguarda Rei. I vissuti che tutti conosciamo avranno senza dubbio provocato un declino consistente, ma sarei poco professionale se non considerassi l'ipotesi che in partenza non vi fosse una totale e piena stabilità. Da qui il pensiero che vedere il proprio fidanzato, per quanto non scelto, piombare in casa sanguinante potesse generare in lei un certo turbamento. Ma ciò che più mi ha messa in crisi è stata l'idea del bacio. Dio, ma davvero, Endeavor che bacia una ragazza?! Altro che crisi da OOC, ho cancellato e riscritto decine di volte ma spero vivamente che il risultato finale sia perlomeno soddisfacente. Mi ero ripromessa di dedicare questo capitolo al mio primo recensore, per cui una menzione speciale spetta a RollyChwan che mi ha donato l'ebbrezza del primo commento a questo progetto. Ma non posso assolutamente non ringraziare anche Kushi2195 e Jayden_ che hanno colmato il mio cuore di gioia con il loro incoraggiamento e le loro splendide parole.
Attendo il verdetto inclemente su questo capitolo. Apprezzatelo anche solo per la fatica che mi è costata. Alla prossima!
*Shikidai: Piccolo gradino che nelle case tradizionali giapponesi separa l'ingresso dal resto dell'abitazione.

 

  
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