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Autore: Semperinfelix    13/04/2019    4 recensioni
Tutti sappiamo quale fu la sorte del principe Ettore, il più valoroso fra tutti i Troiani che combatterono la famosa guerra di Troia, scoppiata, secondo il mito, dalla contesa fra Paride e Agamennone per la mano della bella Elena, e provocata ancor prima, in verità, da una competizione fra dee.
Ma come sarebbe stato, invece, se Ettore non fosse morto? Se nello scontro finale col terribile Achille fosse stato lui ad avere la meglio? Sarebbe bruciata ugualmente Ilio sacra, crollata sotto il furore degli Achei, o vivo ancora il suo eroe avrebbe avuto una sorte diversa, una sorte migliore?
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aurora vestita di croco s'alzava sopra le acque d'Oceano, a portare la luce a mortali e immortali; Si preparavano allora i Troiani bellicosi ad una nuova giornata di battaglia, lasciavano Ilio ricca di cavalli, si radunavano sulla pianura.

Anche Ettore dall'elmo ondeggiante, in mano stringendo la lucida lancia, s'incamminava verso il proprio destino. Lo accompagnava la sposa silenziosa fino alle porte Scee, dove lasciatolo lo guardava andar via con mesto sguardo. Triste presagio di morte le riempiva il cuore d'affanno mentre assieme alle ancelle fidate tornavasen alla casa sua in cima alla rocca.

Armatisi gli Achei presso le navi ricurve, scesero in campo. Con loro era il figlio di Peleo, mai sazio di lotta, dall'altra parte i Troiani sopra il poggio della pianura. Zeus portatore dell'egida (1) dette ordine a Themis (2) di chiamare gli dèi a consiglio dalla cima d'Olimpo ricco di valli. Ognuno si schierò dall'una o dall'altra parte, tutti scesero in campo. Era se ne venne alle navi achee, così Pallade Atena e Posidone che scuote la terra ed Ermes benefattore, che per mente astuta primeggia, e lo zoppo Efesto, inclito fabbro. Ares mai sazio di pugna raggiunse invece i Troiani, con lui Febo dai lunghi capelli e Artemide saettatrice, e Leto e Xanto (3) e Afrodite che ama il sorriso.

Tremavano i Troiani nel veder comparire Achille splendente nell'armi, simile ad Ares massacratore. Per primo l'affrontò Enea, figlio d'Anchise, ma il Pelide gli balzò contro simile a leone che spalanca le fauci, mentre gli schiuma la bava tra i denti. Dopo duro scontro, Posidone, benché ai Troiani avverso, intervenne per sottrarre Enea alla morte: non era destino per la stirpe di Dardano estinguersi.

Molti altri ne uccise però Achille piè veloce scagliandovisi contro. Anche Polidoro divino, figlio di Priamo, egli lo colpì in pieno col giavellotto alla schiena. Questi cadde in ginocchio gemendo, nera nube l'avvolse, trattenne a sé con le mani le viscere mentre cadeva. Non voleva il padre suo che combattesse, perché fra tutti i suoi figli egli era il più giovane.

Come Ettore vide il fratello cadere, gli s'annebbiò la vista, né fu più capace di trattenersi lontano, ma squassando la lancia puntuta s'avventava contro Achille sterminatore. Questi guardandolo storto diceva: « ecco l'uomo che più di tutti m'ha straziato il cuore, privandomi dell'amico a me più caro, non ancora per molto continueremo ad evitarci sui sentieri di guerra, anzi io ti dico che oggi perirai per mano mia, Ettore maledetto! Pagherai col sangue tuo il bene che m'hai tolto ».

A lui, senza paura, rispondeva Ettore glorioso: « non sperare d'atterrirmi con le parole, che anche io sono capace di dire insolenze e offese. Lo so che sei forte, e io di te molto più debole, ma chissà che gli dèi non abbiano deciso che io, per quanto più debole, abbia a strapparti la vita con un colpo di lancia, perché anche il mio dardo è aguzzo in punta (4)! »

Palleggiando scagliò la sua lancia, ma con un refolo Atena la stornò da Achille ed essa ricadde ai piedi di Ettore caro a Zeus. Gli balzava allora addosso il Pelide furioso, ma per tre volte colpiva a vuoto, che Apollo gl'aveva già sottratto l'avversario portandolo lontano. Con spaventevole voce gli diceva allora parole che volano: « Cane! Ancora una volta un dio t'ha sottratto alla mia ira, ma vivo non assisterai al prossimo tramonto, ché io ti finisco di certo non appena ti incontro! »

Non pago di sangue, tornava allora a far strage dei Troiani valorosi. A loro sugli occhi scendeva rossa la morte e il duro destino. La terra nera grondava di sangue e il Pelide se ne imbrattava le mani invincibili.

Come alla vampa del fuoco volano via le locuste e fuggono al fiume; arde vivida fiamma divampata improvvisa, quelle si gettano in acqua: all'urto di Achille così la corrente del vorticoso Xanto s'empì di frastuono insieme dei cavalli e degli uomini. Allora il rampollo di Zeus lasciò lì sulla riva la lancia, appoggiata sui tamarischi, e si tuffò simile a un demone, armato solo di spada, meditava mali in cuor suo e menava colpi all'intorno: saliva triste il lamento di chi era trafitto, s'arrossava l'acqua di sangue (5).

Stava il vecchio Priamo sopra la torre divina e di lì vedeva i Troiani dispersi in fuga scomposta da Achille poderoso. Sospirando scendeva a terra, e sotto il muro ordinava ai valorosi guardiani delle porte: « mantenete aperti i battenti con le vostre mani fin quando l'esercito in fuga si sarà rifugiato all'interno, solo allora chiudeteli nuovamente e sprangateli bene: temo infatti che quel maledetto possa irrompere dentro le mura ».

Così disse e quelli apersero i battenti, tolsero i paletti; spalancati, i battenti fecero luce. Dal piano verso l'alta muraglia fuggivano quelli, arsi di sete, pieni di polvere: li inseguiva una furia tremenda, bramosa di mietere gloria. La città in breve si riempì di fuggiaschi.

Solo Ettore rimaneva, saldo davanti a Troia e alle porte Scee, contro di lui s'avanzavano gli Achei sotto alle mura, i bronzei scudi inclinando sulle spalle. Sull'alto della torre tornato, il vecchio gemeva e si batteva le tempie canute con le mani, il figlio più amato vedendo che solo non si sottraeva allo scontro, ma che a piè fermo se ne rimaneva di fronte alle porte e alla quercia possente.

Lo scongiurava allora, gridando: « Ettore! Figlio fra tutti a me il più caro! Non affrontare da solo quel maledetto, egli è di certo di te molto più forte: una dea l'ha infatti generato, e molti altri altrettanto potenti lo proteggono. Di quanti figli avevo un tempo, prima che questa guerra sciagurata avesse principio, quasi tutti il Pelide senza pietà me li ha gettati nell'Ade infecondo, trucidati dalle sue mani temibili. Tu ancora mi rimani, figlio adorato, in te solo ripongo la speranza mia, della mia stirpe e della mia città. Morto tu, a chi mi appoggerò io povero vecchio quando l'età m'avrà fatto infermo? Il Pelide si prenderà la tua vita, a me lascerà lamento e dolori penosi.

Teco cadrà anche questa città, allora quali altre sciagure mi rimarrà da vedere? Figli ammazzati, figlie rapite, talami profanati, bambini in fasce scaraventati a terra nella mischia furiosa, le mie nuore trascinate dalle mani maledette degli Achei (6)! No, non darmi questo dolore. Il tuo valore potrai dimostarlo un altro giorno, in una migliore occasione, non dare ad Achille il vanto d'averti ucciso! Ma torna dentro piuttosto: come gli altri ripara dietro le solide mura che per te solo ancora rimangono aperte ».

Si tirava con le mani i capelli canuti, strappandoseli via dalla testa, il cuore straziato dal pensiero del figlio, ma l'animo di Ettore massacratore non riusciva a piegare, troppo deciso ad affrontare Achille prosciugatore di stirpi. Accanto al vecchio piangeva la madre, dagli occhi versando lacrime amare, come forsennata, battendosi il petto, gridava: « A che vi ho generati figli miei? Per vedervi morire tutti, ancor nel fiore degli anni vostri, per mano di un acheo sacrilego e impietoso, per ciò vi ho partoriti! E tu, Ettore mio, tu che fra tutte le mie creature sempre sei stato il migliore e il più amato, dissennato hai deciso di seguire la medesima sorte!

Ahimè disgraziata! Prima vieni e strappami gli occhi dal volto allora, ch'io non possa vedere come getti dal corpo perfetto il sangue, spargendolo in terra assieme alla vita. Ah ricordo i pianti e le notti insonni e le melodiose canzoni cantate da voce soave. E come ti aggrappavi vorace alla mia mammella, bambino mio, suggendo il dolce latte! Cullandoti stretto al petto per te sognavo giorni radiosi: che dopo il padre tuo avresti a tuo tempo governato questa città. Ah! Indarno t'avrò dunque allevato, figlio, se oggi muori! Partorito a disgrazia! Abbi pietà della sposa preziosa e del figlio tuo ancora in fasce: te morto, egli una volta cresciuto del padre non ricorderà nemmeno il volto, sempre che non lo ammazzino prima gli empi Achei per tuo sfregio! »

Ma la madre nemmeno riusciva a piegare l'animo fermo di Ettore armato di bronzo, animato da odio inesausto. Né pianti né suppliche gli commuovevano il cuore, anzi più deciso che mai egli attendeva l'irrevocabile ora. Mentre si verificavano questi eventi, nulla sapeva la moglie di Ettore: all'interno dell'alto palazzo la donna tesseva un mantello doppio, tinto di porpora, ricamandovi fiori di vario colore. Sentì venire i lamenti, le grida dalla torre, allora le tremarono le membra, le cadde a terra la spola. Il cuor suo le diceva che qualcosa di terribile stava per realizzarsi.

Poi parlò alle ancelle dalla bella chioma: « orsù, due di voi mi seguano. Dei miei suoceri odo le grida e il cuore mi balza nel petto fino alla gola, mentre le ginocchia tremano. Che io non resti oltre in pena, all'oscuro di tutto: andiamo alla torre a vedere cosa mai sta accadendo ». Dicendo queste parole corse fuor di stanza simile a menade (7), sconvolta in cuor suo. Le venivano dietro le ancelle fedeli, tutte igualmente temendo.

Appena giunta sull'alta torre, dov'era assembrata la gente, subito si precipitò a scrutare dal muro. Donde lo vide: stava il marito suo fermo di fronte alle porte, egli solo senza aiuto né compagno, dall'altra parte avanzava Achille sterminatore di eroi, simile a demone della notte racchiuso in scintillante armatura (8).

Allora le tremarono tutte le membra, lanciò un urlo, le mancò il respiro. Una notte oscura le discese sugli occhi e quasi priva di sensi s'accasciò tra le braccia delle ancelle. Quando si riebbe, affacciatasi dal muro guardandolo urlava: « sciagurato! Sciagurato! Vuoi la mia morte, questo è dunque il tuo intento! Ebbene sia, ma sarà per te un trionfo ancora più amaro. Il troppo amarti, questa sarà la mia condanna, come l'onore la tua ».

La sentì Ettore splendido di sotto le mura, grave dolore gl'oppresse l'animo di mestizia, ma non lo distolse dal suo triste intento. Senza più voltarsi correva Andromaca a ritroso, giù per le scale che conducevano alla torre. Niente al mondo, né umano né divino, mai avrebbe potuto distogliere il figlio di Priamo dall'affrontare lo scontro dall'esito già segnato. Questo ella ben sapendo, non trovava pace in cuore, ma forsennata andava cercando la salvezza pel marito suo sventurato.

Giunse all'altare di Zeus Herkèios nella reggia troiana, presso l'ara domestica. Al tempio di Atena, sull'alto della rocca, era invece inutile andare: in odio la dea aveva preso i Troiani domatori di cavalli, da tempo meditava per loro sventure, sempre proteggendo Achille dal piede veloce. Anche adesso stava al suo fianco, tessitrice d'inganni, a tendere insidie ad Ettore valoroso.

Si gettò invece ai piedi del simulacro di Zeus Andromaca dalle bianche braccia, folle dal pianto. Dalla testa le cadde la bella acconciatura, il diadema, la rete, il nastro legato. Tra le mani raccolse il velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui Ettore domatore di cavalli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Lo tendeva allora in alto mentre al cielo innalzava il grido sacro (9).

« Zeus portatore dell'egida, padre di tutti gli dèi, tu che dalla cima di Olimpo ricco di valli vegli e proteggi la sacra Ilio, ascolta la mia preghiera. Una sposa infelice ti parla, ché presto mi renderà vedova il figlio di Teti dai piedi d'argento. Egli un tempo m'uccise già il padre, Eetione magnanimo, annientò la città ben popolata dei Cilici, Tebe dalle alte porte. Sette fratelli avevo, che vivevano nella mia casa, e tutti insieme in un sol giorno scesero nell'Ade per sua mano.

Tutti li uccise Achille terribile! Mia madre la fece schiava, poi in libertà la rimise dietro compenso ricchissimo, ma in casa del padre alfine la uccise Artemide saettatrice. Dunque ora solo Ettore mi rimane, ma egli perduto avrò perso tutto! Non dimenticare, O Zeus, quante cosce grasse di buoi ben pasciuti t'immolò Ettore pastore di popoli, ai numi sempre devoto, e quante volte pregando e libando al tuo nome ti rendeva onore! Ora rendigli il favore: da lui storna il giorno fatale, almeno tu abbi pietà di noi miseri mortali! »

Così pregava Andromaca sposa fedele, si commosse Apollo salvifico udendo i suoi lamenti strazianti. Pertanto rivolto al padre suo così gli indirizzava parole che volano: « O Zeus padre, il più potente fra tutti i numi, non struggono il cuore anche a te questi lamenti? Troppa pena ho di questa sventurata, il marito suo, tu ben lo sai, fra tutti gli uomini è quello a me più caro, così come lo è a te. Per molto tempo mentre infuriava la battaglia tu stesso hai vigilato su Ettore splendido, incoraggiandolo alla lotta, vuoi ora abbandonarlo? Vuoi forse che io anche lo abbandoni al suo destino, io che sempre l'ho protetto, egli con la cittadella scoscesa? Certo in breve discenderà ai morti, a casa di Ade, se entrambi lo priviamo del nostro aiuto. Ahinoi! Che dèi siamo, se non possiamo concedere la vittoria agli uomini a noi più cari? »

Scuotendo la testa divina gli rispondeva Zeus adunatore di nembi: « caro Febo, certo mi toccano le tue dure parole. Fra quante sotto il sole e sotto il cielo stellato sono città popolose di uomini terreni, più di tutte la sacra Ilio è da me onorata di cuore. Mai l'altare mi resta privo della razione dovuta, di libagione e di fumo (10), assai dolente mi dannerei l'anima vedendola bruciare tra le fiamme, ma che posso fare? Se pesando le sorti del Pelide e di Ettore a me caro sulla bilancia d'oro, la seconda dovesse inclinarsi verso il basso, nemmeno io allora potrei salvarlo da morte funesta quand'essa fosse già prescritta ».

« Dunque non pesare ancora i loro destini sulla bilancia dai manici d'oro, nume padre, permettimi prima di vedere se in qualche modo posso essergli ancora d'aiuto. Andrò io stesso a parlare con Thanatos figlio di Astrea, poiché di Ermes non è bene fidarsi: egli sempre parteggia per gli Achei, dei troiani nemico ». Così diceva Apollo saettatore, e, mostrandosi concorde, Zeus che gode del fulmine volentieri gli affidava questa missione. Non disobbedì Apollo al padre suo, ma svelto se ne volò dal Sonno e dalla Morte, i due gemelli, entrambi figli terribili della Notte, per mercanteggiare la vita di Ettore pastore di genti (11).

 Non disobbedì Apollo al padre suo, ma svelto se ne volò dal Sonno e dalla Morte, i due gemelli, entrambi figli terribili della Notte, per mercanteggiare la vita di Ettore pastore di genti (11)

(1) Lo scudo realizzato con la pelle della capra Amaltea, col quale Zeus si difese combattendo i Titani

(1) Lo scudo realizzato con la pelle della capra Amaltea, col quale Zeus si difese combattendo i Titani.

(2) Themis, figlia di Urano e di Gea, è la dea della giustizia.

(3) Xanto, altresì Scamandro, è il dio del fiume che scorre presso Troia. Leto o Latona è la dea madre di Apollo e Artemide.

(4) Libro XXII, vv. 436-437, trad. di G. Cerri.

(5) Libro XXI, vv. dal 12 al 21, trad. di G. Cerri.

(6) Libro XXII, vv. dal 62 al 65. Trad. di G. Cerri.

(7) le menadi sono le donne che partecipano ai riti misterici, consistenti in rituali orgiastici e danze frenetiche e convulse, per analogia con tale termine viene indicata la momentanea follia di Andromaca in preda al panico.

(8) Nel poema originario, Andromaca non era stata avvisata dello scontro che avveniva e quando, udite le urla, corre sulla torre, Ettore è già morto e del suo corpo Achille fa scempio.

(9) L'ololygé è il grido rituale femminile che accompagna sacrifici e preghiere.

(10) Libro III, vv. dal 44 al 49 salvo variazioni dei tempi verbali, trad. di G. Cerri.

(11) Hypnos, il Sonno, è fratello di Thanatos, la Morte, essendo entrambi figli di Astra, la Notte, divinità primordiale, e dell'Erebo.

 

   
 
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