Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Moonlight_Tsukiko    13/02/2019    1 recensioni
Eren Jaeger sogna di vivere in un mondo dove sua sorella è ancora viva e di non dover usare le sue preziose strategie di adattamento per provare qualcosa che non sia dolore. Ma la vita ha il suo modo per distruggere tutto ciò che vi è sul suo cammino, ed Eren si ritrova in una spirale dalla quale non sembra uscirà molto presto.
Come capitano della squadra di football della scuola superiore Shiganshina, Levi Ackerman sembra essere la colonna portante per i suoi compagni di squadra. Ma quando non è in campo e non ha indosso la sua maglia sportiva, diventa semplicemente Levi. Levi Ackerman forse sarà anche in grado di aiutare le altre persone, ma Levi certamente non può difendersi dallo zio alcoldipendente.
Nessun altro ha provato il loro dolore, nessun altro ha vissuto ciò che hanno vissuto loro, e nessun altro potrà mai capirli. Ma tutto cambia una volta che si stabilisce una relazione non convenzionale che li forza a mettere a nudo tutte le loro cicatrici.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Berthold Huber, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman, Marco Bodt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
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Go Ahead and Cry, Little boy

Capitolo 2






 
Levi

Mentre sono in piedi fuori dalla casa di Reiner, non faccio altro che pensare ai milioni di modi in cui questa serata può trasformarsi in una catastrofe. Quando si combina una squadra di football e alcool gratis, le cose tendono a diventare piuttosto... beh, caotiche.

Prendiamo un paio di giorni fa, per esempio. Un gioco innocente come 'Obbligo o verità' si è trasformato in Marco Bodt che mi fa un succhiotto sul collo. Non abbiamo alcun sentimento l’uno per l’altro, ma un obbligo è un obbligo e Marco tende a lasciarsi andare una volta aver consumato un paio di drink. Ovviamente ora riusciamo a malapena a guardarci in faccia, ma sono sicuro che tra alcune settimane le cose torneranno come prima. Si sai, il tempo guarisce ogni ferita o qualcosa del genere.

Prendo un respiro profondo e accumulo tutto il mio coraggio. Non è molto, ma è abbastanza da impedire alle mie mani di tremare come foglie. Salgo le scale della casa di Reiner e giro il pomello della porta, aprendola. Non chiude mai la porta a chiave perché è un fottuto idiota, ma oggi sono grato per questo suo vizio. Posso entrare, parlare un pochino e uscire da qui prima che la cosa degeneri.

Non appena entro, le persone cominciano subito a venirmi incontro. Alcuni li conosco, altri non credo di averli mai visti in vita mia. Li saluto allo stesso modo, il sorriso che tira le mie labbra è così finto da sorprendermi che nessuno se ne renda conto.

Incrocio lo sguardo Reiner non appena mi addentro in salotto e sento il cuore bloccarsi nel petto. Mi obbligo di prendere dei respiri profondi; cerco di calmarmi non appena vedo che Reiner sta per raggiungermi, facendosi largo tra la folla. Si ferma di fronte a me e sorride ampiamente, agganciando al mano libera sulla mia spalla. Sussulto alla sua presa ferrea.

“Capitano!” Si ferma per bere un sorso dalla sua bottiglia. Birra economica, probabilmente, a meno che Thomas in qualche modo non sia riuscito di nuovo a sgraffignare una bottiglia di Jack dalla scorta di liquori dei suoi genitori. “Ce l’hai fatta.”

“Non volevo sentire le tue lagne,” dico. È vero, più o meno, e Reiner ride rumorosamente per un qualche motivo. Mi sposto a disagio chiedendomi quale scusa avrei potuto usare questa volta per andarmene prima. “Non perdi davvero mai tempo, vero? La festa è appena iniziata!”

Reiner mi lancia un sorriso, beve un altro sorso della birra e mi passa accanto per salutare qualcun altro.

Lascio che un respiro di sollievo mi passi lentamente dalle labbra prima di prendere la mia solita posizione contro il muro. La musica è fin troppo alta, la stanza è calda da morire e voglio solo andare a casa. Beh, magari non a casa. Ma uscire da qui mi sembra un buon piano.

“Ehi, sconosciuto.”

Sollevo lo sguardo dal pavimento per vedere Isabel avanzare verso di me. Non sembra essere il suo posto, questo. Le sue cuffie arancione brillante le pendolo dal collo e si mette a posto il suo enorme maglione nero.

“Cosa ci fai qui?” Chiedo, sorpreso. A Isabel non sono mai piaciute le feste e neanche a Farlan. Prima che mi unissi alla squadra di football, noi tre passavamo i venerdì sera a guardare serie tv su Netflix mangiando popcorn.

“Sono venuta con Petra.” Indica una ragazza con dei capelli biondo fragola. Il suo nome mi è familiare, ma non riesco a ricordarla. “È del giornalino della scuola. Sai, per la rubrica del gossip.”

“Oh.” Non sapevo nemmeno che la scuola avesse un giornale. Mi sento strano. Isabel e io siamo amici da molti anni, ma per qualche motivo mi ritrovo a desiderare che questa conversazione finisca in fretta. “Questo non sembra il tipo di posto che frequenteresti.”

“Già, beh.” Alza le spalle. “Potrei dire lo stesso di te, ma sembra tu ti senta a tuo agio.”

Sbatto le palpebre lentamente. Non ricordo l’ultima volta in cui le ho parlato se non per un progetto scolastico. Una volta eravamo inseparabili. Ma ora mi sembra quasi di non ricordare nemmeno chi sia.

“Immagino,” rispondo con tono piatto. Mi schiarisco la gola cercando di non far rumore. “Ascolta, Isabel... noi siamo...?”

 Mi interrompo. Cosa stavo cercando di dire?

Per fortuna, Isabel sembra averlo intuito meglio di me.

“A posto?” Infila le mani nelle tasche dei jeans. “Non lo so, tu che dici? Sembra che parli con me e Farlan solo quando vuoi ottenere dei buoni voti.”

Le sue parole sono affilate abbastanza da tagliarmi l’anima e per alcuni secondi mi domando se lo hanno fatto davvero. Apro la bocca per giustificarmi, per spiegare che non posso essere il Levi che ero una volta, che le cose vanno bene in modo diverso, ma tutto suona come una scusa.

Isabel ha sempre odiato le scuse.

“Non è giusto,” riesco a dire. Le sopracciglia di Isabel si contraggono dalla rabbia, ma poi il suo viso si rilassa.

“Immagino di no,” ride, “Voglio dire, sei Levi Ackerman, capitano della squadra di football. Tutti ti sbavano dietro. Anche se perdessi un paio di amici, nei hai decine con cui rimpiazzarli.”

“Isabel!” Non so perché mi sto arrabbiando. Non ha ragione? Non sta avendo dei buoni motivi per dire una cosa del genere?

“Cosa?” Sbotta e poi scuote la testa. “Senti, Levi,” pronuncia il mio nome come fosse la cosa più disgustosa del mondo. “Non so cosa vuoi che ti dica.”

Dimmi che siamo a posto. Dimmi che non andrai da nessuna parte. Dimmi che nulla cambierà.

Non mi azzardo a parlare. Isabel mi guarda per alcuni secondi, i suoi occhi analizzano la mia espressione. Ma poi sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio, scuotendo la testa per la delusione e si allontana. Osservo il suo corpo mescolarsi a quello di tutti gli altri. Distolgo lo sguardo solo quando non riesco più a vedere la sua testa.

Sono qui solo da pochi minuti, ma sento il bisogno di andarmene. Mi allontano dal muro sul quale ero appoggiato e passo in rassegna tutte le possibili scuse che potrei usare in caso Reiner mi vedesse. Fortunatamente, però, lui è da qualche altra parte della casa.

Raggiungo in velocità la veranda e premo le dita contro gli occhi. Posso ancora sentire la musica che mi scuote le ossa. Scendo dalla veranda e cammino verso il marciapiede, la ghiaia del vialetto di Reiner scricchiola sotto i miei piedi.

Giuro che riesco a sentire degli occhi puntati su di me, ma sono troppo codardo per guardare. La possibilità che a qualcuno interessi dove sono, interessi davvero, sono molto poche. Isabel e Farlan sono gli unici di quel tipo di amici. Tutto ciò che ho ora sono i ragazzi della squadra di football. Ma considerando che non abbiamo nulla in comune al di fuori del campo da gioco, non è molto.

Schiocco la lingua e infilo le mani nelle tasche. Le ginocchia mi fanno male da quella volta in cui Jaeger mi è corso addosso, ma non ho la macchina in questo momento. Non che avrebbe avuto importanza, in ogni caso. Non guido. Non ora, almeno.

Rabbrividisco al pensiero che Kenny potrebbe essere tornato a casa per quest’ora. È difficile ragionare con lui quando è ubriaco e stanco e dubito che questa sera sarà diversa. Se sono fortunato, si sarà addormentato guardando le repliche di Law & Order.

Raggiungo casa mia e mi fermo davanti alla porta. Potrei scappare e non guardarmi mai più indietro. Ma questo non farebbe di me un codardo? Non sarei meglio di Kenny... o di mio padre.

Giro la maniglia, il mio cuore sprofonda quando vedo che la porta non è chiusa a chiave.

Kenny è sveglio.

“Sono a casa,” annuncio, rimanendo in piedi sulla soglia della porta.

“Sono in soggiorno,” risponde Kenny.

Le mani cominciano a tremare mentre mi dirigo verso il salotto.

 
***
 
Salgo le scale, le gambe tremano così violentemente che non riesco nemmeno a camminare dritto. Finalmente raggiungo il bagno e mi appoggio al lavandino. Il mio stomaco è in subbuglio e all’ultimo secondo cado sulle ginocchia e mi curvo sulla tavoletta. Il mio pranzo ha deciso improvvisamente di rifarsi vivo e, una volta che ho finito di rimettere anche l’anima, mi obbligo a sollevarmi e tirare lo sciacquone.

La gola brucia, premo le dita sulla zona dolorante e appoggio la testa contro il muro. Le mattonelle sono gelate sotto i miei piedi. Il mio intero corpo mi fa male. Sono tentato di distendermi qui e dormire, ma poi ricordo quanto deve essere sudicio il pavimento.

Riesco a rimettermi in piedi. Il mondo gira un po’, smettendo solo dopo alcuni interminabili minuti e, quando succede, mi guardo allo specchio. Il viso non mostra alcun tipo di ematoma, come sempre. Sollevo la maglietta per fissare tutti i lividi scuri dispersi per tutto l’addome. Kenny non è un idiota, questo è certo. Non mi colpisce mai in volto e forse dovrei essergliene grato.

Premo le dita contro un ematoma e un sibilo mi scappa dai denti.

Già, vaffanculo. Non sono grato per questa merda.

Kenny è la ragione per la quale non faccio la doccia negli spogliatoi dopo gli allenamenti e perché mi cambio nella cabina del bagno. Quando lo facevo le prime volte, alcuni dei ragazzi mi guardavano male. Quando sei in prima media, i ragazzi di solito fanno piccole zuffe tra di loro nelle cabine del bagno. Quando sei in quarta superiore, i ragazzi pensano di avere problemi di autostima e cose del genere.

Ma, come per qualsiasi altra cosa nella mia vita, nessuno chiede nulla. Non fai domande al capitano della tua squadra. Fai semplicemente qualsiasi cosa che fa anche lui.

Prendo un respiro profondo e apro il rubinetto. Mi lavo i denti meticolosamente e sciacquo il viso con dell’acqua fredda, tirando indietro i capelli che si sono attaccati alla fronte a causa del sudore. I miei tentativi di difendermi dai pugni di Kenny non vanno mai a segno, eppure continuo a provarci. Credo sia un metodo assurdo e inutile per autoconvincermi di non essere così debole come sostiene lui.

Mi passo le dita tra i capelli e noto che la ricrescita comincia a farsi vedere. Non mi importa. Farmi biondo non è stata una mia idea, ma mi sto abituando a vedermi così. Tornare corvino non sarebbe così male, però.

Ci sono dei movimenti al piano di sotto e poi sento la porta del piano interrato chiudersi. Kenny ha tutto il piano di sotto per sé e io ho il piano di sopra. Il piano terra è l’unico posto dove lo vedo. Se non insistesse nel continuare a picchiarmi ogni volta che è irritato, non penso mi ricorderei nemmeno che vive con me.

Osservo il mio riflesso nello specchio. L’acqua sta gocciolando dal mio viso e strofino la mano su esso per asciugarmi. Le borse sotto gli occhi sono più pronunciate del solito. Sembro esausto e non dovrei esserne sorpreso. Mi sento esausto.

Premo le dita contro gli occhi. Quando li riapro di nuovo, tutto appare distorto. Afferro il bordo del lavandino e mi curvo in avanti, pregando che questa notte finisca. 

 
***
 
“Quindi, quanti di voi sono andati avanti con la lettura?”

La voce del signor Smith mi strappa dalla mia confusione. Stavo fissando un punto imprecisato, ma ora ricordo di essere in classe. Mi prendo un paio di secondi per ricompormi e sollevare lo sguardo. Soffoco uno sbadiglio e giro lo sguardo verso Isabel e Farlan, che stanno ridendo per qualcosa, cercando però di non farsi richiamare dal professore.

È un doloroso promemoria del fatto che stiamo viaggiando in due percorsi completamente differenti. Deglutisco il gusto amaro che mi è rimasto in bocca e focalizzo lo sguardo sul professor Smith. È seduto sul bordo della cattedra mentre tiene un libro in mano. Probabilmente è il libro che abbiamo cominciato un paio di giorni fa, ma al momento non mi viene in mente il titolo.

“Per coloro che hanno letto, come descrivereste il personaggio principale?” Chiede. Una ragazza alza la mano e il professore le concede la parola. Non mi sono mai preoccupato di imparare il suo nome.

“Sembra aver paura di tantissime cose,” spiega. “I suoi amici escono spesso, ma lui sembra troppo spaventato per unirsi a loro. Come se pensasse che qualcosa di brutto possa accadere da un momento all’altro.”

“Esatto.” Il signor Smith sembra essere soddisfatto della risposta. Alzo gli occhi al cielo e mi concentro sul quaderno rilegato sul mio banco. “La paura può essere una cosa piuttosto destabilizzante per alcune persone. Come potete vedere, le paure del protagonista rappresentano una seria minaccia nell’impedirgli di godere la vita.”

Si ferma e i suoi occhi scannerizzano la stanza.

“Quindi, la mia domanda è: da cosa siete spaventati voi? Cosa credete che vi trattenga dal godervi la vita?” Alzo velocemente la testa alla domanda. Vuole che condividiamo le nostre paure? A quale scopo?

Mi guardo attorno. Nessuno sembra preoccupato a parte me. Il mio stomaco si sta attorcigliando, formando dei nodi che nemmeno degli scout riuscirebbero a sciogliere.

Nessuno si azzarda ad alzare la mano e li mando mentalmente tutti all’Inferno. Quando nessuno partecipa, gli insegnanti insistono ancora di più. Odio fottutamente questa cosa, ma immagino sia un qualche tipo di requisito che devono avere come educatori. Forse il mistero degli studenti funge da carburante per loro. Chi cazzo lo sa.

“E tu, Eren?”

Sospiro di sollievo, crollando sulla sedia. Il mio cuore torna a battere in un ritmo normale e improvvisamente mi sento come se potessi respirare di nuovo. La testa di Eren si solleva di scatto, come se prima di essere stato chiamato stesse dormendo. Mi concentro sul banco invece che sul retro della sua testa. Fissarlo in quel modo mi fa sentire un fottuto stalker. Che non sono, per la cronaca.

“Io?” Eren mormora pensieroso. “Questa è una domanda interessante, professor Smith. La paura non è semplicemente qualcosa che crea la nostra mente? Voglio dire, le persone di solito non hanno paura di ciò di cui dovrebbero aver realmente paura.”

Il signor Smith solleva un sopracciglio e si allontana dalla cattedra.

“Cosa intende dire con questo?”

“Beh.” Eren si schiarisce la gola e non capisco se stia cercando di sembrare filosofico o qualche altra merdata del genere. Mi agito e guardo dall’altra parte della stanza Isabel e Farlan, che sembrano ansiosi di sentire cosa ha da dire Eren.

Mi costringo a tornare a guardare il banco.

“Ci sono persone che sono spaventate da cose tipo, non lo so, le tarme,” dice. “Le tarme non possono fare molto se non rovinarti i vestiti. Penso le persone dovrebbero avere paura di cose ben più pericolose. Per esempio... le auto.”

“Auto?” Ripeto prima di riuscire a fermarmi. Nella mia gola si è formato un nodo che non riesco a mandar giù. “Chi diavolo ha paura delle auto?”

“Non sto dicendo che io ho paura delle auto,” Eren si gira sulla sedia per guardarmi. “Sto solo dicendo che le persone dovrebbero averne più paura. Tutti ascoltiamo nei telegiornali notizie di incidenti stradali e auto distrutte, tuttavia sono piuttosto sicuro che la maggior parte di noi sia arrivato a scuola in macchina. Confidiamo nel fatto che arriveremo sani e salvi. Il che mi porta al prossimo punto: dovremmo avere paura di fidarci. Non ti fidi delle persone che non ti piacciono, giusto? E per la maggior parte, queste persone ti lasciano in pace. Ma le persone di cui ti fidi? Finiranno sempre per sputtan- voglio dire, fregarti.”

Sbatto le palpebre un paio di volte prima di socchiudere gli occhi.

“Che c’è, hai dei problemi di fiducia?” Chiedo, il mio tono leggermente derisorio ed Eren alza un sopracciglio, pieno di sarcasmo.

“Nah,” risponde con tono piatto. “E tu?”

“No,” sbotto velocemente. Eren sogghigna e scrolla le spalle.

Il professor Smith si schiarisce la gola per avvertirci di smetterla. Eren e io rompiamo il contatto visivo e lo guardiamo.

“Questa è una riflessione davvero profonda, Eren.” Il signor Smith sembra non sapere come rispondere. Non posso biasimarlo. “Ma non penso tu abbia risposto alla mia domanda originale.”

“Ah, giusto.” Eren annuisce un paio di volte. “Ho paura del conformismo.”

“Del conformismo?” Ripete il professor Smith. “Non penso di aver mai sentito una paura del genere.”

“È una paura legittima,” espone. “Ci pensi. Quando sei un bambino, non ti importa di adattarti a un ambiente, non ancora. Sei una persona che fa le sue cose. Ma una volta che cresci, cominci a cercare infiniti modi per essere qualcun altro. Forse è un problema di autostima. Chi lo sa? Ma nonostante tutto, si è sempre in cerca di un modo per adattarsi, di conformarsi. Il pensiero di essere come chiunque altro mi fa star male.”

Rido sotto i baffi, scuotendo la testa. Eren si gira per guardarmi ancora.

“Scusa,” sbuffo. “Ma non penso tu ti debba preoccupare del conformismo.”

“Beh, le paure non sono sempre razionali,” dice il signor Smith e capisco che sta cercando di attenuare la situazione. È piuttosto inutile, però. L’aria sembra carica di elettricità e posso affermare che io ed Eren stiamo oltrepassando il punto di non ritorno.

“Forse no,” mi concede Eren con un crescente ghigno e io digrigno i denti. “Con tutto il dovuto rispetto, però, penso tu lo faccia.”

“Io?” Lo guardo con sguardo arrabbiato. “Cosa stai insinuando?”

“Scusa!” Eren mi sorride dolcemente. “Non volevo offenderti.”

La campanella suona improvvisamente e non posso fare a meno di guardarlo a bocca aperta mentre si alza. Si dirige alla porta senza dire una parola e percepisco la rabbia accumularsi. Prendo alcuni respiri profondi per calmarmi, il mio viso è rosso dall’imbarazzo.

Guardo il signor Smith, che sembra scioccato quanto il resto della classe. Costringo i miei piedi a farmi alzare, afferrando i libri da sopra il banco. Reiner mi aspetta alla soglia della porta e quando gli passo affianco si schiarisce leggermente la gola.

“Gli permetti davvero di parlarti in questo modo?” Chiede, parendo confuso. Alzo gli occhi al cielo.

“Che posso farci?” Chiedo, anche se in realtà non cerco davvero una risposta. “Non vale il mio tempo.”

“Giusto,” dice lentamente Reiner. “Sembri molto irritato, però.”

“Mi ha fottutamente umiliato davanti a tutta la classe,” sbotto, raggiungendo finalmente il mio armadietto. Giro il quadrante con cattiveria e premo i quaderni rilegati contro il fianco. “Penso la mia rabbia sia giustificata.”

Reiner solleva entrambe le mani in segno di resa.

“Ehi amico, sono dalla tua parte,” dice. “Non lasciare che quello lì ti condizioni. Jaeger è solo un perdente.”

Quando sei un perdente non ti interessa molto del tuo aspetto.
Non sei un perdente. Strano? Sì. Perdente? Nah. So che tipi sono i perdenti, e non è ciò che sei.

Il ricordo mi blocca dal mettere via i libri. Una strana sensazione mi attanaglia lo stomaco. Reiner mi guarda strano per alcuni secondi. Annuisco, percependo finalmente il sangue scomparire dalle guance.

“Già,” dico freddamente. “Niente più che un fottuto perdente.” 

 
***
 
Al raggiungimento della nona ora, sono abbastanza calmo. Siamo in palestra per giocare a Flag Football[1]. Il che, come mi piace definire, è solo una versione rivisitata del football. Non mi è mai importato dell’attrezzatura, quindi sono grato per le cinture attorno alle nostre vite. Dio solo sa quanto io venga già spintonato in giro.

Avevo quasi dimenticato la discussione avvenuta nell’ora di inglese fino a quando i miei occhi non si posano su Eren. È in piedi sulle linee di bordo campo, le mani al sicuro dentro le tasche dei pantaloni. Sembra un ragazzo piuttosto inusuale. I suoi occhi vagano per la palestra fino a quando non incontrano i miei.

Lui non sorride e non sorrido nemmeno io.

In qualche modo, un bagliore si ravviva dentro di me. Cerco di levarmi di dosso questa sensazione e comincio a correre con la mia squadra. Eren si muove dal suo posto nel retro della squadra e il gioco comincia. Va avanti senza incidenti e, prima di rendermene conto, siamo già tornati agli spogliatoi.

Prendo i miei vestiti per cambiarmi nelle cabine del bagno, ma poi noto che Eren mi sta fissando. Ripenso a questa mattina e la rabbia che provavo prima torna a tutta birra.

Improvvisamente, tutto ciò che vedo è rosso. Cammino verso di lui. Mi riserva uno sguardo prudente prima di sbatterlo contro il pavimento senza nemmeno pensarci. Rantola, come se avessi tagliato l’aria e lo spingo violentemente. La sua testa fa un suono sordo contro l’armadietto e i suoi occhi si spalancano per alcuni secondi.

Non so perché lo sto facendo.

Accanto a me, posso sentire Reiner e un paio di altri ragazzi ridere. Mi alzo lentamente. Il professor Zacharias non entra mai negli spogliatoi, quindi non c’è una figura autoritaria a fermarmi. L’adrenalina scorre calda e pesante nelle mie vene.

“Alzati, cagna!” Urla uno dei ragazzi dietro di me.

“Già,” aggiungo. “A meno che tu sia così debole da non riuscire nemmeno a sopportare una piccola spintarella.”

Non ho mai bullizzato una singola persona in tutta la mia vita. Non volevo essere il classico stereotipo del ragazzo atletico e stronzo.

Ma eccomi qui, tutto ciò che mi ero promesso di non diventare.

Eren rimane steso a terra, un’espressione illeggibile in volto. Per un secondo penso sia deluso per qualcosa, ma poi sogghigna.

“Lo sai,” comincia lentamente. “Cagna non è esattamente un insulto. L’ultima volta che ho controllato, non sono una femmina di cane. Ma ehi, non posso biasimarti. Il football deve averti rincretinito il cervello. Non che prima ce ne fosse molto, in realtà.”

“Stai diventando intelligente?” Commento. Lui alza gli occhi al cielo.

“Smettila di farti vedere,” sbotta e poi si alza brutalmente. Non mi guarda nemmeno mentre se va infuriato.

“Aw, qualcuno va a piangere adesso?” Reiner afferra rudemente il braccio di Eren. “Non abbiamo ancora finito con te, cagna.”

All’improvviso, Eren attorciglia il braccio di Reiner dietro la sua schiena. Franz, che aveva distrattamente osservato la scena in silenzio, sussulta. Ascoltiamo tutti mentre un pop disgustoso fende l’aria. Reiner si accascia a terra cadendo sulle ginocchia, urlando in agonia.

“Ehi, ma che cazzo?!” Mi faccio strada verso Reiner e rimango in piedi davanti a lui protettivamente. Eren guarda Reiner, che si sta contorcendo dal dolore.

“Chi è la cagna adesso?” Mormora, quasi troppo basso da sentire, e lascia lo spogliatoio. La porta sbatte, chiudendosi rumorosamente dietro di lui.

Sussulto al suono stridente.

“Vado a chiamare Zacharias!” Annuncia Franz, chiaramente in panico, e corre fuori.

“Porca miseria.” Mi inginocchio accanto a Reiner.

“Fa male, cazzo!” Sibila, delle lacrime si collezionano ai lati dei suoi occhi. Deglutisco.

“Cazzo!” Mi passo le dita tra i capelli e stringo le mani nervosamente. “Cosa cazzo dovremmo fare adesso?”

“Voi ragazzi siete degli idioti.” Marco scuote la testa, i suoi occhi si assottigliano. “Qual è il tuo problema, Levi?”

“Il mio problema?” Rispondo incredulo. “Non sono io quello che rompe le braccia alle persone!”

“Forse no, ma lo hai provocato!” Marco preme il dito contro il mio petto. “Lo hai aggredito senza motivo! Penso avesse il diritto di difendersi.”

“Ma tu da che parte stai?” Gli chiedo.

“Non dalla tua, questo è certo.” Marco sembra disgustato mentre scuote di nuovo la testa. Prende la sua roba e se ne va dallo spogliatoio. “Vado a scusarmi con Eren.”

Sparisce dalla nostra vista proprio quando il professor Zacharias entra nella stanza.

“Cos’è successo qui?” Chiede. Il professor Zacharias non parla molto, ma non è difficile capire che è irritato.

Tutti mi guardano. Deglutisco e cerco di uscirmene con una qualche bugia.

“Stavamo scherzando,” dico e prego che Franz non dica nulla per quanto riguarda Eren. “Immagino che ci siamo lasciati un pochino trasportare.”

Zacharias non sembra credermi. Mi impegno a mantenere il contatto visivo fino a quando non sospira e annuisce.

“D’accordo” dice. “Andiamo in infermeria.”

Aiuta Reiner ad alzarsi e uscire dalla stanza. I ragazzi rimanenti si sbrigano nel vestirsi mentre io rimango impiantato sul mi posto. Franz mi stringe la spalla per attirare la mia attenzione. Thomas mi sta guardando con la fronte aggrottata.

“Perché hai mentito?” Domanda. Franz si agita nervosamente accanto a me.

A essere onesti, non ne sono sicuro. Avrei dovuto dire la verità. Ma per una qualche ragione, non volevo che Eren passasse dei guai per causa mia. Non ha alcun senso, considerando di essere stato io ad attaccarlo. O forse ho solo paura di finire nei guai.

“Ci sarebbero stati troppi problemi se non l’avessi fatto,” replico con un’alzata di spalle. “Saremmo stati chiamati nell’ufficio del preside per tutto questo.”

Thomas e Franz si scambiano degli sguardi dubbiosi. Fingo di non notarlo.

“Come preferisci, Capitano,” dice in fine Franz e questa è l’ultima volta che ne parliamo.

 

[1] Flag Football: variante del football americano dove si utilizza la stessa palla. La differenza sta nell’assenza di contatto fisico in quanto non viene contemplato il placcaggio.
   
 
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