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Autore: Mary P_Stark    27/02/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.

 

 

 

I Campi Elisi erano ormai lontani e l’illusione di bellezza e serenità di quei luoghi era scomparsa da tempo, lasciando il posto a immense caverne sotterranee, anfratti bui e strapiombi senza fine.

L’Oltretomba non era esattamente un luogo di villeggiatura e, in lontananza, si potevano udire le grida dei violenti gettati nel Tartaro.

Atena preferì non pensare a loro e al loro tormento eterno – stupratori, omicidi e traditori avevano un biglietto di sola andata per il Tartaro, quando venivano traghettati da Acheronte – quanto, piuttosto, alla loro missione.

Lo Stige era il primo ostacolo da superare e, se aveva anche solo in parte compreso il significato del suo nome, non le sarebbe stato risparmiato nulla.

Dalle guerre combattute in suo nome, in cui migliaia di uomini erano morti combattendo, all’autolesionismo di cui era stata preda nei primi mesi dalla perdita di Miguel.

Ogni cosa le sarebbe stata rinfacciata con tutta la violenza possibile, ma lei avrebbe dovuto resistere, e attraversare per intero il fiume senza lasciarsi dominare da esso.

Dietro di lei – non poteva controllare, ma ne sentiva i passi – Alekos procedeva speditamente, tenendo il passo.

Non aveva idea di dove fosse Miguel, ma sperò che fosse al suo fianco.

Quando udì il turbinare dell’acqua e il suono gorgogliante dei mulinelli, Atena disse: “L’acqua è bassa, perciò non dovrai nuotare, ma ricorda che è molto forte. Procedi con cautela.”

“Sì, mamma” disse Alekos con decisione.

La dea allora proseguì fino a raggiungere la riva e, dopo aver affondato il primo piede nell’acqua, venne letteralmente investita da grida barbare e violente, oltre che da quello che sembrava essere sangue.

Sì, le acque dello Stige erano di sangue, rosse come una ciliegia matura e ribollenti di tutto l’odio che aveva saputo scatenare nei millenni.

Vedove inconsolabili le gridarono contro i peggiori epiteti, mentre immagini di suoi antichi generali le urlavano addosso il loro rancore per essere morti invano.

Atena accettò ogni parola con stoicismo, essendoselo aspettato, pur se alcune frasi furono più dolorose di altre, da accettare.

Fu la voce di Pallade, la sua amata Pallade, a farla tremare e bloccare a metà di un passo.

La sua immagine spettrale le comparve innanzi, trasfigurata dall’odio e dal risentimento e questa, con tutto il fiato di cui disponeva, le urlò i peggiori epiteti, pentendosi di essere stata sua amica.

“Non sono vere, non sono vere…” cercò di ricordare a se stessa, pur trovando difficile non ascoltare la voce a lei cara dell’amica.

“Mamma!” gridò Alekos, bloccandola nuovamente.

I suoi piedi si mossero per volgersi completamente ma, memore delle parole di Ade, rimase bloccata per un attimo e riprese a camminare, dicendo soltanto: “Vieni avanti, Alekos. Coraggio. Ce la puoi fare.”

“Non voglio venire con te. Mi stai portando via da mio padre. Sei solo un’egoista e cattiva” disse la voce di Alekos, atona e priva di amore.

Atena si morse il labbro inferiore, intuendo fosse l’ennesimo inganno dello Stige, per cui non rispose e accelerò soltanto il passo, pensando al dolce sorriso del suo bambino e alle parole d’amore per lei.

Alekos non le avrebbe mai parlato così, non si sarebbe mai rivolto così alla sua amata metera.

Quando finalmente toccò la riva opposta, le voci si spensero di colpo e tutto tornò quieto, ma non lei, che tremava come una foglia e aveva le lacrime agli occhi per la tensione.

Dèi, e questo era solo il primo! Capiva bene perché nessuno, dopo Orfeo, si fosse arrischiato a tentare l’impresa!

“Alekos… sei con me?” domandò Atena, stringendosi le braccia al petto e costringendosi a non volgere lo sguardo. Ma era così difficile non cercarlo per consolarlo!

“Sì… metera. Andiamo” piagnucolò il bambino, pur se con tono abbastanza controllato.

Atena, allora, riprese il cammino e, dietro di lei, i piedini di Alekos tornarono a tamburellare il terreno smosso.

Il Cocito, o fiume dei pianti, era quello che la preoccupava di meno. Aveva pianto tutte le lacrime del mondo, per la morte di Miguel e la scomparsa di Alekos, perciò era abituata ad averci a che fare.

Quando, però, il turbinio delle acque di quel fiume giunse alle sue orecchie, al pari di una fitta nebbiolina di gocce, capì quanto fosse subdolo anche Cocito.

Non solo ogni goccia d’acqua corrispondeva a una persona diversa, ma i loro pianti dissennati e senza freno rimbombavano nelle sue orecchie come grancasse.

Cercò un riparo dal loro dolore coprendosi le orecchie, ma tutto fu vano.

Entrare nelle sue acque, peggiorò solo la situazione.

Fu per questo che prese la decisione di correre. Rintronata com’era dalle urla, avrebbe rischiato d’incespicare e cadere, e questo avrebbe voluto dire essere completamente ammorbata da quel dolore immane.

No, non se lo poteva permettere. Sperò soltanto che Alekos riuscisse a fare lo stesso.

“Alekos, corri come fai di solito nel torrente dei Campi Elisi” lo istruì lei, sperando che riuscisse a sentirla. Le urla erano davvero terrificanti quanto strazianti.

“Sì, m…a.”

Atena udì solo alcune lettera, ma le bastò quel per mettersi a correre con tutte le sue forze, tenendo premute le mani sulle orecchie meglio che poté.

I pianti di milioni di persone la schiaffeggiarono in volto, tramortendola, facendole percepire tutto il dolore provato per la morte di un amato, per una sconfitta in guerra, per la propria morte imminente.

Le lacrime del Cocito sembravano acido, su di lei e, pur non ferendola fisicamente, Atena ne sentì gli effetti a livello nervoso. Era come essere immersi in una vasca di torpedini.

Incespicò un paio di volte, ma alla fine riuscì a raggiungere la riva e, gettandosi a terra quasi senza fiato, si passò le mani sul corpo intorpidito dalle acque del Cocito, cercando di riattivare la circolazione.

Piangendo, Atena si domandò cosa stesse provando il suo Alekos, se lei era stata così male, attraversando il secondo fiume infernale.

Nel rialzarsi a fatica, lo sguardo sempre puntato a terra, Atena domandò: “Alekos. Stai bene?”

Si udì un ‘mh-mh’, ma nessun pianto e la dea, sorridendo appena, si chiese se Miguel lo avesse aiutato in qualche modo ad attraversare.

Senza domandare nulla – non voleva mettere Alekos nella condizione di sentirsi in colpa per aver fatto soffrire il padre al suo posto – Atena allora proseguì verso l’Acheronte, il fiume dei dolori.

Atena non aveva davvero idea di cosa si potesse provare, visto e considerato ciò che aveva sentito nei primi due fiumi.

Cosa poteva esservi di peggio?

Quando, però, ne raggiunse la riva e scorse le sue acque placide e calme, si fece subito sospettosa.

Cosa stava succedendo? Perché il fiume non ribolliva come gli altri? Cosa nascondevano quelle acque quasi immote?

Non avendo altro modo di scoprirlo se non immergendosi fino alle ginocchia – l’Acheronte sembrava un po’ più basso rispetto agli altri fiumi infernali – Atena infilò un piede nell’acqua scura e tranquilla.

E urlò.

Urlò come se le fondamenta stesse della Terra le fossero piombate addosso, e lei dovesse sostenerle come il mitico Atlante.

Mille spini acuminati intrisi di veleno era quello che, più verosimilmente, stava provando in quel momento Atena ma, non di meno, procedette in avanti, un passo alla volta, un grido disperato alla volta.

Quando sentì il pianto a singhiozzi di Alekos, Atena desiderò con tutta se stessa voltarsi, prenderlo in braccio e condurlo lei stessa sulla riva, ma sapeva di non doverlo fare.

Anche per questo, si coprì le orecchie per non sentire e pianse tutte le lacrime che aveva.

Sperò soltanto che Miguel, in qualche modo, potesse mitigare quella inesorabile tortura.

***

Passeggiando nervosamente nella radura che si apriva dinanzi le porte dell’Oltretomba, Érebos si fermò quando si ritrovò a fronteggiare lo sguardo accigliato di Nyx.

“Smettila. Farai un solco a terra, se continui così” lo ammonì lei, sfiorandogli un braccio con la mano.

“Non sopporto l’idea di saperla laggiù, mentre io sono bellamente qui a non fare nulla!” sbottò la divinità, indicando con rabbia la porta dell’Oltretomba.

Nyx gli sorrise comprensiva e replicò: “Per questo hai aspettato tanto, per parlarle? Non sopportavi il pensiero di abbandonarla a se stessa, e per una cosa che avevi scoperto tu?”

“Ho cercato, Nyx. Zeus stesso sa se ho cercato…” si lagnò Érebos, stringendo i denti per la rabbia e la frustrazione. “… ma non v’era nulla se non questo, per salvare Alekos dall’Oltretomba.”

“Atena è forte, non temere.”

“Lo so… ma qui si parla di suo figlio. Delle sue sofferenze. Sopporterà di sentirlo piangere?” le domandò il dio, afferrando la sorella per le spalle. “In che inferno l’ho mandata?”

“Stai aiutandola a uscirne, a voler essere precisi” sottolineò Nyx, cercando di spezzare l’ansia che trafiggeva il cuore del fratello.

Érebos le concesse un mezzo sorriso, cui seguì una risatina stanca. “La amo, Nyx.”

“Lo so, caro, come so che la morte di Miguel e Alekos ha colpito te molto più di noi tutti. Sai anche che il cuore di Atena, al momento, è ancora legato a Miguel, vero?”

“Ma certo, e neppure vorrei il contrario. Un’anima così pura non poteva che appartenere a un uomo eccezionale. Però, desidero comunque starle vicino, se lei me lo concederà” le spiegò il dio, carezzandole i neri capelli.

Nyx gli sorrise, annuendo, e disse: “Credo che il modo in cui Atena si è presa cura di te, dica molto. Le stai a cuore, e molto. Quanto al resto, solo il tempo lo dirà. Io, comunque, tiferò per te.”

“Grazie, sorella” mormorò Érebos, prima di rabbrividire e scrutare ansioso la porta dell’Oltretomba. “Si avvicinano…”

***

Il Flegetonte, semplicemente, non esisteva.

O meglio, se lame di fuoco perenne potevano essere considerate un fiume, allora il Flegetonte era il fiume più inquietante che Atena avesse mai visto.

Quelle non erano acque purulente, bollenti e vorticanti, ma era letteralmente fuoco che galleggiava sul letto di un fiume senz’acqua, e che venivano alimentate unicamente dalle forze infernali di quel luogo.

“Mamma, ho paura” mormorò Alekos dietro di lei.

Atena si morse un labbro a sangue per impedirsi di volgere lo sguardo e, stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, disse: “Ho il dubbio che non siano fiamme vere, agape, ma solo un’altra estensione del dolore provato dai dannati. Il punto non sarà non ustionarsi, ma non ascoltare i messaggi ingannevoli che ci verranno sussurrati.”

“V-va bene” balbettò il bambino.

Atena lo sentì singhiozzare una volta e pulirsi qualcosa – immaginò il viso – prima di aggiungere: “Papà è ancora qui con me. Mi ha aiutato, prima.”

“Bene. Sono contenta, Alekos. Ora, io vado per prima e, come per il Cocito, vediamo di correre un po’. Credo sia meglio” gli spiegò lei, sentendo acconsentire al suo piano.

Ciò detto, balzò nel fiume di fuoco e, come aveva immaginato, non si ustionò la pelle, ma comprese subito che genere di fiamme fossero quelle.

Erano le fiamme dell’anima, che divoravano dall’interno, togliendo il fiato e le forze.

Tutto ciò che di bello e buono e puro vi era nel cuore veniva arso dalle fiamme, producendo rimpianto, dolore e sofferenza.

Atena, però, non si lasciò dominare e, decisa a superare anche quello scoglio, urlò: “Prova pure a divorare tutta la mia anima, se pensi di riuscirci! Ma non ce la farai!”

Le fiamme, allora, la circondarono formando un’alta colonna vermiglia che, però, non impedì ad Atena di scorgere in lontananza la riva opposta.

Facendosi quindi strada come se fosse stata immersa in una foresta di rovi, si sbracciò per scostare le fiamme una a una, ansimando per lo sforzo di non venire divorata fino all’ultima briciola.

Dietro di lei, la dea avvertì le urla spaventate – più che addolorate – di Alekos, e quel nuovo dolore rinfocolò le fiamme intorno a lei, rendendole più dense, quasi fisiche.

“Giuro che ti caverò la pelle a striscioline sottili, zio, dopo questa tua diavoleria” ringhiò Atena, gettandosi a testa bassa in mezzo alle fiamme per raggiungere in tutta fretta la riva.

Queste ultime le si gettarono addosso come cani da caccia appresso alla preda, ma Atena le ignorò. Che tentassero pure di assoggettarla. Lei si sarebbe sempre difesa, avrebbe impedito al dolore e al rimorso di vincerla.

Incespicò e, in un caso, cadde carponi, venendo avvolta dal fuoco ringhiante e pronto a divorarla, ma ancora si sollevò.

Con un’ultima imprecazione mise infine piede sulla sponda opposta e lì, senza fiato, si lasciò cadere a terra prona, ansimando e smoccolando all’indirizzo di Ade.

“Gliela farò pagare cara… anche se so che deve essere così, me la pagherà… scommetto che li ha inventati quando Persefone non era con lui” si lagnò Atena, cercando di riprendere fiato.

Metera…” piagnucolò Alekos.

Chiusi gli occhi, Atena mormorò: “Ancora uno, piccolo mio. Poi potremo dare tanti calci negli stinchi allo zio, va bene?”

Alekos tentò di ridere a quella battuta, ma dalla sua boccuccia tesa uscì solo un gracidio.

“Mi spiace tanto, agape. Non avrei dovuto spingerti a tanto…” singhiozzò Atena, tergendosi il viso stanco.

“Posso farcela, mamma. Davvero. Papà mi ha aiutato a pensare a cose belle, anche se piangevo e stavo male” replicò Alekos con coraggio.

“A cosa hai pensato?”

“A te, la prima volta che ti ho vista. A zia Persefone quando mi prepara i dolci, o allo zio Ares quando mi insegna a tirar di spada. Poi ho pensato a zio Érebos e al suo dolore, e a come mi abbia fatto capire che, anche se sono piccolo, posso fare comunque cose da adulto. Lui crede davvero che io possa farcela, perciò lo farò.”

Atena si risollevò a fatica – avrebbe dormito per un mese di fila, se fosse riuscita in quell’impresa. Diversamente, beh… se avesse perso Alekos e Miguel ancora una volta, avrebbe chiesto a Zeus di ucciderla.

Era l’unico a poterlo fare e, a quel punto, non sarebbe più valso vivere.

Quello, però, doveva rimanere l’ultimo dei suoi pensieri. Doveva credere di potercela fare, esattamente come Alekos aveva creduto nelle parole di Érebos.

“D’accordo, proseguiamo” decretò infine la dea, incamminandosi verso il Lete.

Per quel fiume in particolare, avrebbe mandato tutto alle ortiche e sfoderato la sua divinità al suo massimo fulgore.

Concentrandosi sul suo sangue, sull’icore che scorreva potente dentro di lei, richiamò a sé le antiche vestigia. In uno sfavillio dorato, lunghe vesti bianche la circondarono, calzari dorati ricoprirono i suoi piedi e un elmo di fattura mirabile comparve dinanzi al suo volto.

Nella mano sinistra strinse lo scudo su cui capeggiava la testa di Medusa mentre, nella destra, la sua spada da guerra brillava letale e pronta a dar battaglia.

“Sei bellissima, mamma” mormorò Alekos, ammirato.

“Grazie, tesoro” replicò lei, sorridendo brevemente sotto l’elmo abbassato dinanzi al viso.

Che il Lete tentasse pure di sopraffarla. Gli avrebbe dimostrato cosa voleva dire mettersi contro una dea.

***

Érebos venne scosso da un violento brivido e, muovendosi verso la porta dell’Oltretomba, venne presto fermato da Nyx che, preoccupata, esalò: “Non puoi intervenire, fratello. E’ contro le regole, e lo sai!”

“Non trasgredirò un bel niente! Ma devo essere presente in qualche modo, e lo farò!” ringhiò lui e, con un gran movimento di braccia, nubi dense di nebbia scaturirono dalle sue dita e si infiltrarono nella roccia per dirigersi leste verso il Lete.

Nyx osservò quella nebbia scintillante e totalmente controllata dal fratello e, tesa, mormorò: “Spero che la pensi così anche Atropo, perché altrimenti sai cosa potrebbe succedere. Ha un caratteraccio, nostra figlia, quando ci si mette.”

“Non si arrabbierà, perché io non aiuterò Atena o Alekos, esattamente come nei patti” precisò Érebos, socchiudendo gli occhi per meglio concentrarsi.

“Non ha mai amato neppure i cavilli, ricordalo” sottolineò Nyx.

“Lasciami fare, Nyx. Andrà bene.”

“Lo spero, o manderò te, da Miss Mani di Forbice. Io ho già dato” si lagnò a quel punto la sorella, facendolo ridere.

“Se ti sentisse, si infurierebbe. Sai che non vuole essere chiamata così.”

“Pensa a quel che stai facendo… qualsiasi cosa sia” lo redarguì Nyx.

Ed Érebos lo fece, sperando con tutto se stesso che funzionasse.

***

Le acque del Lete erano placide al pari dell’Acheronte, ma Atena sapeva che nascondevano l’insidia più difficile di tutte; la dimenticanza.

Quel fiume in apparenza tranquillo avrebbe potuto strappare loro ogni ricordo, ogni dolore, ogni gioia, lasciandoli vuoti e senza un’identità, ma lei lo avrebbe impedito a ogni costo. Almeno per sé, per lo meno.

Quanto ad Alekos, doveva confidare che il suo piano avesse successo, anche se questo avrebbe voluto dire, per lui, dimenticarsi di lei e del loro bambino.

Non del mio amore per voi, e del vostro per me, però, rammentò lei, sperando che le parole di Miguel corrispondessero a verità. Desiderava che almeno l’amore rimanesse con lui, pur se non avrebbe mai più rammentato da chi fosse stato amato.

Preso un gran respiro, quindi, avanzò verso la riva al pari di una densa nebbiolina argentata che, ben presto, Atena riconobbe essere un’estensione diretta di Érebos.

“Ma cosa sta facendo?”, si domandò mentalmente Atena, affondando il primo piede nelle acque del Lete.

Subito, le acque sfrigolarono al contatto con la sua pelle di dea e divennero simili a piraņa pronti a divorarla.

Atena, però, falciò quell’ondata con la sua spada, svaporandola completamente.

Soddisfatta del risultato, puntò quindi lo scudo su una nuova ondata del Lete che, letteralmente, divenne pietra prima di sbriciolarsi dinanzi a lei e scivolare via con la corrente.

“Ah… quindi sei soggiogata anche tu al potere di Medusa…” ghignò soddisfatta Atena, fissando bieca le acque del fiume.

Ringalluzzita da quel risultato, Atena si gettò nel mezzo del fiume come se si trovasse sul campo di battaglia e, feroci come fiere, le onde del Lete si gettarono su di lei per avere la meglio.

Dietro di lei, interamente ricoperto dalla luminescenza di Miguel, Alekos avanzava a una certa distanza dalla madre e, guardando il combattimento in atto, mormorò: “E’ davvero brava.”

Miguel si illuminò maggiormente, dando una conferma alle sue parole e Alekos, sorridendo contrito, disse: “La mamma non me l’ha detto, ma penso di aver capito cosa succederà. Ti dimenticherai di noi, vero?”

L’anima sfarfallò un poco e Alekos, annuendo, aggiunse: “Credo che questo sia un gesto da eroi, e io ti ricorderò sempre, in ogni mia preghiera. Lo farò anche per te, e dirò a tutti che mio padre è morto come un eroe, per salvare me e la mamma.”

Miguel si fece più lucente, a quelle parole e il suo calore lo avvolse interamente, confermandogli tutto l’amore che provava per lui.

Alekos allora sorrise ma, quando scorse la nebbia addensarsi attorno a loro fin quasi a far svanire la figura di Atena, mormorò: “Érebos?”

“Segui la nebbia e resta dove ella rimarrà, così sarai sicuro di non essere davanti a tua madre, quando riemergerà dalla battaglia. Quanto al resto, lascia fare a me.”

“Cosa vuoi fare, zio?” domandò il bambino, ma il dio non rispose.

Non potendo fare altro, Alekos seguì la nebbia fino alla riva ma, quando egli mise piede sulla roccia dura e compatta, l’anima di Miguel venne risucchiata dal Lete.

Lui non aveva il consenso a raggiungere la porta dell’Oltretomba, solo Alekos poteva.

La nebbia, però, lo avvolse, proteggendolo e, di colpo, svanì.

Alekos non riuscì più a vederla da nessuna parte ma, memore delle parole del dio dell’oscurità, annuì fiducioso e attese di veder comparire la madre sulla terraferma.

Ciò avvenne con una grande esplosione di energia e luce, segno che la battaglia era terminata e Atena aveva sconfitto le acque litigiose e furenti del Lete.

Quando, però, il figlio la vide sulla riva, si morse un labbro e desiderò correre da lei per abbracciarla.

Sua madre era in lacrime, distrutta al pensiero di aver per sempre condannato l’amore della vita all’oblio eterno.

Non di meno, proseguì verso l’ultima erta che li divideva da un’immensa porta a due battenti e, claudicante, la raggiunse a grandi passi.

Alekos poté udire chiaramente il suo pianto incontrollato e cercò di trasmetterle tutto il suo amore, ma lei parve non sentirlo.

Forse, quella era l’ultima prova decisiva. La deprivazione dell’udito.

A quel modo, lei non avrebbe potuto essere certa della sua presenza e avrebbe potuto correre il rischio di voltarsi troppo presto, vanificando ogni sforzo e ogni loro sacrificio.

“Ce l’abbiamo quasi fatta, mamma. Coraggio” mormorò comunque Alekos, sperando che, almeno nel suo cuore, la madre potesse udire le sue parole.

***

La battaglia sul fiume Lete l’aveva sfiancata e, quel che era peggio, la consapevolezza di aver perso i ricordi di Miguel l’aveva piegata fin quasi a spezzarla.

Il non udire nulla dietro di sé, intorno a sé, inoltre, la rendeva nervosa, ma sapeva bene che quello era l’ultimo ostacolo da affrontare.

Orfeo aveva sofferto lo stesso dubbio immane e aveva fallito, lasciandosi andare alla frenesia non appena aveva scorto la luce del sole.

Non aveva però potuto udire il rumore delle porte dell’Oltretomba chiudersi, e proprio a causa di quel sordido incantesimo, perciò aveva fallito la sua impresa, volgendo lo sguardo.

Lei, però, non avrebbe fallito. Sarebbe rimasta per ore e ore a occhi chiusi, sperando che questo potesse bastare.

Miguel si era sacrificato per la riuscita di quella folle impresa, perciò lei non poteva rendere vano quel dono immane.

Spalancò perciò la porta con una spinta e, una volta all’esterno, nell’ampia radura che si trovava dinanzi all’entrata, si gettò a terra assieme a spada e scudo e pianse.

Pianse tutte le lacrime del mondo, e rimase accucciata a terra perché il tempo compisse il resto dell’opera.

Invisibile alla vista a causa dell’ultimo incantesimo imposto da Ade, Nyx ed Érebos tentarono di incoraggiarla a resistere, ma le loro voci rimasero al di fuori della bolla in cui ancora si trovava Atena.

Il dio batté i pugni più e più volte sulla parete invisibile che li divideva, gridando a perdifiato il nome di Atena, ma nulla avvenne.

Fu Alekos a spezzare il pianto della madre.

Sfiorandole la spalla con una mano, mormorò: “Mamma, metera… puoi sentirmi? Apri gli occhi. E’ tutto finito.”

Atena sobbalzò nell’udire nuovamente la sua voce ma, ancora, non si fidò ad aprire gli occhi. E se fosse stato l’ultimo trucco di Ade?

“Le porte sono chiuse, mamma. Davvero. Apri gli occhi” insisté ancora Alekos, inginocchiandosi dinanzi a lei. “Il sole è splendido, mamma, ed è così caldo!”

“Alekos…” mormorò Atena, socchiudendo gli occhi.

Un’ombra si figurò dinanzi a lei e la dea, spalancando gli occhi, si ritrovò ad abbracciare il figlio, finalmente libera, finalmente assieme a lui.

Baciò il suo volto, e ancora non successe nulla. Nessuna Erinne pronta a portarlo via da lei, nessun dio di sventura a dirle che aveva fallito.

E poi Érebos e Nyx, accanto a loro, felici e con le lacrime agli occhi per la gioia.

Allungando una mano al dio, si lasciò aiutare a rimettersi in piedi e Alekos, abbracciando entrambi i fratelli, disse: “Zia Nyx, Zio Érebos… ce l’abbiamo fatta!”

“Sì, caro… sei stato molto coraggioso. Ma ora è il caso che andiate a casa. Devi farti curare le escoriazioni sulle mani e sui piedi” mormorò Nyx, abbracciandolo e baciandolo sulle guance.

Alekos si guardò incuriosito e, annuendo sorpreso, asserì: “Ecco perché mi bruciavano tanto…”

Atena lo guardò piena di orgoglio e disse: “Mi prenderò cura di te, tesoro mio. Niente più viaggi infernali, per noi due.”

“Grazie, mamma” le sorrise Alekos, prima di guardarsi intorno e domandare: “Ma dove siamo?”

“Nell’antica Colchide, ragazzo. Da qualche parte in Medio Oriente, comunque” gli spiegò Érebos. “Visto che non è una zona molto tranquilla, convenite con me che è meglio andarcene?”

“Direi di sì” assentì Atena, prendendo in braccio il figlio per poi dispensarlo di altri baci.

Alekos rise e, in uno scintillio dorato, se ne andarono per raggiungere Monterey, California, e la casa di Atena.

Quando riapparvero, Alekos si ritrovò a fissare un bel giardino fiorito, alberi imponenti che degradavano verso il mare e una bella civetta maculata su un trespolo.

Nel vederli, Pallade trillò allegramente e si involò fino a raggiungere la spalla della padrona, che la carezzò grata e felice.

“E’ la tua civetta, mamma?” mormorò ammirato il bambino.

“Sì, caro. Vieni a conoscere la tua sorellina piumata” gli disse lei, scostando Pallade su un dito per poi avvicinarla ad Alekos.

Il bambino la prese timoroso sui palmi delle mani, mentre la civetta lo studiava con curiosità, muovendo a destra e a manca la testolina.

Sorridendo nel guardarli piena d’amore, Atena si deterse un’ultima lacrima dal viso e, guardandosi finalmente intorno, vide unicamente Érebos accanto a lei, ma non Nyx.

“E’ rientrata nell’Oltretomba per dare la bella notizia” le spiegò lui.

Annuendo, Atena poggiò stancamente il capo contro la spalla del dio e mormorò: “Ormai non ci speravo più. Ade ha davvero creato delle barriere mostruose, laggiù.”

“Ma ce l’hai fatta. Ce l’avete fatta” le fece notare lui, sistemandole delicatamente una ciocca di capelli.

“Come avevi detto tu… anche se al costo dei ricordi di Miguel” mormorò lei, sospirando.

Érebos, allora, sollevò una mano per mostrarle un’ampolla dorata e leggermente rilucente e Atena, confusa, domandò: “Cos’è?”

“Sono i ricordi di Miguel. Ho potuto salvarli dalle acque del Lete mentre venivano trascinati via” mormorò lui, facendola rianimare immediatamente. “Non mi era concesso aiutare te e Alekos, ma nessuno mi ha vietato di aiutare Miguel.”

“Érebos…” sussurrò grata Atena, abbracciandolo con forza. “Grazie.”

“Gli parlerò di voi e, se lo vorrà, li riavrà indietro. Non è mia intenzione sconvolgere la sua anima, ora sicuramente confusa, perciò lascerò a lui la scelta e, nel frattempo, li custodirò gelosamente” le spiegò il dio, rimettendo al sicuro l’ampolla.

“Così, se vorrà, saprà chi lo ha tanto amato” annuì Atena. “Anche Alekos ne sarà felice.”

 

 

 

 

N.d.A.: e qui termina anche questo breve episodio. Naturalmente, ritroveremo Atena e gli altri protagonisti di queste storie in altre avventure, perché hanno tanto ancora da dire. Alla prossima!

  
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