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Autore: crazy lion    29/03/2019    4 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
Quello natalizio dovrebbe essere un periodo pieno di gioia, nel quale la felicità è presente in ogni angolo della propria città e dell'anima di ognuno. Dovrebbe, appunto, perché non è così per tutti e di certo non per Demi, che in queste tre storie vivrà tre avventure molto simili ad incubi. Le feste e l'affetto di amici e familiari non possono scacciare i suoi demoni interiori. La calda luce riuscirà a riscaldare il suo personale e freddo inverno?
Disclaimer: con questi miei scritti, pubblicati senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo. Vale anche per gli altri personaggi famosi presenti.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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                     UN GUSTO DOLCEAMARO
 
Demi ed Andrew avevano finito di fare - anzi, rifare - l'albero da un po'. Seduti sul divano, coccolavano ancora i gatti. Jack era sdraiato a pancia in su tra i due e si faceva grattare da Demi, mentre Chloe era acciambellata sulle gambe di Andrew che le faceva qualche carezza, ma perlopiù la lasciava riposare, visto che la micia teneva gli occhi quasi sempre chiusi. Del resto faceva freddo, il che era strano per la California dato che a Los Angeles l’invernoera sempre mite, e proprio a causa del clima i gatti preferivano stare in casa a dormire piuttosto che uscire. I due amici erano avvolti in una calda e soffice coperta che la mamma di Andrew aveva fatto con le sue stesse mani. Amava cucire, lo dimostrava la vecchia macchina da cucire che c'era lì in salotto e il fatto che sopra di essa ci fossero ago e filo pronti per essere usati. Su quel macchinario, appartenuto alla nonna del suo amico, Demi non aveva mai visto posarsi un granello di polvere.
"Si sta bene qui sotto" disse. "E poi si sente che tua madre fa le cose con amore."
Non era una frase fatta, anche se forse poteva sembrarlo. Demi era sincera.
"Già, hai ragione."
"Ma quando tornano i tuoi? Sono passate due ore da quando abbiamo cominciato a montare l'albero."
"Ah, non ne ho idea! Probabilmente avranno trovato i centri commerciali pieni dato che si sono presi all'ultimo minuto. Che poi, dico, i miei purtroppo non hanno fratelli, quindi io e Carlie sfortunatamente non abbiamo né zii né soprattutto cugini. I regali sono per dei nostri amici, compresi voi. Ma dovevano andarli a prendere proprio oggi? All'ultimo?"
"I giorni prima saranno stati presi da altre cose, in fondo anche loro cucinano per il pranzo che faremo domani."
"Sì, ma a parte cucinare un po' di roba e pulire casa, cosa di cui per essere precisi ci siamo occupati io e mia sorella, e lavorare, non è che abbiano fatto molto altro. Avevano comunque quasi tutto il pomeriggio libero."
"Dai, non lamentarti. Si saranno organizzati."
"Hai ragione, sembro uno stupido. Non è da me fare così."
Più che uno stupido sembrava un po' un bambino, pensò Demi con un sorriso. Amava i bambini e un giorno le sarebbe piaciuto averne di suoi. Non ora, però, sia perché era troppo giovane sia perché stava ancora guarendo, e finché non si fosse sentita stabile mentalmente e fisicamente non avrebbe potuto prendere decisioni di quel genere. Non sarebbe stato nemmeno giusto. Comunque, il fatto che pensasse al futuro e che ogni volta vedesse nella sua mente un bambino, era un ottimo segno. Significava che aveva una speranza, che riusciva a guardare avanti.
"A cosa pensi?" le domandò l'amico. "Sembri assorta."
"Lo sono" rispose e gli spiegò tutto.
"Sarai  una madre meravigliosa, Demi."
Lei si limitò a sorridere; e comunque, non credeva sarebbe stata tanto speciale. Sicuramente non tanto quanto lo era Dianna.
"Ti va se preparo una cioccolata calda?"
"Cosa?"
"Ti ho chiesto se…"
"No, Demi, ho capito. Sono solo felice per te."
Andrew la guardava come se avesse appena visto un extraterrestre o una creatura del genere, o forse era solo sorpreso.
"Perché? E perché mi guardi così?"
Gli lanciò un’occhiata interrogativa.
"Beh, è un ulteriore passo in avanti. Il fatto che tu non solo voglia bere la cioccolata ma desideri anche prepararla è un altro dei tuoi step verso la guarigion. Piccolissimo, okay, ma importante."
Andrew aveva anche paura, però. Paura che le cose potessero andare male, che Demi perdesse la serenità a causa di una malattia dalla quale non era ancora del tutto guarita. E non si trattava solo dell’anoressia. Bisognava tener conto anche della bulimia e dell’autolesionismo. Tuttavia non le parlò dei suoi timori. Non voleva toglierle quel bel sorriso che le vedeva dipinto in volto, un sorriso talmente splendente da illuminare il mondo.
"Hai ragione" fu d'accordo Demetria. "Non ci avevo pensato, ma è vero. Quando tornerò dalla psicologa, dopo l'Epifania, gliene parlerò."
Inoltre vedeva una psichiatra una volta al mese anche, ma non solo, a causa della sua ansia e avrebbe comunque dovuto continuare ad andare dalla psicologa e dalla nutrizionista ancora per diverso tempo, per anni, per avere un aiuto e un sostegno.
"Non ci vai per tutti questi giorni?"
"È in vacanza anche lei."
"Sì ma…"
E anche in quel caso il ragazzo non continuò e fece un gesto con la mano per dire che non era niente. E se nei giorni nei quali era scoperta Demi si fosse sentita peggio? Ad un occhio esterno le sue paure potrebbero risultare esagerate, ma la verità era che aveva visto soffrire Demi così tanto, e la vedeva stare talmente male ancora adesso a volte, che il timore che le potesse accadere qualcosa era troppo forte. E non sarebbe andato via per molto, molto tempo.
"Va bene, allora vado a cucinare!" trillò la ragazza correndo in cucina.
"Fai come fossi a casa tua, come sempre" le rispose l'amico.
Dopodiché si alzò, posò Chloe sulla coperta e raggiunse Demi.
Lei intanto aveva versato il contenuto del preparato in un pentolino  assieme al latte, stava mescolando e ogni tanto aggiungeva un altro po' di quella bevanda.
"Ti stai divertendo?"
"Insomma. Con la cioccolata calda bisogna fare così, continuare a mescolare, altrimenti ti frega. Una volta, quando eravamo piccole, Eddie ce l'ha fatta. Solo che mescolava ogni tanto, per il resto se ne stava davanti alla televisione a guardare la partita."
"Oddio, non immagino il risultato…"
"La cioccolata si è attaccata, ha fatto i grumi e quella che io e mia sorella siamo riuscite ad avere in tazza sapeva di fumo. Non l'ho neanche finita tutta. Ho sempre amato i dolci. Beh, quando ho cominciato ad ammalarmi li detestavo, e un anno fa ti avrei detto che mi facevano schifo, ma adesso hanno ricominciato a piacermi. Comunque, se non l'ho bevuta quella volta era proprio perché aveva un sapore orribile."
"Posso solo immaginare. Vi siete arrabbiate?"
"Abbastanza, ma mamma di più quando l'ha scoperto. Pensa che l'ha obbligato a rifarcela la mattina dopo per colazione."
"Conoscendo Dianna mi stupirei del contrario. E com'era?"
"Buonissima, ma sono sicura che la mamma l'ha aiutato."
Parlarono del più e del meno per un po', mentre un dolce e invitante profumo si spandeva per tutta la casa.
"Allora, sei felice di essere tornata a lavorare?"
"Abbastanza, anche se è difficile. Insomma, è stancante. Ho ricominciato poco dopo essere uscita dalla Timberline Knolls, forse troppo presto come mi avevate detto tutti. Ma questo mi ha anche aiutata. Stando a casa non facevo che pensare e le voci ritornavano."
Andrew sapeva di cosa parlava, quindi non le chiese niente.
Demi era tornata in studio di registrazione a marzo, prima di quanto tutti si sarebbero aspettati. I dottori avevano detto che la ragazza aveva bisogno di tranquillità e di tempo per riprendersi, ed era vero. Quando era rientrata a casa, dopo i tre mesi passati in clinica, si era sentita come una fragilissima piantina che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all'altro. Oltre al calore e all'affetto della famiglia e di quella di Andrew, che per lei erano le cose più importanti, anche la musica l'aveva aiutata. Aveva ricominciato subito a comporre canzoni con la chitarra, a scrivere note sul pentagramma per non dimenticare nulla e poi parole su un altro foglio, cercando di rendere il testo in rima il più armonioso e perfetto possibile. Adorava fare tutto ciò perché la distraeva, la faceva sfogare, spesso la aiutava anche a non pensare. La musica e il canto erano le sue più grandi passioni, senza le quali non avrebbe potuto vivere o magari sì, ma la sua sarebbe stata una vita triste e senza speranze. Era per darsi una spinta in più, per andare avanti, che era tornata alla Hollywood Records quando si era sentita pronta. A luglio, pochi mesi dopo, era uscito il singolo "Skyscraper". A settembre, invece, era stato pubblicato il suo album. Aveva scritto e registrato alcune canzoni prima di entrare in clinica, quando ancora non sapeva l'avrebbe fatto. Da marzo a settembre aveva lavorato molto, troppo a sentire Dianna, che spesso le aveva detto di fermarsi un attimo e pensare anche a riposare, non solo a registrare e comporre. Alla fine, l'album aveva riscosso un grande successo e, anche se adesso la ragazza stava già pensando al successivo e a un documentario che aveva già iniziato a produrre con l'aiuto del suo team, era decisa ad andare più con calma. Mentre pensava a tutto ciò ne parlò con l'amico.
"Sono felice tu voglia fare le cose con tranquillità" le disse lui alla fine. "E sei molto coraggiosa a voler raccontare la tua storia in un documentario."
"Penso che se posso salvare anche solo una vita parlando della mia esperienza, allora la mia sofferenza e tutto il lavoro che sto facendo per guarire saranno valsi qualcosa."
"Hai detto una cosa molto bella." Andrew sentì un gruppo allo stomaco e alla gola. La voce gli era uscita strozzata. Demi era meravigliosa: sapeva sorprenderlo con parole talmente profonde da toccargli l'anima. “E comunque, quello che hai passato e che stai facendo vale già molto, perché stai provando a guarire per la tua famiglia, per me e la mia, ma soprattutto, e questa è la cosa più importante, per te stessa."
"Già." Demi mormorò così piano quella parola che Andrew fece fatica ad udirla. “Non ne sono tanto sicura.”
Ecco, aveva parlato troppo.
Stupida! Sei solo una stupida ragazza insicura!  pensò.
“No, niente.”
Restò vaga, ma Andrew non aveva intenzione di lasciar cadere l’argomento.
“Ti prego, Demi, sfogati! Di cosa?”
Le cinse le spalle in un gesto protettivo e anche per darle coraggio.
Lei lasciò andare un respiro tremolante e decise di dirgli qualcosa che non aveva mai detto a nessuno.
“Di star combattendo per me.”
Cinque parole che si teneva dentro da tanto, troppo tempo.
“Credo di aver capito cosa intendi, ma puoi spiegarmi meglio?”
Andrew era dolce, non voleva forzarla.
“Forse lo faccio ancora e solo per gli altri” cominciò, marcando quelle due parole, “per il loro benessere.” Era così difficile confessare tutto ciò, ma voleva continuare. “Penso che comportandomi così, voi stiate meglio.”
“E tu? Stai meglio?”
Una stilettata nel cuore avrebbe fatto meno male di quella domanda.
“No! No, sto peggio.” Una lacrima le rigò il viso ed Andrew fliela asciugò. “Eppure, ci sono giorni nei quali sono convinta che lo faccio anche per me.”
“Col tempo capirai che è davvero così.”
“Come… come lo sai?” sussurrò e fu scossa da un leggero tremore.
“Lo so perché io, la mia e la tua famiglia, Phil, il tuo team e i tuoi fan crediamo moltissimo in te. Devi solo darti il tempo di credere tu di più in te stessa. È difficile, lo so. Ma hai già fatto tanto, anche se magari non ti sembra.”
Demi rimase colpita da quelle parole.
“E quanto ci vorrà?”
“Non posso rispondere a questa domanda. È soggettivo, ma tu ce la farai.”
“Grazie.”
Gli sorrise, ma più debolmente di prima.
“Tu invece? Come vanno le cose allo studio legale?”
Dopo aver finito l’università in tre anni, Andrew era entrato in una scuola di legge e dopo altri tre, una volta terminata, era diventato avvocato. Voleva però specializzarsi in diritto di famiglia, quindi aveva cominciato a lavorare in uno studio legale in cui si occupava di quello e anche di altre questioni. Nel frattempo continuava a studiare diritto di famiglia e a fare corsi di formazione a riguardo. Avrebbe dovuto aspettare altri quattro anni, per legge, per sostenere un esame riguardante l’area in cui voleva specializzarsi per poi diventare effettivamente un avvocato in diritto familiare. Era brutto dover aspettare tanto tempo, ma vedeva gli altri quattro anni davanti a sé e quello che stava per terminare come un lungo periodo in cui fare esperienza, lavorare, fare corsi per poi dimostrare di essere preparato, bravo e pronto ad aiutare la gente. Era continto che molti intraprendessero quella carriera solo per i soldi, mentre lui l’aveva scelta per una motivazione più vera e profonda.
La cioccolata era pronta. Demi ci aveva aggiunto anche la fecola di patate, per addensarla e renderla ancora più buona. La versò in due tazze, poi le mise sul tavolo.
"Mmm, invitante!"
"Spero sia venuta bene" disse accomodandosi di fronte al ragazzo. "Ho già messo lo zucchero, ma se vuoi puoi aggiungerne ancora. Ah, aspetta." Si alzò, aprì il frigo e tirò fuori del latte. "Sarà meglio aggiungerne un pochino per raffreddarla, altrimenti la berremo domani."
Risero insieme e sentirono i muscoli rilassarsi. Il momento di commozione di poco prima, che li aveva leggermente bloccati, sembrava essere passato per lasciare spazio alla tranquillità.
Andrew si alzò e tirò fuori da una dispensa dei biscotti.
"Ecco, ora è tutto pronto. Vuoi la panna montata?"
Ma Demi non rispose. Guardava prima la cioccolata e poi il vuoto.
"Se mangi, il cibo ti finirà tutto nei fianchi, nelle gambe e in ogni parte del corpo, cicciona di merda" disse una voce nella sua testa.
Eccola. Era tornata a perseguitarla. Ana, l'aveva chiamata così, abbreviando la parola "anoressia". Erano state amiche per molto tempo, poi si era aggiunta anche Mia, la bulimia. Ma in clinica le avevano insegnato a non considerare il cibo un suo nemico, a pensare che era lei la nemica di se stessa. Parole, queste, che all'inizio non le avevano fatto né caldo né freddo, ma che a lungo andare, grazie alle sedute dalla psicologa, dalla nutrizionista, agli incontri di gruppo e alle varie attività svolte, avevano cominciato a cambiare anche se lentamente la visione che lei aveva del suo corpo, di se stessa, i sentimenti che provava verso di sé e il cibo. Doveva resistere.
"Non mangiare più niente" riprese la voce. "Ricominciamo da capo, con una dieta da cinquecento calorie, poi passiamo a duecento come facevi una volta. Ti ricordi? Sei riuscita a nasconderlo per tanto tempo e sono sicura che adesso diventerai ancora più brava."
"No, vattene! Non voglio!"
Demi urlò e per un momento non si rese nemmeno conto di farlo.
"Demetria, ehi." In un attimo Andrew le fu accanto. "È lei, vero? È Ana."
"S-sì" balbettò, mentre sentiva che la sua mente era connessa solo in minima parte al presente.
Il resto era in quella realtà fatta di pasti saltati o fatti solo a metà, di bugie, dita in gola per provocarsi il vomito, di lassativi e siti web che aveva visitato, i Pro Ana, come venivano chiamati, in cui tante ragazze come lei si sostenevano a vicenda lodando l’anoressia come fosse stata una dea.
"Sei brutta, grassa e orrenda" continuò la voce. "E lo diventerai ancora di più se continuerai a mangiare. Non ti odi? Non ti fai schifo visto tutto il cibo che ingurgiti e il grasso che hai in corpo? Sono sicura di sì."
"No" mormorò.
"Non è vero. Non ci credo e non lo fai nemmeno tu. Sono io la tua unica amica, Demi. Solo io posso capirti e aiutarti."
La ragazza ricordava ancora le regole di quel blog, dal quale si era cancellata da tempo e se da una parte le venivano i brividi al solo pensarci, dall'altra quella voce la tentava così tanto!
"Demi, guardami. Guardami!" La voce di Andrew era dolce, sembrava più comprensiva di quella di Ana, ma… "Ascolta, so che non dipende da te, dalla tua forza di volontà, che non basta per superare malattie del genere. Ma lei, Ana, è una malattia. Non è una tua amica, non ti farà stare meglio, lo sai."
"Io non… non lo so. Non…" provò a dire Demetria, confusa.
La testa le girava.
Intanto la voce continuava a ripeterle le stesse cose con il suo tono rassicurante. Demi si aggrappò al tavolo per non correre in bagno a vomitare. Era sicura che non avrebbe buttato fuori niente, dato che erano passate ore dal pranzo, ma una parte di lei voleva comunque provare, andare a pesarsi.
Andrew non sapeva cos'altro dire. Aveva parlato anche lui con i professionisti che la seguivano, gli avevano detto di aiutarla a capire che la malattia non era una compagna, un'amica, e lui ci aveva provato. Non l'aveva mai vista avere una ricaduta o meglio sì, ma non davanti a lui. Spesso era andato a casa sua quando lei stava già male.
"Demi, facciamo come hanno detto la psicologa e la nutrizionista all'inizio, okay? Solo un boccone. Piano."
Lei guardò schifata la cioccolata e i biscotti, poi ne prese uno, ne morse un minuscolo pezzetto e, dopo averlo messo in bocca, cominciò a muoverlo con la lingua di qua e di là. Era il tipico comportamento di chi soffre di questa malattia: tenere il cibo in bocca finché ne resta il meno possibile e poi correre subito in bagno per buttarlo fuori prima che sia troppo tardi.
“Adesso mandalo giù. Lentamente.”
Demi lo nascose sotto la lingua.
“Fammi vedere.”
Aprì la bocca e non sapeva se sperare che non si accorgesse che non l’aveva ingoiato o il contrario.
“Alza la lingua.”
Fece cenno di no.
“Demi, alzala.”
Non alzò il tono, non voleva spaventarla. Doveva essere molto paziente, anche questo gli avevano detto.
Lei lo ascoltò.
“Immaginavo ce l’avessi ancora.”
Per un istante, Demi provò sollievo nell’essere riuscita a non mentirgli.
Andrew era nel panico. La guardava allarmato e cominciava a respirare male, ma cercò di non darlo a vedere per non agitarla. La cosa migliore da fare era chiamare Dianna. Subito.
"Smettila, Ana!" urlò all'improvviso la ragazza, stringendo ancora di più il bordo del tavolo tanto che le nocche le diventarono bianche. "Mi fai sentire come se avessi qualcosa che non va nel cervello! Non ti voglio, vattene! Non potrai avermi, non di nuovo!"
Dopo aver gridato si alzò e corse via, chiudendosi in bagno.
 
 
 
 
"Oh mio Dio!" esclamò Andrew, che per prima cosa prese in mano il telefono e chiamò la mamma della sua amica. Gli squilli che indicavano che la donna ancora non rispondeva furono per lui una tortura. "Ti prego, rispondi! Rispondi!" continuava a ripetere. "Rispondi dannazione!" urlò, in preda più alla frustrazione e al terrore che alla rabbia.
"Pronto?"
Fu una voce femminile e angelica quella che rispose. Era piccola.
"Maddie, tesoro" iniziò il ragazzo, raddolcendo il tono e sperando che la bambina non notasse la sua ansia. "Mi passeresti la mamma, per favore?"
"Va bene, Demi come sta?"
Come stava? Stava male, porca puttana, male! E lui non avrebbe mai voluto che le cose andassero così, che un pomeriggio che doveva essere bello si trasformasse in uno tanto orribile per lei.
"Bene piccola, tranquilla."
Maddie aveva quasi dieci anni, ne aveva viste troppe con i problemi della sorella ed era meglio non farla preoccupare ancora. Aveva già sofferto abbastanza.
"E quando torna?"
"Presto, promesso."
Andrew sentì la bambina che parlava con la mamma e poi la voce della donna all'altro capo. Le spiegò la situazione e Dianna disse che sarebbe arrivata subito.
"Demi, adesso entro!" esclamò il ragazzo, deciso.
Ma la porta era chiusa. Imprecò. Che stava facendo lì dentro? Non era difficile da immaginare, sperò solo che oltre a vomitare non si stesse anche tagliando. Doveva aprire quella porta, in un modo o nell'altro. La chiamò varie volte. Il suo continuo silenzio gli fece accapponare la pelle. Appunto, il silenzio. Non si sentiva alcun suono, allora forse non aveva… o magari sì, mentre lui era al telefono.
 
 
 
Dianna aveva lasciato Madison con Dallas. Aveva spiegato alla più grande la situazione e poi era corsa via, mandando un messaggio a Eddie che in quel momento era fuori. Andrew abitava vicino a loro e la macchina era in garage, così per far prima aveva deciso di andare a piedi. Correva, Dianna, correva a perdifiato. La sua bambina stava male e lei doveva aiutarla, fare l'impossibile perché superasse quella crisi. Ogni volta che aveva una ricaduta lei si diceva che no, non poteva soffrire di nuovo, non poteva ricominciare tutto un'altra volta. Ma la paura che accadesse, forse, non le sarebbe mai passata. Mentre continuava la sua corsa piangeva. Le lacrime si moltiplicavano secondo dopo secondo ed erano tante che quasi non vedeva dove stava andando. Non avrebbe voluto piangere, sapeva di dover essere forte. Ma era convinta che chi lo fa non sia affatto debole, e che quella fosse una grande verità. L'aveva detta a Demi la sua psicologa, qualche tempo prima e lei ne aveva parlato a casa. Tuttavia, più piangeva più Dianna si sentiva fisicamente stanca e questo non giovava a nessuno. Pregò Dio affinché la facesse arrivare il prima possibile.
 
 
 
Demi rimase per quelle che le parvero ore davanti al Water aperto. Sarebbe stato così semplice mettersi due dita in gola per provocarsi il vomito! In questo modo avrebbe provato la sensazione di liberarsi di quel cibo che la rendeva tanto grassa e brutta, che le faceva odiare il suo corpo, come diceva Ana. Ma non era riuscita a farlo. Non aveva mosso un muscolo. Era rimasta lì, inginocchiata, poi ad un certo punto si era alzata. Si era guardata intorno alla ricerca di una lametta, o di qualsiasi cosa potesse aiutarla a non sentire più quella voce maledetta. Perché sì, ormai stava cominciando a capire che la psicologa aveva ragione quando le diceva che era solo lei ad essere sua nemica. Era lei a fare del male a se stessa, non il cibo. Non doveva essere magra o non mangiare per essere bella, perché lei era bella. Anzi, era bellissima così com'era. Per un momento pensò che tagliarsi fosse la soluzione. Dopo, per un po’, si sarebbe sentita meglio, più leggera. Ma in uno sprazzo di lucidità capì di non volerlo fare davvero, almeno non allora e, sperò, non quel giorno. Se si fosse procurata anche un solo taglio l’avrebbe fatto in parte per stare meglio e in parte per punire il suo corpo pensando di meritarlo. Due motivazioni opposte, che però in lei coesistevano; perché ogni volta, fatti quei tagli, dopo il sollievo arrivava comunque l’odio per se stessa, il pensiero di aver fatto bene a infliggersi quella punizione. Ma quel giorno non voleva. Forse, si disse, non doveva odiarsi perché… beh, perché era bella e se i suoi fan credevano così tanto in lei, significava che qualcosa di buono doveva averlo fatto. Giusto? Non ne era così sicura. Quando era in clinica e Madison e i suoi erano venuti a trovarla a Natale, la sorellina le aveva portato un quaderno pieno di messaggi che i fan le avevano scritto sui social. Erano frasi di incoraggiamento, di speranza, come:
Crediamo in te!
Sii forte!
Noi ti vogliamo bene e ti sosterremo sempre.
Parole bellissime che l'avevano commossa ed emozionata oltre ogni dire. Sapeva di dover guarire anche per se stessa, ma quello era più difficile e non sapeva se era pronta a farlo.
"Posso farcela" mormorò.
Non era ancora così forte, non era guarita, non si sentiva del tutto sicura. Ma aveva un po' più di fiducia in se stessa e voleva lottare. Lei era più forte dell'anoressia, della bulimia e dell'autolesionismo. Non voleva darla vinta a quei bastardi. Si avviò verso la porta su gambe malferme e girò la chiave, poi trasse un profondo respiro e uscì.
Andrew, che aveva in mano un cacciavite, sicuramente per aprire quella dannata porta, le corse incontro, mise l'oggetto da parte e la guardò negli occhi.
"Demi! Oh mio Dio, come… cosa…"
"Non ho fatto niente" gli rispose. "Voglio lottare."
Ma combattere giorno per giorno contro malattie come quelle di cui soffriva non era una passeggiata, Demi l’aveva imparato anche troppo bene. Si gettò fra le braccia di Andrew e lui la strinse e la cullò dondolandosi a destra e a sinistra. La ragazza scoppiò a piangere e stavolta non si calmò subito, anzi, più passava il tempo più le sue lacrime e i suoi singhiozzi aumentavano. Erano strazianti e spezzavano il cuore dell’amico che cercava di tranquillizzarla come poteva.
“Ci sono qui io, shhh. Tranquilla” le diceva.
Ma purtroppo non ebbe successo. A un tratto suonò il campanello. Demi guardò Andrew confusa: chi poteva essere?
“Non sapevo che fare, ho chiamato tua madre” le spiegò, sperando che non si arrabbiasse.
“Hai fatto bene” gli rispose.
Capiva che doveva essersi trovato in difficoltà. Con gli occhi chiusi, Demetria si lasciò guidare e quando Andrew le disse di sedersi, lei si fidò e lo fece. Comprese allora di essere seduta sul divano. Il ragazzo aprì a Dianna che, quando vide Demi, andò subito ad abbracciarla.
“Bambina mia!” singhiozzò. “Amore della mamma! Come stai?”
“Mamma!” La figlia la strinse e singhiozzò. “Sto meglio, ho avuto una crisi ma è passata. Non è successo niente.”
“Giuramelo.”
La donna la guardava, seria e preoccupata.
“Te lo giuro, mamma.” Demi tirò su automaticamente le maniche perché immaginava che altrimenti la madre le avrebbe chiesto di farlo. C’erano delle cicatrici ma i segni erano bianchi, il che significava che le aveva fatte tempo prima, non quel pomeriggio. “Non ne ho da nessun’altra parte. E anche se stavo per vomitare, non l’ho fatto.”
La guardò così intensamente che la donna in quello sguardo lesse una profonda sincerità e le credette. La figlia non le avrebbe mentito su una cosa del genere, o almeno non più, da quando era tornata dalla clinica gliel’aveva promesso. La donna voleva fidarsi, davvero, con tutto il cuore, ma ammetteva a se stessa che a volte aveva dei dubbi sempre a causa di quel terrore che non la abbandonava mai.
La voce non c'era più, notò Demi in quel momento. Era sparita e lei era stata più forte, non si era lasciata tentare, aveva combattuto e aveva vinto. Ma quella era stata solo un'altra battaglia. La guerra, la sua guerra, era ancora in corso. Si ascigò le lacrime e si lasciò coccolare un po’ da Andrew e dalla mamma, rilassandosi nei loro abbracci pieni d’amore e godendosi quel calore che la faceva sentire sempre al sicuro.
"Voglio bere la cioccolata" disse dopo un po’, decisa.
Lo desiderava davvero. In parte per dimostrare a se stessa che poteva riuscirci, in parte perché adesso che si era calmata ne aveva voglia, come prima di stare male. Andrew e Dianna le sorrisero e la accompagnarono in cucina. Non le chiesero se fosse o meno sicura di volerlo, non era loro intenzione farle venire altri dubbi o rigettarla nel tunnel dal quale stava faticosamente risalendo. La ragazza si sedette al tavolo, Andrew versò della cioccolata anche per Dianna e tutti e tre la gustarono. Demi ci mise sopra anche della panna, non tanta ma abbastanza per sentirne il sapore. Da quando aveva ricominciato a mangiare e soprattutto a volersi curare e nutrire, si era resa conto che il cibo aveva un gusto che non ricordava da tempo. Era buono, la faceva stare meglio. Nei giorni in cui stava relativamente bene e la pensava così si sentiva più tranquilla, sapeva di stare ritrovando a fatica un equilibrio con se stessa che aveva perso molti anni prima. E nonostante la crisi appena avuta, ora mangiava i biscotti inzuppati nella cioccolata e si diceva che erano l'uno più buono dell'altro. La loro morbidezza data dal liquido scuro nel quale li aveva immersi e la bella sensazione che provava quando scendevano lungo la gola era qualcosa di incredibile, e lo era anche il calore della cioccolata mentre la beveva. Non pensava più a correre in bagno a vomitare e si godette a pieno il momento, non sapendo quanto sarebbe durato. La mamma e il suo amico cercarono di distrarla parlando d'altro.
"Allora," chiese la donna, "che programmi avete per queste vacanze? Siete amici, farete qualcosa insieme immagino."
"Non ci abbiamo ancora pensato" disse Demetria. "Non ne abbiamo parlato."
"Esatto. Faremo qualche passeggiata probabilmente. E poi tra un po' c'è la fiera del cioccolato!"
"Uuuuh, giusto! Sarebbe carino andarci."
Demi non credeva sarebbe andata da qualche parte quell'anno, non che nelle vacanze di Natale lo facesse, comunque. Soprattutto in quel momento aveva bisogno di stare a casa, della sua famiglia, di Andrew, dei suoi genitori e di Carlie con la quale, anche se non aveva un rapporto così stretto, andava molto d'accordo.
Prima di tornare a casa, Dianna ringraziò il ragazzo e lo abbracciò.
"Senza di te non so cosa…" mormorò, poi un nodo in gola le impedì di continuare.
"Non ho fatto niente, Demi è stata forte e ha superato tutto da sola."
"Sì, ma tu c'eri. Anche questo conta."
Demetria non aveva udito la conversazione perché mentre i due erano in salotto, lei si trovava in cucina. Aveva messo via i biscotti e la panna e stava lavando le tazze e i cucchiai. Le pareva il minimo, dato che Andrew l'aveva invitata a casa sua e le era stato accanto. Si sentiva meglio, ma la crisi di prima le aveva provocato una grande stanchezza. Andò in salotto e strinse forte l'amico. Non lo ringraziò perché sapeva che lui l'aveva aiutata col cuore, e poi tra loro a volte non c'era nemmeno bisogno di parole. I loro sguardi e soprattutto l'affetto dicevano tutto.
"Ci vediamo domani" le disse Andrew. "Spero di aver finito di studiare quel capitolo per l’ora di pranzo."
"Va bene, non vedo l'ora!"
Si vedevano spesso e quando si separavano sentivano tantissimo l'uno la mancanza dell'altra.
“Ti proibisco di studiare anche a Natale, Andrew!” esclamò Dianna. “Prenditi qualche giorno di vacanza. Non ti costa niente, e anzi ti farà solo bene.”
Il ragazzo ci pensò su. In effetti la donna, come del resto sua madre, avevano ragione: studiava troppo e si meritava un po’ di pausa.
“D’accordo.”
“Bravo!”
“Ti voglio bene” gli disse Demi stringendolo ancora.
“Anch’io. Amici per sempre?”
“Per sempre.”
Si lasciarono così, con un altro abbraccio e un bacio sulla guancia, sapendo che quello era stato un pomeriggio intenso, fatto di serenità ma anche di problemi, tra presente e un passato non ancora buttato alle spalle che ritornava. Tutto questo lasciò loro in bocca un gusto dolceamaro.
 
 
 
NOTE:
1. mi sono informata sul percorso da fare per diventare avvocato in California e poi su come specializzarsi. C’è scritto quello che ho riportato nella storia: almeno due anni di università (che io ho aumentato a tre perché mi sembravano pochi), tre o qualcuno in più in una Law School (scritto in maiuscolo, io l’ho tradotto con scuola di legge), poi se uno vuole specializzarsi in qualcosa (penso che tutti lo facciano, ma boh) deve lavorare per cinque anni e per il venticinque per cento occuparsi della sua area di specializzazione. In questo periodo deve studiare, fare formazione e ricevere pareri favorevoli sul suo operato da parte di avvocati che lavorano nell’area in cui vuole specializzarsi, dopo cinque anni sostenere un esame e se passa, allora è certificato. Era una cosa molto complicata in realtà, spero di aver capito bene tutto. La storia è ambientata alla fine del 2011, non so se allora il percorso fosse lo stesso ma credo di sì. Non ho trovato materiale di quell’anno, bensì più recente, del 2016.
2. Mi sono documentata molto su anoressia e bulimia, ho cercato informazioni sui comportamenti di chi ne soffre, i sintomi, le cause psicologiche che portano ad avere questi problemi, le cure, sono andata sul sito della Timberline Knolls dov’è spiegato il loro programma di cura. Ho anche ascoltato video e un film a riguardo e letto testimonianze per essere il più accurata possibile. Spero di esserci riuscita.
3. Nel libro di Dianna, “Falling With Wings: A Mother’s Story”, si legge che Demi andava su dei siti strani, riguardanti l’anoressia e la bulimia. Era stata Dallas a dirlo alla madre e lei, che ancora non si rendeva conto della situazione, non ci ha dato molto peso a quel tempo. Non è mia intenzione offenderla o dire che è stata una cattiva madre, anzi da quello che si vede da fuori sembra stupenda e molto dolce. Ha scritto che non ha visto i segni della malattia di Demi perché, essendo malata lei stessa (ha sofferto di anoressia, depressione post partum, depressione e dipendenza da Xanax, ma di questo parlerò approfonditamente nella terza storia). Negando a se stessa che il fatto di mangiare sempre meno fosse un problema, negando quindi la sua malattia, la donna non si è resa conto di quella della figlia. Riporto un passaggio del libro che lo spiega molto bene. Riferendosi a ciò che Dallas le ha appena detto su Demi, la madre scrive:
 
I              walked away,   completely         ignoring              her         concerns. It        wasn’t  the         righ thing to do,              and                I’m         horrified              when    I              look back            and        see         how       lightly I treated the         matter.                But         sometimes         we so    desperately        want     to           believe  the         best about         our         children                that       we ignore           the         obvious.              And,      I              was       still in    denial   about   my         own eating                issues.  In            my         mind,    I              believed               that Demi’s        weight  loss        was due              to           a                growth spurt—because               that’s    what     I wanted to believe.       I even    gloated                that       she         might get         more     jobs       because               she         was thinner. Not             once      did         I              draw     a             line                between              the         pounds                she had shed     and the                bullying               at           school.
 
Scrivo qui sotto la traduzione fatta da me:
 
Andai via, ignorando completamente le sue preoccupazioni. Non fu la cosa giusta da fare, e inorridisco quando guardo indietro e vedo quando ho preso alla leggera il problema. Ma a volte vogliamo credere così disperatamente che i nostri figli siano al meglio che ignoriamo l’ovvio. E negavo ancora i miei problemi con il cibo.  Nella mia mente, credevo che la perdita di peso di Demi fosse legata ad uno scatto di crescita - perché era questo che volevo credere. Gioivo anche del fatto che potesse avere più lavori perché era più magra. Nemmeno una volta tracciai un confine tra i chili che aveva perso e il bullismo a scuola.
 
Dice che pur sapendo che la figlia era bullizzata non ne parlava con gli insegnanti, finché pian piano la cosa è venuta fuori. E si capisce che si sente molto in colpa per tutto
questo.
4. Non so se allora, nei primi anni Duemila, esistessero già i blog Pro Ana e Pro Mia ma non credo. Ho voluto parlarne perché volevo inserire il fatto che lei andasse su internet, suppongo per leggere frasi che elogiassero l’anoressia.
 
 
 
Ora mi rivolgo a tutti coloro che soffrono di questa o di altre malattie, che sono autolesionisti o che stanno male per altri motivi. Vi prego, appena vi rendete conto che qualcosa non va, chiedete aiuto. Parlate. Lo so che è difficile, che spesso non ci si rende conto di stare male, è una cosa che ho provato io stessa perché soffro di depressione e di altri problemi. Ma per favore, se non state bene lasciatevi aiutare. Non c’è nulla di cui dovete vergognarvi. Non c’è niente di male nel soffrire e nel crollare. E vi auguro di cuore che qualsiasi brutta situazione stiate vivendo, la supererete e ce la farete.
Siate forti.
 
 
 
ANGOLO AUTRICE:
ed eccoci alla seconda storia! Come vedete ho approfondito di più alcune tematiche trattate nella prima, dando ancora rilevanza alla forte amicizia che lega i due ragazzi.
Spero che anche questa vi sia piaciuta. Ci vediamo quindi domani con l’ultimo racconto che sarà il più lungo e che, ricordo, è ambientato anni prima.
   
 
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