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Autore: AdhoMu    14/02/2019    7 recensioni
["Principenny" Clearwater / Charlie Weasley (et Percy Weasley)]
"Weasley.
Patronimico riferito ad antichissima famiglia magica inglese, appartenente al rinomato gruppo delle Sacre Ventotto. I suoi membri sono tradizionalmente affiliati alla Casa di Grifondoro e presentano un biotipo ben preciso, costituito da capelli rossi, pelle chiara e lentigginosa ed occhi di colore variabile fra il celeste e il nocciola."
Ah: e sono anche maledettamente numerosi, aggiungerei io.
E pure fascinosi, accidenti a loro.

Dodici caselle. Dodici draghi.
Riusciranno Penny e Charlie a recuperarli tutti prima della Battaglia Finale?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Antonin Dolohov, Charlie Weasley, Filius Vitious, Penelope Clearwater, Percy Weasley
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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8. Quei bei piani andati in fumo.
 
- Mi sento... un po’ in colpa.
Oh. Ed eccoci infine giunti al punto.
Le dita di Charlie giocherellavano con le punte dei miei capelli mentre io, pigramente abbandonata contro il suo fianco e coi piedi freddi infilati fra le sue caviglie calde, contavo le gocce di pioggia rimaste incollate al vetro della finestra.
Lo sapevo.
Lo sapevo che, prima o poi, quella conversazione sarebbe avvenuta, e lo ritenevo più che giusto. Mi chiedevo solo quando e come l’avremmo affrontata. Dalla sera in cui Charlie mi aveva proposto sorridendo di seguirlo sull’Isola Deserta erano passate un paio di settimane; eravamo, ormai, agli inizi di marzo.
Mi sfilai dal suo abbraccio e mi tirai su a sedere, per fargli capire che lo ascoltavo e che rispettavo la sua decisione di abbordare l’argomento.
- Io lo so – continuò lui, arrossendo leggermente – che tu e Percy vi siete lasciati...
- ...da prima di conoscere te – precisai io.
- Sì, da prima di conoscere me, lo so – annuì lui. – Ciononostante è un po’ strano. Lo ammetterai anche tu.
Io mi mordicchiai il labbro.
Molto strano – ammisi, stringendomi nelle spalle. Non c’era molto da dire. Effettivamente, era strano. Punto e basta.
Ci avevo pensato infinite volte da quando lo avevo conosciuto, arrovellandomi inutilmente fra volere e potere.
- Sai Penny – riprese Charlie, dopo qualche minuto di silenzio. – Ultimamente Percy non si è comportato affatto bene nei confronti della nostra famiglia. Da quanto ne so è da mesi che non si fa vedere e, sinceramente, non so neanche quando mi capiterà di incontrarlo. Però...
- ...però è pur sempre tuo fratello – conclusi io al suo posto, con semplicità.
- Ci ho pensato su quasi ininterrottamente, durante tutti questi mesi – mormorò lui, scegliendo attentamente le parole. – E dopo l’episodio di agosto io lo sapevo (lo speravo, in realtà) che fra me e te, prima o poi, qualcosa sarebbe successo. Ma non succedeva... vita scombinata, tensione, fughe continue, senso del dovere... ho continuato a rimandare, in realtà. Avrei dovuto essere più coraggioso - aggiunse, con un risolino contrito, per poi spiegarmi quanto lo mettesse a disagio il trovarsi in una situazione così scomoda, costantemente combattuto fra i suoi desideri e l’etica familiare.
Io lo capivo perfettamente e ci tenni a farglielo presente. Anche per me, nonostante fosse esattamente ciò che desideravo, era strano frequentare lui dopo essere stata per anni fidanzata con suo fratello.
- In questo momento, però, non credo ci sia molto che possiamo fare – gli dissi, accoccolandomi nuovamente al suo fianco. – Sicuramente, quando avremo modo di incontrarci con Percy, gli dovremo tutte le spiegazioni del caso. Beh. Sempre che...
- “Sempre che” cosa?
- Sempre che tu la ritenga la cosa giusta da fare, intendo – conclusi, un po’ esitante. – Che, per te, ne valga la pena... che tu voglia, insomma, continuare a...
Charlie non mi rispose.
Rotolò sul fianco e si voltò verso di me, specchiando gli occhi nei miei. Io gli presi la mano per stringermela sulla guancia e lo fissai, incantata dai bagliori fulgidi dei suoi riccioli del colore del fuoco illuminati dai raggi del sole. E lui si avvicinò lentamente, fino a fondere il suo respiro col mio e a sfiorarmi le labbra con le sue.
Estão chegando!
Un bussare concitato lo frenò all’improvviso: la voce di Mabel risuonò chiara e inconfondibile oltre il legno della porta.
- Charlie, Penny! – gridò la strega, i cui passi udtimmo poi allontanarsi di corsa lungo il corridoio. - Gli Azzurri!... Stanno arrivando!
 
Di una bellezza sconcertante.
Mai riuscirei a trovare parole più adatte per descrivere l’aspetto di quei magnifici draghi dalla livrea bianca e blu, scintillante come ceramica smaltata.
Folgorati, saltammo giù dal letto e ci rivestimmo a tempo record, per poi fiondarci fuori dal Dragão Boreal e attraversare di corsa il porticciolo di Calheta. Galoppando a perdifiato ci dirigemmo a tutta velocità verso lo spiaggione indicatoci da Mabel sul quale, nel frattempo, la comunità magica azzorriana si stava radunando in tutta fretta.
E finalmente eccoli arrivare, gli splendidi Azzurri, uno dopo l'altro, alla spicciolata.
Alternando un volo rasente a vivaci tuffi fuori e dentro dall'acqua si avvicinarono, sollevando montagne d'acqua con il battito delle loro ali e lo sferzare delle loro code.
Li osservai rapita mentre Charlie, in piedi accanto a me con il vento che gli scompigliava i riccioli rossi, faticava a contenersi, esaltato come un bambino.
Quella sera, sullo spiaggione opportunamente schermato da incantesimi respingibabbani, fu allestita una grande festa alla luce di centinaia e centinaia di lanterne bianche e azzurre che levitavano nell'aria, per celebrare il ritorno degli Azzurri.
Lasciare le Azzorre fu un po' come morire; io e Charlie ce ne andammo a malincuore, ben consci del fatto che il nostro breve idillio era ormai giunto al capolinea e che era ormai tempo di fare ritorno alla dura realtà.
Ci trattenemmo per altri tre giorni, giusto il tempo di permettere ad Álvaro, il nostro nuovo amico, di riprendersi dal viaggetto di ritorno dai faraglioni ed abituarsi all'idea di lasciare il suo paradiso marino.
- Ci dovete mettere l'acqua - disse Malú, puntando il dito sulla casella che gli era stata destinata all'interno della Scatola. - Gli Azuis sono quasi degli anfibi, sapete.
Una volta che anche Álvaro ebbe preso posto all'interno del suo scompartimento opportunamente riempito di acqua di mare, liberammo Finn (sarebbe stato lui a riportarci indietro, facendo leva sulla sua resistenza e velocità), lo ingrandimmo e partimmo alla volta delle Ebridi.
 
Altre isole, altro scenario, altra quotidianità.
Se, prima di conoscere le Azzorre, le avevo sempre immaginate come un luogo isolato dal mondo (per poi scoprirle frequentate e vivaci come il porto di mare che effettivamente erano), la vera essenza dell'isolamento la conobbi quando misi piede a St. Kilda.
Quello era vivere fuori dal mondo.
Altro che Sereia Verde a Faial.
Io e Charlie ci scambiammo un'occhiata trepidante quando, non appena le zampe di Finn si posarono sulla giovane erba primaverile che ammantava l'isola, avvistammo di lontano una coppia di persone che procedevano spedite nella nostra direzione: un uomo e una donna.
- Alexander McFusty - si presentò l'uomo, un imponente scozzese dai capelli color della neve e un'espressione granitica che ci si era avvicinato a grandi passi. - Laird di St. Kilda. E questa - aggiunse, indicandoci una donna minuta dall'aspetto dolce che, nonostante i passettini rapidi, si era costantemente mantenuta al suo fianco durante la camminata, senza mai restare indietro - è mia moglie Catriona.
- Benvenuti, miei cari - ci salutò lei profondendosi in caldo sorriso, diametralmente opposto al cipiglio del marito e, senza dubbio alcuno, capace di conquistare il più burbero degli uomini. - Venite dentro, su. Ho preparato i biscotti.
Io e Charlie la guardammo con gratitudine.
- Andate pure avanti - grugnì il signor McFusty, esortandoci a seguire la moglie lungo il sentiero che recava ad un basso casolare di pietra col tetto di paglia.
Noi, dato il timore reverenziale che ci incuteva costui, eseguimmo senza fiatare.
Dopo qualche centinaio di passi, però, incuriosita dai suoni e dalle risate che, nonostante le raffiche di vento, provenivano dalle nostre spalle, non potei fare a meno di girarmi.
Rimasi di sasso, indecisa se azzardarmi a ridere o no della gaia scenetta che mi si parò dinnanzi agli occhi.
Il terribile e austero Alexander McFusty rideva e giocava con Finn, grattandogli vigorosamente la testa e rotolando allegramente con lui sul terreno erboso.
- Non farci caso, mia cara - sorrise la signora Catriona, un guizzo divertito nelle iridi chiare. - Fa tanto il burbero, ma quando ha a che fare coi draghi ritorna bambino.
Ci trattenemmo a St. Kilda per una settimana, che trascorse in un lampo fra visite all’allevamento, chiacchierate con gli impiegati, passeggiate lungo gli impervi sentieri che solcavano l’isola e serate accanto al fuoco sorseggiando tè di cardo e sbocconcellando i magnifici biscotti della signora Catriona.
I McFusty, scoprii, allevavano Neri delle Ebridi fin dai tempi dei Fondatori e fors'anche da prima.
Charlie mi aveva confidato che convincere il Laird a cedere una delle sue preziose bestie era stata un'impresa titanica; alla fine la diplomazia di Sturgis Podmore aveva avuto la meglio, ma si vedeva che i membri del clan erano ancora piuttosto restii ad affidarci Kendra.
- Mi raccomando - continuava a borbottare Mr. McFusty mentre io e Charlie la rimpicciolivamo per farla entrare nella Scatola Portadraghi. - Trattatela come...
- È per il bene superiore, mio caro - gli ricordò Catriona per l'ennesima volta mentre Callum, il loro nipotino di sette anni, si stringeva al kilt di lana ruvida del nonno, incredulo per la partenza della draghessa. - Dobbiamo fare la nostra parte anche noi, se vogliamo il meglio per loro - disse la saggia strega, additando gli stormi di Neri che volavano a zigzag nel cielo plumbeo.
 
- Prima di recarci in Galles per provvedere alla nostra ultima acquisizione – mi aveva detto Charlie prima di lasciare le Ebridi – dobbiamo fare una cosa.
- E sarebbe?
- Fare un salto a casa – aveva risposto lui. – È da agosto che non ho loro notizie. Ho bisogno di sapere come stanno.
Io l’avevo guardato timidamente.
- Casa tua... la casa dove vive la tua famiglia... i tuoi fratelli, i tuoi genitori...
Lui mi aveva sorriso.
- So cosa ti preoccupa – mi aveva detto, stringendomi forte la mano. – Ma non ti devi impensierire. Ci parlo io con babbo e mamma e, ne sono più che sicuro, nessuno dei miei fratelli avrà un bel niente da ridire.
- Oh, beh. Se lo dici tu... – avevo mormorato io, a disagio, per poi raddrizzarmi e darmi un tono. – Va bene. Dove devo...?
- Alla Tana.
- Okay. La Tana!
Crack.
 
Charlie non lo sapeva.
Non lo sapeva che gli Weasley, vedendosi ogni giorno più minacciati dai Mangiamorte, erano stati costretti a trasferirsi tutti quanti a casa della prozia Muriel, opportunamente protetta da Incanto Fidelius. Non sapeva che l’altra Casa Sicura era Villa Conchiglia, la villetta in cui suo fratello Bill risiedeva con la sua novella sposa Fleur Delacour. Non sapeva che la Tana era diventata un luogo pericoloso.
I nostri ultimi scambi di informazioni con l’Ordine risalivano a troppo tempo prima e noi, per evitare intercettazioni, ci eravamo scrupolosamente astenuti dal tentare un contatto.
E così, all’oscuro di tutto, ci recammo nel Devon in cerca di notizie.
Se avessimo saputo di come stavano le cose, non l’avremmo mai fatto.
 
- Ma cosa diavolo...
Charlie osservò la casa della sua famiglia, confuso. Tutto, in quel luogo, recava i segni dell’incuria, dell’abbandono, della depredazione.
Io mi guardai intorno, nervosa.
Alte spighe di grano e canne di fosso occludevano la vista, accerchiandoci come una muraglia.
- Non c’è nessuno, qui – la sua voce risuonò intrisa di preoccupazione nell’aria immobile.
- Charlie – gli dissi io, accostandomi a lui. – Andiamo via. Non mi piace per nien...
Ci furono addosso prima che io avessi il tempo di terminare la frase.
Erano una mezza dozzina e, questa volta, non esitarono prima di colpire. Ci attaccarono subito.
- Protego!
Lo Scudo di Charlie mi salvò per un pelo da uno Schiantesimo scagliatomi contro da uno di loro: io urlai, gettandomi a terra per schivare un altro incantesimo che mi piovve addosso come grandine.
Non sapevo cosa fare. Non ero mai stata brava a duellare ma, da terra, riuscii ad impastoiare un paio di soggetti facendoli stramazzare al suolo mentre Charlie, solo contro tutti, si batteva come un leone.
Ma non ce l’avrebbe fatta, e lo sapevo, per cui mi tirai su e tentai di darmi da fare. Quasi subito, però, uno sbuffo di fumo nero denso come il carbone mi raggiunse facendomi quasi soffocare: io tossii rumorosamente, con gli occhi che mi bruciavano. E mentre cercavo disperatamente di recuperare l’equilibrio e la vista, una mano ossuta si strinse intorno al mio polso.
Oh, per la saggezza di Priscilla.
Quando il mio sguardo incrociò il suo boccheggiai per l’orrore, tentando invano di ritrarmi.
Era lui.
Antonìn Dolohov.
Io urlai di nuovo e mi dibattei, terrorizzata al ricordo di come quel farabutto aveva ucciso il draghetto svedese.
- Impedimenta!
L’Ostacolo lo colpì alla mano, obbligandolo a mollare la presa; Charlie corse in avanti, frapponendosi fra me e lui.
Dolohov lo guardò.
Il tempo parve fermarsi.
Il suo sguardo era di nera lava rappresa nel momento in cui, sollevata la bacchetta con un gesto fulmineo, la puntò contro Charlie.
Vi fu un lampo di luce rossa (*).
Charlie incassò il colpo e indietreggiò di un passo, sgranando gli occhi che, subito, gli si riempirono di lacrime.
Senza pensarci due volte, io lo presi per le spalle e mi smaterializzai lontano.
 
Avevo pronunciato coordinate a caso, cosicché non avevo la minima idea di dove ci trovassimo: probabilmente da qualche parte nel Nord, viste le montagne scure che soffocavano l’orizzonte tutt’intorno a noi.
Mi guardai intorno freneticamente, rendendomi conto di essere atterrata sulla morbida rena scura di un grande lago incastrato fra i monti. Accasciato sulla riva di quel gigantesco specchio d’acqua cupo come l’ombra, Charlie respirava a fatica, tremava e si lamentava, il colorito terreo e gli occhi serrati.
Non sapevo cosa fare: ero davvero disperata.
Mi inginocchiai accanto a lui, sollevandogli il maglione in corrispondenza del punto in cui le sue mani si premevano convulsamente del ventre. Riuscii a staccarne una a fatica: lui opponeva resistenza, le sue dita erano contratte e quasi inamovibili, non voleva che vedessi.
- Charlie!
La pelle chiara dell’addome era segnata da un livido violaceo che si dilatava a vista d’occhio, facendosi sempre più scuro: la visione era talmente raccapricciante che io gridai, lacerando il silenzio di quel paesaggio spettrale.
Rimasi immobile, mentre l’eco della mia voce svaniva nell’aria.
E forse avevo urlato un po’ troppo forte, e l’eco aveva riverberato ovunque il mio chiasso: non lo so. Sta di fatto che, poco dopo, la superficie del lago cominciò ad incresparsi sotto i miei occhi esterrefatti, prima leggermente e poi in maniera sempre più decisa finché, sollevando una vera e propria cascata di gocce, un collo lungo, nero e rilucente si sollevò oltre il pelo dell’acqua.
Fissai la creatura con gli occhi sbarrati, estraendo la bacchetta per difendere me stessa e Charlie. Lei chinò il capo e mi fissò, senza dimostrarsi intenzionata ad attaccare.
- Chi è vossia, piccola fata boschiva?
Non era un drago, quello. Era un’altra cosa: una cosa che non avevo mai visto prima di allora; un essere antico come la terra e altrettanto misterioso. Parlava un Rettilese dalla pronuncia antiquata e dal vocabolario arcaico, diverso da quello dei draghi, che mi ricordò immediatamente l’esame di Paleontolinguistica, sostenuto al secondo anno di università.
“La Plesiosaurica è una lingua morta” ci aveva spiegato il professore “sebbene alcuni dicano che essa venga parlata ancor oggi, in una manciata di località lacustri nel nord della Scozia.”
Tentando di riportare alla memoria le complicatissime declinazioni che avevo imparato a costo di notti e notti di studio alla luce della bacchetta, balbettai una risposta.
- Ho bisogno di aiuto. Il mio compagno sta male.
- Non vedo Marchi Neri, sulle tue bianche braccia – replicò la creatura, scrutando attentamente il mio braccialetto di cuoio spesso. – Vedo anzi che porti un distintivo di Amica dei Draghi.
Charlie si lasciò sfuggire un gemito.
- Charlie!...Oh, per Priscilla... aiutami, ti prego...
- Aiuto sarà sempre dato, qui nelle Highlands, alle streghe e ai maghi di buona volontà – sentenziò la creatura, inabissandosi velocemente nei reconditi meandri della sua casa acquatica.
- Aspetta! – la richiamai io, tentando invano di correrle dietro.
L’acqua era gelida.
Tornai frettolosamente sui miei passi, l’orlo della gonna tutto bagnato. Un secondo dopo,uno schiocco secco seguito da una serie di brevi scoppiettii mi costrinse ad alzare la testa verso il cielo scuro, gravido di pioggia.
- Ma cosa...
Da dietro una grossa nuvola grigiastra aveva fatto capolino un oggetto stranissimo che procedeva sferragliando; schermandomi gli occhi con la mano, misi a fuoco una motocicletta volante con tanto di sidecar. Il veicolo magico era tutto rattoppato; guardando bene mi avvidi che era il risultato di un assemblaggio di organi eterogenei donati dai più svariati macchinari babbani: automobili, motocicli, radiatori, biciclette, ma anche lavatrici, tostapani, tosaerba e tastiere di personal computer.
La sorpresa principale, però, doveva ancora venire.
Dopo aver fatto posare a terra la motocicletta con una sterzata memorabile, dal posto di guida saltò giù una figuretta bionda che mi raggiunse di corsa, levandosi in tutta fretta gli spessi occhialoni da aviatore.
- Mc... McDougall?! – balbettai io, sgranando gli occhi.
- In persona, Caposcuola Clearwater – mi rispose la giovane biancovestita, estraendo dalla tasca del camice una tavoletta simile ad un prontuario medico. – Dimmi una cosa: questo qui a terra, è per caso un Weasley? - mi chiese, affrettandosi a trascrivere diligentemente sul blocco il nome che io le riferivo.
Morag McDougall era stata una studentessa della mia Casa, più giovane di me di qualche anno. Ritrovarla così inaspettatamente, a distanza di anni e, soprattutto, in circostanze così critiche, fu un’esperienza quasi surreale.
- Chi abbiamo qui, Mog?
L’occupante della carrozzetta, un giovane alto coi capelli scuri tutti spettinati, ci aveva raggiunto stiracchiando le lunghe gambe. Indossava un camice da Medimago non esattamente immacolato sovrapposto ad un kilt a scacchi e teneva fra le labbra una sigaretta artigianale, che aveva tutta l’aria di essere stata arrotolata giusto qualche minuto prima dell’atterraggio.
- È dei nostri, Carbry – lo informò Morag.
- Ah, bene. Cool – replicò lui, in un sorprendente accento misto di scozzese e nordamericano.
Nel frattempo Charlie, disteso a terra, aveva preso a contorcersi per il dolore e a sudare freddo.
Morag mi rivolse un’occhiata interrogativa.
- Lo hanno... lo hanno colpito – spiegai precipitosamente io, sforzandomi di non risultare troppo confusa. – Un incantesimo... n-non so quale...
Il giovane Medimago si inginocchiò al mio fianco, allontanando con un colpo di bacchetta le mani di Charlie per esaminare velocemente la parte lesa. Lo vidi che stringeva gli occhi, facendo oscillare la sigaretta fra le labbra.
- Maledizione Oscura Non Verbale, di quelle a lesione interna. – decretò dopo un rapido esame. – Ossia: Dolohov colpisce ancora. Dammi una mano, Mog.
Aiutato da Morag, Carbry cominciò a fare scorrere di piatto la bacchetta sul ventre di Charlie, subito riscaldato da una lieve luminosità che, ben presto, arrestò l’avanzata del livido oscuro. Li sentivo che borbottavano, pronunciando una serie di parole assolutamente incomprensibili ed  interrompendosi solo per applicare ripetutamente spessi strati di un misterioso gel verdastro contenuto il un flacone che Morag aveva estratto da uno scompartimento della motocicletta.
- Direi che ci siamo – decretò Carbry dopo un tempo che mi parve eterno. – Interrompi il contatto, Mog.
Lo vidi che si alzava in piedi e frugava nelle tasche del kilt, dalle quali estrasse una nuova sigaretta. Io balzai in piedi a mia volta.
- Posso... dottore... posso sapere... – pigolai, spostando alternativamente lo sguardo da lui alla sua assistente. Charlie, ancora disteso a terra, sembrava dormire.
- Cerca di mantenere la calma, Penelope – mi disse Morag, posandomi la piccola mano sul braccio e rivolgendomi un’occhiata rassicurente. – Carbry sa quello che fa. Sempre.
Le sue parole trasudavano una fiducia assoluta.
Rassicurata, mi lasciai cadere su un tronco abbattuto e Morag venne a sedere accanto a me.
- Carbry è bravissimo: si sta per specializzare in Magimedicina a Cambridge, lo sai?
Non lo sapevo.
Non lo avevo mai visto in vita mia, quel Carbry, nonostante avesse, come scoprii poi, la mia stessa età e fosse il fratello maggiore di una persona che conoscevo di vista: Katie Bell, la fidanzata di Oliver.
- È che Carbry, nonostante sia nato qua in Scozia,  ha studiato ad Ilvermorny – chiarì Morag. – Babbo Bell è di Chicago, sai.
- E tu che cosa ci fai in giro con un Medimago di Chicago, invece di essere ad Hogwarts a fare il settimo anno? – le chiesi, incuriosita.
- Siamo amici fin da piccoli – rispose lei, concentrandosi sul materiale medico che stava riponendo nello scompartimento del sidecar. – Abbiamo deciso di renderci utili qua fuori.
E mi raccontò che, allo scoppio del conflitto, lei aveva disertato la scuola e, assieme a Carbry, aveva allestito l’ “Ambulatorio Volante” per portare soccorso ai feriti di guerra. Il loro quartier generale si trovava su all’estremo nord, alle isole Shetland che, assieme alle Orcadi e alle Ebridi, rappresentavano l’ultimo baluardo libero della Resistenza al Signore Oscuro e ai suoi accoliti.
Charlie sonnecchiava.
- Come... come sta? – domandai cautamente a Carbry che, dopo avere finito la sua sacrosanta sigaretta, si era riavvicinato e armeggiava con la bacchetta nei paraggi del paziente.
N’t baaad – rispose lui, senza sbilanciarsi troppo. – Però quaggiù non ci rimane, Mr. Redbull. Ce lo portiamo su alle Shetland. Per precauzione.
- Tiro fuori la brandina – saltò su Morag, facendo rapidamente comparire un lettino pieghevole con tanto di gancetto da rimorchio da attaccare alla motocicletta.
- Bene – annuii io – preparo le nostre cose.
Mi misi in piedi e presi a raccattare in fretta tutti i nostri averi.
- Ehi.
Girai di scatto la testa: Charlie aveva aperto un occhio e cercava di tirarsi su, prontamente bloccato da Carbry
- Dove credi di andare, Mr. Reddie?
Charlie tentava invano di rialzarsi.
- Il Verde Gallese... la Missione...
- Non se ne parla neanche – lo stoppò il Medimago, sbuffando fuori una nuvoletta di fumo. – Vuoi per caso un biglietto di sola andata per l’isola dei morti?
Charlie ammutolì.
Io inorridii.
- Charlie deve riguardarsi – disse Morag, agganciando il lettino alla motocicletta. – È appena scampato da qualcosa di molto brutto, credimi.
- Ti credo – risposi io, riprendendo a sistemare il bagaglio.
- Penny.
La voce di Charlie mi chiamò. Era flebile, quasi irriconoscibile.
Mi posizionai accanto a lui.
- Oh, Charlie. Andrà... andrà tutto bene, te lo prometto... – gli dissi, stringendogli la mano. – Andremo su insieme, alle Shetland... ti cureranno per bene...
Lui alzò una mano a fatica e mi carezzò la guancia.
- Tu non ci puoi venire alle Shetland, Penny.
- Co... cosa?! – strillai io, scuotendo la testa. – Ma sei impazzito? Io non va...
- Ascolta... ascoltami Penny – mi interruppe lui, serio. – Devi andare in Galles, non c’è tempo da perdere... ricordatelo... il Verde Gallese, manca solo lui...
- Senza di te, io non vado da nessuna parte!... – urlai, gli occhi pieni di lacrime.
Charlie mi guardava stringendo le labbra.
- Penny...
- Ma io non posso andare in Galles da sola!... Non ce la farò mai, senza di te!...
- Ma certo che ce la farai – sorrise debolmente lui, picchiettando il dito sul braccialetto di cuoio spesso che mi aveva regalato. – Tu sei una domatrice di draghi ormai, giusto?
- Io non sono...
- Mi raggiungerai alle Shetland quando lo avrai prelevato... – mi zittì lui, premendomi l’indice sulle labbra mentre io protestavo a gran voce. – Ce la devi fare, Penny: ne va della nostra Missione... ne va di tutto.
 
Post-scriptum:
Morag McDougall, Carbry Bell e l’Ambulatorio Volante fanno una breve comparsa nella long Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore; la mini-long La cura universale, invece, è dedicata esclusivamente a loro. E sì: Carbry sa sempre quello che fa. Dal punto di vista medico, almeno :)
Ancora una volta, grazie di cuore ad Ems che mi ha autorizzata a citare Callum, Catriona e Alexander McFusty e il loro allevamento di Neri delle Ebridi, protagonisti indiscussi della sua interattiva Dragon Trainer e da lei caratterizzati (spero di non avere fatto pasticci).
(*) Dice Gugol: la Maledizione di Antonin Dolohov ”genera un lampo di luce rossa che provoca gravissime ferite interne”. Dolohov è anche capace di avvelersene non verbalmente.
 
   
 
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