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Autore: Enchalott    31/03/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Schegge blu
 
Màrsali terminò di piegare i panni che aveva posto ad asciugare sul canapo accanto al focolare e trasse un pensieroso sospiro.
Dopo il crollo psicofisico che l’aveva colta, non aveva più avuto alcun sintomo legato alla magia di costrizione che Anthos le aveva imposto; Kesthar aveva avuto la premura di calibrare le domande che le aveva rivolto, persino quelle più innocue, per timore di causare quella reazione brutale già sperimentata. Lei stessa aveva addirittura evitato di pensare a ciò che le era proibito esprimere.
Invece avrebbe dovuto avvisare tutti. E tutti era un termine insignificante, perché non era certo in credito di alleati. Il principe era stato esplicito e a Jarlath nessuno era tanto folle da mettersi contro di lui. Il popolo era terrorizzato e spossato, soprattutto dopo la sorte toccata a Odhran: un altro punto a favore del reggente.
Inoltre, se anche avesse trovato qualsivoglia appoggio, non aveva assolutamente idea di come agire senza mettere a repentaglio la vita. Era certa che la soluzione sarebbe venuta, ma il tempo a disposizione era esiguo e quella consapevolezza le creava una continua tensione, che non le dava pace. Si sentiva responsabile degli eventi che il suo forzato silenzio avrebbe provocato suo malgrado. Se solo avesse potuto mettersi in contatto con la capitale del Sud… quel simbolo lontano aveva la luce della speranza, l’unica forse.
Abbassò lo sguardo sulle volute azzurre che le segnavano le mani.
I lividi e le ferite erano praticamente scomparsi, ma l’anima era ancora scossa dagli eventi che l’avevano condotta a vivere come una rifugiata nelle tetre prigioni di Jarlath. Incredibilmente, laggiù si sentiva al sicuro, il che era un chiaro sintomo che la sua guarigione interiore sarebbe stata molto più sofferta.
Sebbene il suo amico d’infanzia si fosse dichiarato lieto della sua compagnia, la ragazza percepiva se stessa come un peso e, ogni volta che lui usciva dalla stanza, conviveva con il dubbio che gli venisse arrecato del male per causa sua.
Sollevò la pesante casacca dell’uomo dalla sedia su cui era appoggiata: era grande quasi il doppio di lei e aveva un’aria vissuta, logora. Si intravedevano ancora alcune macchie, indelebili sulla pelle marrone e nera, nonostante i ripetuti lavaggi.
Pensò che quell’indumento fosse esattamente come il suo proprietario: una persona forte e robusta, con una storia tragicamente ponderosa e dei ricordi incancellabili. Due anime in un corpo, due colori per una sola vita.
 
La porta si aprì e il demone delle carceri fece il suo ingresso, occupando con la figura possente l’intero telaio metallico. I suoi occhi blu cupo si addolcirono, posandosi su di lei.
“Non sei la mia cameriera” disse, soppesando l’inconsueto ordine e la scrupolosa pulizia che regnavano nella povera casa “Sei mia ospite, qui”.
“E’ il minimo che io possa fare…”
Kesthar chiuse pesantemente l’uscio, lasciando fuori da quell’angolo di pace il resto del mondo crudele dei prigionieri del Nord. Aggrottò la fronte, come per prepararsi a comunicare una notizia infausta.
“Alcuni soldati hanno tentato di disertare, stanotte” raccontò con espressione grave “La gente di Iomhar non ne può più di morire di fame e di freddo, neppure i più duri”.
Màrsali non osò chiedere l’immaginabile seguito della vicenda, ma lui continuò.
“Stupidi ragazzini… Avrebbero dovuto restare al caldo e con il cibo assicurato ogni sera! Non siamo neppure in guerra! Non so che cosa avessero in mente, forse hanno pensato che l’assenza del reggente comportasse un allentarsi della sorveglianza tra le mura. Ma questo luogo maledetto ha occhi e orecchie dappertutto. È una creatura vivente e spietata! Inutile dire che Urien li ha colti sul fatto…”
La veggente rabbrividì. Solo il nome di quell’essere tortuoso e oscuro le metteva la pelle d’oca. Era il braccio destro del sovrano a gelarla di terrore, più di Anthos stesso.
“Loro sono…?” mormorò addolorata.
“Morti? Due lo sono, per loro fortuna. Il terzo ha avuto la sventura di sopravvivere alla magia del Consigliere, che penserà personalmente a farlo parlare… mi auguro lontano da queste prigioni”.
Gli occhi azzurri di Màrsali si velarono di infinita tristezza. Altre tre persone che non era stata in grado di proteggere.
Kesthar colse quel rimorso dipinto sul suo viso e si avvicinò comprensivo, posandole delicatamente la manona sul braccio.
“Non ti ho riportato questa storia per spaventarti, bambina” disse “Ma perché è necessario che tu ti prepari ad affrontare l’inferno che qui ha dimora, ad ascoltare le urla strazianti dei condannati che vengono torturati quaggiù, nelle viscere del ghiaccio eterno. Posso offrirti solo questo e cui mi vergogno di esserne parte attiva, ma così ti salvo la vita. Mi dispiace”.
La ragazza sollevò uno sguardo carico di sconforto su di lui, ma la sua voce non tremò, quando scelse le parole da rivolgergli.
“Mi sono comportata da bambina, sì… ma non lo sono. Ho erroneamente creduto che il mio tempo non fosse ancora giunto. Ho evitato il destino che mi spetta. Invece, sono io la veggente di Odhran e me ne devo fare una ragione. Questa non risiede nelle lacrime che ho versato e neppure in quelle che verranno, Kesthar. Non ho intenzione di gravare su di te, ma di lottare per la nostra terra. Hai detto che non siamo in guerra, eppure a ben vedere non è così. Non ci sono eserciti schierati in campo, è vero, ma gli uomini muoiono egualmente. Nel peggiore dei modi, contro un avversario invisibile, che noi non conosciamo e che ci inganna, facendoci credere che il pericolo sia altrove. Invece è qui, nel cuore di Iomhar, e ci sta divorando dall’interno. Perciò non preoccuparti per me, mi hai già regalato tanto: sei tu, con il tuo esempio, che mi hai spinto ad essere coraggiosa, a risollevarmi dalla prostrazione in cui ero precipitata. Di ciò ti sono profondamente grata. La mia vita ha valore solo se votata alla salvezza dei Due Regni”.
L’uomo restò immobile, a bocca aperta, fissandola con ammirazione e rispetto. Gli parve quasi di scorgere una luce soffusa provenire dai complicati dehalbh sulla sua pelle chiara. Sbatté le palpebre, scacciando la commozione che sentiva sorgere dal petto e prese la mano minuscola tra le sue. Si chinò e posò sul dorso un bacio leggero e imbarazzato.
“Sono con te, Màrsali” dichiarò deciso “Per quanto io sia Haffgan, non permetterò mai che ti venga arrecato alcun male. Mai! So che non puoi parlare e che custodisci un segreto angosciante, ma confido che esista un altro modo per te. Lo scopriremo ad ogni costo. Io sarò la tua voce, se necessario. Non ho paura di nulla, se non… beh… Anthos crede che tu abbia perso la visione, ma non ti ritengo affatto al sicuro dai suoi poteri. Non sappiamo nulla delle sue reali facoltà. Se dovesse realizzare che l’ho preso in giro…” deglutì allarmato “Ma neppure posso costringerti a marcire per sempre tra queste quattro mura sudicie allo scopo di salvaguardarti. È importante che tu possa muoverti per trovare ciò che cerchi, senza rischiare inutilmente la vita. Il luogo oltre la mia soglia non è tranquillo; anche se ogni uomo in questo buco sa che tu mi appartieni per ordine del principe, io non mi fido. Ci sto pensando da un po’, in realtà e una soluzione ci sarebbe, però…”.
Fu la volta della ragazza di sorprendersi: non solo per l’argomentazione appassionata esposta dal laconico carceriere, ma anche per un certo qual impaccio presente nella sua espressione, solitamente granitica.
Kesthar sembrava sulle spine e si grattava nervosamente la barba.
“Ti prego, non tacere…” lo sollecitò.
“Ecco, non ho avuto molto tempo per riflettere sulle alternative e non sono neanche tanto abile con le strategie, quindi non ti offendere se…”
Per un istante, in quell’attesa, Màrsali rivide il giovane maniscalco che batteva il metallo nella sua bottega, vestito del suo spesso grembiule di cuoio in mezzo alle scintille guizzanti della forgia, che le sorrideva da lontano.
“…se ti chiedo di diventare mia moglie”.
La giovane sgranò gli occhi, stupefatta.
“M-ma io non ti toccherò neanche con un dito, puoi starne certa!” balbettò lui frettolosamente, scorgendo la sua esitazione “E’ solo che anche in questo canto dimenticato dagli dei esiste una forma ancestrale di onore… Finché agli occhi dei guardiani e dei condannati resterai soltanto il mio trastullo, qualcuno potrebbe sentirsi autorizzato a spartire con me la preda. Invece, se ogni uomo quaggiù sapesse che sei diventata ufficialmente la mia consorte, non oserebbe arrecarmi offesa… e tu non correresti più il medesimo pericolo…”.
La veggente rimase in silenzio e una miriade di pensieri prese ad affastellarsi nella sua mente. Tutto avrebbe immaginato, tranne ricevere una proposta di matrimonio. Si era spesso interrogata sul proprio avvenire, che le era impossibile scorgere attraverso le sue doti, e aveva umilmente pensato alla futura sé come ad una maestra o ad una profetessa o ad una consigliera, invece…
Eppure, quando era ancora una bambina inconsapevole e correva nel magazzino di Kesthar con le mani piene di biscotti e i fiori avviluppati nelle trecce bionde, allora, ne era certa, almeno una volta aveva immaginato che lui fosse suo marito. Aveva giocato con candida ingenuità con quei pensieri, fantasticando quella famiglia che non aveva mai avuto, della quale il gentile vicino di casa diveniva il solido centro.
Forse, visto con gli occhi del presente, quel sogno infantile non era stato un semplice svago della mente. Forse era stato un presagio concreto, un annuncio del manifestarsi della sua preveggenza, l’unico riguardante il proprio destino.
Aveva imparato a non sottovalutare la voce del tempo.
Lo guardò, mentre lui spostava il peso da un piede all’altro, palesemente a disagio.
“M-mi vuoi sposare, Màrsali?” ripeté, incerto.
Gli sorrise, commossa.
“Sì. Ti sposo”.
 
 
Le nuvole dorate si arrossarono, mostrando sorrisi color sangue ad una terra di polvere, che trepidava nell’attesa.
I cirri impalpabili si trasformarono lentamente in cumuli ruzzolanti e il sole sparì in quella densità ricciuta come lana.
La luce diurna si affievolì, gli stendardi amaranto del palazzo si gonfiarono orgogliosi al vento proveniente da ovest, esibendo il logo con le Tre Gemme del Sud.
Gli abitanti di Erinna sollevarono lo sguardo verso il cielo turbato, trattenendo il fiato.
La prima goccia d’acqua trasparente colpì il suolo con un picchiettio indolente, facendo rimbalzare il pulviscolo aureo che ricopriva la strada ed ebbe lo stesso fragoroso effetto di un’esplosione.
Tutti gli occhi, allibiti, si concentrarono in quell’unico punto.
Poi ne cadde una seconda.
La piazza della capitale esplose in un boato di gioia e ad esso fecero eco le vie circostanti, le case, le botteghe, le mura, le torri, la vita intera.
Stava piovendo.
 
Dionissa si riparò sotto gli archi a tutto sesto del porticato della reggia, con il cuore in tumulto, osservando il climax dello scroscio, che andava incrementando con il trascorrere dei minuti.
Le due giovanissime ancelle che la accompagnavano iniziarono a cinguettare come pulcini, tendendo le mani all’esterno della struttura, per toccare l’acqua che scendeva dall’alto: un fenomeno cui, probabilmente, non avevano mai assistito.
La principessa ricordava vagamente l’ultimo temporale che si era scaricato su Erinna, poiché aveva trascorso tutto il tempo accanto alla culla di Adara, che si era messa a piangere, spaventata dai tuoni. Rammentava anche che Shion aveva incominciato a saltare come un capretto tra le pozzanghere, infangandosi dalla testa ai piedi, per poi prendersi una bella ramanzina dalla regina.
Sorrise tristemente a quelle piacevoli memorie.
La sorella minore le mancava e ciò che era riuscita a scorgere a suo riguardo nell’ultimo trance la riempiva d’angoscia: non perché non confidasse nelle sue capacità, ma perché non aveva modo di avvertirla. Aveva tentato di convogliare il suo kalah verso di lei, ma era stato inutile. Adara non possedeva il dono e lei era troppo debole per insinuarsi nei suoi sogni. Sogni cui probabilmente non avrebbe creduto.
Si strinse il lungo velo verde sulle spalle, improvvisamente intirizzita.
E poi… Shion.
La sua scomparsa era un mistero ancora non risolto e la sensazione che ricavava da quell’assenza era tutt’altro che tranquillizzante. Aveva perso le tracce del fratello maggiore, come se si fosse dissolto nel nulla e con lui del Diadema del reggente, che solitamente splendeva per il suo occhio interiore come un faro nella notte, mentre in quel frangente non era assolutamente individuabile.
Pensò con mestizia che la sua famiglia era dispersa ai quattro angoli del mondo e che, anche potendolo, non avrebbe saputo chi aiutare per primo.
Tutto appariva come un piano ben congegnato, in favore del quale lei era stata messa in condizioni di non nuocere.
Il cortile lastricato di pietre color ruggine era lucido e trasparente e il rumore della pioggia battente sovrastava quello della fontana, che aveva irrobustito lo zampillo.
Pareva un medley di speranza e gioia, ma la principessa era certa che il fenomeno naturale fosse tutt’altro che favorevole, così come non lo era stato il lungo periodo di siccità che lo aveva preceduto.
“Dionissa!”
La giovane si riscosse nell’udire il proprio nome e si voltò per accogliere la madre, che procedeva svelta lungo il loggiato. Alle sue spalle, caracollava un paio di guardie, che cercavano con scarso successo di pareggiare le sue rapide falcate.
La regina in abiti da guerra thaisa faceva un certo effetto, persino alla veggente.
Eudiya raggiunse la figlia e si accertò delle sue condizioni, sfiorandole la fronte con la mano. Gli ornamenti appesi alla sua manica tintinnarono in quel gesto.
“Rientriamo, l’aria si è raffreddata e tu non sei abituata agli sbalzi di temperatura” ordinò prendendola sotto braccio.
Fece un cenno alle ancelle, che rimasero ad osservare la pioggia con occhi sognanti. I soldati ripresero ad arrancare, felici che il passo della principessa fosse meno imperativo e urgente.
“Ho notato Azhulio sfrecciare in direzione del deserto, alcune sere fa” affermò Dionissa con fare interrogativo.
“Sapevo che non ti sarebbe sfuggito… o che lo avresti visto”.
“Ho creduto che volessi inviarlo a nord o semplicemente in perlustrazione per rintracciare Shion, ma poi ho realizzato che non è ancora rientrato”.
Eudiya annuì, stringendo inconsapevolmente le dita intorno al gomito dell’unica figlia che era rimasta vicino a lei.
“No” sospirò “Ci sono già molti uomini in cerca di tuo fratello, ma sono giunta alla conclusione che sia ormai inutile tenerli impegnati in un’inchiesta così infruttuosa. Potrebbe essere ovunque e io ho l’invadente sospetto che sia stato rapito dalla stessa persona che ha attentato alla tua vita. Ha dichiarato di essersi allontanato dalle tue stanze per cercare l’assassino e poi è scomparso… io temo che…”
“Non dirlo, mamma!” esclamò Dionissa “Shion è vivo, ne sono certa! Come non ho dubbi sul fatto che sia impossibilitato a mettersi in contatto con noi. Dobbiamo ricominciare da qui” continuò, indicando le alte mura del palazzo “Poiché nessuno lo ha visto uscire dalle porte principali. Forse abbiamo cercato lontano anziché indagare vicino. E poi…”
La regina si fermò sui gradini, girando il viso per osservare meglio la giovane, che appariva incerta, come se stesse faticando a cercare le parole opportune.
“Dionissa, ti prego, se hai visto qualcosa devi dirmelo”.
Lei scosse la testa, angosciata.
“Purtroppo no, il mio Kalah non è stato di alcun supporto… però stavo pensando che…” prese fiato, raggiungendo la sommità della scala che conduceva ai suoi appartamenti “… che dobbiamo vagliare anche l’ipotesi che sia Shion a non voler essere trovato”.
“Che cosa?” boccheggiò la donna.
Dionissa entrò nella sala principale e chiuse le ante istoriate dietro di sé, lasciando le guardie fuori dai suoi alloggi.
“Perché pensi questo?” la incalzò Eudiya.
Gli occhi verdi della principessa si velarono di tristezza. Si sfilò il drappo di organza che le raccoglieva i lunghi capelli e lo appoggiò sul divano.
“Quando Shion è venuto a trovarmi, prima che tutto accadesse, era turbato. Non ne conosco il motivo effettivo, forse per la notizia della prigionia di nostro padre oppure per il peso del suo ruolo di reggente provvisorio o per la lontananza di Adara… beh, non ha voluto parlarmene. Gli ho domandato se avesse in qualche modo bisogno di me, senza insistere troppo, ma lui si è chiuso ulteriormente e poi ha cambiato argomento, mostrandomi la boccetta inviata dagli Aethalas. Non c’è stato tempo per dirci altro”.
Si passò le mani sulle spalle, per riscaldarsi, raffreddata dalla temperatura esterna e dal senso di impotenza che quel racconto le aveva rammentato.
“Mi fido del tuo sesto senso, Dionissa” concesse la regina “Farò cercare ancora, ma a palazzo, come dici tu. In fondo, l’ala riservata al principe non è stata esaminata. Errore mio, avrei dovuto essere meno indulgente con me stessa. Spero che non sia troppo tardi”.
“E io avrei dovuto ostinarmi di più con lui” fece ammenda la principessa “Invece, ho stupidamente pensato che una buona bevanda calda potesse risolvere i problemi e guarda i risultati!”
Eudiya osservò addolorata l’espressione afflitta della figlia, che faceva scattare le serrature del suo baule, in cerca di qualcosa di più caldo da indossare. Avrebbe dovuto metterla al corrente delle sue decisioni e con la sua vicinanza aiutarla ad incanalare quel Kalah che non le obbediva più.
“Azhulio è volato da mio padre” disse, tornando all’argomento primigenio.
Dionissa si bloccò, con le mani tra le stoffe preziose ripiegate nella cassapanca.
“Dal nonno?”
“Sì. È ancora lui il portavoce dei Thaisa e gode di stima e rispetto presso tutte le tribù del deserto. Gli ho mandato una missiva criptata per metterlo al corrente della prigionia del re e per chiedergli di intercedere in suo favore presso le tende degli Aethalas. Se c’è una persona in grado di trovare il loro accampamento mobile tra le dune e di convincere Varsya della lealtà di Stelio e di qualunque altra cosa abbia gettato il sospetto dei Guardiani del Mare su di noi, quello è Zheule”.
La principessa fece per esprimere il suo accordo, ma un luccichio bluastro proveniente da sotto il contenitore ligneo deviò la sua attenzione.
Si chinò, ginocchia a terra, sotto lo sguardo sorpreso della madre e ne individuò l’origine. Afferrò convulsamente una pezza di seta e la ripiegò, allungando la mano verso quel brillio lieve.
Poi si rimise in piedi, ansimando e tendendo l’improvvisato fazzoletto verso la regina: al centro, scintillava un coccio di vetro azzurro cupo, macchiato di nero.
Eudiya sbarrò gli occhi.
Quella era la prova che traduceva il dubbio in certezza.
Dionissa non si era ingannata: il veleno era contenuto in una fialetta blu e qualcuno ne aveva volontariamente occultato i frammenti negli attimi successivi alla morte di Toula.
La scheggia che troneggiava malignamente sulla stoffa rosa era sfuggita all’operazione di pulizia non troppo meticolosa seguita all’avvelenamento, in quanto schizzata sotto il pesante baule.
“Non è il vetro degli Aethalas” sentenziò “Quella tinta indica il Nord, anche se ciò non esclude la possibilità che qualcuno stia tentando di fuorviarci”.
La veggente avvolse il frammento con cura e lo posò sul tavolino difronte a lei, liberandosi della sensazione di pericolo che risuonava come un allarme.
“Lo consegnerò personalmente a Omiron, dobbiamo essere certi della sostanza lì contenuta” continuò la regina “Intanto, andremo ad ispezionare le stanze di Shion. Voglia la divina Amathira che questo sia un presagio a nostro vantaggio”.
Nonostante le parole cariche di speranza, le due donne si guardarono.
Nessuna delle due ebbe il coraggio di esprimere a voce alta il dubbio che l’inaspettato ritrovamento aveva instillato nella loro mente. Entrambe avevano immediatamente collegato il vetro blu a Iomhar e il principe era stato il primo ad entrare in contatto con la boccetta, allegata alla missiva degli Aethalas, che era autentica, visto il sigillo personale di Varsya apposto sulla carta.
Possibile che l’insolito connubio non avesse destato alcun sospetto in Shion?
Ambedue possedevano la certezza che il giovane fosse estraneo ai fatti, ma quella solida convinzione, dettata dall’affetto, non si reggeva più su prova alcuna.
   
 
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