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Autore: Yanez76    15/03/2019    1 recensioni
In questa storia ho immaginato alcuni flash della vita di Elsa Schneider sia prima che dopo gli eventi narrati in "Indiana Jones e l'ultima crociata". La storia si ricollega alla mia precedente "L'ultima impresa del cavaliere del Graal" e ne costituisce un'espansione ma è di fatto una storia indipendente.
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa Schneider, Henry Jones, Sr., Henry Walton Jones Jr.
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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AVVERTENZA:
Per evitare ripetizioni, questo capitolo dà per scontati gli eventi narrati nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata” nonché nella mia precedente fic “L’ultima impresa del cavaliere del Graal”.
 
Tempio del Graal, Valle della luna crescente, Hatay, 1938
 
Elsa se ne stava pigramente distesa con gli occhi chiusi, ripensando a quante cose erano successe in quegli ultimi giorni.
Dopo quel giorno in cui gli uomini dell’Abwehr avevano portato via Henry, si era buttata a studiare i pochi appunti lasciati dal vecchio Jones, senza tuttavia approdare a nulla: cosa diavolo significavano quei misteriosi numeri romani? Aveva pensato potessero riferirsi a capitoli e versetti delle Sacre Scritture e aveva vagliato tutte le possibili combinazioni senza tuttavia concludere nulla. Indicavano forse distanze? Coordinate? I tomi di un libro? Non c’era nulla da fare: senza il diario, non sarebbe mai riuscita a cavare un ragno dal buco.
Doveva ammettere che il professor Jones era più scaltro di quanto lei pensasse. Nonostante fosse riuscita a sedurlo, Henry non aveva abbassato la guardia e aveva capito il suo gioco. Si era chiesta come avesse fatto a scoprirla e soprattutto cosa ne avesse fatto del diario. Henry l’aveva con sé quando era fuggito dalla Biblioteca; ma Vogel, perquisendolo, non aveva trovato nulla. L’aveva gettato? Elsa aveva subito scartato quell’ipotesi: impossibile che Henry buttasse via anni ed anni di ricerche che erano state lo scopo della sua vita, doveva averlo dato o spedito a qualcuno, ma a chi? Non lo aveva spedito a se stesso: Donovan aveva fatto setacciare la casa del professore a Ferndale ma nella posta arrivata non c’era nessun diario. Lo aveva forse mandato a suo figlio, anche se, a quanto ne sapeva, non erano in buoni rapporti? Oppure al curatore del National Museum, Marcus Brody?
Quando, qualche settimana dopo, aveva incontrato Indiana Jones assieme a Brody all’attracco del vaporetto davanti alla chiesa della Salute, Elsa sospettava che il diario dovesse essere in possesso di uno di loro. Non aveva potuto fare a meno di rimanere affascinata da Indy. Aveva subito compreso che il giovane Jones era fatto della stessa pasta di suo padre: in lui rivedeva lo stesso sguardo che aveva visto negli occhi di Henry e il suo stesso entusiasmo, inoltre doveva ammettere che, anche se il padre non era affatto da buttare, il fisico atletico del figlio era decisamente molto attraente. Quando, sul Ponte dei Pugni, Indy aveva rubato un fiore per lei, le era sembrato di riconoscere il fare galante di Isaac e, per quanto di solito non sopportasse le smancerie, era rimasta molto compiaciuta, nel constatare l’interesse che l’archeologo mostrava di provare nei suoi confronti, accarezzando l’idea dei possibili sviluppi che la cosa avrebbe potuto assumere tra loro due.
Era stato un giorno veramente memorabile, Elsa non si era affatto ingannata: Indiana Jones era veramente un tipo eccezionale come suo padre. Erano bastati pochi minuti perché riuscisse a sciogliere l’enigma di quei numeri romani e, grazie a lui, avevano finalmente trovato l’ingresso alle catacombe. Elsa non avrebbe mai dimenticato l’emozione che aveva provato quando avevano finalmente scoperto la tomba di Sir Richard e le indicazioni per arrivare al Graal.
Poi c’era stato quel terribile incendio e la fuga precipitosa nelle catacombe e per i canali di Venezia, inseguiti dagli uomini di quella strana setta. Lei e Indy avevano rischiato la vita, lottando fianco a fianco, aiutandosi a vicenda e la comune esperienza del pericolo li aveva avvicinati ancora di più. Elsa, però, era ancora ossessionata dal libretto di Henry, così aveva frugato la camera di Indy cercando inutilmente di trovarlo. Perché non si sospettasse di lei, aveva poi messo a soqquadro anche la propria stanza ed era andata a farsi un bagno, accendendo il grammofono ad alto volume in modo da rendere credibile che qualcuno potesse essersi introdotto di nascosto nell’appartamento, senza che lei se ne accorgesse. La bionda austriaca pensò che il padre era caduto tra le sue braccia dopo averla vista nella vasca da bagno e forse, allo stesso modo, avrebbe avuto anche il figlio.
Indy aveva creduto alla messinscena; ma il diario del Graal era ancora in mano sua, l'aveva sempre tenuto con sé. Elsa avvertì con dispetto che, nonostante tutto il suo fascino e la sua astuzia, non le sarebbe stato tanto facile mettere nel sacco Indiana Jones. “Le ho permesso di venirmi dietro”, aveva avuto il coraggio di dirle! Era proprio un dannato maschilista prepotente. Pensava forse che bastasse regalarle un bel fiore perché lei lo seguisse? Per chi l'aveva presa? E pensare che se non fosse stato per lei, sarebbe rimasto al molo ad aspettare! 
Si erano affrontati con sguardi fiammeggianti e, inevitabilmente, tra loro era scoccata la scintilla: bisticciando, avevano iniziato a rubarsi i baci a vicenda, finché non erano caduti abbrancati sul letto e la battaglia d’amore aveva avuto inizio.
Brody, udendo gli inequivocabili rumori che provenivano dalla camera, comprese subito la piega che stavano prendendo gli eventi e si affrettò ad eclissarsi, uscendo per una passeggiata tra le calli e i campielli.
Henry, con lei, era stato protettivo, tenero ed attento: quasi timoroso di farle male o di deluderla, aveva saputo aspettare i suoi tempi per donarle il massimo del piacere e l’aveva poi coccolata a lungo con infinita dolcezza. Indy era diverso: con lui c’era competizione, era una sfida eccitante senza esclusione di colpi in cui ognuno dei due cercava di dominare l’altro. Lui l’aveva stretta rudemente a sé e l’aveva presa con impazienza, come il leone con la leonessa, possedendola furiosamente mentre i denti e le unghie di lei lasciavano i loro segni sulla sua pelle. Per poco, i due focosi amanti non avevano sfasciato il letto, dando sfogo alla loro passione.
Il giorno seguente, erano partiti verso il castello di Brunwald, dove Kazim aveva rivelato che Henry era tenuto prigioniero. Raggomitolata sul sedile della Mercedes noleggiata da Indy, Elsa ebbe un tuffo al cuore rivedendo le Alpi austriache e i luoghi dove aveva passato i giorni felici dell’infanzia. Una piccola lacrima sfiorò le sue ciglia quando passarono accanto al laghetto dove i suoi genitori la portavano a nuotare da piccola.
Si fermarono a pranzare in una piccola Gasthaus lungo la strada. Elsa si sgranchì le gambe, chiuse gli occhi e, con il nasino un po’ arrossato dal freddo, inspirò profondamente l’aria montana che le riportava alla mente tanti ricordi.  Il cielo, prima limpido, si stava coprendo di nubi e un raggio di sole filtrò improvviso tra i nembi, facendo risplendere di riflessi infuocati l’oro dei suoi capelli raccolti che facevano capolino da sotto un delizioso baschetto nero e sbarazzino.
Indy la guardava rapito, abbacinato dalla sua bellezza. Elsa era perfetta: bellissima, intelligente, colta, raffinata, coraggiosa, sensuale, aveva tutte le qualità per essere amata, eppure… eppure non era lei. L’archeologo sperava che con Elsa avrebbe finalmente scordato la ferita indelebile che si portava impressa nel cuore; ma, dentro di sé, sapeva bene che nessuna donna sarebbe mai veramente riuscita a prendere il posto di Marion.
“Sai, io sono cresciuta tra questi monti. Ho così tanti ricordi…”, gli disse lei con un sorriso leggermente malinconico.
“Uhm… visto che è ora di pranzo, scommetto che stai ricordando qualche piatto tipico. Già da piccola dovevi essere una buona forchetta.”, scherzò Indy, ricordando come Elsa avesse fatto onore ai piatti che avevano mangiato nelle trattorie veneziane.
“Ah, ah, già, avresti dovuto assaggiare le favolose Palatschinken di mia nonna.”, ridacchiò lei.
“Pala…che?”
Palatschinken, è un dolce che mi preparava per la merenda. Ma adesso avrei più voglia di una Leberknödelsuppe e di Zwiebelrostbraten mit Schwammerin Gebacken. Ho giusto un languorino…” disse accennando alla Gasthaus.
“Già, anch’io sto morendo di fame.”, rispose Indy, “Speriamo che questi piatti austriaci siano più facili da mangiare che da pronunciare…”.
Dopo pranzato, avevano ripreso il viaggio arrivando al castello verso sera, sotto una pioggia scrosciante e, messo fuori combattimento il maggiordomo, erano entrati.
Quando Jones aveva scavalcato una finestra dicendole: “torno subito” e si era lanciato nel vuoto aggrappato solo alla sua frusta, rischiando seriamente di sfracellarsi, Elsa aveva trattenuto il respiro con il cuore in gola.
Anche se cercava di non darlo a vedere, era terribilmente agitata: ormai la resa dei conti era imminente e lei non aveva ancora idea di come sarebbe andata e soprattutto di cosa lei avrebbe fatto.
Indy sarebbe riuscito a liberare suo padre? Elsa lo sperava sinceramente; in fondo, nulla era impossibile per un uomo come Indiana Jones... Henry gli avrebbe certo raccontato tutto di lei e della sua collaborazione con i nazisti; ma lei avrebbe potuto dire che era stata costretta, cosa che non era poi del tutto falsa. Indy l’amava e avrebbe certo capito. Probabilmente, anche Henry l’amava ancora e anche lui avrebbe finito col perdonarla. Poi, assieme, sarebbero andati a prendere il Graal in barba a Vogel, a Donovan e a Hitler. Chissà, fantasticava, magari i due Jones si sarebbero messi a gareggiare per lei, come due baldi cavalieri. Chi avrebbe scelto? Henry era dolce, Indy appassionato: sarebbe stato divertente farsi corteggiare, tenendo entrambi sulla corda per un po’.
Ma se, invece, fosse andata male? Finché lei era a capo del progetto, poteva controllare Vogel; ma cosa sarebbe successo se i nazisti avessero scoperto che lei era passata dalla parte dei Jones? Conosceva bene i loro metodi e la fine che riservavano a chi tradiva… Doveva stare molto attenta e, se le cose si fossero messe al peggio, doveva essere pronta a saltare dall’altra parte della barricata: era l’unico modo per salvare se stessa e per tentare di salvare anche Indy ed Henry.
Sentendo qualcuno aprire la porta della stanza, Elsa trasalì e si voltò, sperando ardentemente di veder giungere Indy con Henry; ma si trovò, invece, di fronte al ghigno di Vogel che, trovato il maggiordomo svenuto, era accorso accompagnato da numerose sentinelle.
Il respiro le si mozzò in gola ma, facendo appello a tutto il suo sangue freddo, ebbe la presenza di spirito di reagire immediatamente.
“Finalmente, herr Oberst, cominciavo a temere non arrivaste più.”, disse altezzosamente, fingendosi sollevata.
“Dov’è Jones?”
“Nella stanza accanto, con suo padre.”
“E perché non è venuta ad avvisarci, professor Schneider?”, chiese Vogel, sospettoso.
 “Era troppo rischioso: Jones mi ha detto di non muovermi da qui e, se fossi uscita, lui avrebbe potuto accorgersene. Vi ho portato il libretto del Graal: si trova nella tasca di Jones; come vede, ho tutto sotto controllo…”, rispose prontamente Elsa.
Con un cenno, il colonnello mandò i suoi uomini nell’altra stanza. Si udirono voci concitate, seguite dalla raffica di una mitraglietta. Elsa trattenne il respiro, pregando che Indy fosse vivo, finché, con immenso sollievo, sentì la sua voce assieme a quella di Henry nel corridoio.
Il braccio sinistro di Vogel l’afferrò, serrandola in una morsa d’acciaio; Elsa sentì la fredda canna della Luger premere dolorosamente contro la sua gola.
“Quel maledetto americano ha ucciso i miei uomini, ma ora lei mi aiuterà a catturarlo. Non è vero, fräulein Schneider?”, le sibilò all’orecchio in un tono che non ammetteva repliche.
La voce del colonnello nazista aveva un tono beffardo, Elsa capì che non si fidava di lei. A quel punto, rifiutarsi di collaborare sarebbe stato come ammettere il suo tradimento e lei sapeva che, in quel caso, Vogel non avrebbe esitato a spararle.
“Butti quell'arma, Jones, o la fräulein muore!” abbaiò la voce teutonica di Vogel rivolta all'archeologo, che arrivava seguito dal padre.
“Non dargli ascolto! Lei è una di loro, è una nazista!”
Elsa sentì nelle parole di Henry tutto il disprezzo ed il rancore che solo un amore tradito può provocare.
“Ti prego, Indy, fa' come dice...”, lo implorò lei.
La paura che Indiana Jones lesse nei suoi occhi era autentica, il dolore che le provocava l’arma premuta sulla gola era reale e - Elsa ne era convinta - anche le minacce di Vogel di ucciderla se Indy non si fosse arreso erano reali.
Indy posò l’arma e il nazista, con disprezzo, spinse Elsa verso di lui che l’abbracciò.
“Mi dispiace... mi dispiace immensamente.”, gli disse lei.
Per un attimo, gli occhi di Elsa mostrarono tutto il suo dolore e la sua disperazione: si sentiva terribilmente in colpa; quanto avrebbe voluto che le cose fossero andate in modo diverso, quanto le pesava fargli questo.
Poi, però, il suo sguardo si abbassò verso la tasca della giacca di Indy che conteneva il diario del Graal e, quando la sua mano, tremante per l’emozione, lo prese, in lei si produsse un improvviso mutamento e di nuovo la bramosia ebbe la meglio.
“Avresti dovuto ascoltare tuo padre...”, disse, mentre un sorriso le si disegnava sulle labbra, ritraendosi dall’abbraccio di Indy che la guardava attonito, senza parole per la sorpresa e la delusione.
“Già, peccato che non lo abbia mai fatto…”, sibilò Henry con riprovazione.
Elsa era soddisfatta: adesso le cose erano tornate sotto il suo controllo; le dispiaceva per Indy, ma lui aveva avuto la sua occasione ed aveva fallito. Quella era una gara per la conquista della sacra coppa e chiunque avrebbe fatto di tutto per vincerla; non era poi colpa sua se lei era stata più abile degli altri e, questa volta, la medaglia d'oro spettava a lei...
L'euforia per il successo e la sua fiducia in se stessa non vennero meno neanche quando Donovan, a cui aveva consegnato il libretto, si accorse che erano state strappate le pagine contenenti la mappa che indicava il luogo dov'era custodito il Graal. Ci voleva altro per farla ad una come lei: la mappa poteva essere in un unico posto, Indy poteva averla consegnata solo a Brody. Recuperarla era solo questione di tempo, poi lei avrebbe finalmente avuto quello che cercava da tutta la vita.
L'invito all'Istituto di Cultura Ariana l’aveva contrariata: era una vera seccatura, non poteva proprio soffrire quell'accozzaglia di fanatici imbecilli; ma doveva andarci: la sua presenza era stata richiesta “al più alto livello” cioè, in altre parole, dal Führer in persona.
Ormai, Elsa riponeva una tale fiducia nelle proprie capacità da credere di poter esercitare il suo ascendente anche su Hitler in persona; intelligente com'era, si diceva, per lei sarebbe stato un gioco da ragazzi giocare quell'imbianchino pazzo, come lo chiamava Isaac. Hitler le avrebbe dato il comando della missione per il recupero del Graal e, una volta trovata la coppa, lei si sarebbe inventata qualcosa per eclissarsi con il reperto; non sarebbe poi stato troppo difficile farla in barba a quell'idiota di Vogel e ai suoi tirapiedi. Sì, lei non poteva fallire.
Vogel era intenzionato ad eliminare Indy e suo padre; ma Elsa lo aveva bloccato, salvando loro la vita ed alleggerendo un po’ il peso che si portava sulla coscienza. Ormai, i due Jones non costituivano più un pericolo e, una volta a Berlino, lei avrebbe convinto il Führer ad essere clemente e a graziarli
Quando Donovan e il colonnello erano usciti, lei ne aveva approfittato per tentare di giustificarsi in qualche modo con i due Jones. Si era chinata per dare a Indy un bacio appassionato; poverino, stavolta era lui ad aver avuto la medaglia d'argento e in fondo se lo meritava un contentino. Avrebbe dato volentieri lo stesso premio di consolazione anche ad Henry se quell'imbecille del colonnello non fosse ricomparso al momento meno opportuno, interrompendola per condurla alla macchina che l'aspettava per condurla a Berlino.
Mi dispiace, Henry, prometto che la prossima volta ci sarà un bacetto anche per te, si disse Elsa tra sé e sé. Giunta in macchina, prese una sigaretta: Ah, già, devo ricordare di farmi restituire l'accendino da Indy quando lo rivedo...
A Berlino, però, non andò affatto come lei si aspettava e le toccò vedere i suoi peggiori incubi farsi realtà: dovette assistere in silenzio mentre una folla di fanatici urlanti mandava in cenere centinaia di libri; vide ragazzini delle scuole che mandavano in fumo con entusiasmo opere di poesia, romanzi, studi e ricerche che avrebbero invece fatto bene a leggere, solo perché gli autori non erano di razza ariana o perché le loro idee non coincidevano con i deliri del regime. I suoi occhi erano gonfi di pianto davanti allo scempio compiuto da quei barbari.  Le tornò in mente suo padre, lui che fin dalla più tenera età le aveva insegnato a rispettare i libri come un qualcosa di sacro, i mattoni con cui era edificato il tempio della conoscenza li chiamava.
Quando poi volle rivolgere a Hitler la sua richiesta di clemenza, il dittatore la liquidò in un attimo rispondendole, con un gelido sorrisetto, di aver già ordinato di giustiziare immediatamente quelle due spie americane.
Indy, Henry morti... al sentire le terribili parole del Führer un brivido di indicibile orrore le corse lungo la schiena; si sentì soffocare e una morsa di ghiaccio le serrò lo stomaco. Fino al quel momento, si era illusa di poter essere lei a condurre il gioco; ma solo ora iniziava a capire realmente con chi aveva a che fare e in che razza di trappola era andata a cacciarsi: era solo una pedina in mano a forze oscure molto più grandi di lei.
Devastata, istupidita, abbattuta dal senso di colpa, Elsa sentiva il bisogno di starsene un po’ da sola e camminava tristemente, trascinandosi lungo il colonnato che delimitava il luogo del raduno nazista che si andava ormai sciogliendo.
Fräulein Doktor”, la chiamò qualcuno alle sue spalle. Sentendo quella voce, che credeva di non poter udire mai più, per un attimo, temette di trovarsi davanti ad un fantasma in cerca di vendetta.
“Indy! Oh, Indy, sei… sei tu?! Sei vivo! Oh, sono così contenta, pensavo ti avessero… Come… come sei arrivato qui?”, annaspò lei, incredula e sollevata allo stesso tempo.
Indiana Jones la squadrò con uno sguardo duro e freddo come il ghiaccio, che rivelava tutto il suo dolore ed il rancore per il tradimento subito. L’afferrò con rabbia, spingendola in modo brusco nell’ombra dietro una colonna, iniziando a perquisirla, frugandola dappertutto alla ricerca del diario.
“Dove l’hai messo? Lo voglio assolutamente!”, le intimò.
Elsa fremette, sentendo le mani di lui percorrere il suo corpo.
“Beh, è tutto allo stesso posto dell’ultima volta che hai controllato.”, fece lei, cercando di scherzare, per stemperare la tensione.
Lui la ignorò e continuò a tastarla finché non le ebbe strappato ciò che cercava.
“Sei venuto fin qui per quel libretto?”, disse Elsa interdetta, scuotendo la testa confusa.
Per un momento, aveva pensato che Indy fosse venuto lì per lei. Capiva fosse molto arrabbiato; ma credeva volesse almeno sentire da lei le ragioni per cui si era comportata così.
“Mio padre non voleva che lo mandaste in cenere in una di queste vostre festicciole: c’è tutta la sua vita qua dentro.”
Le parole di Indy la colpirono peggio di un pugno allo stomaco. Era questo ciò che pensava di lei? Che fosse una di quei fanatici idioti in camicia bruna? Lei credeva nel Graal non nella svastica!
Elsa fece per trattenerlo, voleva che lui l’ascoltasse, voleva dirgli ciò che lei veramente pensava, ciò che veramente provava. Avrebbe voluto che Indy la portasse via con sé, che la salvasse da tutto quell’orrore.
Ma Indy non era più disposto ad ascoltarla: l’aveva appena vista al fianco di Adolf Hitler, dell’uomo che ai suoi occhi incarnava maggiormente l’idea del Male assoluto, e ormai se ne infischiava di ciò che lei pensava o sentiva.
La mano destra dell’uomo le afferrò la gola; nel suo sguardo adesso Elsa vedeva solo una rabbia implacabile. Per un istante, che sembrò infinito per entrambi, i due si guardarono fissi negli occhi; lei sapeva che lui non avrebbe stretto le dita, lui sapeva che lei non avrebbe gridato per dare l’allarme. Lentamente, lui lasciò la presa e si voltò, andandosene senza una parola.
Lei lo guardò allontanarsi e raggiungere Henry, felice di vedere che anche lui stava bene; trattenne il respiro per lo spavento quando lo vide sospinto dalla folla verso Hitler in persona e sorrise di sollievo nel vedere l’individuo che quegli imbecilli veneravano come un superuomo, autografare il libretto e riconsegnarglielo senza capire assolutamente nulla di quanto accadeva.
Ormai Elsa provava solo odio per i nazisti, ma era in trappola e non aveva scelta: doveva fingere di collaborare, aspettando il presentarsi di una buona occasione. Contrariamente alle sue aspettative, Hitler aveva affidato il comando della spedizione a Walter Donovan e non a lei. Nel corso del viaggio per giungere in Hatay, era stata costretta a frequentare Donovan e più tempo passava con lui, più quell’uomo arrogante e presuntuoso le ripugnava. Era un tipo volgare, privo di cultura e di gusto; in realtà, non gl’importava nulla del vero significato della ricerca del Graal, voleva solo un mezzo per non morire e continuare così a godersi i suoi soldi in eterno.
Quando furono nel Tempio del Graal, aveva dovuto assistere inorridita mentre Donovan ordinava ai soldati del sultano di avanzare verso i trabocchetti posti a difesa del Graal: una cosa crudele e stupida, lei sapeva bene che era del tutto inutile cercare di passare senza avere le indicazioni necessarie a superare le prove; ma Donovan doveva essere pazzo oltre che sadico e continuava a mandare con noncuranza quei poveracci incontro ad una morte certa.
Ormai temeva che non avrebbe più rivisto Indy ed Henry; così, quando li vide arrivare e seppe che erano riusciti a sconfiggere Vogel e i suoi uomini, ne fu così felice che per poco non si tradì correndo ad abbracciarli. Donovan la trattenne bruscamente, tirandola indietro in malo modo, poi estrasse la pistola. Elsa dovette assistere con sgomento mentre minacciava Indy e poi, all’improvviso, faceva fuoco contro Henry.
“No!! Henry!”, Elsa gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Fece per gettarsi in avanti e correre da lui: non le importava più di tradirsi, non le importava neppure il fatto che, in quel momento, Henry probabilmente la odiasse, voleva solo stargli vicino e vedere come stava. Se Henry le avesse sputato in faccia, lei lo avrebbe accettato. In fondo era colpa sua: se fosse stata sincera, se a Venezia gli avesse detto tutto, ora lui non sarebbe stato sul punto di morire, ucciso da quel pazzo di Donovan.
Ma la mano brutale di Donovan l’afferrò di nuovo, trattenendola. Elsa si fece forza e riuscì a controllarsi; su una cosa quel folle aveva ragione: ora bisognava trovare il Graal, con i suoi poteri di guarigione era ormai l’unica speranza di salvare Henry.
Indy avanzò verso il trabocchetto; nel tempio era calato il silenzio e, in un’atmosfera carica di tensione, gli occhi di tutti erano fissi su di lui mentre Henry, a terra, sanguinante, seguitava a ripetere: “Solo l’uomo penitente potrà passare.
Quando l’archeologo si gettò a terra, passando indenne tra le lame mortali, Elsa respirò. Donovan entrò a sua volta nel passaggio, mettendosi a seguire i passi dell’archeologo ed Elsa andò con lui.
La seconda prova era decisamente più semplice, Elsa capì subito che la parola di Dio si riferiva al termine latino IEHOVA e avanzò facilmente, saltellando sulle lettere corrispondenti, come faceva da piccola quando si divertiva a giocare a campana.
Arrivata alla fine del passaggio, si ritrovò sull’orlo di una profonda voragine; sollevando lo sguardo, non poté trattenere un grido di spavento e meraviglia: vedeva Indy che stava camminando sospeso nel vuoto, come il cavaliere ritratto in quello schizzo che aveva visto nel diario di Henry. Per un attimo, rimase sbalordita di fronte a quella che sembrava una visione soprannaturale; ma poi il suo buon senso riprese il sopravvento: ci doveva essere una spiegazione razionale.
Indy, che intanto aveva raggiunto l’altra parete, si girò e vide Elsa, titubante e sconcertata, indugiare sull’orlo del baratro. Vedendola sgranare gli occhi con espressione interrogativa, le indirizzò uno dei suoi sorrisetti canzonatori: Non ci arrivi da sola, eh, biondina? Vorresti un aiutino…
Elsa lo vide chinarsi a raccogliere una manciata di polvere e ciottoli, lanciandola poi sopra l’abisso, dove i detriti disegnarono la sagoma del ponticello. La giovane storica dell’arte avanzò con cautela, sporgendosi a destra e a sinistra per ammirare quello straordinario stratagemma. Brillante, veramente ingegnoso, mormorò affascinata, comprendendo l’arcano: si trattava di una passerella perfettamente mimetizzata con la parete di fondo in modo che, grazie al gioco prospettico ed alla scarsa illuminazione, risultasse del tutto invisibile finché non ci si saltava sopra.
Seguita da Donovan, percorse in fretta lo stretto camminamento. Bah, comunque ci sarei arrivata lo stesso, in fondo bastava solo pensarci un attimo… bofonchiò un po’ piccata dal sorriso sbruffone che le aveva rivolto Indy.
Giunta finalmente nella stanza più interna del tempio, Elsa trattenne il fiato per la meraviglia al vedere una moltitudine di coppe, calici, vasi, boccali e piatti che facevano bella mostra di sé, disposti su una tavola di pietra, sfavillando alla luce delle torce, con i mille baluginii dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose. Indy era lì, affiancato da un uomo che sembrava molto anziano il quale portava una cotta di maglia metallica e le insegne di un cavaliere crociato.
 Donovan, con lo sguardo sempre più esaltato, estrasse nuovamente la pistola.
“Okay, qual è?” chiese bruscamente, accennando alle coppe.
“Devi scegliere tu”, disse il cavaliere con tono solenne, “ma scegli con saggezza, perché se il vero Graal di darà la vita, quello falso te la strapperà.”
“Non sono uno storico, non ho idea di che aspetto abbia! Ditemi qual è!” sbraitò.
Al vederlo brandire l’arma contro Indy e il Cavaliere, Elsa rivide la scena in cui quell’uomo, solo pochi minuti prima, non aveva mostrato la minima esitazione a sparare freddamente contro il povero Henry.
Ripensò alle parole che le aveva detto Henry: “La ricerca del Graal è una gara contro le forze del male” e seppe quello che doveva fare.
“Lasci che scelga per lei”, disse, presentando poi a Donovan una coppa d’oro, sfavillante di smeraldi, che l’uomo si affrettò a strapparle avidamente dalle mani.
Il volto della giovane non tradiva il minimo turbamento, solo i suoi occhi rivolsero un rapido sguardo a Indy in un impercettibile cenno d’intesa, mentre Donovan si affrettava a trangugiare l’acqua della fonte che aveva attinto con quella che considerava la coppa del Re dei Re, convinto di ottenere così la vita eterna.
Sebbene Elsa odiasse quell’uomo, non poteva certo immaginare l’orrore che la prese vedendolo invecchiare in pochi istanti sotto i suoi occhi. Capendo di essere stato ingannato, Donovan si volse contro di lei, che urlava di raccapriccio in preda al panico, stringendo le sue dita raggrinzite attorno alla sua gola, in un estremo tentativo di vendicarsi.
Per fortuna, Indy giunse in suo soccorso, spingendo lontano da lei il corpo ormai ischeletrito di Donovan, che andò ad infrangersi orribilmente contro la parete, riducendosi in polvere. L’archeologo l’abbracciò per calmarla e assicurarsi che stesse bene. Non c’era tempo da perdere: Henry stava morendo e dovevano trovare il vero Graal per salvarlo, ogni momento poteva essere vitale.
Erano di nuovo una squadra e, assieme, individuarono rapidamente la coppa: era quella di un umile falegname, non poteva essere d’oro.
Elsa, trepidante, lo guardò bere, pregando con tutte le sue forze di aver visto giusto.
“Hai scelto con saggezza.”, disse il Cavaliere.
“Ce l’abbiamo fatta, Indy! Il Graal è nostro!”, esultò Elsa, sospirando di sollievo. Gli buttò le braccia al collo e si baciarono.
“Adesso fai bere anche me…”, disse.
“Non c’è tempo, Elsa, dobbiamo correre da mio padre…” rispose Indy, riempiendo nuovamente la coppa e precipitandosi nel passaggio.
Elsa lo seguì, sospirando tra i denti. Fu felice di vedere Henry riprendersi e Sallah mettere in fuga i nazisti; finalmente tutto era finito bene e adesso nessuno le avrebbe tolto quello che considerava ormai suo.
Ho superato anch’io tutte le prove e il Graal l’abbiamo trovato assieme, io e Indy. Spetta anche a me! pensò, mentre raccoglieva la coppa da terra. Aspettava quel momento da tutta la vita, era felice, entusiasta. Guardò Indy: ce l’avevano fatta, il Graal era loro! Era così euforica e sopraffatta dall’emozione che non ricordò l’avvertimento del Cavaliere e non sentì neppure Indy e Henry che le gridavano disperatamente di fermarsi.
“È nostro, Indy, tuo e mio!”
Quando la scossa tellurica la gettò a terra, il suo pensiero fu ancora per il Graal e si buttò cercando disperatamente di recuperarlo. Successe tutto in pochi attimi: il crepaccio che si apriva, le mani di Indy che l’afferravano, il Graal così vicino, così facile da raggiungere, il buio della caduta…
Poi si era svegliata nella stanza del cavaliere, che adesso era diverso, molto ringiovanito. Anche lei si sentiva diversa, lui l’aveva salvata, curandola con l’acqua del Graal.
Non aveva mai capito come avesse fatto a sopravvivere a quella caduta: forse l’altezza da cui era precipitata non era poi così grande, le nuvole di polvere non permettevano di vedere il fondo del crepaccio e di valutarne la reale profondità; forse, quando aveva baciato Indy, qualche gocciolina dell’acqua del Graal era penetrata tra le sue labbra, preservando così la sua vita all’interno del tempio; oppure, come sosteneva il Cavaliere, contribuendo a salvare la coppa dalle mani empie di Donovan e dei nazisti, lei aveva dimostrato di credere veramente nel Graal e i suoi mistici poteri non avevano permesso che lei perisse.
In ogni caso, adesso il Graal era lì, davanti a lei. Finalmente poteva prenderlo, tenerlo tra le sue mani e contemplarlo con calma.
 “Lo troverai, Elsa, so che tu lo troverai.”, nella sua mente risuonavano ancora le parole di suo padre che, fin da quand’era piccola, avevano segnato tutta la sua vita. Hans Schneider era stato buon profeta: forse, nel pronunciare quella frase, non immaginava che essa si sarebbe realizzata letteralmente; ma adesso lei era riuscita dove tanti altri avevano fallito.
Per secoli e secoli valorosi paladini, principi ambiziosi, mistici, archeologi, occultisti o semplici pazzi avevano consumato le loro vite alla ricerca di ciò che le sue dita stavano ora accarezzando. Quanto avrebbe voluto che suo padre potesse vederla adesso; ma che cosa avrebbe detto? Sarebbe stato orgoglioso di lei, per quello che aveva ottenuto? Oppure l’avrebbe rimproverata per quello che aveva fatto?
“Anch’io non riuscivo a staccare gli occhi dal Graal, i primi tempi che ero qui.”, le disse il Cavaliere vedendola fissare la coppa. “Adesso, però, sei tu che catturi i miei sguardi.”, continuò con un sorriso, cingendole le spalle con il braccio.
“Oh, cavaliere…”, mormorò Elsa, arrossendo di piacere e scambiando uno sguardo languido con l’uomo che, bevendo l’acqua del Graal, aveva cancellato i segni della sua età secolare, riacquistando l’aspetto virile di un tempo.
In quel momento, le sembrava di vivere realmente dentro le favole che l’avevano fatta sognare da bambina.
Su, Elsa, non montarti troppo la testa, è facile fare colpo quando si è la prima donna che vede dopo sette secoli... pensò, ridacchiando tra sé.
La giovane aveva tentato di raccontare al Cavaliere le vicende che l’avevano portata in quel luogo.
L’uomo si era grattato la testa perplesso, sentendo quelle strane storie di battelli che corrono veloci senza remi né vele, di carri senza cavalli che portano un nome di donna iberica, Mercedes, per non parlare di navi che volano attaccate ad un pallone pieno d’aria.
“Non avrei mai creduto che il Sacro Romano Impero potesse cadere tanto in basso.”, commentò l’uomo dopo aver appreso delle malefatte dei tedeschi.
“Vedi, sono cambiate un po’ di cose negli ultimi tempi… adesso in Germania non c’è più il Sacro Romano Impero c’è il Terzo Reich.”
“Bah, questi Alemanni sono proprio esagerati: non bastava un Impero solo? Dico io, che bisogno c’era di averne tre?”, commentò il Cavaliere visto che Elsa, parlandogli in latino, aveva reso “Terzo Reich” con “Tertium Imperium”.
Quando poi, lei gli aveva raccontato di come avesse saputo del Graal, parlandogli delle opere di Chrétien de Troyes e degli altri autori che avevano narrato della sacra coppa, il Cavaliere aveva alzato le spalle borbottando: “Bah, questi scrittori moderni non sanno proprio più cosa inventarsi…” Era però rimasto molto lusingato del fatto che, anche dopo tanti secoli, qualcuno continuasse a narrare la sua storia e quella dei suoi fratelli.
Poi era stato il suo turno di raccontarle la sua vita e le sue avventure, di come lui e i suoi fratelli, un giorno lontano, avessero intrapreso la ricerca del Graal, spinti dalla loro indomabile passione per l’avventura e dal fascino della scoperta dell’ignoto. Le aveva anche mostrato i meravigliosi reperti che si trovavano nel tempio ed Elsa li aveva esaminati tutti con grande entusiasmo. Osservando la spada del Cavaliere, aveva notato un’iscrizione riportata sull’elsa che le suonava in qualche modo familiare: FORTUNA ET GLORIA.
“Si tratta del motto della mia famiglia”, le aveva spiegato l’uomo con un certo orgoglio.
“Uhm, e ditemi, Cavaliere, siete mai stato in Scozia?”, gli aveva chiesto lei. Sapeva che Henry era originario di quel paese ed era curiosa di verificare una certa sua teoria che le era venuta in mente.
“Certo, è di là che mi sono unito alle schiere crociate.”
“Capisco, eravate certo ansioso di liberare il Santo Sepolcro…”
“Beh, a dirla tutta, se devo essere sincero, quello che mi convinse fu il fatto che, prendendo la croce, si veniva automaticamente perdonati di tutto ciò che si poteva aver commesso fino ad allora ed io, vedete… in quel momento mi trovavo… ehm, in una certa situazione alquanto delicata…”
“Una situazione delicata?”, fece Elsa, stupita.
“Beh, ecco, in quell'occasione le cronache ingigantirono molto quel piccolo incidente. Quella donzella mi aveva detto di essere una fantesca, non potevo certo immaginare che si trattasse della figlia del sire di Glencoe… Lui non la prese affatto bene e minacciava di farmi tagliare…”
“Oh, capisco… minacciò di tagliarvi la testa.”
“Ehm, no, no, non era la testa... era il mio... fu tutto un equivoco!”
Elsa sorrise, ora era decisamente certa che il Cavaliere dovesse essere un lontano antenato dei Jones.
“Oh, messere, immagino abbiate trionfato in molte imprese di tal genere…”, scherzò lei.
 “Uhm, in alcune, mia signora, ma questa è certo la più bella in cui io mi sia mai cimentato...”, le rispose lui, baciandole una spalla, mentre le allacciava al collo una meravigliosa collana di fattura orientale che aveva finora tenuto nascosta.
“Grazie! È bellissima…”, fece Elsa, contemplando a bocca aperta quello straordinario monile, sfavillante di gioielli.
“La sua bellezza non è nulla, paragonata alla vostra.”
 “Maramaldo, scommetto che lo dicevate anche alle altre…”, lo stuzzicò lei.
“Osate mettere in dubbio le mie parole? Vi sfido a duello…”, ribatté lui, ridendo.
“Uhm, un duello notturno?”
“Senza esclusione di colpi…”
“Sarete di certo un campione…”
“Anni e anni di pratica…”
“Posso tenere addosso la vostra collana? O sarebbe un’arma sleale?”
“Andate a letto con i gioielli, principessa?”.
“Sì, e niente altro…”
Si baciarono con passione. Evidentemente, certe caratteristiche sono ereditarie… pensò Elsa.
Quella notte, quando si addormentò al fianco del Cavaliere, Elsa sognò: si rivide bambina con sua madre, era triste, come le succedeva dopo essere stata ripresa per aver combinato qualche marachella. Anche le volte in cui doveva rimproverarla, però, Lotte non era mai troppo dura con lei e, alla fine, quando la vedeva mogia e pentita, la consolava, prendendola dolcemente tra le sue braccia e baciandola affettuosamente. “Certo che ti perdono, Elsa, ti voglio bene e te ne vorrò sempre, l’importante è che tu abbia capito la lezione.”, le diceva, ferma ma dolce. Sognò anche suo padre, quando le raccontava le storie dei vari paladini che avevano cercato il Graal. “Ma perché, papà, alla fine nessuno dei cavalieri ha mai potuto tenere il Graal per sé?”, aveva chiesto un giorno la piccola Elsa. Hans aveva sorriso e le aveva spiegato: “Vedi, Elsa, il Graal non è fatto perché qualcuno lo tenga come un tesoro, il suo vero posto è nel nostro cuore e sta a noi cercarlo, affrontando le forze del male dentro e fuori di noi. Solo se sapremo vincerle, possiamo sperare di trovarlo veramente…”
Il mattino dopo, quando Elsa si svegliò, si sentì sollevata: era finalmente serena e in pace con se stessa. Era stata proprio sciocca ad aver pensato di poter arrivare al Graal grazie a quelle forze oscure che il proprio la ricerca del Graal insegnava a combattere.
“Sì, papà, adesso l’ho trovato, l’ho trovato davvero.”, mormorò.
   
 
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