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Autore: Luana89    24/03/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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XI.



Chiusi in fretta le ante dell’armadio lasciando Enoch lì dentro sommerso dai miei abiti, correndo ad aprire la porta trafelato.
«Ma che diamine stavi combinando?» Sophia mi fissò sospettosa e io riuscii a racimolare la parvenza di un sorriso mentre mi scostavo per farli passare.
«Scusate, non trovavo i pantaloni – OMMIODIO.» Urlai vedendo la torta sulla scrivania fiondandomi per nasconderla e coprirla con il mio corpo.
«Mi hai fatto prendere un colpo, ma perché urli..» Friedl si portò una mano al petto, okay dovevo calmarmi o mi avrebbero scoperto. Risi con indifferenza accampando come scusa plausibile la sorpresa di averli tutti lì con me quella sera. Intercettai gli occhi di Sophia sbarrando i miei e indicando l’armadio, speravo capisse.
«Vuoi che ti prenda una maglia?» Non capì.
«FERMA, NO.» La bloccai poco prima che aprisse le ante e forse a giudicare dal mio sguardo ormai prossimo a una crisi respiratoria la lampadina dentro al suo cervello sembrò illuminarsi. Spalancò la bocca indicandomi col capo l’armadio, quasi a volersene assicurare e quando feci di si con la testa iniziò a ridere.
«Ma che problemi avete voi due esattamente?» William ci fissò infastidito guardandosi poi attorno. «Josh ti abbiamo portato una torta per festeggiare, dove posso poggiarla?»
«Sapete che vi dico? Questa stanza è troppo stretta, mi sento svenire.» Sophia iniziò a sventolarsi fingendo un mancamento.
«Ma dove vuoi andare a quest’ora della notte?» Kevin la fissò stranito muovendo un passo verso di me, provai a intercettarlo e coprire la torta con un sorrisino fintamente rilassato.
«Andiamo nell’ala comune, che dite?» Quella di Sophia non era una richiesta ma un vero e proprio ordine mentre spingeva tutti fuori dalla camera ignorando le loro proteste.
«VI RAGGIUNGO SUBITO.» Provai a farmi sentire mentre la porta veniva chiusa e io mi accasciavo col batticuore. C’era mancato veramente pochissimo, dio mio. Il silenzio dentro l’armadio mi insospettì, andai ad aprire trovando Enoch con le mie mutande in mano, me le sventolò sotto al naso ridendo.
«Ma sul serio hai delle mutande con i gattini sopra? Ma allora hai davvero tre anni.» Iniziò a ridere come uno stronzo e io richiusi le ante mandandolo a quel paese.
 
Spensi le mie seconde candeline nel giro di un’ora tra le risate di quelli che ormai erano diventati i miei amici, proprio in quel momento comparve anche Enoch e notai che si era cambiato.
«Cosa si festeggia?» Ma quanto era falso?
«Il compleanno di Josh, ti abbiamo cercato in camera ma non c’eri..» Jane gli si avvicinò con un sorrisino malizioso che non mi piacque per niente, era come se gli stesse mandando un messaggio subliminale. Che avesse capito di noi?
«Auguri nano.» Mi sorrise perfettamente padrone di se, invece dei codici segreti dovevo farmi insegnare l’arte della ‘’presa per il culo’’, era davvero bravo in quello. Kevin mise un braccio sulle mie spalle e il suo sorriso sparì improvvisamente, provai a divincolarmi senza successo.
«Josh abbiamo un regalino per te .. cioè anche per te.» Anche? Scrutai i loro visi uno per uno e mi preoccupai ancora di più. L’ultimo che osservai fu quello di Enoch che scosse impercettibilmente il capo come a dire ‘’stavolta non c’entro, mi devi credere’’. Sophia mi consegnò una busta da lettere bianca, non era molto spessa e dentro sembrava esserci un foglio. Che fossero soldi? Non potevo accettarli in quel caso.. credo. Quando si parlava di denaro i miei solidi principi andavano a fare la siesta pomeridiana. Aprii la busta estraendo quello che a tutti gli effetti sembrava un biglietto aereo. Lo fissai in credulo.
«Ma questo è..»
«W LAS VEGAS.» Friedl lo urlò super eccitato stappando lo spumante e tutti lo seguirono a ruota, vidi Enoch avvicinarsi e togliermi di mano il biglietto.
«Avevo proprio voglia di sperperare il mio patrimonio al casinò. » Inarcai un sopracciglio provando a riprendere il MIO biglietto.
«Hai un patrimonio?»
«Ho anche una jacuzzi.. ti interessa?» Mi sorrise malizioso e io arrossii in maniera violenta riuscendo a riprendermi il regalo.
«Piantala..» mormorai quelle parole ficcandomi in bocca un pezzo di torta ignorando la sua risatina da stronzo. Un fine settimana a Las Vegas? Non riuscivo a crederci, avrei rivisto anche Shou e involontariamente sorrisi guardandoli tutti uno per uno, mi sentivo per la prima volta stranamente in pace con me stesso. Stavo con Enoch, ci volevamo pazzamente. Sarei tornato in quella che consideravo un poco una casa, e adesso avevo anche degli amici che sembravano volermi bene davvero. Non c’era nulla che potesse andare storto, o almeno lo speravo.
 
Il viaggio era previsto per quel venerdì, mancavano ormai due giorni e come mio solito avevo già sistemato il borsone riempiendolo di roba superflua. Avevo avvisato anche Shou del mio arrivo, si era mostrato contento concludendo infine con un lapidario ‘’devo parlarti a quattr’occhi’’ che non mi aveva rassicurato per niente.
William mi intercettò in caffetteria sedendosi al mio tavolo senza che lo avessi invitato, il suo sguardo non preannunciava nulla di buono mentre sorseggiava il caffè in silenzio. Mi guardai attorno a disagio, non sapevo bene cosa dire visto che ogni mio tentativo di socializzare sembrava cadere nel vuoto.
«Josh..» respirai profondamente sforzandomi di sorridere.
«Si?»
«Enoch ti ha mai detto che ama parecchio le stelle? Mi bloccai a quel nome riprendendomi subito dopo, mi tornò in mente una conversazione avuta con lui tempo prima, mi raccontò che amava fissare le stelle per rilassarsi e scacciare la malinconia.
«Credo me l’abbia accennato si..» feci il vago sorseggiando il mio latte macchiato col cacao. «Non ho mai approfondito, mi ha detto che gli piace semplicemente andarci in solitudine e—» non mi fece nemmeno completare il discorso.
«Mi ha chiesto di vederle con lui.» Il suo sorriso trionfante probabilmente era l’esatto opposto della mia espressione sgomenta.
«Ah si?» Strinsi forte il bicchiere mantenendo una parvenza di calma.
«Si, poco dopo il tuo ritorno da Mississipi. Restai sorpreso quando me lo propose, siamo rimasti insieme tutta la notte.» Avevo come l’impressione che volesse marchiarmi a fuoco nel cervello il concetto di ‘’tutta la notte’’, come se poi ce ne fosse bisogno. Era la prima cosa che avevo memorizzato mentre provavo a contenere la rabbia.
«Che vuoi esattamente William?» La mia solita espressione gentile lasciò il posto a una più severa, sentivo i lineamenti distorti da rabbia e un pizzico di dolore.
«Nulla, non posso parlartene? Ho come l’impressione che di recente il tuo atteggiamento con Enoch sia cambiato..» che figlio di puttana.
«E quindi vuoi assicurarti che io torni nel mio angolino?» La sua risata mi infastidì.
«Non ce n’è bisogno, hai mai visto le stelle con lui?» Il mio silenzio valse più di mille parole. «Beh, magari non sei la persona adatta, lo sai quant’è selettivo.» Si alzò lasciando i soldi sul tavolo, li fissai desiderando strapparglieli in faccia. Non riuscii a spiccicare parola mentre la rabbia ribolliva dentro il mio corpo corrodendomi. Non era semplice gelosia, ero avvezzo a quella perché l’avevo provata con Mattew, stavolta era qualcosa di ben più devastante, mi bloccava il respiro avvelenando persino la mia saliva. Il latte al cioccolato mi parve improvvisamente amaro.
 
«Ti ho cercato dappertutto.» Il suo sorriso solitamente era coinvolgente, quella volta restai apatico seduto sulla mia sedia.
«Adesso mi hai trovato.» Intuì subito che ci fosse qualcosa di strano, lo capii dal modo in cui aveva preso a fissarmi.
«C’è qualcosa che non va?»
«Hai detto che amavi vedere le stelle da solo, perché quando ti senti malinconico preferisci la solitudine e quello spettacolo ti rilassa.» Il mio tono apparentemente calmo lo insospettì ancora di più. Mi alzai piazzandomi vicino al mio letto a braccia incrociate.
«L’ho detto, si..» Ponderò con calma le parole muovendosi cautamente verso di me, probabilmente cercava di capire dove volessi andare a parare.
«Quindi, mi domando, per quale motivo sei andato a vedere le stelle con William?» La mia voce si ruppe lasciando fuoriuscire tutta la cattiveria che provavo.
«Ha importanza? Gli ho solo chiesto di uscire—» chiusi la mano destra imitando il becco di un uccello slanciandomi verso di lui.
«BLABLABLA, tutte stronzate.» Gliele conficcai nel petto più volte costringendolo a spostarsi, a quel punto la calma non sembrava più far parte nemmeno di lui.
«Perché diavolo stai facendo il pazzo adesso? E’ solo un’uscita del cazzo senza importanza.» Si passò una mano tra i capelli e io sorrisi senza gioia.
«A me non l’hai mai chiesto, che strano. Ti senti malinconico e preferisci la compagnia di William alla mia?» Soffiò fuori una risatina incredula che mi indispose ancora di più.
«Non so che dire, è assurdo.» Allargò le braccia fissandomi sprezzante.
«Non sai che dire perché non c’è un cazzo da dire, mi domando perché stai con me e non con lui.» Il silenzio piombò tra di noi come un’incudine pesantissima.
«Chi è Mattew?» Quella domanda mi spiazzò, sbattei le palpebre cercando di carpirne il senso.
«E tu come conosci Mattew?»
«Rispondimi, chi è Mattew?» La sua voce divenne tesa come il filo di un rasoio, avevo l’impressione che da qualsiasi parte mi sarei mosso questa mi avrebbe tagliato di netto.
«Una persona con cui stavo a Las Vegas anni fa ormai, perché parli di cose irrilevanti?» Mi innervosii domandandomi soprattutto come poteva conoscere quel nome, lui tra tutti soprattutto.
«E’ talmente irrilevante da avere la sua foto conservata nel cassetto?» Indicò la scrivania, lo fissai incredulo.
«Hai rovistato tra le mie cose?» Non era tanto quello a darmi fastidio, quanto più quel tono sottile di accusa e sfiducia che stava mostrando. In tutta onestà non ricordavo nemmeno più di avere quella foto, probabilmente durante il trasloco l’avevo portata con me senza rendermene conto.
«L’hai lasciata così in vista che pensavo volessi proprio farmela vedere.»
«Mattew è il passato Enoch, William no.» I nostri occhi si scontrarono con rabbia.
«Non ho chiesto a William di farmi compagnia con chissà quale scopo, perché cazzo mi vuoi crocifiggere per questa stronzata?» Alzò il tono della voce e io retrocessi di un passo, odiavo quando la gente perdeva la calma.
«Mi dispiace se le cose che mi fanno soffrire per te sono stronzate.» Il mio tono velenoso sembrò colpirlo peggio di uno schiaffo. Sollevò le mani scuotendo il capo.
«Sai che ti dico? Se soffri così tanto a stare con me dovresti semplicemente chiuderla qui.» Mi voltò le spalle sbattendo la porta, lasciandomi lì a chiedermi se avessi sul serio sentito quelle parole. Mi accasciai sul letto sentendo un buco nero spalancarsi all’altezza del mio stomaco, finiva così quindi? Mi ripromisi di non piangere fallendo miseramente. Come aveva potuto anche solo pensare di rompere così facilmente? Era questa tutta l’importanza che mi dava? I miei occhi corsero al cassetto della scrivania, mi diressi lì aprendolo e afferrando la foto di Mattew che notai sbucava da un’agendina ormai finita risalente all’anno precedente. I suoi occhi sembravano fissarmi e parlarmi, ma io ero sordo a quelle parole ormai. In un moto di rabbia strappai la foto in mille pezzi urlando.
 
*
 
La partenza per Las Vegas era prevista il giorno dopo, non vedeva Josh da quello precedente e nessun messaggio era arrivato al suo cellulare. Si era pentito di quella frase detta per rabbia nell’istante in cui aveva finito di pronunciarla, sarebbe dovuto restare lì e chiarire quella farsa ma soprattutto chiedere spiegazioni su Mattew in maniera meno irruente. Non aveva ben chiaro il motivo per cui ogni volta che pensava a quel fantomatico ex la mente andava in cortocircuito, non era semplice gelosia, non erano le stesse sensazioni provate con Kevin. Il pensiero che quella persona lo avesse avuto per se, anche in maniera intima, che gli avesse sussurrato all’orecchio le frasi che ogni amante diceva alla persona che amava, Enoch semplicemente non ci vedeva più dalla rabbia e dal dolore. Come ci si poteva scontrare con un passato troppo presente? Come ci si poteva mettere a paragone senza avere il timore di uscirne sconfitto? Si alzò da quel letto sentendo il respiro farsi più difficile, non poteva partire con quello stato d’animo.
Bussò discretamente alla porta di Joshua sperando fosse ancora sveglio, o sperando magari che non lo ignorasse intuendo che fosse lui e non qualcun altro a quell’ora tarda. Quando se lo ritrovò davanti non seppe  bene cosa dire, da qualche tempo a quella parte sentiva di avere difficoltà a esprimersi come ogni volta che lo aveva attorno e doveva descrivere il peso di ciò che provava per lui. Gli occhi nocciola del ragazzo sembrarono riempirsi di paura, pensava fosse lì per concludere la loro storia? Joshua gli voltò le spalle tornando a rintanarsi sotto le coperte.
«Non ho voglia di parlare, possiamo rimandare?»
«No non possiamo, e comunque devo parlare io non tu.» Senza attendere risposta scostò le coperte stendendosi accanto al ragazzo, abbracciandolo da dietro. Il suo corpo morbido e caldo era come un balsamo che curava ogni ferita, il posto perfetto per lui era tra le sue braccia. Josh non si mosse, sembrava controllare persino i suoi respiri e questo fece sorridere Enoch.
«Mi dispiace per quello che ho detto.. non lo pensavo. Non riesco nemmeno a concepire di non averti visto per un intero giorno, figurati per tutta la mia vita.» Strinse ancora di più la presa poggiando il viso contro la sua nuca, respirandone l’odore. «Ho chiesto a William di venire con me, è vero. L’ho fatto quando tentavo disperatamente di arginare quello che provo per te, e so che questa non è una scusa, lo so.. però—» si stoppò osservando l’altro muoversi e girarsi, piazzandosi faccia a faccia con lui.
«Però?» Sorrise di fronte a quegli occhi dolci, l’espressione insicura e i tratti delicati. Sopperì l’impulso di baciarlo, ma la portata dei suoi sentimenti sembrò cadergli addosso come un macigno.
 «Guardare le stelle, la vastità del cielo, mi ha sempre calmato soprattutto nei miei periodi più neri. Dopo aver conosciuto te però ho smesso quasi del tutto, ho scoperto che c’era qualcosa di più calmante delle stelle, e sai cosa?» attese di vederlo scuotere il capo prima di continuare. «Le tue fossette. Ho scoperto che avevo bisogno solo di quelle per sentirmi meglio, mi bastava vederti sorridere per tornare a respirare; che motivo avevo di chiederti di guardare le stelle con me se avevo la più bella vicino?» Joshua seppellì il viso contro il suo petto stringendolo con forza.
«Promettimi che non dirai mai più di lasciarci.» lo guardò con forza. «Promettimelo.»
«Te lo prometto..» lo baciò con desiderio e la tipica disperazione dei bugiardi fusi insieme al pari delle loro lingue, ritrovandosi senza fiato.
«Voglio parlarti di Mattew.» A quel nome si irrigidì ma annuì ugualmente, supponeva che quella fosse la notte giusta per i chiarimenti; sotto quelle coperte, laddove esistevano solo loro. Ascoltò Joshua parlare di quel passato fino a pochi minuti prima totalmente sconosciuto per lui, scoprì i motivi per cui era finita tra loro. «Tu non sei come lui, non lo sei mai stato. Ogni volta che pensavo a me e Mattew uniti in una relazione sentivo il respiro venire meno; quando penso a te, sento di non riuscire a respirare per l’esatto opposto. Non posso farti un paragone.. perché non esiste un reale paragone tra di voi. Hai visto la tua foto nel cassetto?» Enoch annuì impercettibilmente. «Non ho scritto il tuo nome, ma ‘’lui’’ perché dentro quella singola parola c’è tutto il peso delle cose che provo e non riesco probabilmente a dirti.»
«Sei ancora arrabbiato con me?» La sua voce esitante fece sorridere Joshua che scosse il capo.
«Non lo sono mai stato credo, ero solo spaventato.. da oggi  quando litighiamo possiamo non voltarci le spalle, e provare a chiarire?»
«Magari sotto le coperte?» Le mani di Enoch divennero improvvisamente insistenti mentre si insinuavano sotto la maglia dell’altro.
«Non è per niente una cattiva idea..»

 
*
 
Avevo lasciato tutto il gruppo a poltrire in albergo e decidere cosa fare durante la sera, alcuni volevano rimanere lì e giocare al casinò sottostante mentre altri volevano girare un po’ per le vie illuminate della notte. Per quanto mi riguardava facevo schifo nel gioco d’azzardo e conoscevo la città benissimo quindi sarebbe stata indifferente la scelta, avrei semplicemente seguito Enoch. Approfittai di quelle ore per andare da Shou, curioso di sapere cosa avesse di così importante da dirmi, quando entrai nel suo ufficio la prima cosa che vidi fu il suo occhio nero.
«Non me lo dire ti prego, hai allacciato rapporti con un’altra donna sposata?» Mi scoccò un’occhiata risentita.
«Sei entrato da due secondi e già rompi il cazzo?» Ci fissammo sorridendo per poi abbracciarci con forza. Il suo ufficio non era cambiato di una virgola, ancora disordinato e pieno di cartelle da completare, non capivo come facessero i suoi clienti ad avere così tanta pazienza. Tempo prima quando glielo avevo chiesto si era limitato a dire ‘’quando c’è di mezzo la tua infelicità, prendere tempo non è così male’’ scrollando le spalle.
«Quindi, come sta andando il migliore studente di Yale?» A quelle parole mi atteggiai un po’ vantandomi dei miei successi scolastici, e parlandogli di Enoch. «A proposito di fidanzati..» le premesse non sembravano delle migliori. «Mattew è stato qui tre giorni fa, sembrava un invasato pazzo. Più invasato del solito, per intenderci.»
Shou non aveva mai nutrito una grande stima per il mio ormai ‘’ex’’, si era sempre mostrato contrario alla nostra relazione e quando era finita non si era nemmeno sprecato a fingere gli dispiacesse.
«Che voleva da te Mattew?» Mi mossi a disagio sulla sedia dimenticando il tè freddo che stavo bevendo.
«Non chiedermi come ma ha saputo del tuo incidente, voleva sapere perché non fosse stato informato. Prima che tu lo chieda: l’ho mandato a farsi fottere.» Lo fissai attentamente e improvvisamente ebbi un lampo di genio.
«Ti prego, ti prego, non dirmi che l’occhio nero—» non mi lasciò finire annuendo.
«Si. Ma non credere che lui sia messo meglio.» Mi coprii le mani con la faccia soffocando un urlo nevrastenico.
«HAI FATTO A PUGNI CON MATTEW?»
«Non è che se lo urli il peso della cosa cambi.» Odiavo il suo modo sbrigativo di mettermi a tacere, mi trattava sempre in quel modo quando capiva che stavo per partire con le mie ramanzine.
«Ti sei bevuto il cervello?»
«No, e poi volevo suonargliele da tempo. Non l’ho mai sopportato, veniva qui con quell’aria di comando come se fossi di sua proprietà.» Una punta di gelosia fece capolino dalla sua voce, per Shou ero sempre stato come un fratello minore riuscivo a comprendere come si sentisse in effetti.
«E tu che gli hai detto?»
«Nulla, che sapevo tu non avresti voluto lui sapesse e che trovavo ridicolo il suo interesse adesso, a due mesi dal suo matrimonio di merda.» Avevo quasi scordato quel particolare, cercai dentro di me tracce di delusione come la prima volta in cui ne ero venuto a conoscenza, ma queste non apparvero.
«E’ ancora qui?» L’ansia tornò a dominarmi, non potevo rischiare di incontrarlo con Enoch, già mi vedevo a trascinarmelo sul primo aereo per il Connecticut.
«Non credo, gli ho detto che non vivi più a Las Vegas e ovviamente gli ho detto che era più probabile mi vestissi da donna andando a battere in strada, piuttosto che dirgli dove fossi.» Afferrò il mio bicchiere scolandosene quasi la metà; era sempre così con lui, offriva e poi si riprendeva tutto.
«Ti ho portato un altro assegno..» lo estrassi dalla tasca dei miei jeans poggiandolo sulla scrivania, lo vidi fissarlo corrucciato e spingerlo con le dita nella mia direzione.
«Senti Josh, ma non possiamo evitare? Puoi tornarmi questi soldi quando avrai un lavoro più remunerato, seriamente non ho incassato nemmeno uno degli assegni che mi hai inviato.» mi sporsi con irruenza verso di lui.
«MA ALLORA SEI STRONZO. HAI IDEA DI QUANTO C’HO MESSO A RACCIMOLARLI.» Mi piazzò una mano in faccia, era talmente grande che mi copriva del tutto, spingendomi nuovamente a sedere.
«Prima di tutto non invadere il mio spazio vitale, grazie, secondariamente: pensi Joel li abbia incassati? Oh andiamo Josh, sei assurdo. Non ti sto dicendo che non voglio tu saldi il debito, ti sto dicendo di farlo quando avrai una stabilità economica magari..» mi ripresi l’assegno e la mia espressione abbattuta e contrariata lo fece ridere.
«Non ridere testa di cazzo, se vuoi che mi riprenda questo assegno incassa gli altri tre o giuro che—» annuì senza farmi finire. «A proposito.. hai ancora le chiavi del mio appartamento?»
«Certo, non l’ho affittato.. perché? Pensavo stessi in albergo.» Sigillai le labbra per poi sorridere in maniera stucchevole, non cadde nel mio tranello continuando a fissarmi.
«Voglio solo andarci, mi manca..» aggrottò la fronte.
«Josh tu detestavi quella casa, mi hai rotto il cazzo per mesi dicendomi di piazzarci un ascensore.»
«STAVO AL QUINTO PIANO.» Persi un po’ della mia calma moderandomi subito dopo e tornando a sorridere dolcemente.
«Mi fai paura.. senti non mi importa, tieni queste dannate chiavi e tornamele prima di andartene.» Afferrai il portachiavi con un urletto felice.
«Ti amo!»
 
 
«Quindi ricapitolando, mi stai portando nel tuo vecchio appartamento?» Gli strinsi la mano con più forza annuendo contento.
«Ho pensato che farti vedere un pezzo del mio passato avrebbe aiutato..» non ci fu bisogno di altre parole, ricordavamo ancora entrambi la lite di due giorni prima. Avevo capito che il suo problema non era Mattew in se, ma le cose che pensava potessi aver fatto con l’altro piuttosto che con lui. Come per esempio vedere la casa nella quale avevo vissuto per due anni. Il palazzo a sei piani un po’ fatiscente sorgeva distante dalla zona più chic della città, Shou aveva comprato quell’appartamento quando i prezzi erano crollati assicurandoselo per una cifra irrisoria e guadagnandoci poi con i soldi dell’affitto, me lo aveva ceduto quando l’ultima padrona di casa aveva pensato bene di sbattermi fuori dal mio monolocale a causa del mio gatto. Ripensai a TJ, lo avevo chiamato così in onore di quel fratello che pensavo mi amasse.. sentii un sordo dolore al petto e mi avvicinai inconsciamente a Enoch.
«Che hai?» La sua voce dolce mi riportò lì con lui, sorrisi sistemandogli i capelli perennemente disordinati.
«Nulla, siamo arrivati.» Mi scoprii ancora fortemente odioso nei confronti di quelle dannate scale, sembrava la croce della mia vita quella di vivere ai piani ‘’alti’’ senza uno schifo di ascensore. La casa era immersa nel buio, esattamente come l’avevo lasciata ma coi mobili coperti da lenzuola bianche. Provammo ad accendere la luce scoprendo che non c’era, maledetto Shou ero sicuro non avesse pagato più le bollette.
«Magari con la torcia del telefonino..» sentii Enoch ridere e prendermi per mano, iniziammo così a girare per casa. Non era molto grande, solo due stanze una delle quali era stata la mia ‘’camera oscura’’ per tutto il tempo del mio soggiorno. In bagno una doccia microscopica nella quale entravo solo io a causa della mia stazza minuta.
«E’ carina come te..» fissò la parete lilla della mia camera da letto, l’avevo fatta ritinteggiare al mio arrivo disegnandoci sopra un fiore di loto nero e stilizzato.
«Ti piace?» Non sapevo bene perché mormorassi piuttosto che parlare ad alta voce, forse a causa dell’ansia nel rendermi conto di essere solo con lui in una casa deserta.
«Mi piaci di più tu.» Le sue labbra cercarono improvvisamente le mie, sentii quelle mani artigliarmi e trascinarmi verso il letto senza lenzuola. Nessuno sarebbe entrato lì, nessuna festa a sorpresa, nessun sordo bussare ma soprattutto nessuna preoccupazione di fare rumore.
Mi spogliò con urgenza fissandomi con venerazione, come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto ed era un po’ così che mi faceva sentire. Presi coraggio imitandolo, togliendogli la felpa e infine i jeans, pelle contro pelle sentivo la mia bruciare e liquefarsi a contatto con quella più fresca di lui. Le sue mani su di me sembravano incandescenti, come se ogni tocco lasciasse il suo marchio facendomi ansimare di piacere. Non so bene perché proprio in quel momento decisi di guardare ‘’li sotto’’ ma probabilmente sbagliai bloccandomi.
«Aspetta..» la mia voce pregna di ansia lo mise in allarme, lo scostai scuotendo appena il capo. «Forse è il caso di amarci platonicamente, tu che ne pensi..?»
«Non era proprio l’amore platonico a cui pensavo in questo momento..» Vidi i suoi occhi confusi che seguivano il mio sguardo, la traiettoria era inequivocabile. Scoppiò a ridere bloccandomi sotto il suo peso, mettendomi a tacere con le sue labbra. «Puoi fidarti di me? Non voglio farti male..» non ero molto sicuro riguardo l’ultimo punto, ma se la mia mente diceva una cosa il corpo e il cuore segnavano il completo opposto. Sotto l’assalto serrato delle sue carezze il mio intero essere sembrò rilassarsi e tendersi ancora come una corda di violino.
Non riuscivo a spiegare le sensazioni provate, annegavo in quegli occhi blu che mi sussurravano segreti inconfessabili mentre la bocca era impegnata ad amarmi con ogni modo possibile. Affondai le dita nella sua schiena sentendomi squarciare quasi, stringendo gli occhi fino alle lacrime mentre un lamento proruppe senza che potessi fermarlo. Mi sentivo andare a fuoco, letteralmente. Ma quella sensazione d’incendio concentrata in un solo punto a ogni spinta dentro di me sembrava dilagarsi e divampare lungo tutto il corpo. Scordai persino il mio nome su quel letto, mentre urlavo invece il suo di nome con tutto il fiato che avevo. Il nome della persona che mi aveva fatto suo, completamente.

 
  
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