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Autore: Yanez76    22/02/2019    1 recensioni
In questa storia ho immaginato alcuni flash della vita di Elsa Schneider sia prima che dopo gli eventi narrati in "Indiana Jones e l'ultima crociata". La storia si ricollega alla mia precedente "L'ultima impresa del cavaliere del Graal" e ne costituisce un'espansione ma è di fatto una storia indipendente.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa Schneider, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Venezia, 1938
 
Il professor Henry Jones non avrebbe saputo dire se fosse più l’emozione di essere ormai arrivato ad un passo dalla meta delle ricerche di tutta una vita o più l’insonnia, dovuta all’età che avanzava, a non lasciarlo dormire.
Quel Donovan venderebbe sua madre per un vaso etrusco; ma bisogna dire che non bada certo a spese, pensò aggirandosi per il lussuoso appartamento nel centro storico di Venezia che il miliardario americano aveva messo a sua disposizione. La tappezzeria verde prato ed alcuni quadri dal gusto alquanto pacchiano appesi alle pareti non erano il massimo; ma i tavolini di marmo intarsiato e la superba collezione di libri antichi avevano destato l’ammirazione del professore.
Henry si avvicinò alla porta della stanza da bagno, girò la maniglia di ottone e fu investito da una nuvola di vapore, accompagnata da un acuto gridolino femminile.
“Ops… scusami Elsa, pensavo stessi dormendo…”, fece imbarazzato Jones Senior, trovandosi a rimirare la testa bionda e l’aggraziato piedino bianco che emergevano dalla montagna di schiuma che riempiva la vasca.
“Neanch’io riuscivo a prendere sonno e non c’è niente di meglio di un bel bagno caldo per rilassarsi.”, fece Elsa sorridente, sollevando una spalla candida e rilucente d’acqua, “Mi passeresti l’accappatoio per favore?”
Arrossendo, Henry le porse l’indumento, cercando di distogliere lo sguardo, ma non resistendo alla tentazione di dare almeno una fugace sbirciatina a tanto splendore.
“Ehm, sarà meglio che vada, devo ancora consultare alcune carte…”, bofonchiò uscendo felicemente scombussolato.
Inutile negarlo, Elsa lo aveva proprio stregato. Quando Walter Donovan lo aveva spedito a Berlino per incontrarsi con un certo professor Schneider, Henry non aveva subito compreso che si trattasse proprio della graziosa biondina che aveva conosciuto a Princeton sei anni prima, durante la visita del professor Stein. Fin da quei giorni, infatti, essendo subito entrato in sintonia con quella ragazza così carina, preparata e simpatica aveva preso l’abitudine a chiamarla per nome e anche Isaac, nelle sue lettere, si riferiva a lei sempre come Elsa.
Nel giungere a Berlino, Henry aveva constatato con profondo sgomento che quella città, un tempo capitale ricca di cultura e famosa per i suoi musei, si presentava ora come un lugubre teatro, tappezzato da stendardi con minacciose croci uncinate e percorso da parate di mentecatti che facevano il passo dell’oca davanti a folle di fanatici a braccio teso. Ritrovare lì quella ragazza spigliata che, nel frattempo, si era meravigliosamente sviluppata in una bellissima giovane donna, era stato per l’attempato professore come trovare un’oasi di grazia e purezza in quella terra sacrilega dove imperversavano le forze delle tenebre.
Dopo aver passato alcuni giorni assieme a lei a Venezia, Henry si sentiva ringiovanito di trent’anni. Il professore severo e azzimato che i suoi terrorizzati studenti avevano soprannominato Attila aveva recuperato l’entusiasmo di un ragazzo, pendendo letteralmente dalle labbra della bionda storica dell’arte quando lei gli illustrava i principali monumenti della città o i capolavori esposti alla galleria dell’Accademia. Avevano passato lunghe giornate alla Biblioteca marciana o alla Biblioteca della chiesa di San Barnaba, spulciando con ansia febbrile antichi codici e pergamene polverose. Mai, negli occhi di nessun altro, Henry aveva visto la luce che brillava nello sguardo di Elsa al trovare ogni minimo indizio che potesse portarli sulla pista della sepoltura del cavaliere: solo quella ragazza mostrava una devozione per il Graal pari alla sua.
In fondo, si diceva Henry, era stato solo grazie a Elsa se erano riusciti ad arrivare fin lì, se il mistero su cui lui si era inutilmente spremuto le meningi per anni era stato finalmente svelato. Solo uno spirito puro poteva aver avuto accesso all’illuminazione che le aveva rivelato la corretta interpretazione di quella frase enigmatica che lui aveva trovato sulla consunta pergamena delle Cronache di Sant’Anselmo: “Equestri sepulcrum in… Regina… Dalmatiae”. Lei doveva certamente aver visto giusto, la frase era: “Equestri sepulcrum in urbe regina maris Dalmatiae”, la tomba del cavaliere nella città regina del mare di Dalmazia, cioè Venezia.
Pensando a lei, gli vennero in mente i versi di una poesia veneziana che aveva sentito da un certo Eugenio, il podologo che l’altro giorno gli aveva curato un piede dolorante; un tipo davvero originale: fascista della prima ora, ebreo e poeta dilettante.

Quando, Venezia mia, su le to case,
una gloria de sol xe sparpagnada,
lassime dir, se’l paragon te piase,
che ti me par na tosa spensierada.

Durante il viaggio che li aveva portati dalla capitale tedesca alla città lagunare, i due avevano avuto modo di parlare a lungo e la giovane si era confidata con lui, gli aveva raccontato di quanto fosse spaventata dai nazisti che avevano invaso la sua patria e di come fosse rassicurante per lei la compagnia di un uomo come Henry. Trattenendo a stento le lacrime, Elsa gli aveva raccontato di come era finita la sua storia con Isaac, di come, fidando nelle sue promesse, lei gli avesse sacrificato la propria purezza e di quanto adesso si sentisse sola, abbandonata, ferita e sperduta e vedesse in lui, Henry Jones, l’unica ancora di salvezza.
“Povera piccola”, aveva mormorato Henry, passandole un braccio attorno alle spalle e lasciando che lei appoggiasse la testa bionda sul suo petto per trovare conforto.
Certo, Henry non poteva che compiangere la sorte del povero Stein, costretto a fuggire dalla sua patria ed a prendere la via dell’esilio; ma non poteva proprio giustificarlo. Povera Elsa, come aveva potuto Isaac prendersi gioco di quella fanciulla così dolce e innocente? Stein era incapace di controllarsi e di mettere la testa a posto, proprio tale quale a suo figlio, quel disgraziato di Junior che, infatti, anche lui aveva compromesso una povera ragazza.
Henry era venuto a sapere quel che suo figlio aveva fatto alla figlia del povero Abner Ravenwood. Era semplicemente disgustoso: prima l’aveva sedotta, approfittandosi di lei quando era ancora una ragazzina innocente, poi l’aveva tradita con la giovane moglie di un aristocratico italiano, facendo scoppiare uno scandalo che aveva finito per mandare a monte le faticose ricerche del professor Ravenwood che ne aveva avuto la vita rovinata e, infine, quando, con anni di ritardo, sembrava finalmente volersi prendere le proprie responsabilità, portando la ragazza all’altare, si era nuovamente sottratto ai suoi doveri di gentiluomo abbandonandola alla chetichella, senza una parola, ad una settimana dalle nozze! Non c’erano giustificazioni: Junior era proprio incorreggibile e senza vergogna!
Henry scosse la testa ripensando a suo figlio; erano anni ormai che i due non si parlavano. Mai una lettera, mai una cartolina. Le uniche notizie che aveva di lui erano costituite dagli articoli di giornale che parlavano delle sue sconclusionate ricerche. Quale peccato doveva aver mai commesso, si chiese il vecchio Jones, perché gli fosse capitato un figlio così degenere e sregolato? Chissà cosa stava facendo adesso? Sicuramente, invece di impegnarsi in qualcosa di serio, stava sprecando il proprio tempo in baggianate come andare alla ricerca delle città di Cibola o cose del genere. Cosa ci si poteva mai aspettare del resto da uno che si faceva chiamare con il nome del loro cane?
 “Bah, avere un figlio così è come non averlo. Per lui è come se io neanche esistessi.”, biascicò amaramente tra sé il professor Jones, con un gesto di stizza.
Sicuramente adesso, dopo aver spezzato il cuore di Marion, Junior era impegnato a rincorrere qualche altra sottana. E pensare che, finché era in vita sua moglie, Henry non l’aveva mai tradita neppure con il pensiero…
“Certo, però, che adesso che la mia povera Anna mi ha lasciato…” si disse Henry con un sospiro, mentre gli pareva di risentire il fremito che lo aveva attraversato quando aveva scorto Elsa nella vasca.
“Bah, non pensiamoci, potrebbe essere mia figlia…”, bofonchiò il vecchio Jones. Eppure… eppure mi ha detto lei stessa che era attratta da Isaac perché le piacciono gli uomini dal fascino maturo, visto che i ragazzi della sua età sono un branco di buoni a nulla e, su questo, non si può certo darle torto… ma allora…forse…, pensò Henry con un sorrisetto speranzoso. In fondo fantasticare non era mica un delitto e lui era un uomo fatto di carne come gli altri…
Mentre il professor Jones era assorto in tali pensieri, Elsa, ritiratasi nella sua stanza, si rigirava nel letto, sprofondata in un sonno inquieto. Si rivedeva a Berlino, avvolta in un lugubre soprabito di pelle nera, ritta su un palco adornato da sinistri drappi scarlatti con le svastiche. Era circondata dai massimi gerarchi del partito nazista, i folli occhi sgranati di Goebbels e la gelida inespressività di Himmler le toglievano il fiato, mentre sentiva con ribrezzo su di sé lo sguardo porcino di Göring. Adolf Hitler in persona, con il suo freddo sorriso, si complimentava con lei, le diceva che era una grande scienziata ariana, che il Graal simboleggiava la superiorità delle stirpi germaniche ed altre deliranti idiozie. Il suo istinto le diceva di scappare, di sottrarsi a tutto quell’orrore, eppure non ce la faceva e, mentre la bocca di Hitler vomitava quelle assurdità trasudanti d’odio, lei rimaneva lì, tendeva il braccio come le era stato insegnato e continuava a ripetere Mein Führer, Mein Führer, Mein Führer…
“Mamma! Papà!”, gridò, svegliandosi di soprassalto, ansimante, con il cuore che le batteva all’impazzata, quasi a volerle balzare dal petto. Quanto avrebbe voluto adesso le braccia amorevoli di sua madre e le parole dolci e rassicuranti di suo padre che la consolavano dopo un brutto sogno, come quand’era bambina.
Purtroppo, però, stavolta non si trattava solo di un brutto sogno: Elsa quella scena l’aveva vissuta realmente.
Aveva cercato di non pensarci; rivedere Venezia, i suoi splendidi palazzi, i suoi ricchi musei, la Tempesta del Giorgione, i capolavori di Tiziano, del Veronese, del Tiepolo e del Tintoretto, gustare un meraviglioso piatto di sfogi o di bigoi in salsa l’aveva distolta per qualche giorno da quei foschi pensieri. Si sentiva emozionata come una scolaretta; lavorare a fianco del professor Jones, il massimo esperto vivente del Graal, l’autore dei libri su cui lei si era formata, era sempre stato il suo sogno. Era entusiasta di quello che stavano per scoprire; ma, a volte, senza darlo a vedere, era presa da un profondo sconforto: quello che doveva essere uno dei momenti più belli della sua vita, il coronamento di tante fatiche, era anche quello in cui compiva l’azione più meschina: il tradimento. Henry era l’uomo che più ammirava ed ora lei lo stava spiando, stava tradendo ignobilmente la sua fiducia.
Elsa sapeva bene che il Graal non aveva nulla a che fare con i nazisti; anzi, con il loro culto blasfemo della violenza e dell’odio, essi erano i peggiori nemici di tutto ciò che il Graal veramente rappresentava: i valori della cavalleria, l’onore, la cortesia, la difesa dei deboli, la ricerca di elevazione spirituale. Ma, nonostante tutto, continuava a ripetersi che non aveva scelta, che quella era l’unica cosa da fare, che in fondo i suoi scopi erano buoni, che alla fine non avrebbe permesso che la sacra coppa finisse in mano dei nazisti. Aveva fatto giurare a Vogel che non avrebbe fatto del male ad Henry e - si diceva per giustificarsi e convincere se stessa – in fondo la sua non era che una piccola finzione momentanea per raggiungere uno scopo ben più alto. In realtà, non stava facendo il doppio gioco ma il triplo: quando lei avrebbe avuto il Graal tutto per sé – continuava a ripetersi per tacitare la coscienza – per farsi perdonare, avrebbe permesso ad Henry di studiarlo assieme a lei.
Eppure, per quanto si sforzasse, tutti quei bei ragionamenti non riuscivano a farla dormire tranquilla.
“Elsa! Cosa succede? Stai bene?”, risuonò la voce di Henry, accorso premurosamente al sentire il grido della giovane donna.
Per un istante, Elsa pensò di precipitarsi da lui e confessargli tutto: metterlo in guardia dal complotto di Vogel, rivelargli la complicità di Donovan. Sapeva che erano costantemente sorvegliati dagli agenti nazisti; ma forse sarebbero riusciti a fuggire assieme e a porsi in salvo. Tuttavia, confessare tutto ad Henry e fuggire con lui voleva anche dire rinunciare a tutto proprio ora che stavano per trovare la tomba del cavaliere… No, lei questo non poteva permetterlo!
Elsa si alzò per aprire la porta e il cuore di Henry sobbalzò quando lei gli comparve davanti, avvolta nella sua morbida veste da camera di satin rosa pallido, le cui trasparenze mettevano in risalto più che nascondere il suo corpo perfetto.
“Sto… sto bene, grazie. È stato solo un incubo. C’erano i nazisti tutto intorno a me, Hitler e…”
Henry l’abbracciò, “Non devi temere, piccola, ti proteggerò io, non lascerò che ti facciano del male”.
Si tennero stretti per un lungo istante, Henry vide brillare gli occhi di Elsa e, quasi sospinto da una forza irresistibile, le accarezzò il viso. La sua mano le sollevò il mento e le loro labbra si sfiorarono e finalmente si unirono in un bacio caldo e appassionato.
Elsa si lasciò andare; ovviamente, fin da subito, aveva compreso quanto Henry fosse attratto da lei e così, nei giorni precedenti, un po’ per gioco, un po’ per vanità femminile e un po’ perché ciò avrebbe contribuito a far abbassare le difese del professore, facilitando la sua missione, si era divertita a stuzzicarlo.
Adesso, però, non stava fingendo: in quel momento sentiva solo il bisogno di essere amata, di abbandonarsi tra le braccia di un uomo che, almeno per un poco, le facesse scordare tutto il resto. Gli affondò le dita tra i capelli, attirandolo verso di lei e gli restituì il bacio con passione.
Ormai completamente inebriato da lei, Henry la strinse a sé. Le sue mani, sciolta abilmente la cintura che chiudeva la veste di satin, percorsero quel giovane corpo, accarezzandone le membra frementi di voluttà, mentre le sue labbra scendevano dolcemente a sfiorarle la pelle bianca e liscia che ancora sapeva di sapone profumato. Perso in un vortice di sensazioni che non provava da tempo, Jones Senior non poteva resistere oltre e si slanciò su di lei che lo accolse, avvolgendosi calda attorno a lui.
Travolti entrambi da un’incontenibile passione, i due, appassionati e insaziabili, protrassero a lungo i loro giochi d’amore; Henry sapeva come far felice una donna ed Elsa, quella notte, non finse nulla quando, più volte, gemette per il piacere.
Infine, i due giacquero spossati e appagati, sussurrandosi con respiro affannato le solite meravigliose sciocchezze che gli amanti si scambiano in tali frangenti.
“Non avrai saltato con un balzo dalla testa del leone; ma di sicuro hai dimostrato il tuo valore, orsacchiotto mio.”, mugolò Elsa.
“Beh, il punto dove si trova il Graal lo scopriremo presto; ma direi che intanto abbiamo trovato il mitico punto di Regnier de Graaf, micetta mia”, le sussurrò Henry, ridacchiando soddisfatto.
Tra scherzi, baci, coccole e risolini, finalmente s’addormentarono. Poco dopo, però, Henry si risvegliò e, imprecando contro gli anni che passavano, dovette prendere la via del bagno. Quando tornò in camera, si fermò a contemplare Elsa che dormiva illuminata da un raggio di luce lunare che filtrava dalla finestra e faceva risaltare le forme superbe del suo corpo nudo.
Gli ritornarono in mente i versi della poesia.

Che ti me par; quando ti dormi in pase      
dai basi de la luna inarzentada,
in mezo l’aqua del to mar che tase,
la poesia che sogna inamorada

Lo sguardo rapito di Henry indugiava ancora su quelle gambe snelle ed eleganti, sulla morbida curva dei fianchi, sul ventre piatto, sul seno generoso, sul viso fine e delicato, assorto nel sonno, quando, d’improvviso, Elsa sussultò e il suo volto assunse un’espressione dura e agitata, come se fosse turbata da visioni cupe e angosciose.
Pensando avesse un incubo, Henry si avvicinò a lei per svegliarla e sentì distintamente le parole che stavano uscendo dalle labbra della bella dormiente.
Mein Führer, Mein Führer, Mein Führer…”
Il cuore di Henry mancò un battito. Raggelato, come fulminato, sentì il mondo crollargli addosso.
Una nazista! Aveva fatto all’amore con una nazista! Come aveva potuto essere tanto stupido? Si era unito ad una dei peggiori nemici del Graal!
Nella sua mente, nutrita di letteratura cavalleresca, tutto si fece infine chiaro: lei era la strega Kundry, mandata dal malvagio mago Klingsor per sedurlo e distoglierlo dalla ricerca del Graal. Parsifal aveva saputo resistere alla tentazione; ma lui invece aveva fallito la prova. Aveva peccato come Lancillotto del Lago, si era lasciato abbagliare dalle lusinghe di quella maliarda che lo aveva irretito nelle spire della sua lussuria. Si sentì perduto, si chiese chi mai adesso avrebbe potuto compiere la sua missione. Poi si ricordò di Galahad, il figlio che Lancillotto aveva abbandonato, era lui il cavaliere destinato a trovare il Graal e, improvvisamente, seppe quello che doveva fare.
Henry non la svegliò, doveva stare attento a non metterla sull’avviso: lei non doveva sospettare che lui ormai sapeva chi lei era veramente. Così, tornò a letto accanto ad Elsa, dando ancora un’occhiata di sottecchi alla subdola incantatrice che lo aveva stregato la quale adesso, ignara di tutto, dormiva di nuovo tranquilla.
“Certo che non assomiglia proprio alla strega cattiva di quel film a cartoni animati che ha fatto tanto successo lo scorso anno…”, sospirò.
La mattina seguente, al suo risveglio, Henry cercò di apparire naturale: si stiracchiò e sorrise ad Elsa, impegnata nella stessa attività. Lo stomaco di Elsa brontolò per la fame e quello di Henry fece lo stesso; ridacchiarono entrambi, scherzando affettuosamente sulle energie che avevano consumato nella notte appena trascorsa. Fecero colazione e poi, come di consueto, si recarono alla Biblioteca di San Barnaba per proseguire le loro ricerche.
Giunti al loro tavolo, come al solito, Henry tirò fuori dalla sua cartella di pelle gli appunti sui cui stavano lavorando, uno dei fogli riportava tre numeri romani: III, VII e X. Da giorni, ormai, cercavano di capire il significato di quelle tre cifre che sapevano celare il mistero dell’ubicazione della tomba del cavaliere. Elsa aveva osservato che Henry consultava spesso un taccuino fittamente annotato, il frutto di anni di studi e ricerche. Vogel le aveva ordinato di impadronirsene; ma lei, finora, aveva esitato: se avesse messo in sospetto Jones prima che la tomba fosse stata individuata, tutto sarebbe andato a monte, visto che, senza l’esperienza e le straordinarie conoscenze di Henry, non le sarebbe mai stato possibile trovarla da sola.
Con nonchalance, Henry chiese ad Elsa di andare alla sezione cartografica per prendere un’antica pianta della città, sapeva che era una ricerca complessa che l’avrebbe tenuta impegnata per un po’.
Appena la donna se ne fu andata, Henry si alzò e, preso con sé il suo taccuino, il diario del Graal, uscì dalla Biblioteca. Affrettandosi più che poté, raggiunse un ufficio postale, vi entrò e dopo esservisi trattenuto per alcuni minuti, ne uscì dirigendosi alla stazione di Santa Lucia.
Quando Elsa tornò, non trovando più Henry, lo aspettò per qualche tempo, poi, non vedendolo tornare, si allarmò: temeva potesse essergli accaduto qualcosa di grave.
Si affrettò a tornare all’appartamento; ma, quando aprì la porta, ebbe la sgradita sorpresa di trovarsi davanti il colonnello Vogel.
Elsa sussultò con il cuore in gola: ora era certa che qualcosa di grave doveva essere accaduto.
“Che succede? Dov’è Jones?”
 “Lo abbiamo preso mentre tentava di fuggire.”
“Cosa…cosa gli avete fatto?” chiese trafelata.
“Non si preoccupi, è nella sua stanza.”
Elsa corse nella stanza di Henry e lo trovò legato ad una sedia.
“Henry! Stai… stai bene?”
“Puah! Come se te ne importasse qualcosa, strega nazista!”, sbraitò l’uomo.
Il colonnello Vogel li raggiunse.
“Allora, professor Jones, vuole dirci dove ha nascosto il suo diario oppure preferisce che usiamo le maniere forti?”, fece il nazista rivolto allo studioso.
“Non ve lo dirò mai, maledetti! Volete torturarmi? Accomodatevi: ormai sono vecchio e non resisterò che pochi minuti prima di rendere la mia anima. Sono fiero di offrire la mia vita per il Graal e voi resterete con un pugno di mosche!”
“Ah sì? Ora vedremo…”, abbaiò rabbiosamente Vogel, avvicinandosi minacciosamente a Jones.
“Fermo!” urlò Elsa.
 “Sembra che lei ci tenga molto all’americano, doktor Schneider, del resto è comprensibile dopo questa notte…” le disse il nazista, ridendo con quel suo riso freddo e crudele.
“Cosa, cosa ne sapete voi di…”, fece Elsa, arrossendo per la rabbia e l’imbarazzo.
“Oh, abbiamo solo preso qualche piccola precauzione per evitare sorprese…”, fece Vogel spostando un quadro, dietro il quale si celava un piccolo microfono.
“Mi…mi stavate spiando!”, ruggì Elsa.
“Un’indiscrezione intollerabile!” fece Jones
“Il professor Jones è stato un bravo amante, fräulein? Sembra che stanotte lei abbia recitato la sua parte con molta… passione.”, continuò Vogel con una risatina isterica e beffarda.
Elsa avrebbe voluto sputargli in faccia, ma riuscì a controllarsi.
“Non sia sciocco, herr Vogel, sa bene che il mio unico obiettivo è il Graal e farei qualsiasi cosa per ottenerlo. Jones ci serve vivo: nel caso non riuscissimo ad individuare la tomba del cavaliere, potremmo avere ancora bisogno di lui.”
Vogel ebbe un moto di dispetto, vedendo sfumare la possibilità di eliminare personalmente Jones come avrebbe voluto; ma i suoi superiori gli avevano ordinato di seguire le direttive di Elsa e lui non voleva rischiare la punizione che gli sarebbe toccata se avesse disobbedito.
“Come desidera, professor Schneider. Vado ad avvisare gli uomini dell’Abwehr, darò ordine che Jones sia portato in un luogo sicuro e sorvegliato.”, disse il nazista, sbattendo i tacchi prima di uscire dalla stanza.
Elsa attese che Vogel si fosse allontanato, poi fracassò con rabbia il microfono spia e si volse verso Henry, che distolse lo sguardo da lei.
“Henry, lo so che sei arrabbiato con me ma... cerca di capire... mi dispiace, mi dispiace immensamente, io non volevo che…”
“Risparmiami le tue bugie, razza di ipocrita!”
“Henry, ascoltami: io non sono una nazista, io credo nel Graal, come te!”
“E allora perché stai dalla parte dei nemici di tutto ciò che il Graal rappresenta? Dimmelo, dannazione!”
“L’unica cosa importante è il Graal; e posso arrivarci solo con il loro aiuto. Credimi, avrei tanto voluto che ci fosse un altro modo ma…”
Henry era sempre stato contrario ad ogni forma di violenza; ma, se avesse avuto le mani libere, avrebbe tanto voluto afferrarla per le spalle e scuoterla vigorosamente perché la smettesse di dire sciocchezze.”
“Tu non credi veramente nel Graal, Elsa, tu ti illudi di trovare un bottino”, fece il vecchio Jones lanciando su di lei uno sguardo di fiero disprezzo che la costrinse ad abbassare gli occhi, confusa.
“Non riesci proprio a capirlo? La ricerca del Graal è una gara contro le forze del male. Se cadesse in mano ai Nazisti, le armate delle tenebre marcerebbero su tutta quanta la Terra! Ti rendi conto di quello che hai fatto?”
Elsa tacque; sentiva avvicinarsi i passi degli uomini di Vogel che venivano a prendere Henry. Gli sfiorò il viso con la mano, lui ritrasse la testa, sdegnato. Si chinò su di lui ed Henry fremette ai ricordi struggenti che il profumo della sua pelle gli riportava alla mente.
“Ti prego, cerca di capire la mia situazione…” gli disse, senza ottenere risposta.
I passi dei nazisti erano sempre più vicini, Elsa sapeva che non c’era più tempo. Henry avvertì il soffio caldo del respiro di lei che avvicinava la bocca al suo orecchio.
“In ogni caso, voglio che tu sappia che non dimenticherò mai questa notte: sei stato meraviglioso.”, bisbigliò.
“Beh, grazie. Anche tu sei stata fantastica…” bofonchiò Henry, arrossendo lusingato.
Lei lo baciò con passione e stavolta Henry non si ritrasse, restituendole il bacio.
Si staccarono un attimo prima che Vogel e i nazisti irrompessero nella stanza.
“Ho già provveduto ad avvisare Walter Donovan. Sembra che presto avremo il piacere di conoscere un altro professor Jones. Mi auguro che stavolta lei avrà più successo, fräulein Schneider.”, le disse Vogel con uno sguardo sarcastico, quando gli agenti dell’Abwehr se ne furono andati, trascinando con loro il povero Henry.
Quando anche Vogel se ne fu andato, Elsa rimase a lungo in silenzio, da sola, ripensando a ciò che era accaduto e alle parole di Henry. Una lacrima imperlò una delle sue gote rosate. No, decisamente non era contenta di se stessa. In quel momento avrebbe solo voluto buttarsi sul letto e dormire, sognare i suoi genitori, sentire ancora una volta la voce di suo padre. Eppure, chissà perché, quella voce, nei suoi sogni, Elsa non riusciva ad udirla più …
   
 
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