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Autore: queenjane    15/02/2019    1 recensioni
Catherine Raulov cresce alla corte di Nicola II, ultimo zar di tutte le Russie, sua prediletta amica è Olga Nicolaevna Romanov, figlia dello zar. Nel 1904 giunge il tanto atteso erede al trono, Aleksej, durante la sanguinosa guerra che coinvolge la Russia contro il Giappone la sua nascita è un raggio di sole, una speranza. Dal primo capitolo " A sei settimane, cominciò a sanguinargli l’ombelico, il flusso continuò per ore e il sangue non coagulava.
Era la sua prima emorragia.
Era emofiliaco.
Il giorno avanti mi aveva sorriso per la prima volta."
Un tempo all'indietro, dolce amaro, uno spaccato dell'infanzia di Aleksej, con le sue sorelle.
Collegato alle storie "The Phoenix" e "I due Principi".
Preciso che le relazioni tra Catherine e lo zar e la famiglia Romanov sono una mia invenzione, uno strepitoso " what if".
Al primo capitolo splendida fan art di Cecile Balandier di Catherine.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Periodo Zarista, Guerre mondiali
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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La propensione, l’attaccamento di Alexei per me risaliva a tempi remoti, fin da quando era veramente piccolo. E viceversa, era il mio prediletto, una fonte costante di gioia e meraviglia, che calamitava la mia e altrui attenzione.
Nel corso dell’estate del 1907 rimasi presso la famiglia dello zar, venni invitata alla crociera di fine estate, evento non occasionale, che mia madre voleva finire in pace la gravidanza, concentrandosi sul parto imminente. E merito soprattutto dello zarevic, che quando aveva saputo del viaggio ne era stato ben contento, salvo fare una bizza colossale ( ..della serie urla a gola spiegata oltre che buttarsi per terra...il viso arrossato, rimanendo senza fiato da quando urlava, per paura che sbattesse da qualche parte aveva ottenuto una pronta concessione) apprendendo che io probabilmente sarei stata a Pietroburgo. Preciso che non ero presente, né gli avevo fatto accenni, era comunque pauroso come era viziato. Già, tranne che allora non lo sapevo, dell’emofilia, però avevo ben notato che la sua camera era piena di piumini e sacre icone,  (i primi per evitargli urti, le seconde come misura protettiva) che era monitorato a vista da tutti, che gliele davano vinte quasi tutte per tema che tirasse un calcio. Ero una ragazzina, che si concentrava molto su se stessa, tranne che qualcosa non quadrava, fino a là ci arrivavo io pure. E se si faceva male doveva stare a letto, la zarina era in ansia costante, come se fosse un bambino di neve, di fumo, che si sarebbe dileguato alla prima occasione. Ed era intelligente, lo aveva ben capito anche quando era davvero piccolo, che poteva fare come voleva e avrebbe avuto tutto.. Tranne la salute, un mendicante era un re in confronto a lui, avendo quel dono che pareva scontato e non era.

Una tregua, osservavo mia madre, il suo corpo dilatato, ogni tanto le posavo una mano sul ventre, come quando la zarina aspettava Aleksey, mi veniva da ridere e da piangere insieme, non sapevo se augurarmi un fratello o una sorella. E mamma me ne faceva già correre tante, non poteva sempre pensare ai capricci e ai sussulti di una principessa in fieri, quasi adolescente.

“Ciao Catherine” Osservavo che era viziato, tranne che era irresistibile, quando sorrideva dovevi essere senza cuore per non sorridere a tua volta. “Salve zarevic, come state?” il solito gesto, mi tese le braccia e me lo accostai vicino, raccolto sul fianco, lui mi aveva posato la guancia sulla spalla. “Trottola”che brandiva, lo posai e fece vedere quanto era bravo.

Vestivamo alla marinara, correndo su e giù dal ponte, un girotondo dietro un altro.  Vi sono delle riprese e delle foto che mostrano i fratelli imperiali in questo gioco, ridono e saltano, i visi pieni di gioia di vivere, il vento porta le loro risate. Lo so, che diverse ne ho fatte io, così avevo la scusa per non essere inquadrata, la mia ritrosia per le foto et similia era leggendaria, venivo decente giusto se non ero avvisata.
 E coglievamo fiori e osservavamo le acque e le farfalle, ridendo per tutto e nulla.  
E passeggiavamo su bordo mare, i piedi nudi e le gonne tirate su i polpacci magri e abbronzati, cercando di prendere un pesce con un retino, i sogni in una mano, le stelle in un respiro.
 
Raccoglievo i capelli in una treccia voluminosa che mi pioveva sulla schiena, quando Aleksej non era nei paraggi, si divertiva a sciogliermela e poi a giocare con le ciocche..e ripassavo le sillabe di greco, inutile dire che avevo preso in mano l’Odissea.
Olga, of course, preferiva l’Iliade e Achille era tema di discussione e confronto. Era la più dotata e precoce tra i figli dello zar, avida di sapere e cultura, la sua intelligenza era un dono da sviluppare.
“Era il guerriero più forte, il terrore dei nemici”
“Era un irruento, agiva in preda all’ira e poi si pentiva. A me piace il re Ulisse, astuto e saggio”
“Che fa vincere con l’inganno”
“ Ma  viaggia e torna a casa sua”
“Achille fece una scelta, una vita breve ma gloriosa rispetto a una lunga e nell’oscurità” Scrisse quel nome sulla sabbia.
ACHILLES.
“E il mondo ancora lo ricorda e parla di lui”
“Sì, ma quando Ulisse lo trova come ombra nel regno dei morti, Achille rifiuta le sue lodi.. Afferma  "Vorrei da bracciante servire un altro uomo,senza podere e non con molta roba,piuttosto che dominare tra i defunti!"...
Sorrise e non rispose, uno sguardo tenero.

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”.. quante cose che ricordo.  Quelle mattine che odoravano di onde salate e caprifoglio, di promesse e risate, per non tacere degli sguardi teneri che lanciavi alle colazioni, frutta fresca e panna, appena una tazza di the, altri gusti condivisi, io e te, o te e io.. che dire, eravamo in sincronia pure su quello..”
Un pomeriggio ero su una sdraia, mezza appisolata, quando mi misero lo zarevic in braccio, mi tesi in avanti per stringerlo “Che c’è?” “La nuova lagna..”chiosò Tanik, alle sue spalle colsi la tata che roteava gli occhi “Deve fare un riposino e nulla” si stropicciava gli occhi, i capelli, era in modalità piagnisteo che snervava e logorava, lui in primis “Vojo Catherine “ mi batteva la spalla, il sonno mi era andato via“ E ora dove siete, zarevic” si rannicchiò contro di me, il pollice in bocca “Sonno no..”la lamentela  “Chiudi le palpebre, se il sonno non c’è mica viene a comando” “NO.. comando io” “Prova, se non lo hai mica viene, io comunque dormo, rischi di rimanere bloccato qui” “Bene..” mi cacciò la testa sulla spalla, gli massaggiai la schiena. “Sonno no..” Anche sì, gli tolsi il pollice di bocca dopo un poco, dormiva, guarda caso, il palmo contro la sua spalla, ruotando il busto per metterlo più comodo. “Con te.. io sono al sicuro”

Dai quaderni di Olga Romanov alla principessa Catherine”… tra poco avresti avuto anche tu un fratello od una sorella, con Aleksey facevi un lungo ed intensivo apprendistato. Te lo mettesti contro il busto, il mento sopra i suoi capelli, serrandolo con le braccia, senza dare retta alla sua lagna costante, come aveva detto Tata, comunque ti facemmo  una bella foto.. A presa di giro, lo detestavi, essere fotografata“Si è addormentato e io sono bloccata” brontolasti sottovoce “..questo monello” e tanto lo pensavi, anche senza dirlo, che era l’imperatore dei viziati, come lo chiamavi”

Che andava in giro, sfrecciando a destra e manca, salutava gli ufficiali dando la manina, salvo poi scappare dietro a uno degli animali di bordo dello yacht, ovvero.. the cats, i gatti. Se diceva “Cat”, in inglese, mi voltavo, era sia il mio nomignolo che un modo per indicare le dette bestioline, si buttava per terra, l’urto reso minimo dall’imbottitura del pannolino su cui atterrava “Bimbo comodo” annotava, furbo, prendendo il micetto. “Bimbo simpatico” sussurravo e lo prendevo in braccio dandogli un bacio al volo, affettuosa e possessiva, anni dopo Alessio sosteneva che le mie braccia erano tra i posti che più amava al mondo. Con te,  io  sono al sicuro..


E sempre in  quelle stagioni Anna Vyribova, nata Taneev, la figlia di un funzionario di corte, aveva iniziato a frequentare la zarina. Si erano già trovate a casa della granduchessa Ella, sorella di Alix, che poi fece visita alla ragazza quando si ammalò di tifo. Una volta guarita, Anna  fu invitata al palazzo di Alessandro per il tè, Alix scoprì che sapeva suonare il pianoforte e tra loro si creò una certa sintonia, nonostante i 12 anni di differenza. Fin dal primo incontro, riferì il ministro Vitte, Anna osservava rapita la zarina, sospirando “Oh, oh” tutto il tempo
Era pingue e dai più ritenuta poco intelligente, scura di occhi e capelli, vestita con ornamenti di poco prezzo, dozzinale, era poi reduce da un matrimonio sfortunato, non consumato, l’imperatrice la teneva presso di lei e ne venne ricambiata con canina fedeltà. Arrivò a frequentare costantemente la reggia e se non era invitata metteva il broncio, una bambina anche quando bambina non lo era più da un pezzo.


Mio fratello Alexander nacque il 5 settembre 1907, Alexander come nostro zio, l’amato fratello di mia madre, il principe Rostov-Raulov, detto R-R, per praticità.
Il principe Pietr Raulov ordinò fuochi d’artificio e solenni messe private. 
Quando entrai nostra madre lo cullava tra le braccia, un candido fagotto, i capelli raccolti in una scura treccia e il viso sorridente. “Viens, ma fille.”
Era bella come uno dei quadri di Monet che amava collezionare, quelli del giardino giapponese, delle ninfee, di Givenchy, era tutta aria e luce mentre stringeva mio fratello tra i suoi palmi sottili e delicati. 
Abituata allo zarevic, lui sarebbe stato una passeggiata di salute, avrebbe preteso meno attenzioni, anche da piccolo.

"Ciao Alexander"

 
Caldo, atroce, come dentro una fornace, anche se l’esperienza mi mancava.
E freddo, brividi che mi facevano battere i denti, il mal di testa così atroce che svenire era la sua via di fuga.
Un torpore costante, da cui emergevo a tratti, vedendo il viso di mia madre, dolce e pensoso come una mezza luna che sorgeva sopra le colline, la imploravo di spengere il sole, che la luce mi faceva lacrimare gli occhi e rincominciare l’emicrania.
Ed il prurito, su tutta la pelle.
Sudavo, tremavo, mai a mia memoria ero stata così male e così a lungo.
“Ciao, Catherine” ecco la voce di mia madre, il suo tocco sulla fronte.
Gracidai un saluto, mi posò un dito sulle labbra “ Tesoro mio, non parlare, hai preso il morbillo, in maniera violentissima” la voce quieta come seta. La memoria tornò, realizzai. “Ho contagiato il mio fratellino?”inorridita, tirando su la testa dal cuscino con uno scatto di energia. Sul momento realizzai che mancava qualcosa, tuttavia mi tesi verso Ella “No tesoro .. Mi dispiace, avevi insistito così tanto per portare i tuoi giocattoli all’orfanotrofio e .. la tua tata è un’idiota, non si era accorta che due bambine stavano male e.. “
“Quanti sono morti? L’ho passato a qualcuno? Ad Olga, per esempio?” Scosse la testa, il morbo era contagiosissimo, virale, guarda l’ironia, per una volta che facevo qualcosa di generoso, mi andavo ad ammalare e potevo essere stata foriera di malattie, un’untrice, anche se involtaria.
“Nessuno.. ma ce la siamo vista brutta. Abbiamo dovuto tagliarti i capelli..ora li hai corti. Sudavi troppo.”
“Pace, Maman, la mia vanità non è ancora così smisurata”
“Sei tornata, stai bene..”
“Olga mi ci prenderà in giro per una settimana, sosterrà che sembro un monello od un corista..Molto carina” lei e la sua ironia, mi mancava, davvero.
“Probabile.. “ mi baciò sulla fronte “Bambina mia, mi hai fatto morire di paura.. Se non vorrai andare più all’orfanotrofio, capirò..”
“Macchè, andrò ancora.. che giorno è, oggi?” Me lo disse e realizzai che erano trascorse molte settimane, si era ben spaventata. Anni dopo i principi imperiali presero il morbillo, con il senno di poi sarebbe stato meglio se li avessi contagiati allora, quando accadde li potei solo assistere.
La tata venne licenziata, mia madre ritenne che non ne avevo più bisogno, mi attribuiva buon senso e discernimento.  Un onore, mi trattava da grande e cercavo di comportarmi da tale.  Ed un onere, non ero più la sua bambina combina guai.


Ciao Olga, mi sento un rottame, intorpidita, mi riprendo così piano che sembro quasi la discrezione personificata.. “ In genere ero energica, spumeggiante, vivace, e mi stavo stancando a vergare quelle tre parole su un biglietto, rilevando quanto fossero sottili i polsi che scappavano dalla camicia da notte che pareva un mistero conoscere quando mi sarei potuta alzata in piedi senza che mi girasse la testa. “Mamma, quando potrò vedere Olga?” senza girarmi, che di sicuro era lei, che faceva la spola tra me e Sasha, per quanto personale avesse si dedicava a entrambi. Potevo avere un fratello, tranne che, in situazioni urgenti, non mi mollava, per mio sollievo . E tanto volevo Olga, lei era e rimaneva la mia migliore amica.
”Mamma?”un paio di mani sugli occhi, ne tastai la misura, e quindi percepii una risatina familiare. “Olenka”un sussurro, un rimbombo.
“Anche subito..”rise, abbracciandomi “Ciao Cat, l’abitudine di farmi preoccupare mica la hai persa”
“Come se mi fossi cercata il morbillo.. Che ti pare del mio nuovo taglio?” toccando le corte ciocche, pochi anni dopo mi sarei rasata volontariamente a zero.  O quasi.
“La nuova moda Raulov” si mise sul bordo, mi prese una mano “Come è stato?”
“Il morbillo? Boh, fai conto di essere dentro una fornace.. esperienza che sconsiglio, fidati. Ed ero incosciente per la maggior parte del tempo” Mi raccontò qualcosa, e, per quanto rintronata, mi accorsi che continuava a tenermi il palmo, le nocche congiunte,  lei che era sempre così riservata, e che il sorriso non le illuminava gli occhi chiari, fermandosi solo alle labbra.
“La Vyribova è sempre presente?” “Sì, Cat, è la nuova amica di mamma, anche se per me è troppo sdolcinata e ci vezzeggia troppo” E tanto la sua opinione non contava nulla, avendo Alix trovato la sua perfetta amica, una che non la criticava mai, con l’augurio che sapesse dire altro oltre ad “oh, oh”
“Tutta una moina ed un sorriso, noi grandi, glissiamo, Aleksey scappa, o almeno tenta” una pausa “Gli manchi, Cat, chiede sempre di te”Già, sorvolando Olga, anche lei chiedeva di me e mi voleva.. deglutii osservai le tende vaporose, di chiffon, che ornavano le alte finestre della mia stanza, la teoria di foto nelle cornici d’argento, i libri ed i quaderni ordinati, un vasetto con dentro un bocciolo di rosa dal profumo di miele, che Mamma mi aveva portato dalle serre, il mio piccolo mondo al riparo dalle tempeste, che sarebbe mutato o forse mai. “Non mi sono ammalata apposta”
“Lo so,  ma è piccolo .. Le tue storie gli piacciono più di quelle del siberiano”
“Eh..?”che avevo perso, un solo monosillabo, non ero molto propositiva..
“Uno che si chiama Rasputin”


In quei  frangenti aveva fatto  la sua comparsa a corte il famigerato Rasputin, un santone, un guaritore, le cui preghiere parevano avere effetti taumaturghi, i suoi gesti e le sue parole recavano pace e conforto
Come i re francesi, che guarivano con il tocco delle mani dalla scrofola, aveva un tocco magico.
Ed era  raccomandato dal vescovo Feofan e dal confessore dello zar, pareva davvero un uomo di Dio, un mistico che seguiva la dottrina dei vecchi credenti, un gruppo scismatico, che il Santo Sinodo, massima autorità della Chiesa Ortodossa,  aveva dichiarato abnorme, le dottrine erano irrituali, assurde, praticare il peccato e pentirsi per salvarsi, erano troppo eccessivi e zelanti.
Il siberiano pareva incarnare  la semplicità, la purezza che la zarina apprezzava, era il semplice mugik, il contadino russo che era un tramite divino.
Irradiava dolcezza e calore, era un uomo di Dio, rozzo e primitivo, pareva incarnare la primitiva purezza del popolo russo, veniva dalla Siberia e vantava di avere avuto visioni, avere scorto la Madonna e di essere stato un pellegrino fino al monte Athos, in Grecia (certo che vi era stato, un lungo soggiorno all’estero per scappare dai crimini di cui era accusato, furto e stupro e imbrogli).
Sapeva parlare e incantare ancora meglio, era  un camaleonte che sapeva leggere dentro le persone, intuire i loro bisogni e le segrete debolezze, scrutava con occhi di carbone e celava i suoi pensieri dietro la sua lunga barba sporca e arruffata.
Ma sapeva guarire,  alleviare le sofferenze, i suoi interventi, i suoi cosiddetti miracoli furono confermati da troppe persone e non erano solo mere coincidenze, o almeno non tutte.
Alla fine, dopo che i medici non potevano darle più speranze, Alix fece del santone il baluardo contro l’emofilia del figlio, ascoltando i suoi consigli e farneticazioni, con risultati tragici.

Tornando a noi, che ignoravamo ancora il futuro, nella mia camera, mi limitai a un semplice “AH” almeno variavo i monosillabi, già qualcosa.
“Ti va di vedere Tanik e le altre due?”per poco la mascella non mi cadde per lo stupore. Mi avesse riferito che nevicava a luglio in Africa sarei rimasta meno basita, mi arrivò una cortese gomitata da  Olga per richiudere la bocca spalancata stile squalo.
“Siete qui tutte e quattro? “Un evento inopinato, che fossero uscite in blocco dal palazzo di Alessandro, sia pure per recarsi in una casa privata, come quella dei miei genitori a Carskoe Selo, pochi metri, una distanza di vita, che la zarina Alessandra voleva sempre controllare tutto e tutti, tenendo ogni minuzia sotto la sua egida, quella gita inopinata doveva risalire a una grande questione.
E capii. “Olga, che ho avuto ?”
“Il morbillo” come era ovvio.  Era reticente e tanto i miei neuroni si stavano riattivando.
 “Olga, non mi prendere in giro, che ho avuto, davvero?”
“La febbre a 41 per molti giorni, stavi così male che ti hanno dato l’estrema unzione, deliravi” rimasi in silenzio, evento ben raro, per un minuto
 “Scusami se ti ho fatto spaventare, non volevo”
“Sei cretina o cosa, mica ti sei ammalata per un dispetto e ti spiace per me?” mi circondò le spalle con un braccio
“Quando muori, non torni indietro, lo sai, per chi resta” annuì, ora lo sapeva, quando sua cugina Ella era morta nel 1903 lo aveva creduto, ora no, allora aveva otto anni, ci poteva stare. 
“Ti sei risparmiata le preghiere di Rasputin, che stessi così male è venuto fuori dopo.. Mamma lo avrebbe voluto far pregare per te ed eri già fuori pericolo”apprezzai lo zelo di Alix, salvo tacere, che mia madre credeva ai medici e non ai santoni, e che la mia perdita, per il principe Raulov, mio padre sarebbe stata relativa, avendo ora il maschietto, l’erede. Mi vietai di approfondire quel tema, le chiesi la cortesia di aiutarmi nello scendere dal letto e  se di grazia mi passava una vestaglia, non era un lacchè, lo sapevo, ma avevo voglia di vedere le sue sorelle. Comprese e non brontolò, si limitò a passarmi un braccio intorno alla vita, dopo avermi aiutata, gratitudine, ero sempre viva e la scocciavo, per suo immenso piacere.
 
A gennaio avrei fatto 13 anni ed ero ancora più snella del solito, rilevammo, come che ero cresciuta ancora di statura, tralasciando che mia madre e suo fratello, mio zio, erano entrambi assai alti.
“Tata, Marie, Anastasie” mi ricoprirono di baci, nemmeno fossi stata una miracolata. Se io ero stata poco bene, anche Alix non era stata da meno. Dall’autunno del 1907 stette male fino alla successiva primavera, passò molto tempo a letto, divorata da emicrania e sciatalgia. Dopo la diagnosi di Alexei, la sua salute era declinata rapidamente, non era una malata immaginaria, che soffriva di nervi, come dissero poi, le sue indisposizioni un motivo di ricatto per dominare il marito. Tante volte ho visto le sue labbra farsi livide, respirando in tratti rapidi e superficiali, e se io  o una delle sue figlie volevamo chiamare un medico enunciava di lasciar perdere, non era il caso  di creare disturbo. E quando Aleksey aveva una crisi, non lasciava mai il suo lettino, impiegando poi LEI settimane per riprendersi.
Aleksey.. anche lui era stato male, intesi, da un mezzo accenno di Tanik, mentre Marie e Anastasie mi stavano raccontando di un libro, di un nuovo gioco, sorridevo, mezza stordita “Avete visto mio fratello Aleksander..?” di recente no, filarono da lui di corsa “Sai, ci ha accompagnato zia Olga, oltre ai cosacchi di scorta, lei e tua mamma stanno studiando un nuovo comitato caritativo..” Olga Aleksandrovna era la sorella più giovane dello zar, arguta e divertente, negli anni successivi si sarebbe premurata di portare fuori le ragazze e lo zarevic,  quando erano a San Pietroburgo, per farli pranzare con la nonna paterna, prendere un tè, fare un giro per negozi,  via così, per allontanarli almeno un poco dal palazzo di Alessandro, un piccolo diversivo.
“Che ha avuto di preciso? Hai detto che sta bene con troppo ritardo”
Per quanto monitorato a vista, era impossibile prevenire ogni minimo incidente. Sbattere un polso, un gomito contro una sedia, od un mobile causava esiti terrificanti, ripeto. Di recente lo affiancavano due marinai, Nagorny e  Deverenko, che avevano il compito di supervisori, di occuparsi di lui e portarlo in braccio, quando non poteva camminare perché indisposto o per un capriccio.. Erano sia tate che bodyguards  ..  A quel giro portava un apparecchio ortopedico al ginocchio sinistro per raddrizzare la gamba..

Per lui, le emorragie articolari erano le peggiori, i nervi erano compressi, con dolori atroci e solo la morfina avrebbe attenuato gli spasmi.
Tuttavia i medici, per evitare dipendenze, non la somministravano, così che il suo unico rimedio era svenire per fuggire dal dolore.
Il sangue corrodeva le ossa, i tessuti e le cartilagini, tanto da fare assumere agli arti posizioni contorte, con angoli innaturali, che scemata la crisi,  era poi costretto a letto per settimane e a usare apparecchi ortopedici, appunto, per correggere la situazione.
Tanto, pur sorvegliato a vista, trovava sempre una via di fuga e si feriva spesso, con esiti quasi estremi.
Per paradosso, sfidava la malattia, il suo carattere vivace mal sopportava i limiti imposti dalla sua condizione.
Il  mio piccolino. 
Tanti anni dopo, Olga mi disse che sua madre non sapeva amare davvero e ben difficilmente rendeva felice chi la circondava, talmente era satura di sofferenza e disperazione.
 
“Catherine.. sei tu?”una vocina timida, sottile “Salve zarevic, certo che sono io” entrando nella nursery, un’infilata di stanze allegre e piene di luce, tappezzate di cretonne a fiori, con mobili di chiaro e lucido legno, piene di giocattoli, per tutti i gusti e dimensioni, dalle bambole fino a una tenda indiana di dimensioni reali. E la tristezza, vedendolo steso su quel divano, lui sempre in movimento, vivace come il mese di marzo, un piccolo leprotto.
“Come siete cresciuto” rilevai.
In quelle settimane il viso si era sfinato, perdendo le rotondità infantili, gli avevano tagliato i lunghi riccioli, era davvero un piccolo principe dai grandi occhi azzurri, incantevole e solenne, fragile
“Tu non sei Catherine”brontolò, abbracciando un orsetto di peluche e premendolo contro di sè“Lei ha i capelli lunghi fino a qui”  Indicando la caviglia.
Aveva una giubba da marinaio, sotto la coperta intuivo l’apparecchio ortopedico, mi trattenni a stento dal toglierlo  
“Ricresceranno, me li hanno tagliati per comodità, che non sono stata tanto bene”
  “Ah..” a quel giro era caduto su un giocattolo in disordine, atterrando malamente sulla sinistra.
“Posso vedere questo orsetto? “ continuava a serrarlo, comunque mosse due dita, segno che potevo avvicinarmi  
“Ho portato un aeroplanino, se alzate la testa potete dirmi se gli può piacere, zarevic..”
“A me o a lui?”riferito al pupazzetto.
“A tutti e due” mi tirò l’orsetto, lo presi al volo e vidi che sorrideva, le braccia aperte
“ Ci hai creduto, vieni qui, Cat, fammi vedere..” mi misi sulla destra, lo circondai con le braccia, ritrovando gli stessi gesti, mi premette il viso contro la clavicola, serrandosi forte contro di me, ridendo di gioia “Non venivi più..ti volevo tanto” mi brontolò, lo baciai, commossa.
“ Tesoro, ho fatto prima che potevo.. davvero, stavo male, ora sto bene. Che storia vuoi?”
“ Peter Pan e il coniglio..”
“ Va bene” gli presi una mano, gli baciai le nocche “E dopo mangi un boccone senza farti pregare..”rimase in silenzio, lo strinsi da capo, era sottile, seta e fumo, un bambino fatato “Due storie, due bocconi .. Tre, tre bocconi.. E via così” contò fino a cinque, la tata ci lasciava fare, ricordai che era quella dell’estate precedente, del sonnellino, sapeva che riuscivo a gestirlo 
“Non mi lasci ..” Omisi di rispondere, gli raccontai che avevo un fratellino, Aleksey osservò che andava bene,che ne sapeva ancora, quando mi vedeva stringerlo si ingelosiva, pronto e rapido .
“Zarevic”
“Cat.. dimmi”
“Lo sai che ti voglio tanto bene?”sorrise, due piccole fossette comparvero sulle guance, continuai a stringerlo.
IO CON TE SONO AL SICURO..
 
E nelle settimane e nei mesi che seguirono, oltre alla ripresa fisica, si intensificò l’affiatamento con lui e le sue sorelle, anche se io ero entrata a pieno titolo nell’adolescenza, irruente e tumultuosa, che conclusi a 18 anni con un superbo, clamoroso colpo di testa.
E corro troppo avanti.
Comunque, a prescindere da litigi e assenze, incomprensioni, il legame resistette a tutto, duro come la punta di un diamante, ciclico come gli alisei, mutò e tanto, pur cambiando, sempre noi eravamo.  
 "Benvenuta nel paradiso delle sorelle maggiori."  Mi adagiai contro il suo braccio, era seduta su una poltrona fiorita, senza replicare, mi diede un bacio distratto sulla fronte, non ero pronta a raccogliere la sua ironia.
“E’ un caos” le mie traduzioni, la padronanza di lingue, cavalcatura e buone maniere passavano inosservate rispetto ai sorrisi, le paroline di Alexander, io ero grande, lui no, mia madre era rapita dal suo secondo, amato e inaspettato figlio..  ci separavano 12 anni, quasi 13, una vita intera .. E quando giunse il mio momento, tra Felipe e Leon correva meno di un anno, erano nati nel 1917 e 1918, quindi un lungo intervallo, nel 1927 Juan, nel 1930 mia figlia.. un ampio spazio, figli unici, anche se..
“Già. Quando lo dicevo io non ci credevi, eh. Sei gelosa?”
“Un poco, ma penso sia normale, prima ero solo io, ecco che ora abbiamo l’erede. Anzi, parecchio .. sono parecchio gelosa a dirla tutta.”
 “Catherine.“giocherellai con le sue dita, lei non mi giudicava, non mi ammoniva era un conforto.
" E’ un dato di fatto. Ho aspettato così tanto, è arrivato quando non ci pensavo più. In un dato senso, con dodici anni di differenza siamo come due figli unici, i miei bisogni differiscono dai suoi e mia madre sta più dietro a un ragazzino di pochi anni, rispetto a me che sono una ragazza. O quasi.”
“Succede"  Strizzando gli occhi, lei era sempre dal lato dei fratelli maggiori, per esempio, nella storia biblica di Giuseppe e dei suoi fratelli giustificava il più grande Ruben, senza  fallo.  Doveva essere un esempio per il mondo e per le sue sorelle, non doveva cedere né fisicamente né moralmente,  questi gli  insegnamenti di Alessandra, ripresi dalla sua infanzia, doveva essere perfetta che tutto il mondo la giudicava. Certo .. E Alix scappava nella sua mauve room, per la maggior arte del tempo, tollerava giusto la Vyribova.
“Tua madre come sta?" Cambiando argomento.
Un sospiro.”E’ sul divano, ha mal di testa e emicrania, oltre che la febbre, come al solito. Si alza solo quando riceve le visite del siberiano”
“Rasputin”.
“Sì. “Una pausa “Parla di favole e miracoli, prega con fervore, può essere un conforto per Mama, lei crede alla semplicità dei contadini, ma..”
“Non ti convince. Olga.. “
“Non voglio essere sleale.”
Tacqui e la abbracciai.
“Cercherò di proteggerti io.”  Una millanteria per strapparle un sorriso. “Ci conto, Cat, ma non ci spero.” Una foto rubata di quei tempi. Uno scatto non previsto, che non eravamo in posa, le teste voltate. Una minima conversazione, le ciocche sciolte, sussurri perduti, un baluardo nel baluardo.
Io per lei, lei per me.
 
 
“Cosa fai?” rovesciai la testa, stesi un braccio per farlo avvicinare.
 “Scrivo, zarevic” indicando il quaderno, me lo presi sulle gambe, un movimento fluido e familiare, finalmente stava bene.

Suonava la tromba, il tamburo, cantava a modo suo l’inno imperiale,  era sempre in movimento. Appena poteva compiva un’irruzione nell’aula di studio delle sue sorelle e faceva chiasso, correndo intorno al tavolo e cantando finchè non lo portavano via, e si dimenava e scalciava. Era un bambino felice e chiassoso, che si godeva la vita, salute permettendo.
E molto dolce, senza essere lezioso,  amava i cani e i gatti (the cat!, ma va, il gatto era il suo animaletto preferito) ogni tanto raccoglieva fiori e pensieri.
E tanto rimaneva una peste, farlo mangiare restava una lotta e una supplica, cercare di fargli fare il riposino pomeridiano senza strepiti un miraggio.
Poteva essere arrogante e maleducato, un imperatore dei viziati, conscio del suo rango, ma si era rassegnato a far volare gli aquiloni, i bambini no. 
Se era sulle spalle di suo padre o uno dei suoi marinai, apriva le braccia, si limitava a dire “Bimbo vola”, tranne che era Olga a prenderlo per le ascelle e farlo volteggiare sopra la testa, pochi ed esperti movimenti, sicura come pochi, ogni tanto pure io.

“Cosa?”
“Un compito” il marinaio Nagorny mi fece un cenno, Aleksey si girò nel mio  grembo “E come sai che è tuo?”
“Riconosco il colore del quaderno e poi vi è sopra il mio nome, alla francese” Catherine Raulov, con vari svolazzi. “ E le iniziali, C. R”  fece una smorfia, confrontandole con quelle che aveva sul colletto A. H., Aleksey Nicolaevich, che in cirillico la N si scrive H E lui era sveglio
“I caratteri sono diversi” enunciò.
“Hai ragione.. questo è l’alfabeto europeo, Zarevic, questi sono caratteri cirillici” basita, aveva da compiere quattro anni ed era veramente sveglio, ripeto “Lettere diverse rispetto a questo” toccò una bibbia, che vai a sapere come era finita sulla mia scrivania, poi rilevai che ce la aveva lasciata Tatiana
“Sei troppo piccolo per imparare gli alfabeti, peste” lo canzonai, sistema sicuro per farlo interessare
“NO” gli catturai il palmo prima che lo sbattesse sul tavolino “Allora.. è una questione di segni e suoni.. “ gli baciai la guancia, lo sistemai meglio sulle gambe, intanto Nagorny (la tata marinaio) si accomodava con maggior agio su una sedia e ascoltava la spiegazione.

Erano le vacanze primaverili in Crimea, ricordai, possibile che, ospite perenne, perdessi sempre tempo a giocare con lo zarevic.. quaranta minuti dopo, avevo riempito una risma di fogli con i segni degli alfabeti russo e occidentale, avevo le ciocche ingarbugliate, e ALEKSEY RIDEVA  

“Buffo..” mi sfiorò il gomito sinistro, non volendo, trasalii per il dolore, ed era colpa del principe Raulov, mi aveva ben scosso per il braccio, la settimana avanti, quando avevo chiesto di poter andare con la famiglia imperiale, per favore, una stretta così forte che potevo ancora osservare la mappa di colori dei lividi, che variavano dal blu al viola e al giallo. E le sue collere scoppiavano per tutto e nulla, e tanto ancora non avevo imparato a girargli alla larga. Le sue mani erano pesanti, sempre, come per mia madre, sulle parole potevamo glissare.
“Cat.”
“Dimmi, Aleksey” tornai al presente “Ti ho fatto male al braccio?” desolato, un piccolo sussurro per non farsi sentire
“No amore, perché?” sussultando, addolorata “Ti ho toccato e hai saltato per il dolore, come quando Bimbo cade” Bimbo era lui, ogni tanto si declinava così, lo baciai, di nuovo, lui mi carezzò il gomito, così il dolore (bua) passa.. ogni tanto era davvero dolce, rilevai, cercai di scacciare la preoccupazione dai suoi occhi “Stai tranquillo, tesoro”
“Sicura? Sicura sicura?”gli carezzai la guancia
“Tu non mi hai fatto nulla” definitiva, presi la sua manina, lo aiutai a scrivere “Aleksey Nicolaevich” in russo e in inglese, spiegando da capo.

“Aleksey Nicolaevic, è l’ora degli impacchi” disse Nagorny. In via preventiva, per combattere i gonfiori agli arti, doveva fare dei cicli di massaggi et alia
 “Non dite NO, zarevic.. questo è un dovere, per la Russia, vero, signor Nagorny.. “ a sentirsi appellare signore, lui marinaio semplice, da una principessa annuì mentre Alessio rimandò i suoi strepiti, curioso
“Io devo fare i compiti, voi quanto sopra. Poi ci troviamo in spiaggia.. Non vi comanda nessuno, zarevic, se non i vostri genitori, ma hanno dato un incarico, li deluderemmo se non venisse fatto quanto dobbiamo” 
“Vero..”
Tante cose non le poteva fare, giusto, però potevo pungolarlo da quel lato e inventare qualcosa per fargli passare il tempo.  Volente o nolente, gli impacchi se li sarebbe presi uguale, e si indisponeva era peggio
 “ Catherine vieni con me”
“Va bene, fatti preparare e arrivo”  andai dal Dr Botkin, mi aveva assistito quando ero caduta da cavallo, presa il morbillo e così via e sapeva la situazione in casa Raulov. Mi feci fare una fasciatura intorno al gomito, così che, ove avessi sollevato le maniche avrei potuto dire che ero caduta da qualche parte, ero sempre tanto sbadata.
Ero stata un terremoto e sapevo riconoscere un mio pari, tralasciando che molte delle bizze dello zarevic erano di frustrazione, anni dopo mi disse che avrebbe voluto essere come gli altri, perché non poteva essere come tutti.. perché.. già.
E per me era una suprema ironia avere una bibbia tra le mie cose. Come era doveroso, assistevo alle lunghe liturgie obbligatorie, mi confessavo  e prendevo la comunione, ed era solo apparenza. Dio poteva essere sorridente, lontano e remoto nelle icone, mai si era palesato nelle lunghe notti in cui pregavo che facesse terminare il tormento, il dolore,  i movimenti sofferti di mia madre Ella, che fosse l’ultima volta che prendevo uno schiaffo o una spinta o che mi trattasse male. Sobrio od ubriaco, il principe Raulov, alla fine ero diventata una iattura con piena convinzione e coscienza. Se chi deve amarti sostiene che sei una nullità o ti armi di arroganza o soccombi, io ero diventata  egocentrica come pochi. Tralasciando che, da quando era nato Sasha, stavo relativamente in pace. Avevo imparato a credere solo in me stessa, fine, e girare più al largo possibile dal principe padre.

“Allora, un castello dei cavalieri con tre cinte murarie e le torri e il fossato e quanto altro..”
“Bello .. raccogliamo le conchiglie e le alghe e ..”
“Magari sul dietro costruiamo un canale segreto, il castello è sul mare, zarevic, chi lo ha inventato?”
“I pirati..?” Annuendo, gli misi tra le mani un vecchio binocolo.. “Fermo e vediamo se avvisti qualcosa..” quindi " Dopo voglio state con te"

Sua madre urlava che doveva essere fatto tutto comme au fait, che non si doveva stancare troppo, e all’atto pratico erano le tate e i marinai ad attuare quanto necessario, oltre che Olga e Tanik. Già. Ma la zarina e sua diletta Vyribova erano la perfezione, of course, a 13 anni ero un tantino sarcastica.
Ma non fui sarcastica quando trovai  lo zarevic con un mazzo di peonie bianche, legate da un nastro verde, che me le offrì, con un grande inchino nei giardini imperiali. “Per te” una pausa “Le rose sono belle sui cespugli, hai   ragione tu” sorrisi e battei le mani.
   
 
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