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Autore: BrainscanSF    06/03/2019    0 recensioni
In un mondo diviso tra regni in lotta, dove la nobiltà regna sovrana a scapito del popolino, è difficile trovare il proprio posto. Lo sa bene Ignis, che ha fatto della sopravvivenza un'arte. Messa da parte ogni ambizione, il giovane divide le sue giornate tra scorrerie e bevute al pub; sarà l'incontro con Scilla, capricciosa aristocratica fresca di diseredamento, a metterlo di fronte a un bivio: perseverare in una vita priva di sbocchi o rischiare il collo nel tentativo di riportarla a casa, nei Quartieri Alti? La risposta sembra scontata, ma l'impresa non è facile come potrebbe sembrare, nemmeno per chi, come lui, può contare su pessimi modi e un'ironia discutibile...
"Non possiamo sapere quando la nostra vita prenderà una piega imprevista. Possiamo provare a prevederlo, tutto qui. Ma io so che la fortuna è imprevedibile, viceversa per i suoi tragici rovesci. Non so come definire lei. Non so come definire noi.
Non possiamo sapere quando la nostra vita prenderà una piega imprevista, è vero, ma possiamo scegliere di scappare o di affrontare di petto l'ignoto. Io lo so. Mi è appena successo.
Cosa ho scelto? Be'..."
Genere: Avventura, Erotico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Sono una brutta persona.
Lo dicono tutti – be', ovviamente stanno bene attenti a non dirmelo in faccia – quindi immagino che sia vero. Percepisco il nervosismo, la paura che attraversa lo sguardo di chi mi sta attorno. È come un tremito nell'aria. L'istinto li mette in allerta, da quel perfetto meccanismo di difesa che è, laddove il pregiudizio nei confronti di un ceffo enorme con tatuaggi su ogni centimetro di pelle disponibile non possa bastare. La lingua che va ad umettare il labbro superiore, le palpebre che si abbassano e si sollevano all'impazzata, gli occhi che saettano in ogni direzione possibile e immaginabile e... guarda un po', non è una goccia di sudore, quella appena spuntata all'attaccatura dei capelli?
Eppure ti ho solo chiesto un goccio di rhum. Avanti, so che applicandoti un po' ce la puoi fare.
Dicevamo?
Già. Una brutta persona. Non che mi dispiaccia, sia chiaro.
Sono "la cattiva compagnia", "l'esempio da non imitare", e ne vado fiero.
Potrei dire che nascere e crescere nei Bassifondi non offra molti spunti, ma a me va bene così.
Trascorro la maggior parte della mia giornata in qualche bettola di second'ordine, assieme ad altri perdigiorno della mia risma. Tra un bicchiere e l'altro, spenno il pollo di turno a poker, bevo fino a che non mi pesa troppo il culo e via, verso qualche altro ameno posticino. Prima di sera, mi faccio almeno tre o quattro locali, poi barcollo nel letto di qualche puttana, o della mia nuova fiamma del momento se è un periodo particolarmente fortunato.
Di buono c'è che i miei clienti abituali sanno sempre dove trovarmi. Vedete, per i buoni a nulla come me, tolta ogni prospettiva di trovare un lavoro rispettabile, le scelte si riducono drasticamente. Ma non me ne lamento. Non ho voglia di spaccarmi la schiena nei campi come fa il mio vecchio, ma tagliare gole... è tutta un'altra faccenda. Tagliare gole, allo stesso modo di spaccare nasi e spezzare ossa è pura arte. Lo schiocco secco di una spalla che si lussa è musica, e io sono il direttore d'orchestra. A volte capita che torni a casa con un occhio nero o senza un dente, ma mi sta bene anche questo. Fa parte del mestiere, capite. Capita di dover rompere qualche uovo, per fare una frittata. Loro mi dicono chi devo togliere di mezzo e io lo faccio. Gli scrupoli sono per i deboli.
Carlo, seduto accanto a me, mi tira una gomitata. Prima di decidere se si merita un pugno in bocca, mi giro con un grugnito.
«Ehi. Guarda quella!»
È una sua fissa, quella di rendermi partecipe delle donne che punta. Quando capirà che non me ne frega un cazzo sarà troppo tardi. Mi volto, già spazientito.
Questa volta ha preso di mira una biondina coi capelli corti seduta a qualche tavolo di distanza, una fighetta ricca seduta con la schiena dritta come se avesse un palo nel culo (o magari le piacerebbe averlo, non ne dubito), la classica figlia di papà che non vede l'ora di ripagare la prodigalità del genitore che le ha aperto un conto in banca da capogiro aprendo le gambe per farla annusare profusamente ad ogni bipede maschio del globo, salvo ritrarsi all'ultimo lasciandoti sbavante con tutto il sangue concentrato in un unico punto. È il tipo di donna che odio di più.
«Puzza da schifo di Linguadiragno» gli faccio notare, nel caso già la sua circolazione avesse iniziato ad abbandonare il cervello per emigrare altrove.
«Machissenefrega! Ma l'hai vista?»
Ora, Carlo sa perfettamente quello che penso della città dei nobili e di tutti quelli che ci abitano, dunque la sua insistenza non fa che rendermi ancora più fermo sulle mie decisioni.
«Carina» gli concedo, senza dargli la soddisfazione di una seconda occhiata.
E chi ne ha bisogno, poi? Ho riconosciuto il bocconcino a colpo d'occhio, e con la stessa immediatezza mi rendo conto che è del tutto fuori dalla portata del mio amico, che con quei denti ingrigiti dal fumo e il ciuffo leccato all'indietro col gel è la brutta copia di quei gangster che apparivano sui giornali trent'anni fa, almeno quanto il diploma di liceo da lui tanto auspicato. Ha faticato ad uscire dalle elementari, figurarsi. Se poi teniamo conto anche dei retroscena, del fatto che a ventisei anni viva in una bicocca fuori dal paese assieme alla madre che lo reputa un idiota, è facile intuire come ogni suo tentativo di adescare la Contessa Figa di Legno sia destinato a fallire miseramente.
«Non capisci, Ignis, è tempo di puntare in alto!»
Cosa? E da quando? Quand'è stato deciso che parcheggiare il cazzo nella figa di una prostituta sia più o meno degradante che farlo in quella di una che mangia croissant appena sfornati a colazione preparandosi ad una giornata in cui non farà assolutamente un cazzo? No, perché devo essermelo perso.
«Tu dici a me di mirare in alto?» domando, marcando ben bene per sottolineare il fatto che sua madre non abbia tutti i torti. Sbatto le palpebre, incredulo.
«Di baldracche puoi averne quante ne vuoi. Basta pagare. Ma quella è per palati fini.» Accenna col pollice alla bionda. «Non dirmi che non sei curioso di assaggiarla.»
Certo che lo sono, ma non mi va di sbattermi troppo per ottenere qualcosa per cui mi basta pagare. Cerco di farlo capire anche a lui, accompagnando il ragionamento con una vigorosa pacca sulla spalla, alla quale lui risponde con un sorriso furbesco che mette in mostra i dentacci alla nicotina. Di nuovo, indica freneticamente la bionda e il mucchio di valigie impilate lì accanto in un mucchio pericolante; se finisse col travolgerla, sento che la mia serata subirebbe una svolta positiva, visto che da un capo all'altro del tavolo, improvvisamente non si parla d'altro che di lei.
E poco importa che tutti insieme costituiscano una ricca varietà dei tipi umani meno appetibili di Gea, perché il branco ha adocchiato una preda solitaria lontana dal suo ambiente naturale, ed è pronto a risvegliare i suoi bassi istinti.
Non saprei spiegarne bene il motivo, ma provo un certo fastidio nel vederli così. Forse perché sbavano senza ritegno di fronte ad una persona che li tratterà come vermi. Forse l'uomo che è in me può accettare senza problemi di essere una cattiva persona, ma non di vedere il proprio orgoglio calpestato.
«E fatevela! Anche tutti insieme, per quello che mi frega! Sembra che non abbiate mai visto una donna! Ve ne state lì con l'uccello in mano come dei disperati, mi fate pena!» sbotto, senza accorgermi della quiete improvvisa che regna tutto attorno. «E per cosa, poi? Per una puttanella ricca come quella?» La mia voce sovrasta il brusio, alta e sprezzante. Molti si voltano a guardare. Sostengo il loro sguardo finché non tornano ad occuparsi degli affari loro.
Ma tra i tanti volti ce n'è uno che sostiene il mio sguardo, imperturbabile, la testa voltata ostinatamente nella mia direzione. Mi affascina e mi fa incazzare al tempo stesso, l'arroganza di quella stronza, e le cose non possono che peggiorare quando la vedo alzarsi e dirigersi verso di me tutta impettita. È uno scricciolo che tenta di apparire minaccioso. Uno scricciolo con un bel paio di tette.
«Oui, monsieur? Mi è sombrato di capire che vous avez un problème avec moi.» Allarga le braccia. «Je suis ici.» Batte inconsciamente il piedino a terra, come a voler sottolineare quel concetto. Porta un paio di scarpe alte, rosse, col tacco a stiletto e il cinturino avvolto attorno alle caviglie sottili. Nessuna donna che non sia una puttana porterebbe un paio di scarpe simili in pieno giorno, ma già, a Linguadiragno se ne sbattono allegramente di qualsiasi convenzione. «Potete ripetere quello che avete detto, s'il vous plaît?»
Ora il silenzio è completo. Tutti seguono la scena a bocca aperta, inorriditi. Lo sono anche io, in parte. Cosa ha appena detto?
Mi osserva dal basso (nonostante io sia rimasto seduto), con le mani sui fianchi. Mi sta sgridando?
«Senti un po', signorina, io non ho proprio niente contro di te.» Sollevo i palmi delle mani, mostrandoglieli (se continua a rompermi il cazzo potrei anche farglieli vedere più da vicino, non me ne frega un cazzo se è una donna). «È lui» indico Carlo, che nel frattempo scuote la testa, supplicante «che ha un problema.» Nessuna pietà. «Sì,» dico al suo faccino sospettoso, annuendo «Vuole chiederti di uscire, l'animale!»
La sua espressione basta a ripagarmi di ogni rottura di coglioni. Spalanca gli occhi, e la ripugnanza che traspare ad inquinare quei tratti da bambolina cancella in me ogni seppur minima traccia di esitazione. Ne approfitto per darle uno sguardo approfondito. A così breve distanza, la sua bellezza ha quasi un impatto stordente; è ingannevole nella sua struttura fragile e delicata, dietro cui si nasconde una volontà forte come l'acciaio.
«E non è abbastonsa uomo per dirmèlo lui?» torna all'attacco, ritrovando la sua spavalderia.
Gli uomini tutto attorno ridono, battendosi sulle cosce e sghignazzando, ma la bionda non demorde. Non lei. Lo vedo sul suo volto, l'orgoglio che si scontra con l'incertezza, in netta minoranza. Non intende darmela vinta: combatterà.
«Non devi essere troppo severa con lui. Può sembrare una testa di cazzo qualsiasi, ma ti assicuro che è un vero simpaticone.» Calo una manata tale sulla spalla di Carlo che mi pare di sentire le ossa scricchiolare. «E poi, ce l'hai un metro di paragone? Quanti uomini puoi aver conosciuto? Che io sappia quelle come te vengono tenute sotto chiave» sogghigno.
Ma ora lo ammetto, sono davvero curioso, a dispetto del mio tono noncurante; la principessina che ho davanti è proprio il tipo da risvegliare i più perversi istinti di un uomo, con quel corpo morbido, flessuoso e profumato, e quell'aria dolce, femminile. Almeno, questo è il mio caso. Sto riscoprendo il piacere della caccia, inebriato dalle possibilità. La voglio. Ho messo gli occhi su qualcosa che mi interessa. Vaffanculo, Carlo.
«Cosa dovrebbe significare questo?» pronuncia freddamente lei, guardandomi col disprezzo che riserverebbe a qualcosa di appena uscito da una fogna.
«Esci con me» dico, di slancio. «Così poi potrai giudicare. Ho... esagerato con le parole, prima. Ho parlato a sproposito.» Col cazzo, penso, mentre mi sforzo di assumere un aspetto contrito e al tempo stesso accattivante. «Mi comporterò bene. Prometto che ti divertirai.»
Lei mi guarda, e ora ad imporsi sul suo viso è lo stupore, spazzando via ogni altra emozione. Per un momento – folle, lo riconosco – penso di avere la vittoria in tasca, che lei mi dirà di sì. Fisso le sue labbra, immaginandole in posti proibiti – quelle che fanno le schizzinose sono sempre quelle più fameliche – poi vedo il diavolo danzare con un guizzo nei suoi occhi, e finalmente colgo l'antifona.
«Uscire con toi?» ripete lei, con una risatina da smorfiosa. È quella a ferirmi più di ogni altra cosa. Mi sembra di sentirla penetrare sotto pelle, con la facilità di una lama di rasoio. E il finto compatimento con cui mi guarda. «Non siate sciocco. Comme je puovais sortir con uno come voi? Solo l'idée è talmonte ridicule!»
Avrei dovuto immaginarlo. Non sono nemmeno lontanamente ricco a sufficienza da poterla corteggiare, appartiene ad un mondo che mi è tristemente precluso, ma il fatto che lei lo sottolinei con letale condiscendenza mi è intollerabile. Mi pento all'istante della mia impulsività. Nel frattempo, sotto alla cocente delusione in cui affogano quei pochi pensieri mortificanti che riesco a formulare, inizia a ribollire una rabbia sana e liberatoria, che mi fa tirare il fiato.
Eppure, nemmeno in quella posso trovare sollievo. Maledetta, mi ha spogliato di ogni arma. Se ora lascio fluire quello che provo, urlando e sbraitando, le darò solo la soddisfazione di esserci rimasto male, a lei e ai miei amici che seguono morbosamente lo scontro.
Devo trovare un modo per ritirarmi con classe, senza fare la figura dello stronzo disperato.
«Come vuoi» faccio spallucce, cercando in tutti i modi di non apparire amareggiato. «Hai tutto da perdere.» Le mie mani si contraggono in due pugni serrati senza che io lo voglia, nonostante tutti i propositi. Il mio orgoglio maschile è in rivolta, sta gridando. Questa calma di ripiego gli fa più schifo che a me. Come diavolo si permette di rifiutare me? «Che aspetti, allora? Levati dal cazzo. Torna dai tuoi damerini incipriati, quelli non saprebbero trovarsi il culo nemmeno con una cartina e tutte e due le mani a disposizione. Vai! Sparisci!»
Sono una brutta persona: questo non significa che non abbia sentimenti, implica solo che se mi rompi le palle ti spacco il culo.
«Come pensavo... nemèno tu sei un vero uomo.»
Cosa?
«Che cazzo stai dicendo?»
«Ponso seulement che voi non siote alla mia altezza» ribatte, stringendosi nelle spalle e spedendomi un'occhiata maliziosa di cui non l'avrei mai ritenuta capace.
Emetto un verso sprezzante. Esiste qualcuno che lo sia?
«Basta così poco per rimettere al vostro posto persone del vostro jenere... Scommetto che dietro quell'aria da duro, sei solo un cusciolo spavontato
Salto sulla sedia, prima ancora che riesca a terminare la frase. È qualcosa che ho sentito, una parolina che per me è irresistibile, quanto può esserla una dose di morfamina per un drogato. La agguanto prima che possa solo provare ad allontanarsi, affondando le dita nelle sue spalle; sono come ossa di uccellino, nella mia presa.
«COSA CAZZO HAI DETTO?» le ringhio in faccia. «RIPETILO!». Una gocciolina di saliva le atterra sul naso.
Lei non si scompone. Ci pensa su. «...cusciolo spavontato
«PRIMA!».
«Ho detto... Ho detto... non me lo ricordo!» protesta, tentando di liberarsi. È così vicina che riesco a contare ognuna di quelle stupefacenti ciglia scure che le orlano gli occhi, ma al momento il fatto che sia una bellezza stratosferica è del tutto ininfluente per me. Quasi la sollevo da terra, mentre la trascino ancora più vicina.
«Vuoi scommettere con me? Eh? Vuoi scommettere?» domando, febbrile. Libero una mano, la sbatto sul tavolo con una forza tale da incrinare il piano di legno. Anche il cameriere, giunto in soccorso della ragazza e rimasto poi immobile, incapace di intervenire, sobbalza. «E VA BENE! SCOMMETTIAMO!»
Deve esserci un'espressione orribile, sulla mia faccia, perché tutti si tirano indietro. Non me ne rendo conto: so che sto sorridendo, che le guance quasi mi fanno male a causa della tensione a cui le sottopongo, ma non mi spiego l'ondata di timore collettiva. Comunque, non ha alcuna importanza.
Magari è convinta di poterla spuntare. L'arroganza tipica di chi è cresciuto col culo al caldo, servito e riverito da uno stuolo di servi le fa credere di essere immortale. Ma non oggi. Non qui.
«Ora tu mi tirerai un calcio nelle palle. Voglio che miri per bene lo scroto, capito? Devi metterci tutta la tua forza.»
Smette all'istante di contorcersi, ma in compenso mi guarda con sospetto, come se fossi una specie di maniaco. «Pourqoui?»
«Perché? Perché ora vedremo se il sottoscritto è un vero uomo oppure no! Non eri impaziente di provarlo? Allora avanti, fammi gridare! Fammi desiderare di essere morto!». Di nuovo, colpisco il tavolo, per dimostrarle che sono serio.
«E se sci riesco?». Vedo una luce avida nel suo sguardo, anche questa decisamente inappropriata per una come lei, ma sono troppo lanciato verso il mio inarrestabile declino per accorgermene.
«Se ci riesci, potrai chiedermi qualsiasi cosa! Ma se vinco io...» Lascio la frase in sospeso, lasciando che una grassa, cavernosa risata prepari il campo per quello che sto per dire. «Usciremo insieme. Mi dedicherai una serata intera, sette ore del tuo tempo. E ti piacerà» scandisco, minaccioso ed esaltato al tempo stesso.
Per qualche secondo sono convinto che rinuncerà, che si tirerà indietro, rassegnandosi a chinare la testa. Rimane in silenzio, con gli occhi bassi. Esitante. Ho bisogno di pensare che stia vagliando tutte le possibilità che ha di levarsi da questo impaccio nella maniera più dignitosa possibile: quale gratificazione rappresenterebbe per il mio ego, mettere a tacere una volta per tutte questa smorfiosa!
«Se vinscerò io, sarai il mio schiavo tout la prochaine semaine. Sette jorni della tua vita. Mi sombra onesto, no?»
Cos...?
Stava riflettendo su cosa chiedermi, in cambio della sua verginità anale. La stronza.
A questo punto, nemmeno io posso essere da meno, mi pare ovvio.
«Bene.» Mi sono alzato, soddisfatto della differenza d'altezza che mi consenta di svettare su di lei. La mia ombra la avvolge. Respiro pesantemente, pregustando il mio trionfo. Come potrebbe essere diversamente, dopotutto? Peserà cinquanta chili da bagnata, questo boccoloso concentrato di spocchia. Già mi vedo ad esibirla in lungo e in largo, mentre vengo additato come una leggenda.
Ebbene sì, ragazzi, sto uscendo con una di Linguadiragno. Una nobile. Una coi quarti nobiliari. Si dice così, poi? Be', i suoi quarti non sono niente male, in ogni caso.
«Avanti, procedi.»
Annuisce, seria. Attorno a noi è sceso il silenzio. Tutti che guardano col fiato sospeso.
Oh, la piccola non sa in cosa è andata a cacciarsi. Ho la vittoria in tasca.
   
 
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