Serie TV > Da Vinci's Demons
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Autore: _armida    03/05/2019    2 recensioni
Dal capitolo XV:
“Si aspettano che io ti uccida?”, domandò lui con un filo di voce.
(...)
. “Mi… mi terrai la mano mentre… sì, insomma, dall’altra parte non sarò sola ma…”. Non riuscì ad andare avanti e si limitò a cercare aiuto nel viso che aveva di fronte.
“Lo farò per tutto il tempo che vorrai”, si affrettò a dire il Conte, mentre una lacrima sfuggita al suo controllo gli rigava una guancia.
Elettra la spazzò via con una carezza, tornando poi a sorridergli, seppur il suo tono di voce, quando parlò, fu estremamente serio. “Non per tutto il tempo che vorrò, solo il minimo indispensabile, poi correrai da Leonardo a salvargli la vita. Non voglio vedere nessuno di voi per i prossimi trenta o quarant'anni, almeno”, aggiunse in un tentativo di ironia. Si alzò sulle punte, per poter avere il suo viso all’altezza del proprio e lo baciò per l’ultima volta. “Addio, Girolamo”, disse ad un soffio dalle sue labbra.
Si guardarono negli occhi.
Una tacita domanda.
Un cenno di conferma.
Strinsero entrambi le mani intorno al pugnale e la lama si fece strada nella carne.
(seguito di "L'Altra Gemella)
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Nda
Prima di lasciarvi alla lettura di questo capitolo vorrei scusarmi con tutti voi per la mia lunghissima assenza: in questi mesi - in questo anno, anzi -, sono stata molto occupata dall'università e da altri progetti. Sono riuscita a partecipare alla scrittura di una collana di libri di architettura per il Corriere della Sera (😍) e ho vinto il mio primo concorso di scrittura! Credo che tutto ciò mi abbia portato a maturare nel mio modo di scrivere e spero che questo si riesca a sentire in questo e nei prossimi capitoli. 
Detto questo, prima di lasciarvi definitivamente alla lettura, vi invito a lasciare anche solo un piccolo pensiero con le vostre impressioni sul capitolo (e accetto anche insulti per la mia assenza, mi sento di meritarli tutti 🙈). 
E ora posso finalmente dirlo: BUONA LETTURA! 



Capitolo VII: La Fuga
 

Una settimana più tardi...
 

 

Le torce accese correvano lungo ogni molo, andando così a delineare il perimetro del porto per tutte le navi che si apprestavano ad attraccare quella notte. In lontananza, si potevano vedere le luci della città di Fuerteventura. Dalla taverna del porto invece giungeva un fitto chiacchiericcio e una melodia dall'aria famigliare, ma Elettra non seppe dire di cosa si trattava dal momento che si trovava troppo lontana.
Aprì l'oblò della cabina e si mise in punta di piedi, sperando così di riuscire a scorgere e ad ascoltare qualcosina in più, ma, come tutti i tentativi precedenti, non riuscì a vedere nulla di nuovo.
Sbuffò spazientita, ma rimase comunque in quella posizione.
Sul molo di fronte a lei passò una prostituta in cerca di compagnia: ancheggiava vistosamente e alzava spesso la testa lanciando occhiate maliziose ai marinai rimasti di guardia a bordo del Basilisco. Quella donna passava di lì ogni sera, sempre alla stessa ora ed era una presenza costante a scandire la sua giornata insieme a... Le campane della chiesa della città suonarono e, appena un istante più tardi, la porta della cabina si aprì.
Elettra non si voltò nemmeno verso di essa, perfettamente a conoscenza di chi si trattasse.
"Sappiate, Conte Riario, che non muoio certo di fame se entrate anche un attimo dopo"
Era dalla sera in cui Riario le aveva fatto la propria proposta che era stata rinchiusa là dentro. In cosa consisteva la proposta? Decifrare la Pelle dell'Abissino in cambio della libertà di Nico. Ovviamente non aveva accettato, causando l'ira del Conte, che, insieme a Zita, era l'unica persona autorizzata ad avere contatti con lei.
Alle sue spalle, lo avvertì posare un vassoio sopra al tavolo. Colazione, pranzo e cena erano così: costretta a tollerare la presenza di Riario e le sue frecciatine. Non che lei non ribattesse, anzi, tutt'altro.
"Avete passato un piacevole pomeriggio, madonna?", chiese con sarcasmo, osservandola dargli sempre le spalle. Non le lasciò il tempo di rispondere. "Dovreste provare a visitare l'interno dell'isola. O il faro, la vista da lassù è fantastica, per non parlare delle spiaggia, mai vista una sabbia così chiara e fine"
La stava provocando, deliberatamente. Questo Elettra lo sapeva. E non era intenzionata a cedere: aveva un proprio piano da mandare avanti. "Potevate provare l'ebrezza di un salto dal faro, oppure ingoiare quella sabbia che tanto decantate", ribatté innocentemente.
"Vi basterebbe accettare la mia più che generosa proposta e vi farei da guida dell'isola io stesso". Fece un passo avanti verso di lei.
Dal canto suo la giovane si mise a ridere: una risata volta unicamente a deriderlo. Ancora una volta non si voltò nella sua direzione, focalizzando tutta la propria attenzione a ciò che vi era oltre l'oblò aperto.
Riario avanzò ulteriormente, silenzioso come il migliore dei predatori, arrivandole vicinissima. "Riconoscete questa melodia, Elettra?", le chiese all'orecchio con voce bassa, scandendo lentamente il suo nome.
Elettra si irrigidì all'istante per via di quella vicinanza inaspettata. Deglutì prima di negare con il capo. "E' troppo lontana", affermò, per poi aggiungere: "Non che mi interessi".
Mentiva.
E lo sapevano entrambi.
"La notte scorsa ha attraccato al porto una nave con a bordo diversi fiorentini", rivelò Riario, senza allontanarsi di un passo.
Lei sapeva dove voleva andare a parare. Ma no, non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
"Non può trattarsi di Leonardo, altrimenti non sareste qui ostentando tutta questa tranquillità", ribatté.
Il Conte ignorò la sua affermazione, proseguendo per la propria strada. "Potrebbe trattarsi dell'Ammiraglia", disse. Le labbra così vicine che pareva quasi le sfiorassero l'orecchio. Un contatto che la lasciava tutt'altro che indifferente. "Vostro padre potrebbe essere qui, forse in questo momento sta cantando alla locanda su queste note". Restò in silenzio per alcuni secondi, facendo finta di ascoltare quella melodia lontana, per poi riprendere a parlare. "Non vi pare frustrante? Così vicino, eppure così lontano". Le sfiorò con il naso il collo, prendendo un respiro e assaporando il suo profumo. "Un sì e potrete riabbracciarlo"
Elettra si voltò di scatto.
E per un istante Riario credette di averla in pugno.
Lo sguardo di lei cadde per un attimo sulle sue labbra, ma subito dopo tornò a guardarlo negli occhi; l'azzurro dei suoi, invece, pareva un mare in tempesta.
"Mi credete così disperata da accettare solamente alla luce di una vostra alquanto improbabile supposizione?", sibilò.
Lo superò, dirigendosi verso il tavolo e alzando il coperchio del vassoio. Prese il proprio piatto, sedendosi poi a tavola. "Siete voi che avete un disperato bisogno che vi decifri quella mappa per riprendere il mare. In quanto a me, tutto ciò che mi occorre è restare qui fino a quando Leonardo non arriverà. Chi è in vantaggio ora?". Prese una forchettata di verdura, portandosela lentamente alle labbra, soddisfatta.
Riario prese posto di fronte a lei: pareva irritato, ma tentava di non darlo troppo a vedere.
"Cosa vi fa credere che Da Vinci intenda proseguire la ricerca del Libro delle Lamine? E soprattutto, cosa vi dà la certezza che farebbe scalo proprio qui?"
"Primo: credo nella cocciutaggine di Leonardo. Secondo: ogni nave che esce o entra nel Mediterraneo fa scalo qui"
Lo vide indurire impercettibilmente la mascella e gli sorrise, raggiante del risultato.
"Non siete mai stata una donna paziente, Elettra", si limitò a farle notare.
Era vero, non lo era mai stata. Ma aveva un proprio piano: le serviva solo la giusta occasione... e i mezzi li aveva già.
 

 

***

 

L'occasione arrivò appena qualche giorno dopo, una sera che il Conte aveva detto che sarebbe stato a cena dall'abate del monastero dell'isola e, quando glielo aveva comunicato, ci aveva tenuto molto a farle notare quanto, persino su quell'isola, cenare con il nipote di Sua Santità fosse considerato un onore. Era stata una chiara frecciatina nei suoi confronti? Elettra si era fatta una grossa risata, per poi augurargli in tono mellifluo che sperava con tutto il cuore che la cena gli andasse di traverso e che morisse soffocato.
Mentre attendeva il cambio guardia ‒ il marinaio che c'era in quel momento era troppo sveglio, ma quello che ci sarebbe stato dopo non lo era affatto ‒ ripassò mentalmente il piano: il grasso di balena, che fortunatamente sull'isola era più economico della cera delle candele e quindi più usato, era già al proprio posto, sparso sulle assi del pavimento vicino alla porta. Ad Elettra venne da ridere pensando al padre e a una delle sue prime regole: mai appiccare incendi in una nave fatta  completamente di legno. Ma era certa che in questo caso avrebbe approvato pure lui.
Tutte le precauzioni del caso le aveva però prese, infatti poco distante immersa in un recipiente d'acqua se ne stava una pesante coperta di lana.
Il piano sarebbe stato questo: avrebbe acceso un piccolo fuoco in modo da attirare l'attenzione della guardia che sarebbe senz'altro entrata in cabina a controllare, a quel punto avrebbe messo in condizioni di non nuocere per un po' il povero malcapitato e gli avrebbe preso le chiavi della cella di Nico, lo avrebbe liberato e insieme sarebbero fuggiti. Un piano semplice. Che cosa mai poteva andare storto?
La cadenza dei passi in corridoio cambiò, facendosi più lenti e strascicati, segno che il marinaio furbo aveva lasciato il posto al mozzo, un uomo anziano, dal pizzetto bianco e la pancia fin troppo allenata alla birra e il vino. Probabilmente doveva già essere sulla via dell'ubriachezza in quel momento.
Il piano poteva avere inizio.
Si sistemò un lembo di stoffa a coprire bocca e naso, per non aspirare fumo ed avvicinò la fiamma della lampada che teneva sopra al comodino alla chiazza di grasso di balena, essa prese fuoco in un istante, dopodiché fece in modo che il fumo si dirigesse verso la porta chiusa, così che esso si spargesse anche per il corridoio della nave.
"Aiuto!", urlò battendo colpi sulla porta. "Aiuto!", ripeté fino a quando non avvertì i passi concitati del mozzo.
Finse alcuni colpi di tosse, seguiti da quelli veri dell'uomo.
"Tutto bene?", chiese quest’ultimo, allarmato. Lo udì togliere la spranga che bloccava la porta e poi cercare la chiave giusta.
"La... la lampada è caduta a terra, qui va tutto a fuoco, vi prego aiutatemi", rispose Elettra, fingendo la voce di una persona nel panico più totale.
Il marinaio imprecò. "Ora vi faccio uscire, signora". Mise la chiave nella toppa ed aprì la porta.
Quello che non si sarebbe mai aspettato una volta dentro era di non trovare immediatamente con lo sguardo la giovane donna del Conte.
Elettra si era infatti nascosta sfruttando il fatto che il battente si sarebbe aperto verso l'interno, lasciando così in ombra una parte della parete della cabina. Lui le dava così le spalle, distratto dal fuocherello che aveva davanti ai piedi, in questo modo poté arrivargli silenziosamente vicino.
Strinse per un istante, esitando, il collo della bottiglia di vetro che aveva tra le mani, poi con forza la calò sulla testa dell'uomo, mandando il vetro in frantumi. Il mozzo stramazzò al suolo, messo momentaneamente al tappeto.
Corse immediatamente a coprire il piccolo incendio con la coperta zuppa d'acqua ed aprì l'oblò, in modo che una volta chiusa la porta, egli non morisse affumicato.
Gli prese dalla cintura il mazzo di chiavi, prima di richiudere alle sue spalle la cabina e dirigersi verso la stiva dove Riario teneva rinchiuso Nico.
Percorse i pochi gradini a scendere di corsa, impaziente di liberare l'amico.
"Nico!", chiamò nel frattempo.
Dalla cella provennero dei lamenti, come quelli di chi viene svegliato in modo troppo brusco. Forse era quello il caso.
"Che c'è? Leonardo non è in bottega, ora", farfugliò il ragazzo, ancora immerso nel sonno.
"Nico, muovi il culo. Dobbiamo andarcene al più presto via da qui", ribatté lei, cercando nel mentre la chiave giusta per aprire.
Lo  vide scattare di colpo e mettersi seduto.
"Elettra!". Sul suo volto comparve un largo sorriso. "Stai bene"
"Per ora, ma non potrei dire lo stesso se Riario ci beccasse fuggire, quindi muoviti"
Finalmente trovò la chiave giusta ed aprì.
Lo aiutò ad uscire dall'angusto spazio che era la sua cella e dopodiché corsero fuori dalla stiva.


Nico stava per proseguire dritto, verso il ponte principale della nave, ma Elettra lo tirò per un braccio all'interno di quello che capì successivamente essere lo studio del Conte. La vide mentre rovistava in giro, probabilmente alla ricerca di qualcosa. "Elettra, cosa stai facendo?", la rimproverò. Prima diceva a lui di muoversi e poi era lei quella a perdere tempo.
"La mia spada, non ho intenzione di lasciarla qui". Aprì un cassetto e ne tirò fuori uno stiletto; sul manico era impresso  su oro il sigillo del Vaticano: doveva trattarsi di uno degli stiletti di riserva di Riario. Lo prese tra le mani, tentando di imitare il gesto tipico del Conte e rigirarselo tra le mani, ma le cadde a terra.
Nico alzò gli occhi al cielo, mordendosi però la lingua per evitare di parlare.
"Potrebbe sempre esserci utile". E detto questo la giovane se lo incastrò nella cintura.
Lo sguardo del giovane Machiavelli intanto vagò per la cabina, soffermandosi sugli oggetti disposti sull'ampio scrittoio: vi era la Pelle dell'Abissino, la copia della Mappa dell'Ebreo fatta da Leonardo e l'Astrolabio. Poco più avanti, gettata a terra vi era la sacca in cui lui stesso aveva messo quei tre preziosi oggetti prima di partire e che poi erano stati requisiti da Riario.
Ora se li sarebbe ripresi.
"Trovata!", fece nel frattempo Elettra, mostrando la sua preziosissima spada. Il suo sguardo però si fece immediatamente perplesso. "Nico, cosa stai facendo?"
Il giovane chiuse la propria sacca e si diresse alla porta. "Mi sono solo ripreso ciò che era nostro"
La ragazza fece un'alzata di spalle, prima di dirigersi anche lei verso l'uscita. E da lì verso la libertà.
Forse.
 

***


Il ponte di mezzana era insolitamente deserto, nemmeno la vedetta era al proprio posto.
“Sarà con l'allegra donnina in abiti succinti che passa sul molo ogni sera”, pensò Elettra, muovendosi comunque con cautela e stringendo l'elsa della propria spada, pronta a sguainarla al minimo pericolo. Nico, alle sue spalle, cercava di replicare i suoi movimenti nonostante non avesse la stessa scioltezza.
Erano quasi nelle vicinanze della scaletta che portava al molo, quando il rumore di numerosi passi e delle voci li portarono ad arrestarsi improvvisamente: conoscevano perfettamente di chi poteva trattarsi.
Elettra prese Nico per un braccio e quest'ultimo si ritrovò senza quasi rendersene conto seduto a terra, nascosto alla vista dei nuovi arrivati dietro ad alcuni barili. Gli scappò un lamento, che la ragazza non riuscì a celare completamente premendogli una mano sulla bocca. Con un'espressione scocciata, gli fece cenno di restare muto come un pesce.
La osservò mentre si sporgeva leggermente per studiare i movimenti del piccolo gruppo sul ponte.
Il Capitano de Noli, alcuni membri della ciurma, il Conte Riario e il suo piccolo manipolo di guardie svizzere si guardavano intorno come se qualcosa non tornasse.
"Sembra la nave di nessuno" fece notare il Capitano.
Riario annuì distrattamente, come se ci fosse qualcos'altro ad occupargli i pensieri. Fece alcuni passi sul ponte, avanti e indietro. "C'è odore di bruciato", proferì in conclusione. Contrasse la mascella e lo sguardo prese a fissare le scale che portavano ai piani inferiori della nave. "Andate a controllare i prigionieri", ordinò alle proprie guardie.
Queste corsero immediatamente in quella direzione. L'elsa della spada stretta in mano, pronti a sguainarla al minimo segnale di pericolo.
Si avvertirono i loro passi sul legno grezzo della scala e l'inconfondibile suono dell'armatura in movimento perdersi tra i suoni del mare.
Nico non aveva mai sentito tante imprecazioni uscire dalla bocca di una persona, in particolar modo da quella di una donna, ma la lunga sfilza che lanciò Elettra era certo che avrebbe fatto impallidire persino i peggiori elementi della ciurma. Pareva che nel tempo passato su quella nave avesse imparato nuovi termini. Finite queste passò ad un'altra lingua dai suoni aspri e pungenti, forse si trattava di tedesco.
Solo una volta esaurite le imprecazione e dopo aver preso un lungo respiro si decise di voltarsi con titubanza per dare una veloce occhiata oltre alla fila di barili: Riario si guardava intorno come se fosse alla ricerca di qualcosa. Di loro, senz'altro.
Il suo sguardo si fermò sulla pila di barili dietro i quali si erano nascosti e un sorriso tutt’altro che rassicurante comparve sul suo volto. Mosse alcuni passi nella loro direzione.
Elettra tornò di scatto nella posizione in cui rimaneva nascosta meglio, con le spalle premute contro i barili.
"Merda", le sfuggì a mezza voce, osservando dritto negli occhi Nico. "Merda", ripeté a mo' di mantra, prendendo poi nuovamente un lungo respiro.
Al ragazzo non passò inosservata la sua mano stretta nervosamente intorno all'elsa della propria spada e la sua posa, simile a quella di una vipera pronta a scattare per mordere il suo predatore.
I passi di Riario però si arrestarono improvvisamente, sostituiti da quelli più concitati delle guardie di ritorno dalla perlustrazione delle celle dei prigionieri.
"Sono fuggiti, Vostra Grazia", disse una di esse.
Dei passi strascicati giunsero per ultimi sul ponte. Doveva trattarsi del povero mozzo che nel frattempo aveva ripreso i sensi.
"La donna ha simulato un incendio e ha stordito il marinaio di guardia che era accorso in suo aiuto e poi ha liberato il ragazzo", spiegò un'altra voce.
"Potrebbero essere scappati ormai da un pezzo, forse dovremmo cominciare a cercarli a terra", fece notare De Noli.
Elettra tornò a voltarsi e vide Riario scuotere la testa e tornare ad osservare il ponte. Non sapeva come fosse possibile, eppure quell’uomo sapeva già tutto.
“Io li distraggo e tu scappi", bisbigliò al suo compagno di fuga.
Nico la osservò ad occhi sgranati. "E poi?", chiese.
"Mi inventerò qualcosa e ti raggiungerò, tu intanto pensa a nasconderti bene"
"Ma..."
"Ascolta, Nico, ho visto parecchie insenature lungo la costa prima di attraccare qui. Cercane una e nasconditi lì". Sorrise. "Io saprò cavarmela, in fondo ho imparato dal migliore", tentò di ironizzare riferendosi a quel 'paraculato' di Leonardo.
Entrambi avrebbero però voluto lì Da Vinci in quel momento: lui avrebbe senz'altro saputo come uscire da quella brutta situazione.
"Il Maestro è un incosciente fortunato", borbottò in risposta il giovane, preparandosi a correre non appena Elettra gli avesse dato il segnale.
"Mi dite tutti che gli assomiglio, è ora di provarlo", ribatté lei, estraendo la spada lentamente, in modo da non produrre rumore. Si alzò in piedi, rivelando così la propria presenza. "Vai!", urlò.
Nico scattò come una lepre mentre le guardie svizzere si muovevano verso Elettra con le spade anche loro sguainate.
Una di esse attaccò e le due lame cozzarono in un clangore metallico. L'ultima volta che lei aveva udito quel suono... i troppo dolorosi ricordi del Duomo le mozzarono il respiro, portandola a non parare il colpo come avrebbe voluto. Cadde a terra in ginocchio.
"Non fatele del male!". La voce di Girolamo appariva allarmata, ma comunque manteneva la propria sfumatura autoritaria.
Tuttavia la guardia che stava incalzando la giovane decise di tentare un ultimo affondo. Elettra fortunatamente fu abbastanza veloce da rimettersi in piedi ed arretrare, evitando così per un soffio il fendente che mirava dritto alla sua pancia.
Il Conte scansò quella guardia da un lato, limitandosi a fulminarla con lo sguardo. Per ora.
"Elettra, posa quella spada", tentò di convincerla.
In risposta, lei tentò un affondo verso di lui, portandolo ad estrarre la propria lama. "Non costringermi a farti del male", la avvisò.
Non voleva ferirla. E dai suoi gesti capì che nemmeno lei voleva fargli del male, seppure pareva pronta a tutto pur di riuscire a fuggire. La incalzò, portandola ad arretrare nuovamente.
In risposta la giovane tentò di contrattaccare, ma il colpo fu abilmente parato senza sforzo.
Un colpo di piatto, precisissimo sulla mano che reggeva la spada scucì dalle labbra di Elettra un gemito di dolore mentre l'arma le sfuggiva di mano. A quel punto lui le fu addosso ma, mentre si trovava stretta nella morsa delle sue braccia muscolose, riuscì comunque a fargli uno sgambetto.
Caddero entrambi a terra.
Lui con tutto il proprio peso sopra a lei.
Un nuovo gemito le sfuggì quando la sua schiena incontrò le dure assi del ponte e dovette chiudere per alcuni istanti gli occhi per cercare di fare scomparire i tanti puntini bianchi che le offuscavano la vista: per via del  brusco atterraggio e per il peso di Riario, le costole erano tornate a dolerle.
Si costrinse a respirare nonostante le fitte, mentre lo avvertiva stringerle e bloccarle i polsi a terra. Voltò il viso di lato pur di non permettergli di vederla in volto e notò che Nico era tenuto fermo da alcuni marinai: il loro piano di fuga era ufficialmente fallito.
"Riportate il ragazzo in cella, a lei ci penso io", disse Riario.

 

   
 
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