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Autore: Ryo13    02/04/2019    5 recensioni
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale una giovane donna fugge dal lager di Dachau. Viene soccorsa da un medico tedesco da sempre innamorato di lei che la nasconde in casa propria.
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "Sliding Doors" al contest "Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest" indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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2. Voci di passioni

Dicembre, 1944

Ezra scese le scale con un vassoio pieno di cibo. La cantina era piuttosto umida e, in quel periodo dell’anno, poco illuminata. Facendo attenzione a ogni passo, sentì scricchiolare il legno sotto ai piedi mentre, come di consueto, il battito cardiaco accelerava.

Posò il suo carico su un vecchio tavolo scheggiato, lasciato in quella stanza da prima della Grande Guerra, e si apprestò a spostare la libreria vuota. Non era un pezzo di molto valore, e normalmente se ne sarebbe già liberato, ma serviva a coprire la botola nascosta che dava accesso a un bunker segreto.

Spinse di lato il tappeto polveroso e batté un colpo sull’asse.

Nell’oscurità risuonò lo scricchiolio arrugginito dei cardini della botola; il legno picchiò sul pavimento sollevando una nuvola di polvere. Avrebbe voluto un ambiente pulito, ma era troppo rischioso: se si fosse verificato un altro raid avrebbero potuto anche non superare l’ispezione.

Ezra ricordava vividamente l’ultimo incontro con German Sievers: l’ex collega non aveva certo messo da parte l’odio profondo che covava nei suoi confronti, a dispetto degli anni trascorsi dopo l’addestramento militare e la carriera. Si era fatto strada prima nella SS-Polizei-Panzergrenadier-division e successivamente nella Waffen-SS. 

Di lui aveva saputo, solo dopo il suo ritorno a Ulm, che era rimasto ferito nella battaglia sul Lago Lagoda e che, per questo, gli era stato affidato un lavoro lontano dal fronte: adesso dirigeva la sorveglianza al Campo di concentramento di Dachau, risiedendo stabilmente al Forte Oberer Kuhberg

Sfortunatamente, la sete di potere e il vizio della violenza esasperati negli anni dei conflitti all’estero non si erano placati nonostante l’attuale attività: negli ultimi mesi aveva organizzato dei raid a sorpresa per la città allo scopo di scovare “ospiti indesiderati”, convinto com’era che alcuni membri della popolazione non fossero del tutto fedeli al regime.

Ezra era convinto lo facesse per esercitare il terrore che tanto amava, tuttavia, osservando la figura che sbucava dal pavimento, non potè fare a meno di pensare che non fosse poi tanto lontano dalla realtà. 

Arrampicandosi per le strette scale, si delineò il profilo di una testa, ricoperta di sottili capelli color ruggine.

Ezra si tirò istintivamente indietro per fare spazio, cambiando poi idea e abbassandosi ad aiutarla: l’afferrò saldamente ai gomiti mentre si metteva dritta.

La donna, piccola di statura, non gli arrivava che al petto.

Nonostante la puzza di umido dei locali, avvertì sensibilmente l’odore della sua pelle, così pallida, eppure morbida; si irrigidì sul posto, stretto in una morsa di desiderio.

Era innamorato di Hannah Haller da quando ne aveva memoria, ma non le si era mai avvicinato troppo se non quando l’aveva sorpresa in fuga dalla città, inseguita dalle SS.

Dato che esercitava la professione medica, non era stato difficile per lui nasconderla in un sacco destinato ai cadaveri dei Campi, e portarla nella propria casa: l’aveva ritenuta il posto più sicuro in cui nasconderla. La ragazza aveva perso la madre, l’unica parente rimastale in vita dopo la persecuzione nazista, ed era sola al mondo.

Hannah sedette al tavolo e consumò lentamente il pasto. Ezra era appoggiato alla parete e non faceva che fissarla: le dita della mano chiuse sulla posata che lentamente saliva e scendeva man mano che si imboccava; i capelli sulle spalle seguivano i movimenti spostandosi leggermente e ogni tanto qualche ciocca scivolava provocando un fruscio sui vestiti sciupati.

Quando terminò, portò il tovagliolo alla bocca.

Ezra a quel punto le si avvicinò. Spostò il vassoio vuoto con un movimento noncurante e le afferrò una ciocca, apprezzandone la sericità sulla punta delle dita. Quando le poggiò una mano sulla spalla, stringendo, Hannah sollevò il viso verso di lui.

Lo guardava inespressiva, ma lui sapeva che lo amava.

Il fatto che non parlasse non pregiudicava minimamente la comunicazione tra loro.

Afferrò l’orlo della maglia e gliela tolse. Godette della vista dei piccoli seni: schiacciò con un dito la punta di un capezzolo, eretto nell’aria umida.

La mise in piedi mentre tirò fuori dalla tasca l’unguento che aveva preparato.

Hannah non si bagnava mai: lui credeva fosse per gli abusi subiti nel lager; a ogni modo per lui non era stato un problema, aveva trovato un modo alternativo per rimediare.

Prese una discreta quantità della pasta oleosa sulle dita, prima di portarle sotto la gonna.

Mentre l’accarezzava, entrandole dentro e tastandola, cominciò ad ansimare, l’erezione tesa sui calzoni che non poteva più sopportare.

Si tirò indietro per appena il tempo di sfibbiare i bottoni, prima di piegarla sul ruvido ripiano e premerle addosso. L’unguento fece il suo lavoro e non trovò resistenza: si mosse con sempre maggiore frenesia, eccitandosi del suono della carne che schioccava deliziosamente ogni volta che la penetrava a fondo.

«Hannahh...» ansimò quando, piegato sul suo orecchio, finì con una convulsione. Rimase ad ansimare su di lei quasi un minuto intero.

Lei sapeva di non doversi muovere.

Ezra finalmente si sollevò, scivolando fuori, percorrendole la schiena col palmo. Nonostante dovesse essere sazio, gli piaceva guardarla alla fine: vide luccicare il suo sesso e rabbrividì di soddisfazione pensando al suo seme dentro di lei.

Le parlò qualche altro minuto del suo lavoro, poi, guardando l’orologio, disse che era tardi.

Hannah scivolò nuovamente giù dalla botola la quale si richiuse con un tonfo sopra di lei.

«Tenente, ho qui l'ultima parte dei registri che avete richiesto.»

«Bene, posa tutto quanto su quella scrivania», disse German con un secco gesto. 

Il soldato semplice Frank Schulz appoggiò il pesante scatolone lì dove gli era stato indicato dal suo superiore. Non capiva il motivo della richiesta del Tenente Sievers di procurarsi le relazioni sulla gestione del Campo di Dachau degli ultimi anni, ma non aveva esitato a eseguire il suo incarico: sapeva che con un uomo come lui fosse meglio non scherzare, lo dimostrava il fatto che, da quando aveva preso servizio nel loro distretto, erano stati apportati diversi cambiamenti nella gerarchia militare.

Sievers aveva ufficiosamente eletto dei soldati a prestare particolari servizi: se ne era circondato come degli uomini più fidati e aveva cominciato a condurre raid a tappeto sia nella zona di Dachau, dove lavorava, sia a Ulm, dove risiedeva parte della settimana, svolgendo mansioni di ufficio nel vecchio centro di raccolta degli ebrei e dei nemici dello Stato.

Lui era entrato sotto il suo servizio da alcuni mesi e teneva a svolgere al meglio il proprio lavoro per non suscitare alcuna lamentela e, possibilmente, avanzare un giorno di grado.

Poco importava che Sievers fosse un individuo non esattamente limpido: Frank aveva inizialmente sentito di voci riguardo una condotta immorale tra i civili, accusati dal Tenente di condurre azioni losche; le suddette voci avevano trovato conferma appena il mese prima, quando avevano fatto irruzione nell’abitazione di povera gente e Frank si era trovato ad assistere a qualcosa che non avrebbe dimenticato per tutta la vita. Era rimasto sconcertato ma non aveva osato interferire, Dio solo sapeva che fine avrebbe fatto altrimenti.

Frank ricordò anche l’incontro piuttosto strano col dottor Kruger, arrivato in visita dalla famiglia. Doveva essersi reso conto della situazione in cui era incappato, ma non aveva fatto una piega.

Il Tenente aveva cominciato una discussione piuttosto accesa e aveva mosso delle accuse contro il dottore, sebbene fosse chiaro che la sua presenza in quella casa era stata del tutto accidentale.

Solo in seguito, il suo compagno di camerata, Hans, gli aveva spiegato che tra i due esistevano dissapori di lunga data e che, stando a quanto si diceva, erano cresciuti entrambi a Ulm, prestando servizio militare obbligatorio.

Ovviamente, nessuno conosceva il vero motivo alla base dei loro contrasti. Ma poco importava: il risultato era che il Tenente Sievers lo aveva minacciato e, da allora, aveva fatto irruzione in casa del medico due volte. Anche se non aveva trovato nulla che potesse usare contro di lui, non sembrava intenzionato a demordere.

German mise da parte il rapporto che aveva redatto e concentrò la sua attenzione sulle scatole contenenti la documentazione sulle attività del Campo di concentramento.

C’era un bel po’ di incartamento e trascorse un’ora a smistare il tutto secondo rapporti diaristici, relazioni su progetti di sperimentazione della sezione medica e circolari di servizio.

Aveva dato ordine di non essere disturbato, quindi procedette a esaminare ogni documento con più cura.

Ezra partecipava ai progetti sperimentali da alcuni anni, tanto che la sua presenza all’Istituto era stata registrata con regolarità: ogni entrata e ogni uscita dal lager era indicata nei registri; tutto appariva regolare.

Lanciò il quaderno che stava esaminando sul tavolo con uno sbruffo di esasperazione: cominciava a pensare che non avrebbe trovato niente di utile tra quelle vecchie carte.

Si versò da bere del cognac sequestrato ai francesi. Non era insolito che ufficiali in visita portassero bottiglie di grappa o altri liquori: lui le aveva fatte mettere tutte su un tavolino vicino la finestra e ne usava come scorta personale.

Mentre ingollava un sorso e lo sentiva scivolare in gola, pensava a come mettere all’angolo Ezra.

Sin da quando avevano frequentato la Realschule insieme, all’istituto maschile della città, erano stati una sorta di nemici naturali.

Entrambi provenienti da famiglie agiate, facevano parte di quella élite che, nonostante la crisi del post Guerra, si poteva permettere di dare un’istruzione ai figli in quegli anni difficili nei quali, però, si delineava anche una discreta ripresa.

Aveva sempre pensato di lui che fosse un tipo strano: chiuso al punto da non dare confidenza a nessuno, eppure capace di fissare le persone con uno sguardo impassibile e arrogante. Gli faceva sempre ribollire il sangue. Quando lo guardava negli occhi si sentiva giudicato, come se fosse in grado di vederlo per quello che era e lo disprezzasse.

Era diventata un’abitudine tormentarlo a ogni occasione, rendendogli la vita impossibile ma, né a scuola né più tardi, alla leva militare, era mai riuscito veramente ad avere la meglio, e questo lo esasperava.

Gli tornò in mente l’episodio alle docce: avevano circa diciotto anni quando era riuscito a isolarlo dagli altri compagni nei bagni. L’aveva sorpreso nudo ed era stato naturale schernirlo per il suo corpo ancora gracilino, nonostante i duri allenamenti. In realtà, pur essendo molto magro, aveva un fisico definito, le fasce muscolari sottili saldamente attaccati alle ossa, sotto la pelle elastica.

Ezra lo aveva fissato senza battere ciglio, le gocce d’acqua che scendevano tra i capelli, piovendo sulle spalle e sul petto.

German aveva provato la consueta irritazione davanti alla sua impassibilità ma quella volta accadde anche qualcosa di nuovo e inaspettato: come acceso da una brace sottocutanea, si era eccitato al pensiero improvviso di piegare Ezra sulle mattonelle per infliggergli la punizione che meritava.

Notando quello strano sguardo, il ragazzo si era messo in guardia. Tuttavia non aveva fatto in tempo a schivare l’attacco frontale di German ed era finito a picchiare la testa contro il muro alle sue spalle.

Scivolati per terra, l'uno sovrastava l'altro ancora intontito.

«Finalmente sei nella posizione che ti meriti», aveva ringhiato German, tenendogli il capo premuto sul pavimento bagnato.

Ezra percepiva il freddo sul petto e il getto caldo dell’acqua sulla schiena, parzialmente riparato dalla sagoma dell’avversario. Aveva tentato di muoversi ma era trattenuto da German il quale aveva approfittato del momento per premergli contro l’erezione.

«Credo proprio di doverti impartire una lezione, Kruger. Dopo che avrò finito con te non avrai più il coraggio di fare lo sfrontato!»

Agitandosi, Ezra aveva sgroppato selvaggiamente nel tentativo di allontanarlo, paralizzandosi poi per il panico quando l’aveva sentito addosso senza la protezione degli indumenti.

German aveva riso della sua paura, godendo nell’infliggerla. Aveva cercato di penetrarlo con alcune manovre ma non era agevolato dall’angolazione e aveva commesso l’errore di spostare il braccio che lo tratteneva alle spalle per darsi aiuto: Ezra si era quindi voltato, scaraventandolo via con uno spintone e tracciando un arco con la mano.

German aveva percepito una fitta di bruciore sul petto, poi si era accorto del sangue. Confuso, aveva notato troppo tardi che Ezra era riuscito a raggiungere la lama del suo rasoio. Barcollando indietro, aveva evitato in tempo l’attacco successivo, che riuscì a scalfirlo solo di striscio. Avendo perso l’equilibrio, adesso si trovava in una posizione di svantaggio.

Ansimando e tremando di rabbia, Ezra l’aveva fulminato con uno sguardo omicida.

Si era quindi avvicinato a German, afferrandolo con una mano per il collo e puntando quella armata alla base dei testicoli.

«Se te li vuoi tenere stretti, Sievers, fai in modo da girare alla larga da me. Intesi?», aveva grugnito con voce roca.

Per sottolineare la minaccia, aveva deciso di lasciargli un’incisione sul pene ritraendo l’arma. L’aveva abbandonato per terra, mentre il getto dell’acqua schiariva in un rosa tenue il sangue sgorgato dalle ferite.

Dopo quella volta, German era stato attento a non provocarlo eccessivamente senza avere chi gli coprisse le spalle, ma l’odio che covava era cresciuto profondo e ineluttabile.

Tornò alla sua postazione e si abbandonò sulla poltrona con un gemito. Si mise la mano a coppa sull'uccello pensando alla cicatrice che aveva: avrebbe voluto farsi una sega anziché tornare al suo inconcludente lavoro.

Una parola in grassetto su un rapporto interno attirò la sua attenzione: sfilò il foglio dalla pila di quelli sparsi sulla scrivania e cominciò a leggere.

Si rese conto che si trattava di una lista dei tentativi di evasione: accanto a ogni nome del carcerato c’era un breve rapporto della sua esecuzione o punizione; alcuni nomi riportavano la semplice dicitura ‘scomparso’: alcuni, dopotutto, erano riusciti a scappare.

Stava per abbandonare quel foglio spostandolo tra la documentazione di poca rilevanza, quando notò un nome che conosceva piuttosto bene.

Hannah Haller.

Evasa.

Scorse febbrilmente il rapporto ma diceva solamente che c’era stato un breve inseguimento nei pressi dell’Istituto e che poi era scomparsa senza lasciare traccia. Ricerche successive non avevano portato ad alcun risultato, e si era avanzata l’ipotesi che fosse morta da qualche parte in seguito alle ferite riportate.

Tuttavia il corpo non era mai stato trovato.

Un brivido di eccitazione percorse German fino in fondo alla schiena.

Sapeva che quella piccola ebrea aveva significato molto per quello squilibrato di Ezra. Non aveva impiegato molto prima di scoprire che spesso la spiava.

German non aveva mai capito la sua ossessione. Valutava l’impresa del padre di lei povera e squallida; la ragazza, poi, ai suoi occhi non aveva alcuna particolare attrattiva: il colore dei suoi capelli faceva pensare al rame e al bronzo fusi insieme, ma tutto finiva lì; il modo dimesso di vestire, i tratti semplici e quelle fastidiose lentiggini… la facevano apparire piuttosto rozza.

Tuttavia era evidente che per Ezra non fosse così.

Aveva pensato di usarla contro di lui, per un periodo si era messo persino a corteggiarla, ma lei era stata schiva e riservata: non gli aveva concesso molto spazio di manovra. Aveva velocemente perso l’interesse nel suo piano, reputandola tediosa al punto che — aveva pensato — quando Ezra se la fosse presa sarebbe crepato subito di noia, risparmiandogli la fatica.

Non era accaduto mai niente, a ogni modo, quindi presto si era dimenticato della sua esistenza. Ma rileggere quel nome gli aveva acceso un campanello di allarme: recuperò la lista dei detenuti e venne a sapere che era stata catturata assieme alla madre nel luogo dove erano rimaste nascoste per anni, sopravvivendo grazie all’aiuto di parenti tedeschi. 

Alla fine del 1943, le due donne risultavano alloggiate nel Campo di concentramento: in pochi mesi la madre era morta di stenti, mentre lei aveva resistito fino a riuscire a evadere nel Febbraio del 1944.

Se era stata reclusa all’Istituto, Ezra doveva averlo saputo in un modo o nell’altro: faceva parte dei medici della struttura e — sebbene le sue consulenze riguardassero la sezione sperimentale — doveva aver avuto accesso alla lista dei detenuti.

Non aveva dubbi che leggendo il suo nome si fosse interessato.

Passando al vaglio altri rapporti, riuscì a ricostruire con abbastanza precisione la giornata della fuga: non aveva potuto far a meno di notare che il nome di Ezra Kruger risultava annotato nel registro visite.

Il cuore accelerò nel petto: l’istinto gli diceva che aveva trovato una pista e, pian piano, si abbandonò a una risata sempre più sonora.


Il soldato semplice Frank Schulz, fuori dalla porta dell’ufficio, udì il Tenente Siegers prorompere in una risata raschiante, piena di inconfondibile soddisfazione.

La vibrazione ruppe d’improvviso il silenzio funebre che circondava l’edificio. Anche se si potevano udire gli stridori dei lavori nel cortile, i carcerati non avevano più la forza vitale per emettere alcun suono; Frank osservò per un momento le ombre degli uomini muoversi con una stanchezza di morte sullo sfondo grigio.

«Deve aver trovato quello che cercava», disse tra sé, mentre un presentimento di orrore gli riempiva l’animo. 

Nella mente gli balenò, infido, il ricordo della figura di un ragazzino nudo, raggomitolato sul pavimento, e della consistenza vischiosa che scivolava lentamente dalla natica alla gamba.

Non doveva pensarci. Non aveva importanza quello che faceva Sievers: era l’ufficiale in comando; lui doveva solo eseguire gli ordini. 

Giugno, 1929

Ezra la seguiva da almeno un’ora in giro per le botteghe della città. Il padre, quel giorno, come di consueto, l’aveva mandata a fare compere per la famiglia.

Hannah passeggiava con grazia, la lunga gonna sottile che si agitava tra le gambe, mentre di tanto in tanto una folata di vento ne sollevava con leggerezza l’orlo.

Ezra fissava quelle caviglie sottili e fantasticava di toccarle. Avrebbe voluto afferrarle un piede portandoselo al ginocchio per carezzarle con calma il polpaccio.

Voleva guardarla tra le gambe.

Fissandole i capelli raccolti in una treccia, si chiese se anche il suo pelo là sotto fosse rosso. Sperava proprio di sì, era così che lo immaginava. 

E lo immaginava spesso.

La prima volta che aveva visto la ragazza, aveva avuto quindici anni, lei era più grande. Era entrato per caso nella bottega della sua famiglia per acquistare della stoffa: voleva creare una palla con cui giocare coi suoi compagni.

Non si trattava di un negozio alla moda, dove si potevano trovare tessuti pregiati: quel genere di botteghe erano quasi del tutto scomparse a causa della Guerra e delle pesanti condizioni di pace. 

Non era un luogo che la sua famiglia avrebbe apprezzato frequentasse: troppo socialmente inferiore. I Kruger erano ancora una famiglia di discendenza nobiliare: i suoi membri non potevano abbassarsi a frequentare il volgo, figuriamoci covare pensieri di sposarne un membro.

Ma la prima volta non aveva certo avuto in mente il matrimonio; era stato trasportato da pensieri più primitivi.

Trovato il locale deserto, si era guardato un po’ in giro, senza chiedere il permesso. Aveva intravisto un’ombra al di là della tenda che separava il banco vendita dal magazzino e si era affacciato: si era aspettato di vedere il padrone, invece aveva scorto una ragazza. Ne aveva notato per primi i capelli sciolti sulla schiena. Non gli era mai capitato di vedere una femmina in desabillè e lei era per metà nuda: si stava togliendo un abito. Dallo specchio le aveva fissato i seni rotondi e i capezzoli chiari. Gli era piaciuto vederla piegarsi in avanti: le natiche avevano teso la stoffa sottile delle mutande in maniera molto erotica.

L’aveva subito desiderata. 

Alla fine era andato via senza comprare niente, non si era nemmeno fatto vedere.

Guardandola, Ezra sapeva esattamente cosa avrebbe detto suo padre se avesse scoperto la passione del figlio per quella creatura. Ma non gli importava. Avrebbe atteso pazientemente che il vecchio crepasse per poi fare ciò che voleva. Nel frattempo, l’avrebbe tenuta d’occhio: gli apparteneva e non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarsi a lei. 

Pedinarla gliela faceva sentire vicina: la osservava quando non sapeva di essere vista, in questo modo, credeva di cogliere la sua vera essenza. Questo lo faceva sentire potente: nessun altro l’avrebbe mai amata dell’amore che lui provava.

Solo Ezra la vedeva.

Non aveva importanza che lei non lo sapesse ancora: avrebbe agito al momento opportuno. Prima suo padre doveva togliersi di mezzo altrimenti sarebbe stato un ostacolo. Ma era malato da anni, e si indeboliva sempre più velocemente: non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo.

 

 



NOTE FINALI:
- Il Campo di concentramento di Dachau fu il primo lager nazista, aperto il 22 marzo 1933 su iniziativa di Heinrich Himmler;
- Forte Oberer Kuhberg: lager aperto nel 1933; i suoi detenuti nel 1935 furono trasferiti a Dachau;
- Realschule, scuola simile agli istituti tecnici che forniscono una generica preparazione di base; si attende dai undici/dodici anni fino ai sedici/diciassette.


 
   
 
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