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Autore: MIV93    22/02/2019    1 recensioni
La storia di "Our Hero Academia" narra di 3 nuove studentesse ritrovatesi, per i motivi più disparati, a frequentare la U.A. High School. L'arco narrativo segue quello della storia ufficiale e si intreccerà con la vita delle nuove tre studentesse con nuove e vecchie avventure.
[Raiting giallo: presenza di un linguaggio volgare] [Coppie HET] [OC] [OCC per togliere le paranoie] [Fanfiction scritta a più mani] [SPOILER dal capitolo 8]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: All Might, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Cap-3



Capitolo 3 - Ombre del passato!

 
Storm clouds storming
This is your final warning
I am the eye of the storm Inside, I am silent and strong
 Just waiting for the right
right moment to strike Coiled like a cobra Coming to life
I am the eye of the storm Inside, I am silent and strong
Just waiting for the moment
Never see me coming I am waiting for the moment
[Eye of the storm – Watt White]


 

Inizio Flashback

Poco distante da Tokyo, in un rifugio ben nascosto, Reiko, suo padre e alcuni Villans stavano tornando da una missione. Proprio in quella missione, la piccola bambina aveva trovato dei documenti riguardanti una certa Miyuki Kobayashi, una giovane donna eroina che era stata assassinata 6 anni prima. La cosa che l’aveva più colpita, e che le aveva fatto rubare quei documenti, era la comparsa del nome di suo padre dentro all'ultimo rapporto riguardante quella famosa Miyuki. Non sapeva bene che correlazione potesse esserci tra i due, o meglio, non aveva avuto il tempo di leggere i documenti e, di certo, non lo avrebbe fatto proprio davanti a suo padre.

“Vado in camera mia” disse la bambina senza nemmeno stare a sentire la risposta del padre. Akira aveva ben altro da fare, non poteva stare dietro a quella sua dannatissima figlia. Questa cosa Reiko la sapeva bene, purtroppo, quindi decise di sgattaiolare velocemente via, troppo curiosa di sapere cosa aveva tra le mani.

Si chiuse velocemente a chiave in camera sua, giusto per avere quei pochi secondi di tempo per poter nascondere quello che aveva rubato se qualcuno si fosse fatto avanti in camera. Si mise sul letto e iniziò a leggere, con una certa adrenalina addosso, i documenti che aveva trovato quel giorno.

“Miyuki Kobayashi - sussurrò il suo nome - È ,ah no, sembra essere deceduta. Era una hero presso la città di Tokyo..”

I documenti riguardo a quella donna sembravano essere molti, anche se per lo più riguardavano le missioni e la carriera professionale della donna. Sicuramente Miyuki era stata una donna molto in gamba, aveva portato a termine diverse missioni con estremo successo, anche se, a quanto pareva, aveva perso la vita molto precocemente.

“Ci sono delle foto. Oh, questo è All Might e..questa deve essere Miyuki” all'interno della cartella vi erano diverse foto, per lo più di Miyuki assieme a diversi eroi, tra cui il famoso All Might.
 
Reiko non aveva mai visto di persona All Might, sapeva solo che suo padre, Akira Shimura,  nutriva un profondo odio per quell'uomo e, bè, per tutte le persone che gli ronzavano attorno.  La piccola bambina sapeva bene la posizione di suo padre e di tutti quelli che vivevano in quel posto, ma non aveva mai capito il vero motivo delle loro azioni. Si era ritrovata a crescere tra i Villans, tra l'odio e la sete di vendetta, ma, nonostante tutto questo, senza che qualcuno le avesse mai detto cosa era giusto e cosa no, le azioni del padre le aveva sempre trovate rivoltanti. Odiava quel posto, odiava le persone che lo frequentavano e, cosa non da poco, odiava suo padre. Eppure, forse per debolezza, non era mai riuscita a recidere quel legame di sangue e andarsene.
Akira non era mai stato un padre amorevole, nè tanto meno un punto saldo di riferimento per una bambina: aveva rapito Reiko per sottrarla alla madre, per fare semplicemente del male a Miyuki. L’idea di poter vedere un altro membro della famiglia assieme a quella combriccola di eroi gli faceva ribollire il sangue nelle vene e, proprio per questo, pur di non vedere Reiko assieme a loro, aveva deciso di rapirla.
Nonostante questo suo perverso pensiero, nel corso degli anni, Akira aveva provato a crescere la figlia come pedina per i suoi piani, per poterla un giorno schierare tra le sue file e sconfiggere gli eroi, ma la bambina aveva sempre cercato di ribellarsi. Proprio per questo il padre l’aveva sottoposta a rigidi allenamenti, per temprare il suo fisico e, soprattutto, la sua mente.
 
“Miyuki Kobayashi è stata assassinata 6 anni fa dal.. - la voce si fece ancora più bassa, mentre gli occhi fissavano un solo punto di quella pagina - ..marito Akira Shimura.”

Per qualche secondo rimase immobile, ferma a fissare il nome di suo padre inciso con l'inchiostro di una stampante, nero e cupo esattamente come i suoi cocchi. Delle piccole scariche elettriche color cremisi, provenienti dalle mani della ragazza, sembrarono prendere il sopravvento, incendiando un pezzo di legno del suo letto. Le capitava spesso: quando perdeva il controllo della situazione, a mente offuscata, il suo Quirk  prendeva il sopravvento e Reiko non riusciva più a gestire, inconsciamente, il suo potere.
Quella donna era stata uccisa 6 anni fa, guarda caso pochi giorni dopo della nascita di Reiko. Senza contare la tremenda somiglianza tra Reiko e Miyuki, insomma, a parte per i capelli,  gli occhi e i lineamenti del viso erano praticamente uguali. Akira non le aveva mai parlato della madre, le aveva solo accennato che era morta poco dopo la sua nascita. A confermare il tutto furono le foto tra Miyuki e All Might. Il padre della giovane nutriva un odio smisurato per All Might e tutti gli ero in generale, quindi vedere quella donna tremendamente uguale a lei vicino a lui, bè non ci voleva un genio per fare uno più uno.

“BASTARDO” ringhiò la Rossa, mentre con foga buttava per terra i documenti che aveva appena finito di leggere. Era decisamente fuori di sé.

Sfondò la porta di camera sua, non aveva di certo tempo per aprirla con la chiave, o meglio, la rabbia le aveva dato letteralmente alla testa, senza contare che non era mai stata una ragazza dal temperamento docile e mansueto. Nonostante fosse sull’orlo di una crisi, a metà tra il pianto e la rabbia, riuscì ad arrivare fino alla stanza del padre, per poi irromperci dentro sbattendo la porta.

“SEI STATO TU AD UCCIDERLA - gridò a pieni polmoni - Egoista, codardo..non hai nemmeno avuto il coraggio di dirmelo!” proseguì lei, mentre le scariche elettriche cremisi continuavano a trapassato nervose il corpo.

Dal canto suo, Akira rimase a fissarla per qualche secondo, come a voler capire cosa diavolo stesse succedendo a quella dannatissima mocciosa. Solo dopo qualche istante sembrò capire la situazione, un ghigno divertito affiorò da quelle sottili labbra, aveva capito cosa era successo anche se non sapeva come.

“Hai la stessa sfacciataggine di tua madre” rispose serafico il padre, mentre fissava gli occhi color giallo della bambina, così dannatamente arroganti e uguali a quelli della sua defunta moglie. Strinse un pugno, quasi a voler soffocare un qualche istinto, quella bambina le stava facendo tornare in mente il volto della donna che aveva fatto di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote.

“Tu hai ucciso mia madre! - sibiliò la bambina - Perché lo hai fatto?”. La vista si stava facendo offuscata, ormai stava diventando sempre più difficile trattenere le lacrime.

“L'ho uccisa perché ha deciso di stare dalla parte sbagliata” rispose freddamente, quello sembrava essere un tasto particolarmente sgradevole da toccare.

“Un tempo ero un Hero, esattamente come l'idolo di tutti, All Might. Ma a chi piacerebbe essere sempre oscurato dall’ombra di quell’uomo? Dopo numerosi fallimenti il mio obiettivo di essere il numero uno, il migliore, il più acclamato, era sempre più lontano. Quell'uomo si è preso la mia gloria, persino quella dannatissima Miyuki  sembrava ammirare più lui che me”.

“Sei solo un borioso codardo” lo interruppe Reiko, poco prima di trovarsi sbalzata a 3 metri di distanza da un sonoro schiaffo da parte del padre.

“Stupida mocciosa! - ringhiò l'uomo - Qua mi hanno dato l'opportunità di cambiare vita, non mi importa se nessuno mi acclama, perché gli occhi che vedo poco prima di uccidere qualche eroe mi ripaga di tutto” un sorriso sadico si aprì sul volto dell'uomo.

“Quella stupida di tua madre ha provato a farmi cambiare idea, ha persino chiesto aiuto a quel dannatissimo di All Might. Così un giorno, convinta di potermi battere, mi sfidò e la uccisi. Ora aspetto solo il momento di rispedire all'altro mondo All Might e tutti gli eroi che troverò sulla mia strada.”

“SEI UN MOSTRO” urlò la giovane, mentre il suo corpo iniziò a riempirsi di elettricità fino a che non decise di scattare verso suo padre per colpirlo.

Il colpo sembrò andare a segno, con estremo stupore del padre, peccato però che la giovane aveva sfruttato tutta la sua energia, già abbastanza instabile, per stimolare con impulsi elettrici  tutte le cellule del suo corpo e compiere uno spostamento ad altissima velocità, andando a compromettere il suo colpo fisico verso il padre.

“Non sai nemmeno controllare il tuo quirk, tutto questo potere sprecato. Ti farò ricordare questo giorno,  così che ci ripenserai due volte a mancare di rispetto a tuo padre e ficcare il naso dove non devi” il corpo dell'uomo iniziò piano piano a mutare, fino a che il suo aspetto non assomigliò a quello di un drago nero. Senza farsi ulteriori problemi e, soprattutto, senza troppi indugi, colpì la figlia con i suoi artigli, lasciandole le impronte del suo attacco incise nella carne del braccio, così che un giorno potesse ricordarsi cosa voleva dire affrontare Akira Shimura.

Akira se ne andò dalla stanza, mentre Reiko rimase svenuta dentro di essa con il braccio completamente insanguinato.

Fine flashback
 


“REIKO-CHAAAN!” fu l’unica cosa che sentì dopo essersi svegliata da quel dannatissimo sogno.

Con tutti i sogni che poteva fare, proprio suo padre? Proprio quel dannatissimo giorno? Era da qualche settimana che non faceva più incubi.

“REIKO-CHAAAN!” proseguì la voce, sicura che la persona che stava cercando si trovasse esattamente in casa.

La giovane sembrava ancora un po’ intorpidita dalla pennichella, ma non aveva i dubbi su di chi fosse quella voce: Kirishima. Come diavolo aveva fatto a trovare casa sua? Ma soprattutto, quanto cazzo era molesta quella cosa?

“Vi denuncio per stalking..” borbottò la rossa non appena si affacciò dalla finestra per avere la garanzia di chi fosse. Oltre a Kirishima vi era anche Kaminari, entrambi dannatamente sorridenti, che si sbracciavano sotto casa sua come a voler dire “siamo qui”.

“Scendi Reiko-chan o saliamo noi!” urlò Kaminari come se fosse la cosa più normale di questo pianeta.

“Cazzo no! Ma che spacca cazzo che siete.”

Dopo aver sonoramente sbattuto le finestre, si diresse svogliatamente al piano di sotto per andare a vedere cosa volevano quei due. Non si sarebbe mai aspettata di trovarseli sotto casa, insomma, alla fine si conoscevano pure da poco. Ma soprattutto, non riusciva a capire come facevano a cercarla nonostante il suo caratteraccio.

“Prima che parta una denuncia, Kaminari abita nella tue stessa via e..” si interruppe non appena vide la mano di Reiko fermarlo.

Reiko abitava in una vecchia villetta dall’intonaco lilla, circondata da un piccolo giardino pieno di fiori. Non era molto grande, ma era sempre stata ottima per ospitare la ragazza e una anziana signora, ormai deceduta da quasi un anno. Infatti Reiko, dopo aver preso coraggio ed essere fuggita dal padre, aveva chiesto aiuto alla polizia e, successivamente, era stata affidata sotto stretta osservazione ad una anziana signora, ex hero. La donna era venuta a mancare per vecchiaia e Reiko si era ritrovata ad ereditare quella piccola villetta, ormai ufficialmente la sua dimora.

“Va bene, vi credo - rispose Reiko molto velocemente - ma cosa siete venuti a fare sotto a casa mia?”

“Ieri pomeriggio, fuori dalla scuola, ci sei sembrata un po’ turbata. Volevamo venire a vedere come stavi” Kirishima abbozzò un sorriso, dannatamente sincero, seguito subito da quello di Kaminari.

“Così abbiamo pensato di andare a fare tutti e tre un giro per divertirci!” concluse il biondo.

“Se siete venuti a chiedermi di quella fasciatura..” Kirishima la interruppe ancor prima che riuscisse a finire a la frase.

“No, siamo venuti qui a sapere se stai bene” intervenne serio in volto, quasi a volerle far capire che, se un futuro avesse avuto voglia di parlarne, loro sarebbero stati lì ad ascoltarla.

Reiko rimase ad osservarli, stava pensando sul da farsi, anche se in realtà non c’era molto da pensare: era meglio starsene a ribaltare casa dal nervoso a causa di quel sogno, oppure era meglio uscire e pensare a qualsiasi altra cosa di diverso?

“Tanto peggio di così non può andare - borbottò la Rossa mentre rientrava a prendere qualcosa da mettersi addosso di più pesante - Dai muovete il culo, siete già indietro” sbottò improvvisamente la ragazza non appena uscì dalla porta e li superò.

“Andiamo al centro commerciale!” urlarono all’unisono Kaminari e Kirishima.
 
 
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Atsuko era seduta in ginocchio, leggermente china su un piccolo altarino buddista posto su un comodino consumato dal tempo. All’interno di questo altarino vi era una foto di un uomo, ancora visibilmente in piena carriera, con un sorrisetto vispo sulle labbra, mentre una folata di vento lo ritraeva con i capelli scompigliati.

“Sono entrata alla Yuuei padre, anche se questo te lo avevo detto qualche giorno fa. Mi dispiace se mi ripeto, ma sono contenta di questo mio traguardo e – singhiozzò mentre le sue guance venivano rigate da due lacrime solitarie e silenziose - so che saresti orgoglioso di me”

Atsuko fece una pausa, voleva cercare di esternare i suoi sentimenti ad alta voce. Da quando era morto il padre, Tetsuya, si era rinchiusa in se stessa, come se da quel momento non le fosse più permesso esternare un qualche tipo di sentimento. La verità era però diversa. Da quando gli era a venuto a mancare il suo hero, così lo chiamava suo papà, era stata investita da così tante emozioni che non era più riuscita a controllarle, rinchiudendole a chiave in qualche angolo del suo cuore per paura che venissero di nuovo fuori.
Il padre, morto prematuramente, lavorava al servizio della polizia a stretto contatto con i pro-hero del quartiere dove abitava. Un giorno però, durante delle ricerche che gli erano state commissionate da una agenzia, l’uomo si imbatté in un villan e, nonostante l’arrivo dei soccorsi, nessuno riuscì a salvargli la vita. Tetsuya venne trovato disteso per terra, coperto di sangue con una parte del corpo leggermente ustionata e un unico colpo dritto al cuore.

“So che non vorresti vedermi in questo stato, ma ce la sto mettendo tutta per cercare la mia strada, per cercare di trovare degli amici - chiuse gli occhi per lasciare scivolare via le ultime lacrime - e ce la farò papà, te lo prometto”

Si alzò dal piccolo cuscino posto sul pavimento e si diresse fuori di casa. Aveva bisogno di prendere un po’ di aria, aveva bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe e abbandonare la sua mente a qualcosa di più leggero da sopportare.
In men che non si dica, si ritrovò nei pressi del parco dell’Hama Rikyu Onshi Teien, un famoso parco noto per le sue magnifiche fioriture nel periodo dell’Hanami e situato nei pressi di Ginza. Al centro di questo parco vi era un laghetto, costellato qua e là da delle canne di bambù e da qualche simpatica anatra in cerca di cibo.

“Oh, dei girini…” pensò Atsuko appoggiata alla staccionata del laghetto, intenta da qualche minuto ad osservare dei piccoli girini che nuotavano un po’ spaesati.

“Katsuo-chan, che bello vederti qui..chiru~” disse improvvisamente Tsuyu, una sua compagna di classe, che le era comparsa affianco.

“Oh..Asui-san!” la voce atona della ragazza dai capelli blu non lasciò trasparire un qualche tipo di emozione, anche se sicuramente non si sarebbe mai aspettata di trovarsi proprio Tsuyu mentre osservava dei girini. Che caso davvero curioso.

“Chiamami Tsuyu - proseguì la ranocchia abbozzando un sorriso - Katsuo-chan ti vedo preoccupata. E’ successo qualcosa? chiru~” chiese poi lei, con il suo solito atteggiamento molto diretto e senza giri di parole. Tsuyu era una ragazza davvero deliziosa, sincera, altruista, affiancata da una personalità calma e riflessiva. Insomma, era difficile odiarla.

Atsuko si ritrovò a fissare di nuovo i girini, indecisa sul da farsi. Aveva promesso al padre che sarebbe cambiata, che avrebbe trovato di nuovo la forza per rompere quelle catene che la tenevano imprigionata nel passato, trascinandola sempre di più in un luogo isolato e lontano nel suo io. Ma quanto era difficili tutto ciò?

“Katsuo-chan, non sentirti costretta” proseguì Tsuyu non appena vide l’indulgenza della sua giovane compagna.

“Mi ero persa in ricordi lontani..malinconici” disse Atsuko in un sussurro, tornando a fissare gli occhi da ranocchia di Asui. Non era riuscita a dirle chissà cosa, ma era già partita con il piede giusto e la piccola Tsuyu sapeva molto bene riconoscere gli sforzi sinceri delle persone.

“Perché non andiamo a fare un giro? - si portò l’indice sotto alla bocca, lo faceva spesso quando pensava - Sono certa che ti aiuterà a distrarti chiru~” proseguì esibendo un sorriso cristallino.

“Penso..penso che mi farebbe bene!” abbozzò un sorriso.

Le due ragazze si incamminarono dentro al parco di Hama Rikyu, mentre, con sorpresa di Tsuyu, Atsuko iniziò a parlarle di quanto sarebbe stato carino trasformarsi in una ranocchia, esattamente come lei.
 
 
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“Sei stato cattivissimo, Katsuro-chan... forse potevi anche risparmiarti un po’!” disse tra un risolino e una smorfia di dolore Kokoro, massaggiandosi le braccia doloranti.

La giornata di scuola era finita in gloria per Kokoro, Reiko e Atsuko, che erano riuscite a sconfiggere il loro “villain” nel corso dell’esercitazione. Certo, il villain si era rivelato essere il fidanzato di Kokoro stesso, ma questo non si era tradotto in una vittoria automatica, anzi! Tra ustioni e colpi che le avrebbero danneggiate molto più gravemente se non avessero avuto i loro quirk, Katsuro, a.k.a. Kagutsuchi, le aveva conciate davvero per le feste.
Tuttavia, la recita era finita e, un po’ dispiaciuto, il ragazzo era andato, come tutti gli altri giorni scolastici che glielo permettevano, a prendere Kokoro a fine lezioni per accompagnarla a casa. Il ragazzo, seppur mostrandosi goliardico, si era scusato per l’irruenza e Kokoro, scherzando, gli aveva risposto di conseguenza.

“Oh, andiamo! Pensavo foste delle dilettanti! Capisco te, visto che ci alleniamo insieme da anni, ma non pensavo che anche le altre due fossero così dure da buttar giù... la vostra classe è piena di tizi assurdi, non fosse che c’è pure il figlio del boss...” concluse ridacchiando Katsuro, prendendo la sua ragazza per mano.

“Eh beh, noi ragazze siamo toste! Anche più forti delle tue belle fiammelle!  - ridacchiando anche lei e punzecchiandolo sul fianco per fargli solletico - Comunque è vero! Todoroki-kun è il figlio di Endeavor! Il tuo capo è felice che suo figlio sia entrato alla U.A.?”

Katsuro sospirò “...non ne parliamo, ti prego... va in giro ad urlare il suo nome in continuazione e a dire a tutti come suo figlio sarà superiore a All Might e tutto il resto... guarda, io lo stimo, però sembra davvero un pazzo quando...”

“Buonasera, sorellina...”

Quella voce, graffiante eppure flebile, interruppe la camminata dei due lungo la consueta strada verso casa della ragazza, dove ormai anche Katsuro passava buona parte del suo tempo. Da dietro un palo, quasi sbucando dal nulla e illuminato appena dalla luce del sole quasi tramontato, un ragazzo, più o meno della stessa altezza di Kokoro ma decisamente più magro, si era fatto avanti e si era messo davanti a loro.
Il viso era coperto per metà dal cappuccio di una felpa grigia sporca e logora, le cui maniche erano tranciate più o meno all’altezza del gomito, rivelando due braccia fin troppo magre e completamente avvolte da bende macchiate di sangue, più o meno rappreso.
Katsuro, di istinto, si pose davanti alla sua ragazza e si mise in guardia, ma Kokoro subito di fece nuovamente avanti, stranita.

“Dici a me?!”

Il ragazzo misterioso inclinò la testa di lato, tirò fuori le mani dalla tasca centrale della felpa.

“Certo, Kokoro-chan... sei la mia sorellina, no? Non ti ricordi di me?” ridacchiò. Detto questo il ragazzo si tirò via il cappuccio, mostrando finalmente il suo volto.

Era pallido, e magro, con una coppia di tre cicatrici, quasi fossero state inferte dagli artigli di qualche animale, sulla guancia sinistra e in corrispondenza dell’occhio destro; il collo presentava, sulla parte posteriore e poco sotto la nuca, una pesante fasciatura, con evidenti chiazze di sangue raffermo. Ma il viso, pur nel pallore e pur nella magrezza, con gli occhi verdi e i capelli fulvi, lo facevano tremendamente assomigliare a Kokoro. Certo, i lineamenti erano più mascolini, ma i due potevano benissimo essere..

“Gemelli! - esclamò il ragazzo, sorridendo in maniera piuttosto inquietante - lo so che lo stavate pensando! Sono così simile a te da poter essere gemelli! Ed infatti lo siamo!” disse, scoppiando a ridere per qualche secondo per poi ammutolirsi di colpo nel vedere che i due, più che consolati da quella sua rivelazione, ne sembravano profondamente turbati.

“Ehi... che cazzo ti prende?! - disse ringhiando verso la ragazza - sono tuo fratello gemello! Non ti ricordi di me?!”

A quel punto, anche Kokoro si mise in guardia, al fianco di un Katsuro che già emanava le prime fiammelle. La cosa non parve essere di particolare gradimento al ragazzo misterioso, che pure non sembrava intenzionato ad attaccarli. Se ne stava semplicemente lì a fissarli, gli occhi iniettati di sangue e cerchiati da profonde occhiaie ben puntati su di loro, quasi volesse trasmettere una profonda insoddisfazione.

“Mamma e papà mi hanno proprio cancellato dalle loro vite, eh... eppure abbiamo vissuto 3 anni insieme... non ricordi? No... ovviamente no... è colpa mia in effetti se...” strinse la mano fortissimo e qualcosa sembra vibrare attorno a lui. Le ferite sulla mano si riaprono e le bende si sporcano di sangue fresco.

“Ehi, aspetta un secondo! - Kokoro si fece avanti, tendendo la mano - Non esagerare, ora, su! Va tutto bene? Vuoi una mano?”

“Kokoro... allontanati...” le disse tra i denti Katsuro, all’erta. Aveva riconosciuto quei poteri, e ormai il dubbio sul rapporto di fratellanza tra i due diveniva sempre più fondato: era telecinesi, la stessa telecinesi che usava Kokoro. Katsuro ne era così abituato da poterla riconoscere all’istante.

“No... non sto bene... ma presto rimedierò... così come mi leverò di dosso il maledetto nome Kyoriido... ci rivedremo... sorella... cognato...” disse con sprezzo il ragazzo, facendo un balzo indietro innaturalmente ampio, spinto da una potentissima ondata di energia telecinetica che respinse persino i due ragazzi.

Kokoro e Katsuro rimasero a fissare il vuoto per alcuni, interminabili istanti, prima di guardarsi, perplessi, a vicenda.

“Katsuro-kun... pensi che...”

“Era uguale a te... e i suoi poteri...”

“Ma come è possibile?! Come potrei non... e i miei genitori... cosa diavolo significa?!” disse Kokoro, frustata, emanando una leggera onda d’urto. Katsuro le si avvicinò e la abbracciò prima di fissarla, serio, negli occhi.

“C’è un solo modo per scoprirlo... i tuoi genitori sono ancora fuori per lavoro no?” chiese il ragazzo, scuro in volto.

“Si... per ancora un paio d’ore si... perché?”

“Tra un annetto circa, farai con la classe un’esercitazione per migliorare le doti investigative... beh... diciamo che oggi ti farò fare un corso accelerato...”.

Detto questo, Katsuro afferrò saldamente la mano di Kokoro e corse con lei sulla via di casa, lasciandola tuttavia sempre più disorientata e confusa...
 
 



Setacciarono palmo palmo tutto l’appartamento di Kokoro, cominciando dal salotto, dalla cucina e persino arrivando allo studio del padre. Nulla, nessuna traccia di alcuna carta, o persino di foto, che attestassero l’esistenza di un misterioso fratello.
La ricerca aveva snervato non poco Kokoro, impaziente e scossa per l’accaduto, ma Katsuro, con il viso contratto dalla tensione, si stava applicando meticolosamente alla ricerca, spingendo la ragazza a fare altrettanto. La mancanza di risultati però non aiutava ad alleviare la tensione.

“E’ tutto inutile! - urlò Kokoro, mentre frugavano nella camera da letto dei suoi genitori - Non stiamo trovando nulla! Sono solo una stupida ad aver pensato che quello là potesse essere mio fratello!”

“Non sei una stupida, il dubbio è molto più che fondato... ma guarda il lato positivo: se non è tuo fratello, i tuoi non ti nascondono nulla e vuol dire che hai solo uno stalker pazzo che ti vuole perseguitare!” disse il ragazzo, assorto mentre esaminava le ricevute delle bollette pagate nell’ultimo anno dal papà di Kokoro, trovate nel cassetto del suo comodino.

“E TI PARE UNA CONSOLAZIONE!” disse la ragazza, furibonda e rossa in viso.

Katsuro si voltò: “È meglio che i tuoi genitori ti abbiano nascosto l’esistenza di un fratello o dover interpellare la polizia e qualche eroe per togliere di mezzo nel giro di 48 ore un criminale come tanti?”

Kokoro si calmò un attimo e fissò il suo ragazzo esterrefatta prima di abbassare lo sguardo: “Forse hai ragione... ma comunque è una cosa inquietante, ok?!” disse stizzita mentre batteva per terra un piede per cercare di scaricare la tensione.

Ma, proprio in quel punto, dove poco prima aveva battuto il piede, qualcosa sembrò non quadrare. Kokoro provò a ribattere il piede, provocando un rumore sordo, quasi come se sotto a quel punto il pavimento non fosse pieno.
Entrambi i ragazzi si zittirono all’istante e osservarono la parte di pavimento in legno, coperta dal tappeto, su cui poggiava il piede di Kokoro e subito si misero all’opera: spostarono il tappeto e scoprirono che sembrava esserci una specie di piccola botola. Con mano tremante, Kokoro ne afferrò la piccola insenatura che fungeva da maniglia e la sollevò, rivelando una grossa cartella.
Katsuro la tirò fuori e, mentre la ragazza richiudeva la piccola botola, la poggiò sul pavimento, aprendola e facendo volare via una piccola foto istantanea. Con la telecinesi, Kokoro la recuperò e se la fece volare tra le mani, osservandola: nella foto c’erano due neonati con un ciuffo di capelli rossi sulle teste, posti ancora nelle incubatrici, e sotto la foto, nello spazio bianco, erano scritti due nomi: Kokoro e Taro.

Le mani di Kokoro presero a tremare ma nel frattempo Katsuro stava sfogliando i documenti, leggendoli rapidamente, finché non lesse ad alta voce un nome: “Clinica Fuyutsuki di Rieducazione, Limitazione e Contenimento... che diavolo...?!”

Kokoro gli si avvicinò di scatto e cominciò a leggere i documenti che il ragazzo aveva in mano: erano stampati su carta intestata di quella misteriosa struttura e riportavano i dati di un ricovero: “Taro... Kyoriido... lui è... lui è...”

Katsuro, sconvolto, le prese la mano, leggendo: “Il soggetto è stato ricoverato dopo che, in un attacco di rabbia improvviso, ha devastato parte della sua casa e ferito quasi fatalmente la sorella minore, ancora priva di qualsivoglia quirk... Kokoro... tu... tu hai una cicatrice dietro la nuca...” concluse, incredulo, fissandole la leggera linea bianca che si intravedeva sotto i capelli rossi.

Kokoro aveva le lacrime agli occhi eppure continuò a leggere il referto, seppur in modo frammentario: le parole che le risaltarono agli occhi le ferivano il cuore in modo quasi insopportabile. Internamento indefinito; Tentativi di rieducazione falliti; Autorizzazione al trattamento sedativo continuo...

“Ho un fratello... ed è stato tenuto drogato e rinchiuso in un manicomio... per undici anni?!”

Ormai le lacrime sgorgavano copiose dai suoi occhi mentre Katsuro la stringeva forte a sé mentre continuava a leggere le carte della cartella. Non c’era, in effetti, molto altro, solo vaghi riferimenti ai pagamenti fatti alla clinica e al ricovero della piccola Kokoro dopo la ferita alla testa che le aveva provocato, come anche pronosticato dai dottori, una leggera amnesia.
Il resto della cartella conteneva certificati di nascita e foto di famiglia con entrambi i bambini immortalati: tutto quello che rimaneva della vita, cancellata, del povero Taro Kyoriido.
I due, immersi nella lettura, non sentirono la porta dell’appartamento aprirsi, come non udirono i genitori di Kokoro avvicinarsi preoccupati alla porta di camera loro, rimanendo inorriditi nel vedere i due ragazzi leggere i resti di un passato che volevano cancellare.
Quando si accorse della loro presenza, Kokoro fissò i suoi genitori con odio profondo.

“Come... avete... potuto...” ringhiò piangendo copiosamente, prima di urlare improperi di ogni tipo contro di loro.

Le fondamenta stesse della casa parvero tremare quella notte, sottomesse alla furia di Kokoro prima che Katsuro, disperato, non la portasse via, incurante delle preghiere e delle richieste di perdono dei genitori di lei.
I due passarono la notte nella casa dei tutori di Katsuro e Kokoro non disse più neanche una parola. Trascorse la notte a piangere tra le braccia del suo ragazzo, tremando al solo ricordo di quel ragazzo così disperato che un tempo era stato suo fratello.
Un fratello cancellato dalla memoria... un fratello che era tornato a reclamare il posto che gli spettava... o forse anche peggio.













♚Angolo autrici! ♚
Saaaaalve! Come state? ^__^
Ecco a voi il terzo capitolo, con tanto di disegno, questa volta leggermente diverso dagli altri che avete visto! Abbiamo deciso di rappresentare tre situazioni diverse che avvengono nella storia!
Questo capitolo è un po' particolare, si distacca dalla trama per soffermarsi su un aspetto molto importante: il passo delle tre protagoniste! Ovviamente non si sa ancora molto, ma già ci danno un'idea di quello che potrebbe succedere in futuro e del perchè alcuni personaggi sono stati rappresentati in questo modo. C'è ancora tanto da scoprire, quindi spero vi sia piaciuto questo capitolo e che abbia destato un po' di curiosità ^__^
Alla prossima <3

 
   
 
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