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Autore: TsubasaShibahime    25/02/2019    0 recensioni
" Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino.
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. -
- Hyung, non... -
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava.
- Non lasciarmi solo hyung.. - "
Genere: Angst, Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Yongguk, Zelo
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La mattina seguente, quando riaprì gli occhi, Junhong non era più al suo fianco. Quasi si maledì per aver ceduto al sonno e non esserselo goduto abbastanza, per quanto fosse riuscito a resistere fino alle cinque e mezza del mattino, quando il sole stava già per sorgere. 
Il piccolo Junhong si era assopito al suo fianco poco dopo aver iniziato a singhiozzare. Nessuno si era azzardato a dire una parola. Yongguk non poneva domande, Junhong non spiegava le proprie ragioni, ma nel silenzio più assoluto di quel mattino ancora tenebroso, sembravano aver stretto un patto che prevedeva di non avere più fretta, di prendersi i propri tempi perchè da quel momento in poi non avrebbero più dovuto temere di perdersi. Era ovviamente illogico. Era forse una promessa che nessuno dei due poteva fare con assoluta certezza, ma si trattava ugualmente di ciò che entrambi erano riusciti ad interpretare dal dettato scandito dei battiti dei loro cuori. 
Yongguk l'aveva cullato tra le sue braccia tutto il tempo, rimboccandogli le coperte di tanto in tanto e osservandolo quasi senza batter ciglio, correndo probabilmente anche il rischio di diventare inquietante. Ne valeva la pena perchè se si trattava di uno dei suoi soliti sogni, voleva goderselo il più possibile, nonostante sapesse che il mattino seguente, una volta aperti gli occhi, sarebbe stato più triste di qualunque altro. Eppure il giorno seguente seppe di non aver sognato quella notte, che il profumo nell'aria che avvertiva, che il fatto che il suo corpo fosse praticamente appiattito solo su un lato, lasciando molto più spazio sulla destra del materasso, erano tutte prove che Junhong era davvero stato lì quella notte. 
Dato che non si erano detti nulla non sapeva per quale ragione dovesse necessariamente nascondersi, fuggire dalla sua camera come un amante dalla coscienza sporca, e tornare, probabilmente, nella grande serra, ma sapendo dove poteva trovarlo non si sentiva troppo preoccupato. Gli sarebbe bastato entrare di soppiato in quella suggestiva costruzione e porgli qualche domanda alla quale sperava Junhong avrebbe risposto senza fare troppe storie. 
A prescindere da tutto il resto, per la prima volta dopo moltissimo tempo, da appena sveglio il suo umore era già alle stelle. 

Quando Yongguk si decise a fare un primo passo verso Junhong quella sera stessa, Hyoseong si era appena ritirata nella sua camera, dopo aver portato l'abbondante cena a Junhong che, tuttavia, giorno dopo giorno, si rivelava sempre meno una buona forchetta. Amava le cose dolci, ma tutto il resto non lo faceva impazzire particolarmente. Tra l'altro era estremamente lento a mangiare qualunque cosa, poiché a quanto pare fantasticare era per lui un hobby che non poteva lasciar perdere neanche per un attimo e restava dunque per interi minuti con le bacchette a mezz'aria scrutando il nulla. Hyoseong era davvero esasperata. 
- Già, credimi, stargli dietro sembra una passeggiata, i signori la fanno facile qui dentro! Mh? E' logico che io mi sia affezionata, me ne prendo cura sin da quando era un bambino, ma non posso dedicargli tutta la vita, no? Se fosse più grande potrebbe nascere una storia d'amore, avrei un motivo in più per andargli a fare visita ogni giorno, per più di una volta. - sbuffò Hyoseong, portando il cellulare dall'orecchio destro a quello sinistro con un movimento fulmineo. L'amica annuiva di tanto in tanto, facendole intendere che l'ascoltava con attenzione. Sapeva bene che certe informazioni riguardanti quella questione non sarebbero dovute uscire da quelle quattro mura, ma erano amiche d'infanzia e senz'altro di lei si poteva fidare. Non aveva dubbi. 
- Quindi questo sabato non verrai con noi al mare? - si azzardò a chiedere l'amica. 
- Questo sabato? Aish, impossibile. I signori partono per la solita gita del mese, giusto per far credere a tutti che sono una stimabile famiglia felice. E io? Io devo restare qui per Junhong. Non dico che mi dispiaccia! Quel ragazzino ha davvero bisogno di me. Mh? No, non sarò sola in casa, ma il tutor d'inglese non sa niente di lui e il maggiordomo non ha idea di cosa sia il tatto, Junhong lo odia e ha in qualche modo paura di lui. Non credo sia il caso di far subire altri traumi a quel poverino, meglio trattarlo con delicatezza. - 
L'amica sospirò. Purtroppo il senso del dovere e di conseguenza il lavoro di Hyoseong venivano sempre prima di qualunque cosa, dell'amicizia, dell'amore, della propria vita privata. 
- Beh, ci sentiamo, mh? Si, faccio una doccia e vado a letto. Dormi bene unnie, a presto. - 
E con un sorriso chiuse la chiamata, lanciando il cellulare sul letto un attimo dopo. Era davvero quella la vita che desiderava? Naturalmente no, ma il denaro era ciò che mancava a lei e alla sua famiglia e un lavoro del genere non poteva lasciarselo sfuggire, forse anche un po' per timore che non la lasciassero andare via o che quantomeno non la lasciassero andare via viva. 
Frustrata, si affacciò alla piccola finestra della camera, del tutto differente dai bei balconcini della facciata principale della casa, ma da quel punto, quando abbassò lo sguardo tralasciando il cielo stellato che la rendeva solo maggiormente una sognatrice disperata, notò una scena curiosa. 
Bang Yongguk, quell'idiota di Bang Yongguk, con un ridicolo passo cauto, si avvicinava alla porta arruginita della serra, poi la apriva e si infilava all'interno. A primo impatto Hyoseong sentì il cuore palpitare. Qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere era appena successo, era successo sotto i suoi occhi increduli. La prima cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe dovuta essere scendere rapidamente le scale, raggiungere la serra e... fare cosa? Senza alcun dubbio entrando Yongguk avrebbe visto Junhong, si sarebbe chiesto cosa ci faceva lì, avrebbe cercato delle risposte. Se Hyoseong fosse piombata lì all'improvviso non sarebbe servito comunque a risolvere nulla, non era il genere di persona che pur di proteggere quel segreto si sarebbe macchiata di un qualche crimine, senza farsi alcuno scrupolo. Era impossibile per lei, non le passava neanche per l'anticamera del cervello. Rimase a guardare. Spostò solo gli occhi verso destra, esaminando la situazione all'interno dai pochi buchi in cima al tetto della serra, dai quali aveva sempre spiato Junhong per fare attenzione che non si allontanasse, che non uscisse senza permesso (mettendo sottinteso che ovviamente il permesso non l'aveva mai avuto). 

Bang Yongguk, quell'idiota di Bang Yongguk, era riuscito ad entrare di soppiatto nella serra, combattendo il buio e il sonno che gravava su di lui come un masso. Aveva puntato la sveglia a quell'ora dopo essere andato a letto un attimo dopo aver cenato e aver lavato i denti, così da essere il più energico possibile per parlare con Junhong quella sera. Se ci si chiede se avesse considerato il fatto che Junhong fosse altrettanto mortale e che generalmente durante la notte dormisse beh, no, non l'aveva affatto considerato. Appurato, povero illuso, che nessuno l'avrebbe visto, si chiuse la porta scricchiolante alle spalle e quando si girò aveva già pronto un sorriso da rivolgere a quello che, purtroppo per lui, era un Junhong addormentato, o almeno così sembrava. Non appena sospirando si avvicinò a lui di qualche passo, rassegnato all'idea di limitarsi a guardarlo mentre vagava nel mondo dei sogni, gli occhietti vispi del più piccolo si aprirono e in un attimo il suo sorriso, ben più luminoso delle lanterne sulle pareti della serra, fece sembrare quella notte estiva un po' meno buia. Yongguk rispose con un sorriso e si mise a sedere al suo fianco sotto ordine di Junhong che aveva appena battuto con il palmo della mano destra sul tessuto all'apparenza resistente di quella sorta di altalena dalla quale generalmente Yongguk si teneva alla larga per via di una brutta caduta risalente più o meno all'età di cinque anni. Meglio non pensarci. 
- Speravo venissi, hyung - mormorò Junhong, facendogli un po' di spazio sull'amaca, senza alzare gli occhi, pensando di aver detto una frase troppo imbarazzante per i suoi standard, insomma, probabilmente non l'aveva mai detta a nessuno prima di allora. E pensare che non era neanche niente di che. 
Yongguk annuì, probabilmente più impacciato dell'altro. Aveva tante domande da porgli, ma per il momento sembrava che la sua mente si fosse svuotata, come se stupidamente gli bastasse stargli accanto, ignorando il passato. 
- Ti cercavo - disse Junhong, che fece sentire Yongguk un vero incapace, era sei anni più grande di lui e non sapeva neanche rompere il ghiaccio. Non gli restava che silenziare e attendere che fosse lui a parlare. 
- S-So che ero piccolo e che fino a ieri non ricordavo il tuo volto alla perfezione, ma giuro che sapevo di dover venire a cercarti e... e ovviamente non avevo dimenticato quella promessa. -
Yongguk stava per aprire bocca, ma Junhong riprese, come per timore di esaurire il coraggio di dar voce al suo cuore. 
- Sapevo che saresti tornato. Lo... lo sapevo, ma avevo paura che non riuscissi più a trovarmi. Per questo ogni tanto cercavo di scappare da qui per venire a cercarti, m-ma non conosco bene Seoul, se mi fossi perso Hyoseong sarebbe finita nei guai, non potevo permettermelo e... - 
Yongguk sollevò entrambe le mani mostrandogli i palmi, con un'espressione che gli avrebbe lasciato intendere che forse era il caso di rallentare un attimo perché davvero, non ci stava capendo niente. Gli era tornata in mente una sola cosa. Quando aveva parlato di essere uscito a cercarlo, si era improvvisamente ricordato di quella prima sera, la sera in cui, troppo curioso per restare chiuso in camera come avrebbe dovuto fare, era incappato in una situazione scomoda dalla quale era fuggito il prima possibile, durante la quale qualcuno, che fino a quel momento aveva creduto potesse essere unicamente Daehyun, aveva fatto una bella bravata scappando di casa di notte e guadagnandosi l'insopportabile ramanzina di Hyoseong. Si trattava invece di Junhong. Era Junhong che nel pieno della notte si armava di zainetto pieno di chissà cosa e usciva a cercarlo, probabilmente senza riuscire ad andare oltre il perimetro del vicinato. 
E allora non gli restò che sorridere quando si rese conto che in realtà appena messo piede a Seoul aveva avvistato il vero Junhong, con un berretto rosso in testa, che goffamente attraversava le strisce pedonali, rischiando di far cascare la sua maschera da perfetto tutor diligente davanti all'attempato maggiordomo sin dal primo momento. L'aveva dunque già incontrato in passato e non era stato capace di riconoscerlo in alcun modo nonostante chissà quante volte l'ombra di Junhong l'aveva sfiorato senza che se ne accorgesse.
Junhong inclinò il capo confuso vedendo quel sorriso stampato sul suo viso, ma Yongguk si affrettò a rispondere alle sue parole, altrimenti sarebbe sembrato che non gli avesse prestato attenzione neanche per un secondo. 
- Junhong, capisco che probabilmente non sarà facile per te, ma ho bisogno che mi spieghi cosa ti è successo in questi anni. Capirai che anche il fatto che... vivi in questo posto... non è esattamente normale, no? -
Lui sollevò le spalle e sospirò, consapevole della cosa, ma a quanto pare rassegnato e senza molte speranze a riguardo. Yongguk continuò. 
- Tanti anni fa... ho trovato la notizia della tua morte su un giornale locale. Per tutto questo tempo ho creduto tu fossi morto annegato nel fiume Han. Ho bisogno di spiegazioni adesso, non posso più aspettare. - 
Lo sguardo di Junhong penetrava il terreno, tentava disperatamente di diradare la matassa di ricordi confusi. Perché era lì dentro? Perché era ancora vivo? 

-
16 Ottobre 2001

Le gocce di pioggia battevano sull'asfalto con ritmo irregolare, come volessero dargli il tormento, come se i tuoni che risuonavano in cielo fossero le fragorose risate delle nuvole che si divertivano tanto a punzecchiare il suolo. 
- Lo hyung è andato via - 
Gli occhi di Junhong vagavano al di là della finestra. Il cielo color grigio topo, per niente insolito per quel mese, gli sembrava ancor più mesto. 
- E' andato via... - 
- Non sai dire nient'altro? - sbottò acida la signora Jung, magra e bianca come sempre, probabilmente sin dal momento della sua nascita. 
Junhong tenne la bocca chiusa e gli occhi fissi fuori dalla finestra, pieni di lacrime come le pozzanghere lì fuori erano piene d'acqua piovana. 
- Mamma, Junhong non sta bene? - domandò Daehyun che era da poco tornato da scuola. Non gli era permesso di parlare a Junhong, sua madre diceva che altrimenti sarebbe diventato stupido quanto lui, ma Daehyun era un bambino molto socievole, molto buono, ma altrettanto ubbidiente. Non aveva mai rivolto la parola a Junhong, neanche quando lo incrociava in corridoio e nessuno rischiava di vederli. 
- Smettila Daehyun, sai che se ne occupa Hyoseong, è affar suo. - rispose acida la madre, sistemando lo scialle rosso in lana sulle spalle, mentre sprofondava maggiormente nella poltroncina fiorata sui toni del bordeaux, che pomposa e gonfia com'era sembrava divorare la sua esile mole. Daehyun si mise a sedere di fronte a lei con un libro sulle cosce, dando uno sguardo al testo e uno alle spalle minute di Junhong che teneva le manine sul vetro gelido. Purtroppo non era affar suo. 
Il signor Jung arrivò in salotto, si sfilò la giacca e sorrise a Daehyun e alla moglie. Poi spostò anche lui gli occhi su Junhong, seguendo la traettoria di quelli del maggiore tra i suoi due figli. 
- Qualcosa non va, Junhong? - domandò, mettendosi a sedere sullo stretto davanzale interno della finestra, imbottito di un cuscino in velluto color avorio. 
- Sto aspettando che lo hyung torni - disse Junhong, spostando gli occhi neri sul volto del padre, come covando la speranza che potesse aiutarlo ad accelerare il tempo. - Lo hyung ha detto che tornerà a giocare con me ieri. D-Devo aspettarlo, papà... con questa pioggia potrebbe arrivare e non trovarmi, se resto qui potrò vedere se arriva e correre fuori... - 
Il padre non sapeva di cosa stesse parlando, ma il giorno prima aveva compiuto solo sei anni ed era normale che un bimbo di quell'età vagasse con la fantasia. Doveva trattarsi sicuramente di un amico immaginario. 

- E tutti vissero felici e contenti, capito Junhong? Adesso sistemati sotto le coperte e chiudi gli occhi, mh? - Hyoseong aveva in programma una lunga telefonata con la sua migliore amica, doveva assolutamente raccontarle di quanto fosse avvenente il nuovo giardiniere. 
Junhong però sembrava voler ostacolare i suoi piani. Era scivolato un po' più sotto le coperte, ma teneva gli occhi socchiusi puntati sul profilo del suo coniglietto di peluche marrone con due bottoncini bianchi per occhi, mentre con le caviglie teneva stretto e ben nascosto il peluche di Yongguk. Sapeva che se avessero trovato un giocattolo vecchio come quello l'avrebbero buttato, pensando di fargli un favore. Il piccolo Junhong l'avrebbe protetto con tutte le sue forze. 
- Noona... - 
Hyoseong fece roteare gli occhi e forzò un sorriso - Si, Junhongie? - 
- Dov'è la mia mamma? - mormorò, tenendo gli occhi bassi. 
Era una domanda che faceva stringere il tenero cuore di Hyoseong, nonostante gliela facesse praticamente ogni giorno, insieme a quella strana frase, a quel " lo hyung è andato via " o qualcosa di simile. 
- Junhong.. te l'ho già spiegato. - 
- Me lo spieghi ancora una volta? - 
- La mamma è andata via. E' andata in un posto... più bello, tra le nuvole. Lì c'è una casa grandissima, anzi, un castello, tutto per lei. E' davvero felice lì, sai? - 
- E io.. ? - 
- Tu Junhong sei ancora troppo piccino per andare in quel posto, quando sarai tanto, ma tanto grande potrai raggiungere la mamma. Ma tra molto, molto tempo. Nel frattempo che sei qui dovrai fare del tuo meglio, essere un bravo bambino, perché la mamma ti guarda dall'alto e sa tutto ciò che fai. Se farai il monello potrebbe sgridarti. - 
Junhong sospirò, sparendo sotto il piumone. 
- Voglio che la mamma mi sgridi. - 
Hyoseong lasciò la camera con il cuore a pezzi, era al servizio di quella casa da tre anni, da quando sua madre aveva dovuto lasciarla e non era rimasta che lei per alimentare un minimo le finanze della famiglia. Aveva avuto dunque modo di farsi apprezzare e di far sì che si fidassero di lei e così, semplicemente per soddisfare la sua vena da pettegola, era venuta a conoscenza degli spiacevoli segreti di quella casa. 
Junhong era uno di quei segreti. Il bimbo illeggittimo del presidente di una multinazionale e della sua modesta segretaria, morta per qualche ragione di cui Hyoseong non era a conoscenza appena un giorno dopo aver partorito il suo unico bambino. Era una storia straziante che non avrebbe mai potuto spiegare al piccolo Junhong, che le era stato affidato da quella che era una "famiglia" detta così giusto per etichetta. 

Nonostante la signora Jung non degnasse di uno sguardo Junhong e lo trattasse come un estraneo, o forse, addirittura, come un soggetto pericoloso da evitare a tutti i costi, il piccolo Junhong non portava rancore. Probabilmente non aveva neanche idea di cosa fosse il rancore. Era felice di poter avere il suo papà con sé, si sentiva contento quando gli rivolgeva uno sguardo in più rispetto al solito o quando gli chiedeva come stesse, quando gli raccontava qualcosina su sua madre e anche quando, almeno negli ultimi tempi, prese a consolarlo per la scomparsa di quel suo "hyung", che era ancora convinto fosse un personaggio immaginario che Junhong aveva creato per sé per compensare l'assenza di amici. D'altronde Junhong non poteva uscire di casa. Nessuno doveva sapere della sua esistenza. Nel pomeriggio gli era consentito di uscire in giardino, ma raggiungere solo l'ala est di quell'immensa distesa verde, dove le siepi erano abbastanza alte e fitte da negare a chiunque di poter scorgere il piccolo errore che rendeva la coscienza del signor Jung così sporca. 
Accettare il fatto che Yongguk fosse andato via, senza dargli una spiegazione, senza lasciare che intuisse nulla, non potè che lasciare dentro di lui una profonda tristezza, una voragine che a stento riusciva a riempire con i sorrisi e la genuina felicità che generalmente qualunque bambino della sua età avrebbe dovuto avere. 

- Hyoseong, ho lasciato un mazzo di rose sulla scrivania di Junhong, ricordagli il suo piccolo compito per oggi, va bene? - disse il signor Jung che ci teneva particolarmente che la bassissima percentuale di possibilità che la signora Jung iniziasse a provare un po' di simpatia per Junhong venisse sfruttata. La donna aveva ricevuto quella mattina un'importante promozione sul lavoro e aveva deciso di organizzare una bella cena di famiglia in un ristorante di lusso. Naturalmente Junhong non era compreso nella famiglia, ma il Presidente aveva ugualmente pensato che fosse il caso che quel piccoletto dagli occhi grandi si congratulasse con lei in qualche modo. Un bel mazzo di rose bianche gli sembrava adatto. 
Junhong prese quel piccolo compito con piacere, poiché come già detto il termine "rancore" non apparteneva al suo dizionario, e poiché nutriva il semplice desiderio di far sorridere quella donna che gli sembrava sempre così acida e accigliata. 
Mentre Daehyun era chiuso in bagno, tutto intento a cantare sotto la doccia, e il signor Jung stava per tornare dal lavoro, Hyoseong mise il grande mazzo di rose tra le braccine incerte di Junhong e lo spinse fuori dalla sua camera. La signora Jung, avvolta in un lungo abito di seta blu, adatto alla serata elegante della quale sarebbe stata la protagonista, stava giusto per scendere le scale. Timido com'era Junhong tentò un paio di volte di scappare dal lato opposto del corridoio, ma Hyoseong riuscì a riprenderlo abbastanza in fretta e costringerlo a fare marcia indietro e affrontare la situazione. Alla fine, con le guance tutte rosse, si parò di fronte alla donna in blu, attirando il suo sguardo un attimo prima che scendesse il gradino. Il piccino non disse nulla. Si limitò a sollevare il mazzo di fiori sperando non gliene cadesse nessuno e le mostrò un sorriso timoroso, ma sincero. 
Gli occhi di lei, neri come la pece, che nascondevano chissà quali turbe, chissà quali ricordi passato che avevano pressato la curva della sua personalità fino a farle prendere una connotazione nettamente negativa, non tradivano nient'altro se non ira. L'ira per un cuore tradito più volte, la prima volta nello scoprire che il suo uomo non l'amava come ella in realtà credeva, la seconda quando aveva aperto gli occhi sull'oggettività della sua schiavitù come moglie di un importante personaggio pubblico, al pari di una escort di buon costume, e ancora una volta quando aveva dovuto accettare sotto il suo medesimo tetto il frutto del tradimento del marito. Quei fiori, quel sorriso innocente, sembrarono volerla sbeffeggiare ancora una volta e di fronte a sé vide concretizzarsi le paure, le sofferenze, tutto ciò che aveva patito in quel tempo, quasi sotto forma di gelide salamandre che senza trovare ostacoli attraversarono le fiamme della sua ira avvelendole il cuore. 
- Io ti rovinerò - annunciò con un tenebroso sorriso, mentre Junhong inclinava il capo e non riusciva a capire cosa intendesse, voleva forse dire che le rose non le erano piaciute? Che non avrebbe accettato il suo regalo? 
La donna, avvolta da quella seta leggera, abbandonò la stabilità acquistata sul pianerottolo e, con ancora lo sguardo puntato sul bambino, si lasciò cadere all'indietro sulle scale. Il suo corpo venne sballotato violentemente tra i gradini e raggiunse il piano terra con un tonfo spaventoso. Junhong lasciò cadere i fiori per terra, con gli occhi sgranati per ciò che era appena accaduto. Era paralizzato dalla paura, dalla preoccupazione e neanche l'urlo acuto di Hyoseong che aveva appena raggiunto la scala e che si precipitava ora verso il corpo privo di sensi, servì a svegliarlo. 


- Ti prego, portalo via! Non voglio vederlo! Ho rischiato la vita per colpa sua! - 
- E' solo un bambino, come può aver... - 
- L'ha fatto! L'ha fatto! Mi ha raggiunta con un mazzo di fiori tra le braccia, delle rose bianche, ha urlato che non ero sua madre, ha detto di odiarmi, poi ha lanciato il mazzo di fiori sul parquet e mi ha spinta con entrambe le mani, con tutta la sua forza. Stavo giusto per scendere il primo gradino quando l'ha fatto, ero in bilico, gli è bastato farmi perdere l'equilibrio e sono caduta. L'ho sentito ridere mentre cadevo. Quel bambino ha attentato alla mia vita! - 
- Parla piano, ti prego, non alzare la voce. Sarebbe uno scandalo se si venisse a sapere qualcosa del genere. - 
- Portalo via da quella casa. Portalo via. Non permetterò che stia sotto il mio stesso tetto. Dallo ad un orfanotrofio, abbandonalo. Non voglio vivere assieme a quell'assassino! - 

Le parole della signora Jung sembravano assurde anche per le orecchie del Presidente, nonostante fosse abituato a sentirla delirare, vittima del flusso continuo delle sue ansie, ma in quel caso tutto andava contro Junhong, anche Hyoseong stessa aveva descritto la scena vista, con Junhong paralizzato come se avesse appena fatto qualcosa di orribile, il mazzo di rose bianche a terra, forse l'unico reale inanimato testimone di quell'avvenimento. 
Il Presidente non potè che assecondare le richieste della signora Jung, almeno in parte. Non poteva rischiare che scoppiasse uno scandalo. Le dicerie, i gossip, per un imprenditore come lui che teneva le redini troppo sottili di un purosangue economico, erano più taglienti di una lama. Rischiare non era nel suo stile, preferiva eliminare i problemi in silenzio, rapidamente, senza porre troppe obiezioni anche a richieste ridicole come quella. Non poteva abbandonare suo figlio, nè chiuderlo in un orfanotrofio. Se quella donna non voleva mai più vederlo, non poteva che annullare l'essenza del piccolo Junhong, non poteva che renderlo inanimato proprio come quell'inerme mazzo di rose bianche. Era già un segreto, non gli restava che seppellirlo ancora più in profondità. Seppellire la sua bellezza e innocenza lontano da quel mondo.

Fu solo a quel punto che Junhong trovò in quella che al tempo era solo un'inospitale serra, una dimora. Fu allora che divenne la rosa che respira.



Junhong narrò a Yongguk tutto ciò che ricordava del suo passato tormentato. 
La sua felicità si era spenta quando Yongguk si era allontanato, improvvisamente tutto era andato a rotoli, ma aveva sviluppato una capacità di accettazione che non sapeva esattamente se definire positiva o estremamente negativa. In entrambi i casi, dato che non aveva mai avuto scelta, non aveva mai avuto modo di ribellarsi ai risvolti della propria vita, a prescindere dalle conseguenze non poteva cambiare quel suo atteggiamento. 
Yongguk era a dir poco sconvolto. Credeva che fino a quel momento fosse stato un magnete per le calamità naturali, per le disgrazie e per le sfortune, mentre in quel momento si rendeva conto che qualcuno, qualcuno a cui tra l'altro teneva moltissimo, per quei dieci anni aveva vissuto una situazione peggiore della sua. Forse era un po' egoistico da parte sua, però avvertire una parte di sé che si sentiva sollevata per il semplice fatto che, nonostante gli eventi negativi nella sua vita, quantomeno fosse vivo. Ad ogni modo, c'era ancora qualcosa a cui non aveva risposto: la notizia della sua morte. 
Junhong scosse le spalle e il capo in contemporanea, con un'espressione confusa. 
- Non so molto a riguardo. - 
E definirlo ridicolo era dire poco. 
- Io sono sempre stato qui dentro. All'inizio non potevo uscire a meno che non fossero tutti fuori casa, o che lo fossero quantomento la Signora e Daehyun hyung, non sapevo cosa stava accadendo lì fuori. Hyoseong mi ha fatto vedere l'articolo di giornale, ma credo non se lo spiegasse neanche lei. Diceva che in quei tempi c'era molta tensione in casa, che qualcuno aveva fatto qualcosa di molto grave, che correvano dei rischi. Non sapevo esattamente cosa centrasse con la falsa notizia della mia morte, ricordo solo che la sera seguente all'uscita di quell'articolo, Daehyun hyung mi rivolse la parola per la prima volta. Non l'aveva mai fatto, davvero! Quella sera invece venne da me, ma rimase lì sotto, con la schiena contro la porta chiusa della serra, mi sembrava molto... rigido. Forse perchè stava disobbedendo per la prima volta alla Signora. Mi guardò e mi disse che gli dispiaceva di non avermi mai parlato, che forse se non avessi fatto del male a sua madre un giorno saremmo potuti diventare amici... addirittura fratelli. Subito dopo aprì la porta e fece per uscire... ricordo che aveva un'aria un po' intristita, mi disse " purtroppo saranno le prime e ultime parole che ti dirò, dato che sei appena morto " e poi " addio Junhong ", e mi lasciò qui... -
Junhong aveva in qualche modo compreso di aver smesso di esistere, ma le ragioni non gli erano chiare e la passività, il senso di accettazione che aveva sviluppato era tornato a farsi vedere.
   
 
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