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Autore: Miss Ravenclaw    08/03/2019    2 recensioni
Lo osservò giocare distrattamente con il percing al labbro inferiore, gli occhi fissi nel vuoto e le mani infilate nelle tasche della felpa.
Era così diverso rispetto ai ragazzi che quella sera aveva visto in discoteca da sembrare quasi alieno.
I fari dell’autobus illuminarono per un attimo la panchina dove erano seduti e lui sembrò riscuotersi dai suoi pensieri.
Si voltò verso Gigi, essendosi reso conto solo in quel momento di non essere solo, la scrutò solo per qualche istante prima di far scivolare via dalle sue orecchie le cuffiette.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Capitolo 2


 
Potion Approaching

 

 
 
Gigi non riusciva a distogliere lo sguardo, per quanto volesse, per quanto ci provasse.
Il ragazzo del bus era lì, di fronte a lei, e sembrava non averla notata: parlava fitto fitto con la ragazza dietro il banco, giocando con le bacchette della batteria con fare disinvolto.
Era evidente che si conoscessero bene, che tra i due ci fosse un rapporto stretto, intimo; Gigi lo aveva capito subito: i visi erano troppo vicini, i sorrisi troppo maliziosi, i corpi si cercavano senza che se ne rendessero conto.
C’era una magica sintonia tra i due, una chimica inspiegabile che li legava come una corda di spago intrecciato, un’intesa rara che li rendeva estranei alla folla, come se si trovassero all’interno di una bolla.
La ragazza era appoggiata con i gomiti al bancone, le mani chiuse a pugno poggiate sotto il mento, gli occhi chiari rivolti verso il batterista, un’espressione sognante dipinta sui suoi lineamenti delicati.
Era troppo bella, di una bellezza che la irritava senza che Gigi ne riuscisse a capire il motivo.
Più li osservava e più capiva che quei due erano fatti per stare insieme.
Il ragazzo si allontanò e solo in quel momento, rendendosi conto di essere osservato, si voltò verso la sua direzione, lo sguardo che si trasformava, diventando sempre più interdetto e infuriato.
Infuriato?
Quando fu a pochi passi di distanza da lei si fermò, il volto atteggiato in un’espressione sarcastica.
«Hai sviluppato un’ossessione nei miei confronti, per caso?» la sua voce era profonda e roca.
Gigi lo osservò per qualche secondo prima di rivolgergli un mezzo sorriso.
«Non capisco perché tu ti ritenga così importante, in fondo, ti trovi in un locale molto frequentato dagli studenti di Yale, non in un posto sconosciuto anche a Dio» replicò piccata, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio.
Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da quel batterista da strapazzo.
«È la seconda volta che ti becco a fissarmi: la prima avrei anche potuto ritenerla una coincidenza ma alla seconda comincio a pensare che tu sia una stalker».
John li osservò, lo sguardo accigliato che si spostava dal ragazzo a Gigi a intervalli regolari.
«Già vi conoscete?» Fu Tessa che alla fine decise di parlare, rivolgendosi a Gigi.
«L’ho incontrata stamattina alla fermata dell’autobus mentre aspettavo – fu il batterista a rispondere senza smettere di guardarla – era senza scarpe e non smetteva di fissarmi».
«Ero senza scarpe perché quei trampoli cominciavano a farmi male – si rivolse a Tessa che la stava osservando come se le avesse nascosto il più importante dei dettagli – e poi, ti osservavo perché eri l’unico elemento interessante in quel contesto» Spostò di nuovo l’attenzione su Noah.
«L’unico elemento interessante? Spero tu stia scherzando» aveva cominciato a far roteare le bacchette tra le dita e, per un secondo, Gigi si perse a contemplare il movimento di quelle mani così agili, poi si riscosse e sorrise beffarda.
«Spero ti sia chiaro che in quella scena, tra alberi e cartelli stradali consumati, anche un porcospino sarebbe risultato interessante».
Il ragazzo non fece in tempo a rispondere che John lo bloccò: «Sarebbe davvero molto bello continuare questa conversazione, però, noi dovremmo fare un concerto. Lo hai per caso dimenticato, Noah?».
Gigi vide il ragazzo sbuffare spazientito prima di seguire John verso il palco.
Si voltò un’ultima volta nella sua direzione per poi prestare completa attenzione agli altri due componenti della band.
«Secondo me, ti vuole scopare» le sussurrò all’orecchio Tessa, facendola trasalire.
«Ma se fa gli occhi dolci alla banconista» disse divertita, non riuscendo a trattenersi dall’arrossire.
L’amica piegò la bocca in un’espressione contrariata prima di risponderle: «Claire è la sua ragazza ma questo non significa che non voglia scoparti».
Gigi alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
«Devi smetterla di dire la parola scopare» replicò alla fine.
Tessa le sorrise maliziosa.
«Perché? Ti dà per caso fastidio la parola scopare? Pronunciarla di fronte a te è quasi bello quanto farlo per davvero – la spintonò verso il palco – comunque, tu sei mossa da troppi sani principi, bimba, il maschio è questo: istinto. Adesso, guarda».
Gigi si voltò.
Il palco su cui i tre ragazzi si trovavano era così piccolo da riuscire a contenere a stento in larghezza la batteria; la pedana era di legno scuro, consumata dagli anni trascorsi in constante contatto con il fumo, e scricchiolava in modo preoccupante sotto il loro peso.
John aveva lo sguardo rivolti in direzione di Tessa, si stava inumidendo le labbra come se l’avesse appena baciata e volesse sentire il suo sapore.
Sapeva che, se si fosse girata, avrebbe visto la sua amica ricambiare l’occhiata del ragazzo con la medesima malizia, quindi preferì non indagare oltre.
Noah si era seduto alla batteria, gli occhi che scrutavano con disinvoltura le persone davanti a lui, concentrò per un attimo il suo sguardo su Gigi poi abbassò la testa prima di dare il tempo.
Era bravo: suonava con agilità, come se le bacchette non fossero corpi estranei ma prolungamenti delle sue braccia.
Aveva il volto concentrato, la fronte e le sopracciglia aggrottate, i denti che mordevano con violenza le labbra.
Gigi si chiese quale sarebbe stata la sensazione di trovarsi tra quelle braccia, avvinghiata a quel suo corpo aggraziato, come sarebbe stato essere baciata da quelle labbra carnose, giocare con il percing di metallo che aveva sul labbro inferiore, infilare le mani tra quei capelli scuri.
Cominciare a ballare per allontanare quei pensieri fu automatico e salutare.
Chiuse gli occhi mentre la voce del cantante le penetrava nella mente, le riempiva i sensi.
Il suo era più un agitarsi che un ballare vero e proprio ma non se ne curò: si lasciò trasportare come solo la musica rock riusciva a fare e mimò con le labbra le parole della canzone.
 
“Then we fell asleep in the car,
Until the bumps woke up in your grip
And the tide took me to your mouth,
And then swept me back down to your
palms”
 
Si muoveva a tempo, prima accarezzandosi le braccia sollevate con le mani, dopo agitando i capelli per lasciarsi liberi di seguire la musica.
Cercò di dimenticare tutto: la brutta giornata appena trascorsa, le parole di Matthew, il suo sguardo, come si era sentita nell’allontanarsi da lui.
Il corpo di Tessa si mosse accanto al suo e Gigi si scostò i capelli dal volto.
 
“It’s them that put me inside the
Reminder
That yours is the only ocean,
That I wanna swing from,
Yours is the only ocean,
That I wanna hang on” 1
 
«Dimmi quello che vuoi, bimba – la voce dell’amica era divertita – ma il batterista non riesce a toglierti gli occhi di dosso».
Gigi si riscosse: il locale sembrava essere diventato più buio di quanto già non fosse e impiegò qualche secondo prima di abituarsi di nuovo.
Una mandria di persone si era accalcata intorno a loro, rendendo l’aria opprimente e difficile da respirare: nuvole di fumo e sentore di alcool si mescolavano alla puzza di sudore dei corpi in movimento.
Si voltò in direzione del palco: Noah era lì, concentrato a suonare la batteria, gli occhi puntanti verso di lei.
Lo guardò e lui non abbassò lo sguardo.
Quegli occhi blu rimasero incastrati nei suoi e, come vittima di un incantesimo, lasciò che il suo sguardo le accarezzasse il corpo e lo baciasse.
Non smise di osservarlo.
Proseguì in quella sua danza e, mentre il cuore sembrava volerle uscire dal petto, lo vide inumidirsi le labbra.
Stava ballando per lui? Sì.
NO.
Assolutamente no.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da Noah, da quelle labbra e da quel percing che non smetteva di tormentare con i denti.
Non seppe per quanto tempo rimasero così, a mangiarsi come degli affamati di fronte a una montagna di cibo.
Gigi si sentiva spinta da una forza oscura a continuare con quel gioco, attrarlo a sé con i suoi movimenti lenti e conturbanti.
Poi, così com’era iniziata, la canzone finì e Noah distolse lo sguardo per parlare con John.
«Comunque, lo devo ammettere – le disse Tessa mentre le note di una seconda canzone, Drain You dei Nirvana, cominciavano ad aleggiare nell’aria – quando vuoi, riesci a non essere rigida come una stecca di biliardo».
Gigi sbuffò.
«Grazie tante».
L’amica ignorò il suo commento e si avvicinò ancora un po’.
Sapeva che le avrebbe detto qualcosa che l’avrebbe turbata.
«Forse perché volevi che qualcuno ti vedesse?» Appunto.
«Io vado a prendermi una birra» borbottò.
La sentì ridere prima di perdersi tra la folla.
Il bancone era lurido e appiccicoso: molti clienti avevano rovesciato della birra sul ripiano di legno e delle bucce di arachidi vi erano appiccicate; dalle cicche di sigarette abbandonate nel posacenere fuoriuscivano ancora dei rivoli di fumo.
Tutta la clientela si era spostata in direzione del palco, lasciando quella zona del locale più vivibile.
Fece forza con le mani per sedersi su uno sgabello prima di rivolgersi alla banconista.
Vista da vicino, la ragazza di Noah, Claire, sembrava essere ancora più bella; per quanto il trucco colato e i capelli legati alla meno peggio riuscissero a guastare il suo aspetto, dava l’impressione di essere un effetto voluto e non causato dalla stanchezza.
«Ciao, cosa ti porto?» si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Una Blue Moon, grazie» le rispose, non riuscendo a guardarla negli occhi.
Claire non le portò subito l’ordinazione: si appoggiò al bancone con i gomiti e rivolse lo sguardo in direzione del palco.
«Sono bravi, vero?» le disse alla fine, indicandole con il mento la band.
Gigi sospirò prima di annuire.
«Sono molto bravi» sussurrò poi si voltò verso la ragazza.
Claire la stava osservando, la fronte aggrottata e le sopracciglia inarcate le fecero capire quanto fosse turbata.
Sembrò volerle dire qualcosa poi ci ripensò, sospirò e si voltò per continuare a lavorare.
Rimase seduta sullo sgabello per tutta la durata del concerto, non trovando il coraggio di ritornare da Tessa, sentendo lo sguardo di Claire sulla schiena e la voglia di scappare via che cresceva sempre di più.
Che le stava succedendo?
«Eccoti qui» alzò lo sguardo e osservò Tessa che la stava raggiungendo insieme a John.
Il ragazzo aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi che brillavano ancora di adrenalina.
Le sorrise e si sedette accanto a Gigi prima di passarsi una mano tra i folti capelli ricci.
«Cosa te n’è sembrato? A un certo punto non ti ho più vista vicino al palco» Noah comparve proprio in quel momento: parlava con il cantante in modo rilassato, giocando con le bacchette come gli aveva visto fare già altre volte in quella serata.
«Non sapevo che la mia amica fosse un’alcolizzata» rincarò la dose Tessa, appoggiandosi con un gomito alla spalla di John.
Gigi scosse la testa e la ignorò: «Siete stati fantastici, le cover degli Arctic Monkeys sono state quelle che ho preferito di più».
John annuì prima di bere un sorso di birra dalla sua bottiglia.
«Sono state un’aggiunta voluta da Noah, non sospettavamo che la gente si sarebbe gasata così tanto» le disse il riccio.
«Io lo sospettavo, invece, altrimenti non avrei suggerito di inserirle nella scaletta» si intromise Noah alzando un sopracciglio.
Gigi non lo guardò, sapeva che sarebbe arrossita fino alle punte dei piedi se lo avesse fatto.
«Sei sempre il solito spaccone» John gli diede una pacca sulla schiena prima di richiamare l’attenzione di Claire.
«Claire, birra per tutti?» La ragazza si avvicinò, si sporse sul bancone, mettendo in mostra tutte le sue grazie, e sorrise prima di inclinare la testa.
«La parolina magica?» la sua voce era una carezza difficile da rifiutare.
«Smettila di flirtare con me davanti al tuo ragazzo, Claire, non voglio che diventi geloso» scoppiò a ridere John circondando con un braccio la vita di Tessa.
«Poi qui c’è Tessa, non vorrei che si facesse un’idea sbagliata» abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi dietro il suo cespuglio di capelli.
Un coro da stadio si levò tra il gruppo ed John arrossì ancora di più prima di sorridere strafottente.
«Abbiamo un nuovo romanticone qui, non ci bastava Noah» il cantante si avvicinò al gruppo poi spostò lo sguardo su Gigi.
«Che ne diresti se ti mostrassi il MIO lato romantico?» le sorrise malizioso, alzando e abbassando velocemente le sopracciglia.
Rise di cuore prima di scuotere la testa.
«Grazie, ma no, grazie – cominciò senza smettere di sorridere – preferisco rimanere innamorata di te in segreto mentre tu continui a flirtare con le ragazzine» gli fece l’occhiolino poi si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Il cantante si portò una mano al petto, guardandola con aria afflitta.
«Mi hai spezzato il cuore – le rispose afferrando poi un boccale di birra per bere un lungo sorso – vorrà dire che affogherò i miei dispiacere nell’alcool».
«Sopravviverai» borbottò Noah appoggiandosi al bancone.
«Stai mortificando il mio orgoglio ferito – disse il cantante prima di guardare di nuovo Gigi – siamo circondati da maleducati, mio folle e non ricambiato amore, io sono Rick» le porse la mano.
«Gigi, piacere» gliela strinse.
«Comunque, tu ed John stavate parlando di quanto fantastica sia stata la mia esibizione, vero? Devi sapere che mi imbarazzo parecchio quando le persone parlano delle mie strepitose abilità canore» le disse Rick, prendendo uno sgabello per sedersi accanto a lei.
«Mi hai proprio letta nel pensiero, sai? – decise di stare al gioco – ma quando ti trovi davanti una persona con queste strepitose abilità canore è un po’ difficile non parlarne» il ragazzo gettò la testa all’indietro e scoppiò a ridere.
«Possiamo andare» Claire si avvicinò a Noah e lasciò che il ragazzo la stringesse e le lasciasse un bacio sulla cima della testa.
Stavano bene insieme: due lati speculari della stessa medaglia.
Noah le lanciò un’occhiata veloce poi si affrettò a distogliere lo sguardo, concentrando di nuovo tutta la sua attenzione nei confronti di Claire.
Se voleva far finta di nulla, lo avrebbe fatto anche lei, decise e insieme agli altri si avviò verso l’uscita del Route 66. 2
 
«Ahia, scotta!» Gigi cominciò a sventolare una mano vicino alle labbra, la bocca spalancata nel tentativo di incamerare più aria fresca possibile, al contempo, lanciava occhiate truci all’oggetto incriminante: il bicchiere di carta fumante che aveva appoggiato al bancone del bar.
«Tieni» Gabriel, il suo migliore amico, le persone un bicchiere d’acqua fresca senza smettere di ridere.
Gigi lo mandò giù in un unico sorso e il bruciore si alleviò.
Tutta la stanza si era voltata nella loro direzione, gli sguardi scioccati e divertiti allo stesso tempo.
Incassò la testa nelle spalle, a disagio, e guardò Gabriel che non smetteva di ridersela dietro il suo bicchiere di cappuccino.
«Una cosa positiva – cominciò il ragazzo, addentando una ciambellina glassata di cioccolato – è che con te non ci si annoia mai».
Gigi sbuffò sconsolata.
«Mi stavi raccontando – le disse Gabriel, riprendendo la conversazione che avevano interrotto – delle vicende interessanti che hanno sconvolto la tua vita monotona prima che io arrivassi questa mattina».
Lei e Gabriel erano amici da quando, due anni prima, avevano cominciato a frequentare il college.
Dal primo momento in cui lo aveva visto, Gigi aveva capito che sarebbero diventati amici.
Lo aveva guardato entrare in ritardo alla loro prima lezione: i capelli chiari scompigliati, i vestiti sempre in ordine trasandati e l’aria disorientata di chi preferirebbe trovarsi in tutt’altro posto.
Gli aveva indicato il posto accanto al suo e da quel momento in poi erano stati inseparabili.
Gabriel e Gigi condividevano una passione che li aveva spinti a scegliere lo stesso ramo di specializzazione, una passione che non avrebbe mai potuto condividere con Tessa.
Il teatro era il motore della sua vita, lo era stato fin dalla prima volta in cui suo padre aveva deciso di accompagnarla a uno spettacolo; innamorarsi dell’atmosfera, dei costumi, degli attori era stato naturale quanto respirare.
Ritrovarsi sullo stesso palcoscenico che aveva sognato mille volte anni dopo era stato sorprendente ed emozionante: ciò che provava era difficile da descrivere a parole.
Il teatro era un qualcosa che andava oltre il mettere in scena un’opera: erano le notti insonni passate a leggere i drammi, il cercare di immedesimarsi nei personaggi e capire la loro psicologia; era passione, tragedia, amore viscerale; era rileggere le battute così tante volta da farle diventare parte del suo stesso essere.
Il teatro era quel qualcosa.
«Terra chiama Gigi» Gabriel fece schioccare le dita di fronte alla sua faccia e la ragazza sobbalzò, presa alla sprovvista.
«Sei troppo distratta – l’amico alzò gli occhi al cielo – così mi fai pensare che tu non voglia raccontarmi ciò che ti è successo».
Gigi sbuffò per poi dargli una spallata scherzosa.
«Lo sai che non è vero, perché: uno – alzò l’indice – non ti avrei accennato nulla se non avessi voluto raccontartelo; due – alzò il medio – sei il più grande sostenitore di Matthew ed io devo trovare un modo per farti cambiare idea» gli sorrise prima di bere un sorso del suo latte macchiato.
Gigi e Gabriel parlavano come se avessero tutto il tempo del mondo, lasciando che le ultime giornate di sole prima dell’inverno li scaldassero; stavano camminando lungo i corridoi di Yale con calma, permettendo agli studenti in ansia per il primo giorno di sorpassarli.
Le pareti di mattone scuro del college erano tappezzate di volantini: corsi avanzati di matematica, numeri di tutor, avvisi per dormitori e appartamenti; le bacheche erano stracolme di avvisi inutili a cui nessuno prestava attenzione.
«Matthew è uno stronzo» esordì senza troppi preamboli, gettando il bicchiere di carta nella spazzatura.
«Questa è una cosa indiscutibile e che abbiamo appurato circa due anni fa quando lo abbiamo conosciuto. Adesso dimmi, qual è la novità?» Gabriel alzò un sopracciglio e la guardò con aria accigliata.
«Sabato siamo andati in discoteca e ha provato a baciarmi» cominciò, sapendo già la reazione che avrebbe avuto il suo amico.
«Un “ma” alleggia nell’aria» lo vide borbottare.
«Non lo so, Gab, sentivo che tutto era sbagliato: io, lui, la situazione, il fatto che fossi troppo ubriaca anche solo per dire due parole di fila di senso compiuto. Comunque, l’ho respinto e sono scappata» parlò in fretta, mangiandosi quasi le parole, sperando che quella conversazione terminasse il prima possibile.
Gabriel annuì, appoggiandosi con la schiena alla parete e continuando a bere dal suo bicchiere di carta.
«È ciò che fate tu e Matthew da due anni a questa parte: tu lo vuoi, lui ti vuole ma non si fa avanti, ad un certo punto lui prende l’iniziativa, ti spaventi, scappi, lui si incazza, non ti parla per qualche settimana e poi cominciate di nuovo tutto daccapo».
Gigi scosse la testa: «Questa volta è diverso: è andato da Tessa, incazzato nero e le ha detto un sacco di cose brutte sul mio conto».
Gabriel la esortò a continuare con lo sguardo e la ragazza sospirò prima di ricominciare il discorso: «Le ha detto che sono solo un’insicura del cazzo, che sono fortunata a piacere a una persona come lui e che l’unico motivo per cui “ci sta” è che palesemente gli muoio dietro».
«Un martire, insomma» replicò sarcastico l’amico, stringendo le mani a pugno e digrignando i denti.
«Ha esagerato questa volta» aggiunse alla fine, gettando ciò che rimaneva del bicchiere di carta ormai accartocciato tra le dita.
«Sì, ma non c’è bisogno che tu faccia qualcosa, Gab, ci ho già pensato io a mandarlo a fanculo» gli disse trascinandolo con tutta la sua forza in direzione del teatro dove avrebbero partecipato alla prima lezione del semestre.
Gabriel era rigido e silenzioso, camminava accanto a lei ma non sembrava essere presente per davvero.
«A cosa stai pensando?» gli chiese alla fine, quando il silenzio divenne opprimente.
L’amico scosse la testa e poi la guardò, i suoi occhi verdi sembravano volerle trapassare l’anima per capire a cosa stesse pensando.
«L’unica cosa che mi interessa è capire se qualche sega mentale ti sta arroventando il cervello in questo momento – alzò una mano per interrompere la sua protesta - non dire niente, ho cambiato idea; mi incazzerei ancora di più».
Entrarono nel teatro: solo le prime file di poltrone di velluto nero erano state occupate.
Quando si chiusero la porta alle spalle, i suoni provenienti dall’esterno si attutirono, lasciando che nella stanza calasse il silenzio.
Le sembrava di trovarsi in una vecchia cattedrale: le pareti erano alte e di pietra grigia, ai lati c’erano delle balconate da dove Gigi riusciva a scorgere ulteriori posti a sedere.
Il palcoscenico che si estendeva di fronte ai suoi occhi era immenso e occupava quasi del tutto il suo campo visivo; l’unico che avesse mai visto era quello nella sua città, a Moncks Corner, in Carolina del Sud, e non era di certo grande come quello: ricordava la sensazione che aveva provato nel calpestare quel legno scricchiolante, nell’osservare la platea di fronte ai suoi occhi, nel commuoversi nel vedere così tante persone pendere dalle sue labbra; ma quello, quello non era niente in confronto a ciò che le si parava di fronte agli occhi: il legno della pedana non era malandato come quello del teatro della sua città, sembrava solido, appena levigato, lucido come la seta; i pesanti drappeggi che incorniciavano il palcoscenico erano chiusi con dei cordoncini dorati, in pendant con gli intarsi che ornavano il tessuto rosso Borgogna.
Gigi si guardò intorno, girando su sé stessa, l’eco dei suoi tacchi bassi che risuonava nell’immensa stanza.
Si sedettero accanto agli altri: tutti osservavano il palco in religioso silenzio, eccitati come dei bambini in un parco giochi.
Osservò per un attimo Gabriel: dietro la sua corazza di indifferenza, notò quanto fosse rimasto stupito.
Le luci si spensero all’improvviso, facendo calare la stanza in una completa oscurità.
Fu un attimo: il palcoscenico si illuminò di una luce dorata, il silenzio venne interrotto da una musica di sottofondo e tre personaggi entrarono in scena.
A giudicare dalla stazza erano uomini: indossavano delle lunghe tuniche bianche e dei mantelli color rosso fiammante, agganciati alle tuniche da degli spilloni d’oro che erano riccamente lavorati con motivi greci; i volti erano celati da delle maschere grottesche.
Uno dei tre ragazzi si sedette a gambe incrociate sulla pedana in legno, gli altri due si posizionarono uno di fronte all’altro, in un chiaro gesto di sfida.
 
“Pensa ragazzo, quali sono le conseguenze della temperanza, a quanti piaceri devi rinunciare, fanciulli, donne, cottabo, leccornie, bevute, divertimenti… Vale la pena di vivere a questo modo?
Ora, consideriamo le necessità della natura: poniamo che tu ti sia innamorato della moglie di un altro, e che ti colgano in flagrante. Sei morto se non sei capace di parlare. Ma se appartieni al mio circolo, puoi sfruttare la natura, ridere, impazzare, non avere tabù. Se anche ti beccano in flagrante adulterio, basta dire che non hai colpa di nulla e rovesciare tutto su Zeus: anche lui cede all’amore delle donne… Tu, che sei uomo, mica puoi essere più forte di un dio, no?”
 La maschera del primo attore che aveva parlato era atteggiata in un’espressione di drammatico divertimento: le cavità degli occhi erano spalancate, la bocca piegata in un sorriso deforme e derisorio; si rivolse in direzione del ragazzo seduto a gambe incrociate, con l’evidente intenzione di istruirlo.
E se per averti dato retta gli cacciano un ravanello nel culo e lo depilano con la cenere rovente, potrà negare di essere un rottinculo?” Rispose per le rime il secondo attore all’in piedi e, per contro, la sua maschera era disperata, in evidente contrapposizione con quella del suo interlocutore.
“E anche se fosse, che c’è di male?” l’altro allargò le braccia e distese le dita.
“Ma c’è qualcosa di peggio, dico io?” il secondo attore pestò i piedi a terra, frustrato.
“E che mi dici se ancora una volta ti dimostro che hai torto?” lo canzonò l’altro, agitando l’indice.
“Starò zitto; che altro posso fare?” sbuffò e scosse la testa, rassegnato.
“Allora dimmi: gli avvocati, che gente sono?” Il primo attore aveva assunto un tono da maestrino, avvicinandosi di un passo all’altro.
Il ragazzo seduto di fronte a loro girava la testa a intervalli regolari, seguendo il discorso dei due con crescente trasporto: annuiva sempre più convinto al termine di ogni battuta per poi ripensarci.
“Rottinculo” il secondo attore abbassò la testa.
“D’accordo. E i poeti tragici?” Annuì l’altro soddisfatto.
“Rottinculo” la sua voce era solo un roco sussurro.
“Benissimo. E i politici?” il primo attore diventava via via più eccitato.
“Rottinculo!” Per contro, l’altro sembrava essere sempre più disperato.
“E allora, lo vedi che dicevi una sciocchezza? E gli spettatori, per la maggior parte, chi sono?” sorrideva vittorioso.
“Sto guardando…” il ragazzo si rivolse in direzione del pubblico, il viso sporto in avanti, le mani grandi portate alla bocca atteggiata in un’espressione infelice.
“E che vedi?” L’altro gongolava: le braccia incrociate al petto, la testa che dondolava a destra e a sinistra in modo canzonatorio.
“Per gli dei, la maggior parte sono rottinculo. Questo lo conosco e anche questo, e quell’altro coi capelli lunghi!” Si sedette sul bordo del palco, la voce che si alzava via via che continuava con la sua battuta.
“E allora, che mi dici?” Anche il primo attore si era avvicinato al bordo del palco e con il piede nudo lo infastidiva, colpendogli con insistenza il fianco.
“Abbiamo perso. Razza di culaperti, tenete, eccovi il mio mantello: passo dalla vostra parte!” Detto questo, il secondo attore si strappò il mantello dal braccio e lo gettò in direzione del pubblico, alzando il mento in un’espressione ferita e sconfitta.
 
Uno scroscio di applausi si levò dalle poltrone, Gabriel, accanto a Gigi, aveva portato due dita alla bocca per fare un lungo e sonoro fischio.
Gli attori si godevano gli applausi, seduti di fronte a loro, le gambe a penzoloni sul palco.
«Basta così» una voce allegra che proveniva dal fondo del teatro risuonò forte e chiara, facendo piombare tutto in un istantaneo silenzio.
Le luci si riaccesero e da un’ombra comparve colui che doveva essere il professore di recitazione.
Era un omuncolo tutto pancia, dall’aspetto impettito e l’aria gioviale.
Indossava vestiti formali: pantaloni beige gessati, panciotto in pendant così stretto da sembrare sul punto di scoppiare e camicia inamidata.
Un principio di calvizie lo aveva colpito: i capelli brizzolati cominciavano a diradarsi sulle tempie.
Una rada peluria gli copriva le guance ma l’elemento più interessante erano i baffi arricciati alle punte in una precisa imitazione di Salvador Dalì.
Camminava tra le poltrone con le mani infilate nei pantaloni, il mento alto e gli occhietti da topo che scrutavano i ragazzi.
«Complimenti, complimenti» batté le mani in un applauso che si spense in pochi secondi.
«Siete stati davvero molto bravi, ragazzi» aggiunse quando raggiunse, in un tempo che parve interminabile, la prima fila di poltrone.
Salì in fretta i pochi gradini e si sedete tra gli attori sul bordo del palco, le mani appoggiate alle cosce grassocce.
«Innanzitutto, benvenuti – cominciò, rivolgendo alla platea un grande sorriso – mi presento, sono il professor Williams e sarò il vostro insegnante di recitazione per questi due anni» voltò lo sguardo in direzione degli attori e posò sulle loro spalle le grosse mani.
«Quelli che avete appena visto recitare sono gli attori più promettenti della Yale School of Drama3 – colpì con uno schiaffo amichevole il primo ragazzo – Tom Baston – il chiamato in causa sfilò la maschera e rivolse loro un sorriso imbarazzato – Cameron Shelleys e Noah Jenkins».
Quando anche il terzo ragazzo fece scivolare via la maschera dal viso, Gigi spalancò gli occhi.
Noah il batterista, Noah dallo sguardo sexy, lo stesso che l’aveva chiamata stalker, era seduto di fronte a lei: madido di sudore, i capelli incollati alla fronte, gli occhi blu fissi sul pubblico.
Il professor Williams continuava il suo discorso, ignaro della battaglia interiore che infuriava nella sua testa.
Che diavolo ci faceva lui lì?
Fu assalita da una malsana quanto abituale voglia di scappare via.
Artigliò con forza il poggia gomiti di velluto nero della poltrona per reprimere quell’impulso.
Gabriel le scoccò un’occhiata confusa prima di prestare di nuovo attenzione al professore.
Era logico, non poteva capire il suo travaglio interiore, non era stato presente in nessuna delle due occasioni in cui aveva incontrato Noah.
Sbuffò sconfortata, lanciando di sottecchi un’occhiata al ragazzo seduto sul palco.
Sembrava rilassato: la schiena inarcata in avanti, i gomiti appoggiati alle cosce, le mani che stringevano con delicatezza ma allo stesso tempo con fermezza la maschera di ceramica che fino a quel momento aveva indossato.
«Se avete scelto di intraprendere questa specializzazione – stava dicendo il professor Williams – dovete essere di certo attratti in qualche modo dal mondo dello spettacolo.  Forse un giorno diventerete attori, registi, sceneggiatori, costumisti.
Sappiate che, qualsiasi strada percorrerete in futuro, ricorderete per sempre questo giorno come l’inizio di tutto» pescò dalle tasche una bustina di carta bianca e l’agitò davanti agli occhi, il suo sorriso si accentuò nel vedere gli sguardi degli studenti diventare sempre più confusi.
«Adesso – esordì alla fine, mettendosi faticosamente all’in piedi – vi farò delle domande, ad ogni risposta esatta guadagnerete un cioccolatino».
Il professor Williams camminava lungo il palco facendo dei passi lunghi, il volto sollevato verso l’alto, le labbra arricciate e un’espressione concentrata dipinta negli occhi scuri; riusciva a catalizzare tutta l’attenzione su di sé: era un qualcosa di magnetico che aveva nel modo di agitare le mani, nel modo in cui riusciva ad occupare con pochi movimenti tutto il palco senza rubare la scena a nessuno.
«Chi sa dirmi che tipo di teatro i nostri fantastici attori hanno messo in scena?» la sua voce risuonò forte e chiara nell’enorme teatro.
Un attimo di silenzio, tutti i ragazzi seduti sulle poltrone si guardarono intorno, spaesati e spaventati dalla domanda che li aveva mandati in confusione.
Gigi alzò la mano.
Sentì gli occhi di Noah trapassarla da parte a parte e si mosse a disagio sulla poltrona.
«Prego, prego, mi dica» il professor Williams continuò a camminare senza spostare lo sguardo su di lei.
«Teatro greco» rispose incerta, sperando di aver dato la risposta giusta.
Con la precisione di un cecchino, l’uomo le lanciò il cioccolatino che le aveva promesso.
«Molto bene!» esclamò entusiasta poi riprese a camminare, l’espressione di nuovo seria.
«Qualcuno sa dirmi, invece, il genere?» un ragazzo in prima fila fu più veloce di Gigi ad alzare la mano.
«Commedia».
Risposta giusta.
«Adesso passiamo alle domande difficili – annunciò, ridacchiando – nome e autore dell’opera?».
Gigi sorrise poi attirò di nuovo l’attenzione del professore.
L’uomo si girò nella sua direzione, lo sguardo che le rivolse era incerto, come se non si aspettasse che qualcuno conoscesse la risposta.
«Le Nuvole di Aristofane» rispose ed esultò come se avesse appena vinto la finale di una partita di football quando ricevette il cioccolatino.
«Vedo che qualcuno qui ha fatto i compiti!» ridacchiò Williams e le rivolse un sorriso grande e sorpreso prima di sedersi di nuovo accanto agli attori.
Gigi non riuscì a reprimere l’espressione orgogliosa che voleva a tutti i cosi spuntare sul suo viso.
«Il teatro – ricominciò a parlare l’uomo – è una delle arti più antiche e in assoluto più belle create dall’uomo. Il nostro compito è quello di ridare una nuova dignità a questa disciplina, diventando abbastanza bravi da riuscire a replicare ciò che è stato fatto in passato e, se siamo fortunati, a creare una nuova magia, magari migliore ma, in sostanza, diversa».
Nella stanza calò un profondo silenzio, tale da riuscire a percepire il ronzio delle luci al neon che illuminavano il teatro.
Durò per qualche secondo, poi il professor Williams si sfregò le mani e li guardò, un lampo di eccitazione attraversò i suoi occhi scuri.
«Devo dirvi la verità, questo è in assoluto il momento che preferisco, riesco a leggere nei vostri occhi le stesse emozioni che provavo io un tempo quando vedevo un palcoscenico: ansia, adrenalina, estasi allo stato puro.
È bello vedere come le cose siano cambiate ben poco nonostante il tempo. Sono sicuro, comunque, che tutte queste sensazioni riuscirete a catalizzarle in modo positivo nel monologo che dovrete preparare per me per cercare di ottenere una parte nello spettacolo che la Yale School of Drama sta preparando.
Ogni anno, i laureandi in arti sceniche organizzano per i ragazzi del primo anno di specializzazione uno spettacolo, prodotto in tutto e per tutto da loro: copione, sceneggiatura, costumi, scelta del cast verranno pianificati al minimo dettaglio con la mia supervisione per essere messo in scena verso febbraio, pochi giorni prima dell’inizio degli esami.
Il vostro obiettivo sarà quello di ottenere una parte all’interno della rappresentazione teatrale, coloro che non ci riusciranno aiuteranno me e i ragazzi della School of Drama nei costumi e nella sceneggiatura. Sono stato chiaro?» un brusio di assenso si levò tra le poltrone.
«Avrete tre settimane di tempo per preparare un monologo a vostra scelta, per mostrare a me ma soprattutto ai ragazzi della School of Drama le vostre capacità» detto questo il professore si alzò e scomparve dietro le quinte del teatro, lasciandoli da soli, con i loro dubbi.

 
 
 


1 La traduzione della canzone (Potion Approaching degli Arctic Monkeys) è: Poi ci addormentammo in macchina fino a quando i dossi mi svegliarono mentre ero nella tua stretta. E la marea mi condusse alla tua bocca, e poi mi fece tornare alle tue mani. Sono loro che mi ricordano che il tuo è l’unico oceano su cui voglio oscillare, il tuo è l’unico oceano su cui voglio galleggiare.
 
2 Alla fine del capitolo precedente ho dimenticato di dirvi che il Route 66 non esiste ma è frutto solo della mia invenzione.

3 Ho fatto molte ricerche e ho scoperto che la specializzazione e la Yale School of Drama sono due cose diverse: la specializzazione fa parte sempre del primo percorso di studi universitario, al termine del quale i ragazzi americani ottengono il Bachelor, che sarebbe una nostra laurea triennale; la Yale School of Drama, invece, è una specializzazione della specializzazione, e corrisponde al nostro Master.




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Buon pomeriggio a tutti.
Prima di tutto, voglio fare i miei più sentiti auguri a tutte le donne che leggeranno questa storia. Buona festa della donna a tutte!
Nonostante il fatto che io non creda molto in questa particolare festa, mi sembrava “doveroso” fare questo preambolo prima di parlarvi di questo capitolo.
Scrivere questo capitolo è stato molto difficile ed è per questo motivo che non ho potuto pubblicare domenica, ho preferito perdere un po’ più di tempo per essere sicura che potesse essere degno di essere pubblicato; nonostante tutti i miei sforzi, non è che mi sia piaciuto molto il risultato finale, però non potevo lasciarvi per troppo tempo in sospeso.
Abbiamo messo (finalmente, direi) un po’ di carne a cuocere! Hahaha
Ho introdotto molti personaggi, tra cui alcuni molto importanti.
Cosa ne pensate del fatto che Noah abbia una ragazza? E della sua reazione durante il concerto?
Ormai, colpa del destino (o forse mia?), Gigi e Noah finiscono sempre per incontrarsi: prima alla fermata dell’autobus, poi al Route 66 e infine anche a teatro! Poteva andarle peggio/meglio di così?
Ho visto che molte di voi hanno aggiunto la storia tra le seguite, quindi vi ringrazio tutte per la fiducia che state dando alla storia. <3
Adesso vi lascio, anche perché ho rotto abbastanza per oggi. Spero che il capitolo vi piaccia. A presto.
   
 
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