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Autore: FreddyOllow    08/03/2019    0 recensioni
Il cielo casca sul mondo ignaro dell'imminente distruzione. La musica del silenzio prepara l'ascesa al caos. Case, strade, città, tutto viene distrutto, bruciato dalle fiamme, disintegrato dalle bombe. L'odio affligge i sopravvissuti e la speranza rincuora i forti. Il cielo dipinge colori tetri, anneriti dal dolore e dal canto di mille tuoni. La terra muore, lacerata dall'uomo avido, corrotto. Sorge una nuova Era, come un alba splendida tra le fessure del male...
Genere: Avventura, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hellis, Cassandra e Patrick lasciarono la comunità di Julien a bordo della Jeep Cheroke, seguiti da un fuoristrada arrugginito dello stesso tipo. La strada divenne fanghiglia per ottocento metri. Immensi campi neri sovrastavano il paesaggio. Poi dura e sterile per altri due chilometri. Intere foreste tagliate a metà le cui ceneri danzavano leggera sui resti inermi delle cortecce. La pioggia cominciò a cadere, picchiettando la carrozzeria, e dieci minuti dopo, divenne forte e intesa. Hellis faticò a guardare la strada. Una densa nebbia inghiottì le due auto e la stradina sterrata che portava sulla via principale, quasi vicino all'autostrada distrutta. 

"Tempo di merda!" disse Patrick, guardando fuori dal finestrino.
"Come tutta questa giornata" rispose Hellis.
Cassandra guardò la pioggia battere sul terreno "Non è acida?" fece notare ai due.
"Impossibile" disse Patrick "La carrozzeria dell'auto regge bene l'acidità. Non farti ingannare".
"Guarda la terra, Patrick" rispose la donna "Non c'è fumo sul terreno".
Hellis rallentò l'andatura della Jeep, mentre Patrick osservò il terreno e disse "La terra è sterile, Cassandra. E' pioggia acida".
Cassandra abbassò lo sguardo. Aveva sperato per un istante che fosse diversa.
Patrick restò per un po' in silenzio e poi aggiunse "L'unica pioggia normale che io abbia mai visto si trova a nord-ovest, a Rothkal. Ancora mi domando perché sia così bello laggiù".
"Perché ci vivono gli scienziati" rispose Hellis, guardando a fatica la strada davanti a sé, per colpa della nebbia e la pioggia fitta.
"Non ci vivono scienziati" disse Patrick "Prima delle bombe, si trovava un laboratorio di non so cosa, ma quando un missile colpì in pieno quel edificio, qualcosa di orrendo ne uscì fuori. Quell'area è bellissima, oltre che mortale. Sai quante spore vivono in aria? Milioni forse, o di più. Quel posto è inospitale per le elevate radiazioni. Hai mai visto un uomo trasformarsi? Venir divorato da milioni di spore invisibili? Vedere il suo volto stravolto e la bocca piena di denti aguzzi? Non è una bella esperienza".
Hellis fece spallucce, ma non disse nulla. Svoltarono a sinistra, proseguirono per quattrocento metri e infine svoltarono nuovamente a sinistra. La pioggia divenne meno intensa, ma la nube non mollava la presa. Poi Hellis guardò lo specchietto retrovisore e non vide i fanalini della seconda Jeep. Trasalì un attimo. Rallentò la velocità per qualche secondo, vide apparire le luci e ne fu rincuorato.
"Che succede?" disse Patrick, non capendo perché aveva rallentato.
"Niente" rispose Hellis con un lieve sorriso.
Patrick lo squadrò per un istante, ma non disse nulla. 

Le due Jeep continuarono il percorso, uscendo dal sentiero sterrato e imboccando la strada asfaltata che portava alla loro comunità. Durante il tragitto, videro il posto di blocco che avevano incontrato precedentemente, ma degli uomini di Julien non c'era nessuna traccia. Il piccolo edificio, che usavano come protezione dalla pioggia acida, aveva la porta distrutta e le finestre rotte. Il sangue macchiava le pareti, il pavimento e i sacchi di sabbia. L'orda di Runner che aveva colpito la comunità di Julien, era passata prima da qui.

"Quindi non è stata colpa di quel edificio infestato" disse Cassandra tra sé, ma Hellis e Patrick ascoltarono la frase.
"Erano troppo pochi" rispose Patrick "Abbiamo ucciso metà runner prima di portare Nathan in salvo. Te ne sei dimenticata?".
"No" rispose Cassandra "Non ho neanche dimenticato i tizi che ci hanno teso l'agguato".
"Erano predoni" disse Hellis "Chissà perché erano là".
"E' opera dell'esercito" rispose Patrick " Utilizzano spesso gli altri gruppi per non sporcarsi le mani. Forse stavano sorvegliano il palazzo".
"Oppure noi" disse Cassandra "Non sarebbe la prima volta. Ti ricordi quando abbiamo scoperto l'avamposto dei Predoni ai piedi della montagna? Otto uomini. Li ricordi? Ricordi il biglietto che trovammo sul tavolo?".
"Okay, ho capito" annuì Patrick "I predoni lavorano per l'esercito. Questo lo sanno tutti, Cassandra. Ma non spiega perché ci hanno attaccato. Ci volevano morti? E chi allora?".
"L'esercito" rispose secca Cassandra "Sanno tutto di noi. Hanno tecnologie nascoste. In cielo volano ancora elicotteri militari e sono pieni di risorse. Sanno sempre dove siamo. Può essere che questa Jeep abbia ancora un GPS in funzione".
"Nessun GPS" Hellis scosse la testa "Conosco questa macchina come le mie tasche. A meno che non utilizzano tecnologie a me sconosciute".
"Satelliti?" domandò Patrick "Anche quelli sono ostruite dalle nuvole e campi magnetici. Secondo me, siamo troppo paranoici".  
"Se posso dire la mia" disse Hellis "Quei predoni non lavoravano per nessuno. Hanno aperto il fuoco solo perché Nathan era troppo vicino a uno di loro. Certo, non capisco perché erano nascosti proprio accanto a quel palazzo, ma sono fuori di testa, lo sappiamo tutti. Sparano a chiunque vedano, o cercano di ferirti e poi mangiarti. La setta di Sandoran, li ingaggia per trovare carne fresca. Noi eravamo quella carne fresca". annuì.
"Ti sei dimenticato una cosa, Hellis" sottolineò Cassandra "Una persona sana di mente non si avvicinerebbe mai a un edificio infestato dai Runner. Non lavoravano per la setta di Sandoran".
"Allora sono dei fottuti rincoglioniti" rise Hellis, ma Cassandra e Patrick rimasero in silenzio.

La Jeep scese una rapida discesa, svoltò a sinistra, proseguì dritta per cinquanta metri e girò a destra. La pioggia era diminuita e poco dopo smesse del tutto. Cassandra era immersa nei suoi pensieri, con gli occhi persi nel tetro e scuro paesaggio. Aveva visto fin troppa morte. Quanti ne aveva uccisi? Quanti visti morire? Aveva perso ogni cosa, ma il suo carattere non era mai cambiato. Era rimasta sempre la stessa, forse un po' indurita. Spesso pensava al passato, ai ricordi. Non si faceva coinvolgere dalle emozioni, anche perché la logica prendeva spesso il sopravvento. Analizzava, osservava e cercava di capire. Un giorno un uomo si dichiarò a lei, e Cassandra guardandolo incuriosita gli disse: "Non ho tempo per queste cose". Voleva amare, ma non in questo mondo lacerato dalla violenza. La verità è che era totalmente disinteressata all'amore. Prima della caduta delle bombe, lavorava come cameriera in una tavola calda. Il venerdì e il sabato sera, molti ragazzi affollavano i tavoli; scherzavano, flirtavano e si rendevano perfetti idioti solo per attirare la sua attenzione. Ne avevi respinti tanti e uccisi altrettanti dopo la caduta delle bombe. Spesso pensava di essere troppo apatica. Non si coinvolgeva mai in nulla, ma aiutare le persone la faceva stare bene. Ma quando la facevano arrabbiare, avrebbe sterminato volentieri tutto il genere umano. Ed era lì che la sua parte oscura strisciava fuori. La rabbia era l'unica emozione che sentiva forte come un rumore incessante. Diventava un altra, lo sapeva bene. Temeva la sua stessa emozione e aveva persino ucciso senza rendersene conto. Ma lentamente aveva capito che farsi inghiottire dalla rabbia non era mai una buona idea. Aveva cercato di rimanere calma, mentre dentro di sé scoppiava l'inferno. E c'era riuscita. Ora la rabbia non la rendeva più impulsiva, e la logica la frenava ogni qual volta lei volesse fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Conosceva bene il mostro che dormiva dentro di sé. Non gli avrebbe permesso di emergere, di farsi condizionare, di perdersi nella sua follia. Molta gente era perita per il suo stesso problema, ma lei era forte; non l'avrebbe permesso.

Le Jeep proseguì su una ripida stradina sterrata; l'asfalto era pieno di buche e in parte danneggiato. L'onda d'urto delle bombe era arrivata fin qui come un animale affamato e aveva divorato e rivoltato quasi ogni centimetro di strada e terriccio. I fuoristrada faticavano a proseguire e Hellis imprecò diverso volte. Tutta attorno a loro gli alberi erano dilaniati e gli scheletrici di alcuni grattacieli si stagliavano all'orizzonte, insieme a una sottile nebbia violacea che gli avvolgeva i piedi. L'erba nera cresceva silente, immobile in quella che un tempo era una collina piena di vita, di verde e di speranza. Ora cresceva la morte. La bruma che avvolgeva la città era come un enorme cartello con su scritto "Vietato l'accesso ai vivi". Persino i Militari si tenevano alla larga da quella mostruosa e tetra città. Nessun uomo aveva messo i piedi in quella che un tempo era la capitale della contea. Si sentivano strani ululati e grida di dolore se si prestava attenzione. Molta gente pensava che quella fosse la porta degli Inferi, e che da lì si riversassero sulla terra migliaia di Runner o putridi. Folk Town era il suo nome; ora conosciuta come Porta degli Inferi e allungava l'ombra della morte per chilometri. Era facile imbattersi in resti umani; ossa spolpate, crani spaccati, facce del tutto intatte, occhi fissi e spalancati al cielo come se prima di esalare l'ultimo respiro avevano veduto demoni inghiottirgli negli abissi per l'eternità. Bastava un simile panorama per far desistere persino il più coraggioso degli uomini. "Il perimetro dei morti" soleva dire Hellis. "L'ultima passeggiata" diceva Patrick. "La quiete dell'anima" sottolineava Cassandra; l'unica a non credere ai folli racconti della Città degli Inferi. Però, dentro di sé, sapeva che qualcosa non tornava. Come poteva un uomo sopravvivere in quel campo di morte? Una volta dentro si vagava eternamente come spettri senza metà tra migliaia di corpi carbonizzati o perfettamente intatti, cercando ossessivamente di ricordare quello che un attimo prima si pensava o si credeva di pensare, ma quel qualcosa non esisteva. L'ombra della morte era calata sull'uomo ignaro, facendone un perfetto succube della sua follia, della sua anima dispersa chissà dove e dell'ombra messaggero di morte.

La prima Jeep si fermò a un incrocio a T. "Faremo meglio a evitare la strada che fiancheggia il perimetro dei morti" Disse Hellis, indicando la strada alla sua destra.
"Non abbiamo molto tempo" rispose Patrick "Prendi la strada principale. Dobbiamo arrivare prima di sera alla comunità".
Hellis lo guardò stranito per un attimo "Non prenderò quella direzione, Patrick". Scosse ripetutamente la testa. "Non voglio finire ammazzato" Corrugò la fronte.
"Non succederà nulla" Patrick indicò con il dito la strada da seguire.

In quel momento, sbucarono da sotto un rialzo di terra due uomini con giubbotti antiproiettile e le maschere antigas levate sopra la testa. Visi scavati, occhi infossati e fissi nel vuoto, mentre camminavano lenti sussurrando o ripetendo le stesse frasi "Dove? Dove? Cosa? Dove?" sussurravano o bisbigliavano all'ignoto o forse a un ombra invisibile davanti a sé? Gli scarponi calpestavano tronchi e ossa, alle volte passavano sopra i cadaveri o si ergevano sopra di essi, restando immobili sopra i loro petti, le ossa scricchiolavano sotto il loro peso, sussurrando e bisbigliando all'ignoto. Poi rimanevano silenziosi, ascoltando qualcosa che solo loro potevano udire e cominciavano a sussurrare e bisbigliare e muoversi meccanicamente all'infinito. Passi lenti, indecisi, goffi e cambiavano direzione casualmente, alle volte subito alle volte dopo un poco. 

"Cazzo!" Imprecò Hellis, ingranando la prima e facendo fischiare le ruote della Jeep.
"Che cazzo fai, Hellis?" Disse Patrick "Dovevi andare a destra!" mise una mano sul volante cercando di farlo fermare. Quello spostò subito la mano di Patrick e lo guardò minaccioso, come un belva messo all'angolo e pronto ad attaccare. Patrick non aveva mai visto Hellis in quello stato e non voleva di certo peggiorare la situazione.
"Hellis!" urlò Cassandra, ma fu inutile. Hellis era partito a tutto gas e non intendeva fermarsi per nessuna ragione al mondo.

La seconda Jeep era rimasta ferma, immobile. Dai finestrini oscurati sembrava che il veicolo fosse stato abbandonato e che gli occupanti fossero svaniti nel nulla. Il motore era accesso, i fanalini illuminavano i due uomini con la maschera antigas, proiettando diverse ombre sul terreno, come demoni che attendevano di divorarli muovendosi freneticamente attorno. Gli occupanti scesero dal veicolo, tranne l'autista. Lenti, si diressero verso i due uomini con la maschera antigas. "Dove? Dove? Cosa? Dove?" cominciarono anche loro il lento e meccanico sussurro, perso tra alcuni bisbigli. L'autista ingranò la prima, lo sguardo nel vuoto, "Dove? Dove? Cosa? Dove?" partì, travolgendo gli uomini. La Jeep si capovolse e schiacciò la testa e il busto di uno degli uomini della maschera antigas. L'autista, vetri conficcati nel volto, lentamente strisciò a carponi fuori dalla vettura. Una volta in piedi, bisbigliò: "Dove? Dove? Cosa? Dove?" e si diresse lento, goffo in direzione della Porta degli Inferi. Gli occupanti della Jeep, che stranamento non erano morti all'impatto, continuarono a sussurrare e bisbigliare, tenendo gli occhi fissi al cielo, al vuoto. L'ultimo uomo con la maschera antigas si alzò a fatica da terra, e si mise a vagare, schiacciando la testa di uno di loro sotto i suoi scarponi. La cartilagine del naso scricchiolò, la testa si affossò nel terreno e il naso e la bocca erano l'unico dettaglio del suo viso sepolto. Nessuno di loro era. Nessuno di loro sapeva. Nessuno di loro poteva.

"Hellis, rallenta un po'!" Disse Patrick "Vai troppo veloce."
Hellis prosegui alla massima velocità, non curante che dietro l'angolo o sotto un terreno apparentemente stabile, si poteva celare il pericolo; era solo per pura fortuna che la vettura non si fosse capovolta per una buca o fosse inghiottita da un precipizio. La strada non era molto danneggiata, in confronto all'incrocio.
Cassandra si voltò. "Dov'è la Jeep? Fermati, Hellis!".
Quello non l'ascolto proprio e continuò a tutta velocità.
"Hellis!" Urlò Patrick, che ne aveva abbastanza di tutto questo; estrasse la pistola e la puntò alla tempia dell'uomo. "Ferma questa cazzo di macchina o giurò che spalmo le tue fottute cervella sul finestrino!" Click! tolse la sicura dall'arma; la canna della pistola assaggiò la fronte imperlata di sudore freddo.
Hellis tornò lentamente in sé, e l'andatura del veicolo cominciò a rallentare. 
"Cosa cazzo ti è preso?" Patrick abbassò la pistola, ma l'appoggiò sulla gamba, in modo che Hellis potesse vederla.
"Io..." balbettò Hellis "Io non so... Non volevo andare da quella parte... Ho visto quei due uomini... Ho sentito una voce... La mia stessa voce... Ricordo solo che sono partito a tutta velocità, poi... vuoto".
"Dannazione!" sospirò Patrick e si voltò indietro "Tu hai sentito qualcosa, Cassandra?"
"Niente. Tu?" Cassandra fece spallucce.
"Nessuna voce" Patrick guardò Hellis "Cosa hai sentito?"
Hellis corrugò la fronte, fermò la Jeep, e si mise a pensare. "Dove? Dove? Cosa? Dove?"
"Sono le stesse parole dette da quei due uomini" rispose Cassandra.
"Si ripetevano all'infinito nella mia testa" le mani strinsero il manubrio come in una morsa "Poi sentivo delle riposte..." Si fermò a pensare a lungo. Patrick e Cassandra si guardarono confusi, finché Hellis parlò di nuovo. "Dove si insidiano le ombre. Dove il cielo si confonde con la terra. Cosa resta dell'anima? Dove...". abbassò lo sguardo.
"Dove cosa?" insistette Patrick.
"Io... Non lo so..." Hellis appoggiò la fronte sul manubrio. Patrick e Cassandra lo guardarono straniti. D'un tratto Hellis tirò la testa indietro, colpendo il sedile e trasalì, come destato da un lungo sogno. Si guardò attorno accigliato "Cosa succede? Dove siamo?"
Patrick lo fissò per un attimo: "Cosa? Non ricordi cosa hai detto poco fa?"
"Eravamo all'incrocio o sbaglio?" rispose Hellis, il tono di voce e la sua espressione mutarono del tutto, sembrava un altra persona; era tornato ad essere l'uomo di sempre.
Cassandra fu colpita da questo cambiamento, che per la prima volta ebbe una strana paura; un lungo e profondo brivido percorse tutto il suo corpo. Non seppe spiegarsi il motivo; il cambiamento di Hellis, che credeva di conoscere fin troppo bene, gli fece gelare il sangue quasi del tutto.
"Non importa" disse Patrick, mettendo la pistola nella fondina. 
Hellis non aveva capito perché il suo amico aveva una pistola in mano. "Dove siamo? Non ricordo di aver guidato? Perché non ricordo?" Hellis serrò gli occhi.
"Le risposte arriveranno" rispose Patrick "Ora è meglio raggiungere la comunità". Indicò con la mano la strada davanti a sé. Hellis ingranò la prima e la Jeep partì.

Seguirono la strada in silenzio per diversi minuti, fiancheggiati da rocce, detriti, pali della corrente abbattuti e veicoli abbandonati, oltre che rami, cortecce e un velivolo militare schiantatosi tempo fa contro un pullman.
"Dov'è la seconda Jeep?" esclamò Cassandra, quasi fra sé.
Patrick si girò verso di lei, mentre Hellis rallentò lentamente.
"Maledizione!" imprecò Patrick "Non possiamo tornare indietro. Forse sono caduti in trance come Hellis, non hanno scampo oramai."
"Io però, mi sono ripreso" rispose Hellis.
"Non voglio correre questo rischio". Patrick aggrottò la fronte, pensando se fosse stata l'arma a far ragionare o spaventare l'uomo, facendolo tornare in sé.
"Li lasciamo là a morire?" Cassandra era irritata.
"Non abbiamo altra scelta" rispose Patrick, voltandosi nuovamente verso di lei "Quel posto ha fatto quasi impazzire Hellis. Non voglio che lo faccia anche con noi." si voltò.
"Se avessimo girato nella direzione che volevi..."
"Sì, saremmo morti o peggio." Patrick interruppe Cassandra. "Non voglio tornare più sul discorso!"

Hellis li aveva salvati tutti. La sua momentanea pazzia, la paura, la rabbia, il non voler a tutti costi svoltare a destra, aveva salvato sia lui, che Patrick e Cassandra nel vagare eternamente senza meta. Eppure, non ricordava nulla, se non una leggera e continua paura; come un ombra che aspetta di saltargli alle spalle, assaggiando la sua paura e godendo nel vederlo in stato di all'erta. Hellis non ricordava o non voleva ricordare? Cercava in tutti modi di pensare all'ultimo instante prima che l'oscurità inghiottisse la luce. Non ricordava o non ne era capace. Perché? Perché questo strano e tetro silenzio nella sua testa? Nel mare tempestoso che era la sua mente, nessun pensiero importante o sciocco ci navigava. Cosa era successo? Perché non riusciva a pensare a qualcosa, a un immagine, a un colore, a qualcosa insomma. Come faceva a sapere la strada per raggiungere la comunità, se non sapeva nemmeno com'era fatto il luogo? Nel profondo sapeva di conoscerlo, ma ora non più. Perché?

"Accelera, Hellis" disse Patrick, guardandolo di sfuggita, mentre l'uomo fissava la strada davanti a sé. 
"Stai bene?" Domandò Cassandra, ancora scossa dello strano cambiamento di Hellis.
"Sì. Tutto bene" mentì l'uomo. "Sono solo un po'... stanco."
"Tutti siamo stanchi, Hellis!" esclamò Patrick.
Cassandra non ci credette, ma non disse niente.

Proseguirono lungo la strada per cinque minuti, prima d svoltare a destra e prendere una stradina rocciosa che avevano creato precedentemente grazie al via vai continuò delle loro Jeep per arrivare alla comunità. La strada principale, che era la più vicina, era distrutta; un grosso aereo di linea era precipitato sull'asfalto più di anno fa, lasciando un piccolo cratere che si allungava per duecento metri verso le campagne. La carcassa nera del velivolo aveva disseminato ovunque pezzi di sé, bruciando per tre giorni di seguito. Il fumo che si innalzava al cielo era visibile fino a cinque chilometri di distanza. I cadaveri dei passeggeri erano in mostra sui sedili divorati dalle fiamme; che non aveva avvolto l'intero aereo, ma solo una parte.  E tutto questo, aveva dato pochi minuti di vita o secondi alla gente sopravvissuta prima di morire per le forti radiazioni. Il pilota aveva cercato di fare un atterraggio di fortuna e in parte c'era riuscito, ma non sapeva che le radiazioni avevano invaso quel luogo. I fortunati sopravvissuti in realtà, erano morti sui proprio posti, dopo atroci lamenti e agonie. I visi parlavano il linguaggio della sofferenza, della morte. "Molti sono ancora intatti" disse Patrick, quando si recò lì per la prima volta "Com'è possibile? Sembrano... Soffrire anche se sono morti." E in effetti le loro espressioni erano immortalate per l'eternità, come un quadro o una statua che racconta qualcosa pur restando immobile e percependo nel tetro silenzio di uno sguardo, emozioni che colpiscono senza pietà come un fulmine. A distanza di mesi erano ancora lì; visi sofferenti, occhi spalancanti al cielo e la pelle bianca, sottile, tenera e stranamente calda. Non sembravano morti, pur essendo così.

   
 
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