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Autore: Semperinfelix    13/04/2019    7 recensioni
Tutti sappiamo quale fu la sorte del principe Ettore, il più valoroso fra tutti i Troiani che combatterono la famosa guerra di Troia, scoppiata, secondo il mito, dalla contesa fra Paride e Agamennone per la mano della bella Elena, e provocata ancor prima, in verità, da una competizione fra dee.
Ma come sarebbe stato, invece, se Ettore non fosse morto? Se nello scontro finale col terribile Achille fosse stato lui ad avere la meglio? Sarebbe bruciata ugualmente Ilio sacra, crollata sotto il furore degli Achei, o vivo ancora il suo eroe avrebbe avuto una sorte diversa, una sorte migliore?
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Discese adunque il dio del sole fin negli anfratti più profondi della terra, nel regno di Ade signore dei morti, per mercanteggiare la vita di Ettore caro a Zeus. Attraversate le tenebre più oscure, giunse nell'antro che si affaccia sull'Ade, Lemno prossimo al fiume Lethe, ove eterne scorrono l'acque dell'oblio. Quivi era la dimora di Sonno, gemello di Morte, che assieme ai Sogni suoi figli ogni notte invade i corpi degli uomini, sollevandoli dalle quotidiane fatiche. Non si fermava qui Apollo Enialio, passava oltre, si spingeva fin nel più oscuro interno, luogo inospitale, ignoto alla sacra luce.

Lì, in quel luogo desolato, dimorava Thanatos, figlio della Notte funesta, coperta di nube caliginosa, e dell'Erebo, la tenebra infera. Demone alato, sterile, privo di sguardo, non mai una sola volta l'ebbe sfiorato il sole, troppo aborrendolo. Sconoscendo ogni pietà, ivi seco trascina le anime che strappa ai corpi, né mai le rende alla vita, ma misere le condanna ad una eterna notte senza astri né luna.

A lui venendo diceva Apollo che ama la luce: « o Morte invisa agli dèi, sovente vedoti aggirare nelle case piene di lamento, o pel campo squassato dalla recente battaglia, sempre bramosa del sangue fresco degli eroi, tuo nutrimento. Ora pazienta e ascolta, impietosa, se la mia proposta t'aggrada. So per certo che Ettore magnanimo tu in quest'oggi brami di trascinarlo qui tra i morti, ma già colmo è l'Ade furioso di numerosi eroi, tutti da breve tempo discesi sotterra, spenti dalla stessa guerra ch'ancora in superficie infuria implacabile. Ascolta dunque: Ettore divino, che solo fra tutti storna dalla sua patria il giorno fatale, ancora lascialo vivo fra i vivi. Lo prenderai poi, quando avrà compiuto il suo destino e stanco dell'esistenza terrena egli stesso t'invocherà con tiepida voce ».

Scuoteva la testa paurosa Thanatos inviso ai mortali, denigrando una tale proposta. Così gli rispondeva: « non credere, Febo, di potermi con confusi discorsi a mio discapito convincere a fare il tuo favore. Oggi invero si compirà il destino di Ettore massacratore. Così prescrisse il Fato molto tempo prima ch'egli venisse al mondo, così dovrà essere oggi che si prepara a lasciarlo. Egli invero è già designato: verrà con me, poiché il suo stame è giunto all'ultimo nodo (1) ».

Sentendo il suo insolente rifiuto, si adirò Apollo saettatore, così rispose: « ah impietosa! Tanto avversa sei agli uomini quanto ai numi immortali. Quant'è preziosa per te la vita di un misero mortale? Futile preda! Per la città e la sua gente, invece, egli è la sola salvezza. Il tempo certo non ti si nega: immortale ti partorì Astra tua madre, tanto breve è per te l'intera vita d'un uomo quanto un batter di ciglia. Ma ché mi affatico ancora con inani parole? Certo se con uno dei miei sicuri raggi forte t'abbaglio, sarà già vecchio Ettore valoroso pria che tu abbia recuperato la vista! Ne sarei ben capace, ma tu non costringermi: il figlio di Priamo lascia ancora alla vita e io non ti infliggerò questo supplizio, te che odi la luce! »

Così, con male parole, persuase la Morte eterna nemica. Gli rispondeva Thanatos allora: « maledetto! Sempre odioso fuor di misura mi sei, te con tutti i numi tuoi parenti. Dunque va', tienitela stretta la vita di quel troiano, più non la voglio! Ma sentimi bene: un'altra ne pretendo al suo posto, in quest'oggi, pria che il sole venga al tramonto. Bada però a non tendermi inganni: trovar dovrai qualcuno che volontariamente mi si offra, in sacrificio spontaneo. La vita invero non ha prezzo: non offrirai compenso per la sua privazione, com'è vero che incorruttibile mi generò la vergine Astrea (2). Dunque va', procacciami una vita, ma se non torni giuro che quel che mi spetta io mi prendo! »

Intanto Atena dagli occhi azzurri con l'inganno persuadeva l'eroe troiano ad affrontare lo scontro mortale. Diceva allora Ettore massacratore al nemico, facendosi avanti: « più non ti fuggirò, figlio di Peleo, ma anzi che ci scontriamo, vogliamo stringere quest'accordo: chi di noi due muoia, l'altro non sfregerà malamente, ma il corpo integro s'impegni piuttosto a restituirlo ai suoi cari, cosicché essi possano mitigare il dolore dandogli degna sepoltura ».

A dispettò di ciò sputava Achille tracotante sul patto e, guardandolo storto, gli diceva: « Ettore maledetto, non parlarmi d'accordi, te che m'hai tolto l'amico più caro! Come non possono esistere patti tra leoni e uomini, né tra lupi e agnelli, giacché sempre gli uni degli altri bramano il male, così non ci sarà alcuna amicizia tra noi, nemmeno nella lotta. Anzi, io ti dico, li pagherai tutti insieme i lutti dei miei compagni, che infuriando nella battaglia hai trafitto con l'asta! Non avrai pace nemmeno dappoi che sarai morto, non potranno piangerti la tua vedova e la vecchia madre, non avrai mai sepoltura, bensì nudo ed esposto alle intemperie ti sbraneranno i cani degli Achei, mentre gli uccelli affamati ti beccano gli occhi! »

Così disse, e palleggiando scagliò la lancia puntuta contro il nemico vicino. La vide venire Ettore possente nel grido di guerra e la schivò, prontamente rannicchiandosi. Sopra lo passò la lancia di bronzo, andando a piantarsi a terra, la raccolse Pallade Atena, subito rendendola ad Achille sterminatore. Vedendo compiersi queste cose, più lesto correva Febo Apollo ad avvisare Andromaca dalle bianche braccia.

La trovò ancora di fronte al simulacro di Zeus Herkèios nella reggia troiana, presso l'ara domestica. Genuflessa, i palmi tendeva verso l'alto, le lacrime le bagnavano il volto. A lei si manifestò nella propria forma divina, senza inganni, e le parlò: « o figlia di Eetione magnanimo, beato è il tuo sposo, che ha trovato una così devota e fedele alleata. Dall'alto Olimpo udii i tuoi lamenti e ne ebbi grande compassione. Così io stesso parlai col padre mio, Zeus che ama la folgore, lo convinsi a non abbandonare il marito tuo al proprio destino, giacché sempre grandemente ci ha onorati con sacrifici magnifici.

Discesi pertanto fin negli inferi più fondi, parlamentai con Thanatos impietoso, con parole e minacce lo persuasi a non ghermire oggi Ettore pastori di genti. E tuttavia solo al prezzo di un triste baratto egli esaudì le mie richieste: in cambio pretende infatti la vita di qualcun altro. Umile sacrificio dovrà però essere, bada bene, né spinto dal denaro o dal beneficio, né costretto con la violenza. Ma ora va', non sprecare tempo ulteriore: già infuria la lotta cruenta, temo che ancor per poco riuscirà Ettore splendido a tener testa al furioso Achille, finché Pallade Atena gli rimarrà al fianco. Non può certo un uomo solo lottare contro i numi potenti. Perciò ora corro ad assistere il marito tuo, a vedere se in un qualche modo contrastare posso la mia feroce sorella, ritardando il più possibile il momento ».

Mentre alla donna attonita diceva queste confortanti parole, ai suoi piedi, coperti dai sandali belli, deponeva un pugnale ben lavorato, dono di Zeus che scuote l'egida. Arma dalla lama sottile, puntuta, ancor monda di sangue. Si sollevava allora sulle gambe Andromaca, rinvigorita nella speranza, ma anzi che potesse proferir parola, svanì Apollo salvifico: corse a gettarsi nella lotta furiosa, a distogliere dal Pelide l'aiutante preziosa.

Raccolse perciò tra le mani il pugnale Andromaca moglie fedele, lo avvolse nel velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui Ettore domatore di cavalli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Lasciò a quel punto l'altare di Zeus Herkèios, il velo stringendo al petto, e tornò di corsa sull'alta torre, dove ancora la gente stava tutta assembrata per assistere al duello fra i due eroi.

Fra coloro che la videro venire simile a menade, i capelli disciolti e il volto sconvolto, nessuno osava porle domanda alcuna. La fermava invece Priamo re della stirpe di Zeus, le sfiorava la mano, con gentili parole le diceva: « nuora a me cara sopra tutte le altre, so che il tuo cuore t'impone, per amore dello sposo, di rimanere qui ad assistere, ma io t'imploro: non affacciarti da quel muro, non arrecarti un tormento ancor più intollerabile. Già il dolore ti sconvolse la mente, te lo leggo negli occhi. Perciò te ne prego, torna dal figlio tuo, stringilo al petto e trai da lui il conforto che ti è necessario. Certo ti manderò a chiamare io stesso quando sarà finito, ma ora troppo crudo spettacolo sarebbe questo per i tuoi occhi ».

Ricusava le sue preghiere Andromaca dalla lunga chioma, forte scuotendo la testa, e così gli rispondeva: « non oggi discenderà agli inferi tenebrosi il marito mio, perché un altro prenderà il suo posto! Un dio mi fece questa promessa, un dio ascoltò le mie preghiere accorate e mi esaudì: agli dèi è bene sempre porre fede. Dunque lascia che veda, solo io potrò salvarlo dalla Morte dispensatrice di orrori infiniti ».

L'ascoltava il vecchio re con cuore affranto, ritenendo che oramai fosse uscita di senno Andromaca dalle braccia bianche, pel troppo timore di perdere l'amato marito. Ma dette queste parole, ella subito si precipitava a scrutare dal muro, donde lo vide: aveva Ettore massacratore sfoderato la spada affilata, grande e pesante, ch'era appesa al suo fianco. Con essa s'avventava, stretto in guardia, contro il nemico. Achille dal canto suo, pieno di furia selvaggia, gli andava contro, davanti al petto tenendo lo scudo bello, ben lavorato. Scuoteva altresì l'elmo lucente a quattro strati, ondeggiavano i bei crini d'oro sul suo capo.

Scrutava nel mentre il corpo ben fatto di Ettore pastore di popoli, con cura cercando il punto dove fosse più esposto. Gli coprivano le membra le armi belle, tolte a Patroclo di forza dopo che l'aveva ammazzato. Restava scoperto lì dove divide il collo dalle spalle la clavicola, proprio alla gola, nel punto dove la morte giunge più rapida. Ivi puntava Achille il più tremendo di tutti gli eroi, impugnando la lancia dalla punta di bronzo, al tenero collo scoperto. Lo comprese Andromaca accorta dall'alto guardando, lanciò un urlo terribile, il cuore le tremò nel petto.

Veloce scoperse il pugnale, il velo avuto in dono da Afrodite che ama il sorriso si sparse in terra ai suoi piedi. Impugnò l'arma sottile con due mani, con sommo coraggio se la piantò diritta nel petto, spingendola a fondo. Era il suo animo più virile che quello di qualunque eroe. Così come vittima sacra s'immolava per la salvezza d'Ilio cara a Zeus. Così sacrificava la vita, la giovinezza e la bellezza, perché non perisse prima del tempo il marito caro più d'ogni cosa, e del figlioletto ancora in fasce, l'Ettoride tanto amato, gli Achei crudeli non facessero strazio. Un rivolo di sangue le affiorò dalle rosee labbra, la bocca assunse il sapore del metallo, già pesante la notte oscura le scendeva sopra le ciglia, già molli si facevano le tenere membra.

Udendo l'urlo s'erano intanto distratti Achille sterminatore e Atena predatrice insaziabile. Di ciò approfittava Apollo saettatore: veloce tendeva l'arco d'argento, una freccia infallibile scagliava contro il Pelide, gli trapassava il tallone da lato a lato. Un urlo potente lanciava l'eroe trafitto, la lancia dalla punta di bronzo gli scivolava di mano per la sorpresa, così lo scudo ben lavorato. Tutto il corpo rimaneva esposto al nemico. Ne approfittava Ettore massacratore: brandendo la spada lunga e pesante, contro di lui si scagliava. Lo colpì proprio alla gola, nel punto che l'armatura lasciava più esposto, tra il collo e la clavicola. La punta lo passò da parte a parte, attraverso il tenero collo. Si accasciava così nella polvere Achille prosciugatore di stirpi.

Queste cose vedeva Andromaca dall'alta torre, anzi che cadesse in ginocchio priva di forze. Al marito sorrideva con l'ultimo sorriso, benché egli ancor non la vedesse. Le si affannavano intorno le ancelle urlanti e i parenti tutti. Piangendo e gridando la sostenevano per le braccia, ella che moriva felice. La videro le tre Moire, figlie anch'esse della Notte funesta, coperta di nube caliginosa, e dell'Erebo, la tenebra infera. Vecchie deformi, dai lugubri pepli bianchi color del lutto, che filando solitarie lo stame della vita dei mortali, accompagnano l'eternità cantando il passato che fu, il presente e l'avvenire futuro.

Un tempo lo stame di Ettore splendido aveva Lachesi intrecciato a quello di Andromaca, il giorno in cui egli l'aveva presa in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti, affinché uniti in un solo destino conducessero il resto della loro esistenza. Ma vedendo ora che ella, benché nel fiore degli anni, abbandonava la vita, di nuovo lo scioglieva Lachesi, lo separava da quello di Ettore illustre, lo porgeva alla sorella più vecchia. Tendendo allora la forbice, Atropo spietata troncava lo stame dal breve percorso. Giungeva a compimento il suo destino.

Di ciò inconsapevole, così Ettore trionfante parlava al nemico morente: « sempre vivesti per la gloria, Pelide sciagurato, essa sola ti sarà dunque compagna nell'oltretomba. Uccidere fu il tuo unico talento e la tua maledizione: venisti cercando vendetta, la mia morte bramando, trovasti invece la tua. Certo se il contrario fosse stato, so che non avresti portato rispetto al mio corpo, ma che ne avresti fatto scempio pel puro piacere di sfregiare il nemico tanto odiato. Ebbene, quantunque tu abbia rifiutato il mio accordo sincero, ugualmente terrò fede alla mia parola. Il corpo tuo lo conducano pure gli Achei alle navi ricurve, lì lo depongano sull'alta pira i Mirmidoni tuoi compagni e vi appicchino il fuoco, dopo averti tributato onori regali. Di certo non troverei gloria nello gettarti in pasto alle cagne troiane, perché di te facciano scempio. Riconosco infatti il tuo valore, per quanto sempre mi portasti disprezzo ».

In punto di morte, stremato, gli rispondeva Achille sgominatore, poiché la spada non gli aveva reciso la trachea trapassandogli il collo: « cane miserabile! Certo ti è facile parlare adesso, te che hai vinto. Credi che maggiore sarà la loda, se ora misericordioso ti mostri nei miei confronti? Ah, sia tu dannato! Se ferito non m'avesse Apollo nel loco della mia debolezza, adesso saresti tu al mio posto nella polve. E però non temere, per me la morte non sarà così terribile come per te la vita da questo giorno in poi. Amarissima pena troverai tornando dentro Ilio ventosa, allora come desidererai che t'avessi io trafitto al collo quest'oggi, risparmiandoti un tale strazio! »

Mentre diceva queste parole, l'ora della morte l'avvolse. L'anima nera abbandonò le umane membra e se ne discese dritta nell'Ade pauroso. Lo guardava Ettore massacratore senza provare rancore, gli voltava le spalle, se ne tornava alle porte Scee, dietro di sé lasciando una schiera di Achei che piangenti lamentavano la perdita del compagno più valoroso.

Passate le possenti porte, s'incamminava dunque Ettore pastore di genti per la città dalle strade ben costruite. L'accoglieva il popolo festante così come s'accoglie un dio. Giungeva alla sontuosa reggia del padre, vastissima dimora, dotata di portici ben levigati, lì trovava una corte in lutto. Subito gli veniva incontro Paride bello come un dio, lo fermava, toccandogli le spalle, e cogl'occhi pieni di lacrime gli diceva « una grave disgrazia si è abbattuta sulla nostra casa mentre tu eri fuori, lì sotto le mura a batterti col Pelide in lotta furiosa. O Morte funesta! Una volta di troppo ha carpito uno dei nostri cari! »

Tremava il cuore nel petto ad Ettore valoroso, sentendo siffatte parole. Allora lesto lo interrogava: « deh, oltre non tenermi all'oscuro, ché l'attesa del non sapere m'accresce solo lo strazio. Non resse forse il cuore nel petto al nostro vecchio padre, vedendo quanto furiosamente mi battevo con Achille sterminatore? O forse alla nostra cara madre prese siffatto malore? Parla, per carità di Zeus che scuote l'Egida, che temo una disgrazia mille volte peggiore se più ti taci! »

Allora, in lacrime come un bambino, gli confessava Paride simile ai numi: « più non tacerò dunque. La sposa tua, la cara Andromaca, con sì grande disperazione se ne rimase a vederti affrontare da solo Achille furioso, che il dolore le sconvolse la mente tutta. Come una folle andava farneticando di dèi e di strane promesse. Ah femminil furore! Quando poi scorse che puntavati il Pelide la lancia alla gola, tra il collo e la clavicola, proprio lì dove la carne è più tenera ed esposta, non resistette la poveretta!

Scoperse la lama che manteneva celata nel velo che le aveva donato Afrodite d'oro, il giorno in cui tu la prendesti in sposa in casa di Eetione magnanimo, offrendo doni infiniti. Con quella si trafisse il petto, lì, nei pressi del cuore, dove più rapida giunge la nera potenza. Ah morte insensata! Avesse atteso un istante soltanto: spirò infatti col sorriso sulle labbra, vedendoti trionfante sul nemico sconfitto ai tuoi piedi, e serenamente se ne passò all'altro mondo. Ora giace distesa sul vostro talamo, nella casa piena di pianto, lì l'hanno condotta le donne pietose, lì al cielo innalzano alti lamenti senza posa ».

Così gli diceva Paride corto di mente, ed Ettore divino scuoteva la testa, incredulo, aborrendo anche il solo pensiero. Scansato il fratello, correva nella bella casa in cima all'alta rocca, costrutta per lui vicina alla reggia del padre e alla casa di Alessandro, frutto del lavoro di coloro che nella fertile Troia erano i più abili artigiani. Da lì udiva provenire i più penosi lamenti.

Ahimè amarissima vista! Quale atroce spettacolo gli si offerse allo sguardo una volta che ivi fu entrato! Giaceva la sposa preziosa immobile al centro della stanza, adagiata sul loro talamo. L'avevano vestita di bianco le donne pietose, i capelli disciolti le ricadevano sulle spalle, sul capo avevano adagiato il ricco diadema. Ora le si affannavano intorno, versando fiumi di lacrime, tra di esse erano la vecchia Ecuba con le sue belle figlie, ed Elena argiva. Tutte insieme innalzavano il loro angoscioso lamento.

Subito si precipitava da lei Ettore magnanimo, ai piedi del letto si gettava colmo di disperazione. Le prendeva la testa fra le mani ancora macchiate di sangue, il pallido viso dolcemente carezzandole, dolente vi poggiava contro la fronte. Così, bagnandola delle proprie lacrime diceva: « ahi, me sciagurato! Mi disse dunque la verità quel maledetto mentre moriva! Ahimè, ahimè! Strazio inumano! Perché con le tue stesse mani volesti toglierti la vita, mia amata?

Ricordo il giorno in cui piangendo mi rimproverasti il mio valore, dicendo che sarebbe stato la mia rovina. O infelice, cotanta tema (3) avevi che ti rendessi una triste vedova, or m'hai lasciato tu triste e vedovo! O misera! Al nostro figlioletto ch'ancor non parla non hai pensato? Paventavi che rimanesse orfano ed orfano l'hai reso. Ah fanciullo che non ricorderà la madre! Qual pensiero maligno ti sconvolse a tal punto la mente da spingerti ad un gesto sì efferato? Ah, se ucciso m'avesse il Pelide maledetto, duramente trafiggendomi al collo, lieto me ne sarei passato all'altro mondo, pur di risparmiarmi questo strazio! »

Lo udiva Apollo dall'arco d'argento e ne prendeva una gran pena. Assumeva allora le sembianze di Cassandra l'inascoltata e, ad essi facendosi avanti, con voce di donna diceva queste parole: « non crediate che per dolore si sia uccisa, Andromaca figlia di Eetione magnanimo, ben più nobili furono invero i suoi propositi! Ben più virile l'animo ch'ella vantò in vita! Allorché vide il marito non lungi da morte, disperata andò a gettarsi ai piedi dell'altare di Zeus Herkèios, implorando pietà. Esaudirono allora le sue preghiere i numi benevoli: a lei si manifestò Apollo salvifico con tale promessa: avrebbe Thanatos risparmiato la vita di Ettore magnanimo, se trovato si fosse qualcuno che acconsentisse a morire al suo posto. La povera donna certo poiché vide l'ora correre al termine e il Pelide avere la meglio, sacrificò ella stessa la vita. Coll'arma puntuta si trafiggeva il petto, per salvare il marito suo, il figlio bambino e Ilio tutta: così nobilmente finiva i suoi giorni ».

Alle sue parole credettero i Troiani domatori di cavalli e le Troiane dai lunghi pepli. Compresa solo allora la vera grandezza d'animo della defunta, più forte piangendo versavano le amarissime lacrime. Si abbandonava Ettore ad un ancor più angoscioso lamento: « o sposa mia dolcissima, amata più d'ogni cosa, se lasciato m'avessi al mio destino, certo m'avresti reso più gradito servigio! Ora in quale atroce rimorso dovrò io logorarmi per quanti giorni mi restino, ben sapendo che per farmi salvo della vita, tu, infelice, ti togliesti la tua? Non era la morte che temevo, mia adorata, ma una vita senza di te, e questa invero m'hai data! »

A lui che gemendo invocava la sposa perduta, s'accostò il padre affranto, Priamo Dardanide, confortandolo con queste parole: « non a torto si dette dunque la morte la sposa tua preziosa, di grande coraggio altresì la dotarono i numi benefattori. Or non lasciarti, figlio mio, abbatter dal troppo dolore, bensì, per il bene che le volevi, presto torna a difendere le sacre mura: possano ancora contare i combattenti troiani sul valente generale che li ha finora guidati. Non sia vano il suo nobile sacrificio: non conosca Ilio feconda il supplizio del fuoco, non ardano le sue belle case. Predati d'ogni ricchezza, non siano pur trucidati i suoi abitanti dalle empie mani degli Achei, le donne violate, gli infanti precipitati dall'alte mura.

Forte di te, vivrà ancor per mille anni la sacra Ilio sotto questo cielo, sempre che non le concedano gli dèi potenti un destino più lungo. Tramonterà il sole su questa terra per le innumerevoli notti a venire, cadrà la polve sul ricordo: un giorno lontano dimenticherà l'uomo il vero significato del coraggio, e l'onore, quale oggetto di poco valore, disprezzato finirà miseramente i suoi giorni. Nessuno più si prodigherà per la difesa della patria, né le darà lustro con imprese grandiose. Nessuno più innalzerà magnifici monumenti, non ci sarà bellezza, ma quella poca che a stento sopravvivrà sarà misconosciuta ai più. Soccomberà anche la Virtù antica, e quei pochi difensori di essa pur li soffocherà la turpedine che incalza, dai vili celebrata quale dea in quei tristi giorni senza lume e senza gloria. Le nostre voci e i gridi degli eroi certo li spegnerà il tempo invidioso, ma il nostro illustre nome, la nostra nobile stirpe, sconfiggeranno i secoli ».

Tributarono poi ad Andromaca figlia di Eetione magnanimo onori funebri qual solitamente si riservano ai più degni eroi. L'accompagnò allo Stige (4), acqua tremenda del giuramento, il lungo compianto dei cittadini: tutta Troia invero piangeva quella sventura tremenda, che privati li aveva di una siffatta preziosissima donna. Gli Achei dai forti schinieri, perduto il migliore, sconfitti se ne fuggivano alle navi ricurve, senza la preda sperata se ne tornavano in patria. Non tramontava così il sole su Ilio sacra, genitrice di eroi audaci.

 Non tramontava così il sole su Ilio sacra, genitrice di eroi audaci

(1) Lo stame è il filo della vita, intessuto dalle tre Moire: Κλωϑώ, Λάχεσις e Ατροπος, Parche per i latini

(1) Lo stame è il filo della vita, intessuto dalle tre Moire: Κλωϑώ, Λάχεσις e Ατροπος, Parche per i latini. In Omero sono concepite come una sola, ma io qui riporto il numero trino che si ritrova nell'epica successiva.

(2) Secondo la mitologia, la Morte non può essere corrotta.

(3) tema: arcaico per timore.

(4) Lo Stige (gr. Στύξ, dal verbo στυγέω, "odiare", da cui "fiume dell'odio"), è uno dei cinque fiumi presenti negli Inferi.

 

   
 
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