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Autore: Shizue Asahi    15/03/2019    0 recensioni
{Mako/Korra}
Mako la osserva di nascosto, fingendo di star togliendo un pelucchio dalla sciarpa, mentre Korra rimanda indietro un disco di roccia, mancando la testa di Bolin per un pelo.
Alla perfida KumaCla
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Korra, Mako
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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  • Scritta per la quinta settimana del COW-T9;
  • prompt: scontro;
  • 902 parole;



Il rapporto con Mako non è mai stato facile, neanche quando erano due ragazzini con una cotta e problemi che credevano più grandi di quanto non fossero. Korra è cocciuta e indipendente, è l’Avatar e il suo lavoro è farsi carico dei pesi degli altri – del mondo; Mako è stato abituato fin da bambino a prendersi cura di sé stesso e di suo fratello, è diventato indipendente e adulto in un istante e non riesce ad accettare che Korra non voglia il suo aiuto, lo ferisce e infastidisce anche se sa che non dovrebbe, che vuole proteggerlo, che è l’Avatar.
Litigare, lasciarsi e non parlarsi è un circolo vizioso a cui non riescono a sottrarsi. Il giorno prima va tutto bene e quello dopo c’è un nuovo problema, un nuovo nemico, da affrontare e i loro approcci sono spesso troppo diversi per poter andare di pari passo.
Korra è l’Avatar e la sua vita è votata a salvare il mondo, a mantenere la pace e l’equilibrio; per Mako non c’è posto al suo fianco e si sente perennemente relegato a un ruolo di secondo piano in cui si sente stretto. Korra non lo capisce – o semplicemente non può farci nulla – e Mako tollera con sempre minore facilità di essere solo un partner, un fidanzato e non un compagno, un alleato.
Non c’è un momento preciso in cui i loro cammini si sono divisi, è semplicemente accaduto. Lentamente, inesorabilmente, un litigio, uno scontro verbale dopo l’altro. Alla fine si sono ritrovati a vivere vite diverse, a essere persone diverse e a non conoscersi più. Quando poi è iniziata la guerra, le cose hanno semplicemente deciso di prendere una piega tutta loro e di allontanarli definitivamente.
Il primo a cadere è stato Bolin, in un modo stupido e sciocco per cui nessun guerriero dovrebbe morire. Si è lasciato colpire come un pivellino e a nulla sono valsi i tentativi dei guaritori di curarlo o alleviare le sue sofferenze. Bolin è morto prima che Mako potesse raggiungerlo; Bolin è morto mentre cercava di aiutare Korra, mentre lottava per la sua causa, per proteggerla. Non sono state le mani di Korra a ucciderlo, ma per Mako non fa nessuna differenza.
 
*
 
Quando si erano conosciuti, poco più che bambini, non pensavano certo che finisse così. Korra era deliziosa, col suo modo brusco e rumoroso di non sapersi adattare alle regole di Città della Repubblica; Mako confuso e affascinato da quella donna portentosa e irrequieta, testarda e forte che poteva dominare ogni elemento e che si rifiutava di arrendersi; Bolin era lì, allegro e solido, il collante che li teneva uniti e li induceva a riappacificarsi, anche nei momenti in cui si comportavano in modo troppo stupido e sembrava che la faccenda fosse irrecuperabile.
Perdere quel fratello che ha cresciuto e con cui ha condiviso infanzia e adolescenza, sempre gomito a gomito, è stato terribile e distruttivo per Mako. Non sarebbe dovuto accadere, Bolin non poteva essere morto e basta, la colpa doveva essere per forza di qualcuno. Di Mako, di Tenzin, di Asami, di Città della Repubblica – di Korra. Una vita non si spegne e basta e Mako non può sopportare come tutto vada avanti, come la vita ricominci, come i loro compagni si riprendano in fretta per gettarsi nella prossima battaglia, come Korra non sia distrutta per quello che è accaduto. Non piange, non grida, non cade a pezzi come lui, Korra è l’Avatar e la guerra glielo ha fatto realizzare in un modo doloroso e definitivo, costringendola ad accettare il proprio ruolo e i propri doveri. Non c’è posto per il dolore della perdita, per fermarsi a piangere un amico caduto e rischiare di perdere anche il resto del mondo.
Unirsi alle forze nemiche è quasi liberatorio; non dover più vedere quei volti che gli ricordano gli sbagli del passato, che hanno ucciso suo fratello, che gli imputano sempre di non mettere tutto se stesso e più nella causa è quasi liberatorio. Dentro di lui, Mako sa che è sbagliato, ma la follia ha già iniziato ad attecchire da un pezzo nella sua mente, là dove prima c’era solo il dolore e i pezzi avevano iniziato a cadere, e quello che è sbagliato si mescola a quello che non lo è e distinguerli diventa quasi impossibile. Uccide i suoi compagni, i suoi nemici, vendica una colpa di cui non si sono macchiati le mani, ma che tutti loro portano sulle loro spalle. È facile abbandonarsi al Dominio del Fuoco, permettere che lo muova e che combatta al posto suo. Sono le sue mani che colpiscono, ma non sono le sue; sono i suoi piedi quelli che calciano, ma non sono i suoi. È euforia e potere e gli cede ogni volta di più, a ogni combattimento è più arrendevole ed più facile lasciarsi comandare dalla ferocia dell’istinto.
Combattere, uccidere, scontrarsi, non è neanche certo di con chi. Va in missione sperando che sia la volta buona, ma ne rimane sempre deluso tornando a casa vivo.
Quando alla fine arriva il turno di Korra, è facile come con gli altri. Il Dominio del Fuoco è spietato, non chiede, non ha pietà, colpisce, brucia, dilania. Lo scontro è rapido, anche troppo, ma alla fine questa volta Mako non ne è deluso. La morte lo accoglie ed è facile lasciarsi scivolare via, andare incontro all’oblio.
 
Bolin non lo aspetta dall’altra parte come sperava.  




 
   
 
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