3.
I
Campi Elisi erano ormai lontani e l’illusione di bellezza e
serenità di quei
luoghi era scomparsa da tempo, lasciando il posto a immense caverne
sotterranee, anfratti bui e strapiombi senza fine.
L’Oltretomba
non era esattamente un luogo di villeggiatura e, in lontananza, si
potevano
udire le grida dei violenti gettati nel Tartaro.
Atena
preferì non pensare a loro e al loro tormento eterno
– stupratori, omicidi e
traditori avevano un biglietto di sola andata per il Tartaro, quando
venivano
traghettati da Acheronte – quanto, piuttosto, alla loro
missione.
Lo
Stige era il primo ostacolo da superare e, se aveva anche solo in parte
compreso il significato del suo nome, non le sarebbe stato risparmiato
nulla.
Dalle
guerre combattute in suo nome, in cui migliaia di uomini erano morti
combattendo, all’autolesionismo di cui era stata preda nei
primi mesi dalla
perdita di Miguel.
Ogni
cosa le sarebbe stata rinfacciata con tutta la violenza possibile, ma
lei
avrebbe dovuto resistere, e attraversare per intero il fiume senza
lasciarsi
dominare da esso.
Dietro
di lei – non poteva controllare, ma ne sentiva i passi
– Alekos procedeva
speditamente, tenendo il passo.
Non
aveva idea di dove fosse Miguel, ma sperò che fosse al suo
fianco.
Quando
udì il turbinare dell’acqua e il suono
gorgogliante dei mulinelli, Atena disse:
“L’acqua è bassa, perciò non
dovrai nuotare, ma ricorda che è molto forte.
Procedi con cautela.”
“Sì,
mamma” disse Alekos con decisione.
La
dea allora proseguì fino a raggiungere la riva e, dopo aver
affondato il primo
piede nell’acqua, venne letteralmente investita da grida
barbare e violente,
oltre che da quello che sembrava essere sangue.
Sì,
le acque dello Stige erano di sangue, rosse come una ciliegia matura e
ribollenti di tutto l’odio che aveva saputo scatenare nei
millenni.
Vedove
inconsolabili le gridarono contro i peggiori epiteti, mentre immagini
di suoi
antichi generali le urlavano addosso il loro rancore per essere morti
invano.
Atena
accettò ogni parola con stoicismo, essendoselo aspettato,
pur se alcune frasi
furono più dolorose di altre, da accettare.
Fu
la voce di Pallade, la sua amata Pallade, a farla tremare e bloccare a
metà di
un passo.
La
sua immagine spettrale le comparve innanzi, trasfigurata
dall’odio e dal
risentimento e questa, con tutto il fiato di cui disponeva, le
urlò i peggiori
epiteti, pentendosi di essere stata sua amica.
“Non
sono vere,
non sono vere…” cercò
di ricordare a se stessa, pur trovando difficile non ascoltare la voce
a lei
cara dell’amica.
“Mamma!”
gridò Alekos, bloccandola nuovamente.
I
suoi piedi si mossero per volgersi completamente ma, memore delle
parole di
Ade, rimase bloccata per un attimo e riprese a camminare, dicendo
soltanto:
“Vieni avanti, Alekos. Coraggio. Ce la puoi fare.”
“Non
voglio venire con te. Mi stai portando via da mio padre. Sei solo
un’egoista e
cattiva” disse la voce di Alekos, atona e priva di amore.
Atena
si morse il labbro inferiore, intuendo fosse l’ennesimo
inganno dello Stige,
per cui non rispose e accelerò soltanto il passo, pensando
al dolce sorriso del
suo bambino e alle parole d’amore per lei.
Alekos
non le avrebbe mai parlato così, non si sarebbe mai rivolto
così alla sua amata
metera.
Quando
finalmente toccò la riva opposta, le voci si spensero di
colpo e tutto tornò
quieto, ma non lei, che tremava come una foglia e aveva le lacrime agli
occhi
per la tensione.
Dèi,
e questo era solo il primo! Capiva bene perché nessuno, dopo
Orfeo, si fosse
arrischiato a tentare l’impresa!
“Alekos…
sei con me?” domandò Atena, stringendosi le
braccia al petto e costringendosi a
non volgere lo sguardo. Ma era così difficile non cercarlo
per consolarlo!
“Sì…
metera. Andiamo”
piagnucolò il
bambino, pur se con tono abbastanza controllato.
Atena,
allora, riprese il cammino e, dietro di lei, i piedini di Alekos
tornarono a
tamburellare il terreno smosso.
Il
Cocito, o fiume dei pianti, era quello che la preoccupava di meno.
Aveva pianto
tutte le lacrime del mondo, per la morte di Miguel e la scomparsa di
Alekos,
perciò era abituata ad averci a che fare.
Quando,
però, il turbinio delle acque di quel fiume giunse alle sue
orecchie, al pari
di una fitta nebbiolina di gocce, capì quanto fosse subdolo
anche Cocito.
Non
solo ogni goccia d’acqua corrispondeva a una persona diversa,
ma i loro pianti
dissennati e senza freno rimbombavano nelle sue orecchie come grancasse.
Cercò
un riparo dal loro dolore coprendosi le orecchie, ma tutto fu vano.
Entrare
nelle sue acque, peggiorò solo la situazione.
Fu
per questo che prese la decisione di correre. Rintronata
com’era dalle urla, avrebbe
rischiato d’incespicare e cadere, e questo avrebbe voluto
dire essere
completamente ammorbata da quel dolore immane.
No,
non se lo poteva permettere. Sperò soltanto che Alekos
riuscisse a fare lo
stesso.
“Alekos,
corri come fai di solito nel torrente dei Campi Elisi” lo
istruì lei, sperando
che riuscisse a sentirla. Le urla erano davvero terrificanti quanto
strazianti.
“Sì,
m…a.”
Atena
udì solo alcune lettera, ma le bastò quel sì
per mettersi a correre con tutte le sue forze, tenendo premute le mani
sulle
orecchie meglio che poté.
I
pianti di milioni di persone la schiaffeggiarono in volto,
tramortendola,
facendole percepire tutto il dolore provato per la morte di un amato,
per una
sconfitta in guerra, per la propria morte imminente.
Le
lacrime del Cocito sembravano acido, su di lei e, pur non ferendola
fisicamente, Atena ne sentì gli effetti a livello nervoso.
Era come essere
immersi in una vasca di torpedini.
Incespicò
un paio di volte, ma alla fine riuscì a raggiungere la riva
e, gettandosi a
terra quasi senza fiato, si passò le mani sul corpo
intorpidito dalle acque del
Cocito, cercando di riattivare la circolazione.
Piangendo,
Atena si domandò cosa stesse provando il suo Alekos, se lei
era stata così
male, attraversando il secondo fiume infernale.
Nel
rialzarsi a fatica, lo sguardo sempre puntato a terra, Atena
domandò: “Alekos.
Stai bene?”
Si
udì un ‘mh-mh’,
ma nessun pianto e la
dea, sorridendo appena, si chiese se Miguel lo avesse aiutato in
qualche modo
ad attraversare.
Senza
domandare nulla – non voleva mettere Alekos nella condizione
di sentirsi in
colpa per aver fatto soffrire il padre al suo posto – Atena
allora proseguì
verso l’Acheronte, il fiume dei dolori.
Atena
non aveva davvero idea di cosa si potesse provare, visto e considerato
ciò che
aveva sentito nei primi due fiumi.
Cosa
poteva esservi di peggio?
Quando,
però, ne raggiunse la riva e scorse le sue acque placide e
calme, si fece
subito sospettosa.
Cosa
stava succedendo? Perché il fiume non ribolliva come gli
altri? Cosa
nascondevano quelle acque quasi immote?
Non
avendo altro modo di scoprirlo se non immergendosi fino alle ginocchia
–
l’Acheronte sembrava un po’ più basso
rispetto agli altri fiumi infernali –
Atena infilò un piede nell’acqua scura e
tranquilla.
E
urlò.
Urlò
come se le fondamenta stesse della Terra le fossero piombate addosso, e
lei
dovesse sostenerle come il mitico Atlante.
Mille
spini acuminati intrisi di veleno era quello che, più
verosimilmente, stava
provando in quel momento Atena ma, non di meno, procedette in avanti,
un passo
alla volta, un grido disperato alla volta.
Quando
sentì il pianto a singhiozzi di Alekos, Atena
desiderò con tutta se stessa
voltarsi, prenderlo in braccio e condurlo lei stessa sulla riva, ma
sapeva di
non doverlo fare.
Anche
per questo, si coprì le orecchie per non sentire e pianse
tutte le lacrime che
aveva.
Sperò
soltanto che Miguel, in qualche modo, potesse mitigare quella
inesorabile
tortura.
***
Passeggiando
nervosamente nella radura che si apriva dinanzi le porte
dell’Oltretomba, Érebos
si fermò quando si ritrovò a fronteggiare lo
sguardo accigliato di Nyx.
“Smettila.
Farai un solco a terra, se continui così” lo
ammonì lei, sfiorandogli un
braccio con la mano.
“Non
sopporto l’idea di saperla laggiù, mentre io sono
bellamente qui a non fare
nulla!” sbottò la divinità, indicando
con rabbia la porta dell’Oltretomba.
Nyx
gli sorrise comprensiva e replicò: “Per questo hai
aspettato tanto, per
parlarle? Non sopportavi il pensiero di abbandonarla a se stessa, e per
una
cosa che avevi scoperto tu?”
“Ho
cercato, Nyx. Zeus stesso sa se ho cercato…” si
lagnò Érebos, stringendo i
denti per la rabbia e la frustrazione. “… ma non
v’era nulla se non questo, per
salvare Alekos dall’Oltretomba.”
“Atena
è forte, non temere.”
“Lo
so… ma qui si parla di suo figlio. Delle sue sofferenze.
Sopporterà di sentirlo
piangere?” le domandò il dio, afferrando la
sorella per le spalle. “In che
inferno l’ho mandata?”
“Stai
aiutandola a uscirne, a voler essere precisi”
sottolineò Nyx, cercando di
spezzare l’ansia che trafiggeva il cuore del fratello.
Érebos
le concesse un mezzo sorriso, cui seguì una risatina stanca.
“La amo, Nyx.”
“Lo
so, caro, come so che la morte di Miguel e Alekos ha colpito te molto
più di
noi tutti. Sai anche che il cuore di Atena, al momento, è
ancora legato a
Miguel, vero?”
“Ma
certo, e neppure vorrei il contrario. Un’anima
così pura non poteva che
appartenere a un uomo eccezionale. Però, desidero comunque
starle vicino, se
lei me lo concederà” le spiegò il dio,
carezzandole i neri capelli.
Nyx
gli sorrise, annuendo, e disse: “Credo che il modo in cui
Atena si è presa cura
di te, dica molto. Le stai a cuore, e molto. Quanto al resto, solo il
tempo lo
dirà. Io, comunque, tiferò per te.”
“Grazie,
sorella” mormorò Érebos, prima di
rabbrividire e scrutare ansioso la porta
dell’Oltretomba. “Si
avvicinano…”
***
Il
Flegetonte, semplicemente, non esisteva.
O
meglio, se lame di fuoco perenne potevano essere considerate un fiume,
allora
il Flegetonte era il fiume più inquietante che Atena avesse
mai visto.
Quelle
non erano acque purulente, bollenti e vorticanti, ma era letteralmente
fuoco
che galleggiava sul letto di un fiume senz’acqua, e che
venivano alimentate
unicamente dalle forze infernali di quel luogo.
“Mamma,
ho paura” mormorò Alekos dietro di lei.
Atena
si morse un labbro a sangue per impedirsi di volgere lo sguardo e,
stringendo i
pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, disse: “Ho il
dubbio che non
siano fiamme vere, agape, ma solo
un’altra estensione del dolore provato dai dannati. Il punto
non sarà non
ustionarsi, ma non ascoltare i messaggi ingannevoli che ci verranno
sussurrati.”
“V-va
bene” balbettò il bambino.
Atena
lo sentì singhiozzare una volta e pulirsi qualcosa
– immaginò il viso – prima
di aggiungere: “Papà è ancora qui con
me. Mi ha aiutato, prima.”
“Bene.
Sono contenta, Alekos. Ora, io vado per prima e, come per il Cocito,
vediamo di
correre un po’. Credo sia meglio” gli
spiegò lei, sentendo acconsentire al suo
piano.
Ciò
detto, balzò nel fiume di fuoco e, come aveva immaginato,
non si ustionò la
pelle, ma comprese subito che genere di fiamme fossero quelle.
Erano
le fiamme dell’anima, che divoravano dall’interno,
togliendo il fiato e le
forze.
Tutto
ciò che di bello e buono e puro vi era nel cuore veniva arso
dalle fiamme,
producendo rimpianto, dolore e sofferenza.
Atena,
però, non si lasciò dominare e, decisa a superare
anche quello scoglio, urlò:
“Prova pure a divorare tutta la mia anima, se pensi di
riuscirci! Ma non ce la
farai!”
Le
fiamme, allora, la circondarono formando un’alta colonna
vermiglia che, però,
non impedì ad Atena di scorgere in lontananza la riva
opposta.
Facendosi
quindi strada come se fosse stata immersa in una foresta di rovi, si
sbracciò
per scostare le fiamme una a una, ansimando per lo sforzo di non venire
divorata
fino all’ultima briciola.
Dietro
di lei, la dea avvertì le urla spaventate –
più che addolorate – di Alekos, e
quel nuovo dolore rinfocolò le fiamme intorno a lei,
rendendole più dense,
quasi fisiche.
“Giuro
che ti caverò la pelle a striscioline sottili, zio, dopo
questa tua diavoleria”
ringhiò Atena, gettandosi a testa bassa in mezzo alle fiamme
per raggiungere in
tutta fretta la riva.
Queste
ultime le si gettarono addosso come cani da caccia appresso alla preda,
ma
Atena le ignorò. Che tentassero pure di assoggettarla. Lei
si sarebbe sempre
difesa, avrebbe impedito al dolore e al rimorso di vincerla.
Incespicò
e, in un caso, cadde carponi, venendo avvolta dal fuoco ringhiante e
pronto a
divorarla, ma ancora si sollevò.
Con
un’ultima imprecazione mise infine piede sulla sponda opposta
e lì, senza
fiato, si lasciò cadere a terra prona, ansimando e
smoccolando all’indirizzo di
Ade.
“Gliela
farò pagare cara… anche se so che deve essere
così, me la pagherà… scommetto
che li ha inventati quando Persefone non era con lui” si
lagnò Atena, cercando
di riprendere fiato.
“Metera…”
piagnucolò Alekos.
Chiusi
gli occhi, Atena mormorò: “Ancora uno, piccolo
mio. Poi potremo dare tanti
calci negli stinchi allo zio, va bene?”
Alekos
tentò di ridere a quella battuta, ma dalla sua boccuccia
tesa uscì solo un
gracidio.
“Mi
spiace tanto, agape. Non avrei
dovuto
spingerti a tanto…” singhiozzò Atena,
tergendosi il viso stanco.
“Posso
farcela, mamma. Davvero. Papà mi ha aiutato a pensare a cose
belle, anche se
piangevo e stavo male” replicò Alekos con coraggio.
“A
cosa hai pensato?”
“A
te, la prima volta che ti ho vista. A zia Persefone quando mi prepara i
dolci,
o allo zio Ares quando mi insegna a tirar di spada. Poi ho pensato a
zio Érebos
e al suo dolore, e a come mi abbia fatto capire che, anche se sono
piccolo,
posso fare comunque cose da adulto. Lui crede davvero che io possa
farcela,
perciò lo farò.”
Atena
si risollevò a fatica – avrebbe dormito per un
mese di fila, se fosse riuscita
in quell’impresa. Diversamente, beh… se avesse
perso Alekos e Miguel ancora una
volta, avrebbe chiesto a Zeus di ucciderla.
Era
l’unico a poterlo fare e, a quel punto, non sarebbe
più valso vivere.
Quello,
però, doveva rimanere l’ultimo dei suoi pensieri.
Doveva credere di potercela fare,
esattamente come Alekos aveva creduto
nelle parole di Érebos.
“D’accordo,
proseguiamo” decretò infine la dea, incamminandosi
verso il Lete.
Per
quel fiume in particolare, avrebbe mandato tutto alle ortiche e
sfoderato la
sua divinità al suo massimo fulgore.
Concentrandosi
sul suo sangue, sull’icore
che
scorreva potente dentro di lei, richiamò a sé le
antiche vestigia. In uno
sfavillio dorato, lunghe vesti bianche la circondarono, calzari dorati
ricoprirono i suoi piedi e un elmo di fattura mirabile comparve dinanzi
al suo
volto.
Nella
mano sinistra strinse lo scudo su cui capeggiava la testa di Medusa
mentre,
nella destra, la sua spada da guerra brillava letale e pronta a dar
battaglia.
“Sei
bellissima, mamma” mormorò Alekos, ammirato.
“Grazie,
tesoro” replicò lei, sorridendo brevemente sotto
l’elmo abbassato dinanzi al
viso.
Che
il Lete tentasse pure di sopraffarla. Gli avrebbe dimostrato cosa
voleva dire
mettersi contro una dea.
***
Érebos
venne scosso da un violento brivido e, muovendosi verso la porta
dell’Oltretomba,
venne presto fermato da Nyx che, preoccupata, esalò:
“Non puoi intervenire,
fratello. E’ contro le regole, e lo sai!”
“Non
trasgredirò un bel niente! Ma devo essere presente in
qualche modo, e lo farò!”
ringhiò lui e, con un gran movimento di braccia, nubi dense
di nebbia
scaturirono dalle sue dita e si infiltrarono nella roccia per dirigersi
leste
verso il Lete.
Nyx
osservò quella nebbia scintillante e totalmente controllata
dal fratello e,
tesa, mormorò: “Spero che la pensi così
anche Atropo, perché altrimenti sai
cosa potrebbe succedere. Ha un caratteraccio, nostra figlia, quando ci
si
mette.”
“Non
si arrabbierà, perché io non aiuterò
Atena o Alekos, esattamente come nei
patti” precisò Érebos, socchiudendo gli
occhi per meglio concentrarsi.
“Non
ha mai amato neppure i cavilli, ricordalo”
sottolineò Nyx.
“Lasciami
fare, Nyx. Andrà bene.”
“Lo
spero, o manderò te, da Miss Mani di Forbice. Io ho
già dato” si lagnò a quel
punto la sorella, facendolo ridere.
“Se
ti sentisse, si infurierebbe. Sai che non vuole essere chiamata
così.”
“Pensa
a quel che stai facendo… qualsiasi cosa sia” lo
redarguì Nyx.
Ed
Érebos lo fece, sperando con tutto se stesso che funzionasse.
***
Le
acque del Lete erano placide al pari dell’Acheronte, ma Atena
sapeva che
nascondevano l’insidia più difficile di tutte; la
dimenticanza.
Quel
fiume in apparenza tranquillo avrebbe potuto strappare loro ogni
ricordo, ogni
dolore, ogni gioia, lasciandoli vuoti e senza
un’identità, ma lei lo avrebbe
impedito a ogni costo. Almeno per sé, per lo meno.
Quanto
ad Alekos, doveva confidare che il suo piano avesse successo, anche se
questo
avrebbe voluto dire, per lui, dimenticarsi di lei e del loro bambino.
Non del
mio
amore per voi, e del vostro per me, però, rammentò lei, sperando
che le parole
di Miguel corrispondessero a verità. Desiderava che almeno
l’amore rimanesse
con lui, pur se non avrebbe mai più rammentato da chi fosse
stato amato.
Preso
un gran respiro, quindi, avanzò verso la riva al pari di una
densa nebbiolina
argentata che, ben presto, Atena riconobbe essere
un’estensione diretta di
Érebos.
“Ma
cosa sta
facendo?”,
si domandò mentalmente Atena, affondando il primo piede
nelle acque del Lete.
Subito,
le acque sfrigolarono al contatto con la sua pelle di dea e divennero
simili a
piraņa pronti a divorarla.
Atena,
però, falciò quell’ondata con la sua
spada, svaporandola completamente.
Soddisfatta
del risultato, puntò quindi lo scudo su una nuova ondata del
Lete che,
letteralmente, divenne pietra prima di sbriciolarsi dinanzi a lei e
scivolare
via con la corrente.
“Ah…
quindi sei soggiogata anche tu al potere di
Medusa…” ghignò soddisfatta Atena,
fissando bieca le acque del fiume.
Ringalluzzita
da quel risultato, Atena si gettò nel mezzo del fiume come
se si trovasse sul
campo di battaglia e, feroci come fiere, le onde del Lete si gettarono
su di
lei per avere la meglio.
Dietro
di lei, interamente ricoperto dalla luminescenza di Miguel, Alekos
avanzava a
una certa distanza dalla madre e, guardando il combattimento in atto,
mormorò:
“E’ davvero brava.”
Miguel
si illuminò maggiormente, dando una conferma alle sue parole
e Alekos,
sorridendo contrito, disse: “La mamma non me l’ha
detto, ma penso di aver
capito cosa succederà. Ti dimenticherai di noi,
vero?”
L’anima
sfarfallò un poco e Alekos, annuendo, aggiunse:
“Credo che questo sia un gesto
da eroi, e io ti ricorderò sempre, in ogni mia preghiera. Lo
farò anche per te,
e dirò a tutti che mio padre è morto come un
eroe, per salvare me e la mamma.”
Miguel
si fece più lucente, a quelle parole e il suo calore lo
avvolse interamente,
confermandogli tutto l’amore che provava per lui.
Alekos
allora sorrise ma, quando scorse la nebbia addensarsi attorno a loro
fin quasi
a far svanire la figura di Atena, mormorò:
“Érebos?”
“Segui
la nebbia
e resta dove ella rimarrà, così sarai sicuro di
non essere davanti a tua madre,
quando riemergerà dalla battaglia. Quanto al resto, lascia
fare a me.”
“Cosa
vuoi fare, zio?” domandò il bambino, ma il dio non
rispose.
Non
potendo fare altro, Alekos seguì la nebbia fino alla riva
ma, quando egli mise
piede sulla roccia dura e compatta, l’anima di Miguel venne
risucchiata dal
Lete.
Lui
non aveva il consenso a raggiungere la porta dell’Oltretomba,
solo Alekos
poteva.
La
nebbia, però, lo avvolse, proteggendolo e, di colpo,
svanì.
Alekos
non riuscì più a vederla da nessuna parte ma,
memore delle parole del dio
dell’oscurità, annuì fiducioso e attese
di veder comparire la madre sulla
terraferma.
Ciò
avvenne con una grande esplosione di energia e luce, segno che la
battaglia era
terminata e Atena aveva sconfitto le acque litigiose e furenti del Lete.
Quando,
però, il figlio la vide sulla riva, si morse un labbro e
desiderò correre da
lei per abbracciarla.
Sua
madre era in lacrime, distrutta al pensiero di aver per sempre
condannato
l’amore della vita all’oblio eterno.
Non
di meno, proseguì verso l’ultima erta che li
divideva da un’immensa porta a due
battenti e, claudicante, la raggiunse a grandi passi.
Alekos
poté udire chiaramente il suo pianto incontrollato e
cercò di trasmetterle
tutto il suo amore, ma lei parve non sentirlo.
Forse,
quella era l’ultima prova decisiva. La deprivazione
dell’udito.
A
quel modo, lei non avrebbe potuto essere certa della sua presenza e
avrebbe potuto
correre il rischio di voltarsi troppo presto, vanificando ogni sforzo e
ogni
loro sacrificio.
“Ce
l’abbiamo quasi fatta, mamma. Coraggio”
mormorò comunque Alekos, sperando che,
almeno nel suo cuore, la madre potesse udire le sue parole.
***
La
battaglia sul fiume Lete l’aveva sfiancata e, quel che era
peggio, la
consapevolezza di aver perso i ricordi di Miguel l’aveva
piegata fin quasi a
spezzarla.
Il
non udire nulla dietro di sé, intorno a sé,
inoltre, la rendeva nervosa, ma
sapeva bene che quello era l’ultimo ostacolo da affrontare.
Orfeo
aveva sofferto lo stesso dubbio immane e aveva fallito, lasciandosi
andare alla
frenesia non appena aveva scorto la luce del sole.
Non
aveva però potuto udire il rumore delle porte
dell’Oltretomba chiudersi, e
proprio a causa di quel sordido incantesimo, perciò aveva
fallito la sua
impresa, volgendo lo sguardo.
Lei,
però, non avrebbe fallito. Sarebbe rimasta per ore e ore a
occhi chiusi,
sperando che questo potesse bastare.
Miguel
si era sacrificato per la riuscita di quella folle impresa,
perciò lei non
poteva rendere vano quel dono immane.
Spalancò
perciò la porta con una spinta e, una volta
all’esterno, nell’ampia radura che
si trovava dinanzi all’entrata, si gettò a terra
assieme a spada e scudo e
pianse.
Pianse
tutte le lacrime del mondo, e rimase accucciata a terra
perché il tempo
compisse il resto dell’opera.
Invisibile
alla vista a causa dell’ultimo incantesimo imposto da Ade,
Nyx ed Érebos
tentarono di incoraggiarla a resistere, ma le loro voci rimasero al di
fuori
della bolla in cui ancora si trovava Atena.
Il
dio batté i pugni più e più volte
sulla parete invisibile che li divideva,
gridando a perdifiato il nome di Atena, ma nulla avvenne.
Fu
Alekos a spezzare il pianto della madre.
Sfiorandole
la spalla con una mano, mormorò: “Mamma, metera…
puoi sentirmi? Apri gli occhi. E’ tutto finito.”
Atena
sobbalzò nell’udire nuovamente la sua voce ma,
ancora, non si fidò ad aprire
gli occhi. E se fosse stato l’ultimo trucco di Ade?
“Le
porte sono chiuse, mamma. Davvero. Apri gli occhi”
insisté ancora Alekos,
inginocchiandosi dinanzi a lei. “Il sole è
splendido, mamma, ed è così caldo!”
“Alekos…”
mormorò Atena, socchiudendo gli occhi.
Un’ombra
si figurò dinanzi a lei e la dea, spalancando gli occhi, si
ritrovò ad abbracciare
il figlio, finalmente libera, finalmente assieme a lui.
Baciò
il suo volto, e ancora non successe nulla. Nessuna Erinne pronta a
portarlo via
da lei, nessun dio di sventura a dirle che aveva fallito.
E
poi Érebos e Nyx, accanto a loro, felici e con le lacrime
agli occhi per la
gioia.
Allungando
una mano al dio, si lasciò aiutare a rimettersi in piedi e
Alekos, abbracciando
entrambi i fratelli, disse: “Zia Nyx, Zio
Érebos… ce l’abbiamo fatta!”
“Sì,
caro… sei stato molto coraggioso. Ma ora è il
caso che andiate a casa. Devi
farti curare le escoriazioni sulle mani e sui piedi”
mormorò Nyx,
abbracciandolo e baciandolo sulle guance.
Alekos
si guardò incuriosito e, annuendo sorpreso,
asserì: “Ecco perché mi bruciavano
tanto…”
Atena
lo guardò piena di orgoglio e disse: “Mi
prenderò cura di te, tesoro mio.
Niente più viaggi infernali, per noi due.”
“Grazie,
mamma” le sorrise Alekos, prima di guardarsi intorno e
domandare: “Ma dove
siamo?”
“Nell’antica
Colchide, ragazzo. Da qualche parte in Medio Oriente,
comunque” gli spiegò
Érebos. “Visto che non è una zona molto
tranquilla, convenite con me che è
meglio andarcene?”
“Direi
di sì” assentì Atena, prendendo in
braccio il figlio per poi dispensarlo di
altri baci.
Alekos
rise e, in uno scintillio dorato, se ne andarono per raggiungere
Monterey,
California, e la casa di Atena.
Quando
riapparvero, Alekos si ritrovò a fissare un bel giardino
fiorito, alberi
imponenti che degradavano verso il mare e una bella civetta maculata su
un
trespolo.
Nel
vederli, Pallade trillò allegramente e si involò
fino a raggiungere la spalla
della padrona, che la carezzò grata e felice.
“E’
la tua civetta, mamma?” mormorò ammirato il
bambino.
“Sì,
caro. Vieni a conoscere la tua sorellina piumata” gli disse
lei, scostando
Pallade su un dito per poi avvicinarla ad Alekos.
Il
bambino la prese timoroso sui palmi delle mani, mentre la civetta lo
studiava
con curiosità, muovendo a destra e a manca la testolina.
Sorridendo
nel guardarli piena d’amore, Atena si deterse
un’ultima lacrima dal viso e,
guardandosi finalmente intorno, vide unicamente Érebos
accanto a lei, ma non
Nyx.
“E’
rientrata nell’Oltretomba per dare la bella
notizia” le spiegò lui.
Annuendo,
Atena poggiò stancamente il capo contro la spalla del dio e
mormorò: “Ormai non
ci speravo più. Ade ha davvero creato delle barriere
mostruose, laggiù.”
“Ma
ce l’hai fatta. Ce
l’avete fatta” le
fece notare lui, sistemandole delicatamente una ciocca di capelli.
“Come
avevi detto tu… anche se al costo dei ricordi di
Miguel” mormorò lei, sospirando.
Érebos,
allora, sollevò una mano per mostrarle un’ampolla
dorata e leggermente
rilucente e Atena, confusa, domandò:
“Cos’è?”
“Sono
i ricordi di Miguel. Ho potuto salvarli dalle acque del Lete mentre
venivano
trascinati via” mormorò lui, facendola rianimare
immediatamente. “Non mi era
concesso aiutare te e Alekos, ma nessuno mi ha vietato di aiutare
Miguel.”
“Érebos…”
sussurrò grata Atena, abbracciandolo con forza.
“Grazie.”
“Gli
parlerò di voi e, se lo vorrà, li
riavrà indietro. Non è mia intenzione sconvolgere
la sua anima, ora sicuramente confusa, perciò
lascerò a lui la scelta e, nel
frattempo, li custodirò gelosamente” le
spiegò il dio, rimettendo al sicuro
l’ampolla.
“Così,
se vorrà, saprà chi lo ha tanto amato”
annuì Atena. “Anche Alekos ne sarà
felice.”
N.d.A.:
e qui termina anche questo breve episodio. Naturalmente, ritroveremo
Atena e
gli altri protagonisti di queste storie in altre avventure,
perché hanno tanto
ancora da dire. Alla prossima!