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Autore: moira78    13/05/2019    3 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 12: LITE

Grazie come sempre, Tiger Eyes, per aver corretto le mie sviste ed eliminato il superfluo!

Nabiki avrebbe voluto urlare. Più di quanto aveva fatto Akane. Più di quanto avesse fatto chiunque altro. Ma era così stremata che si rassegnò all'idea di sciropparsi tutta la filippica di Kuno. Tanto, alla fine, sarebbe bastata una frase detta con sufficienza per liquidarlo.

"Ti prego, devi ascoltarmi", disse con calore.

Lei roteò gli occhi e si lasciò cadere sul tatami, appoggiando la testa sul gomito. "Ti ascolto", sbuffò pizzicandosi la base del naso con due dita: le stava tornando il mal di testa. Feroce, per di più.

Lo udì prendere fiato e tentò di scollegare il cervello, mentre parlava. Con scarso successo.

"Nabiki Tendo, sono sempre convinto che sposarti senza che il sentimento che ci lega sia reciproco sia poco corretto. Tuttavia, devo ravvedermi che esiste una creatura che non ha colpa di tutto ciò ed è il figlio che stiamo per mettere al mondo. Io e Kodachi siamo cresciuti senza l'affetto di una vera famiglia, quindi so quanto sia crudele tutto ciò. Ho, quindi, intenzione di prendermi le mie responsabilità. Voglio che il bambino abbia un padre e una madre".

"Li avrà, ma non saremo noi. Lo darò in adozione", ribatté prontamente Nabiki, con tono stanco.

"Tu non farai nulla del genere, te lo impedirò". Il tono veemente del ragazzo le fece spalancare gli occhi per la sorpresa. Si era aspettata una preghiera lacrimevole, una dichiarazione d'amore struggente nei suoi confronti. Invece lo sentiva blaterare di responsabilità e famiglia.

"Questo bambino è anche mio, se te lo fossi scordato. Io non darò il mio consenso all'adozione. Piuttosto lo alleverò da solo, anche se preferirei che fossimo noi due. Nabiki, non volevi i miei soldi? Bene, li avrai. Non dovrai mai alzare un dito, solo stare a casa con il bambino", continuò Kuno.

"Io non voglio stare a casa dietro a un bambino!", si ritrovò ad alzare la voce, il cuore che le martellava nel petto. Ora capiva. Capiva che, ancora più dei soldi, teneva alla sua libertà. Voleva andare a fare spese, cenare nei migliori ristoranti, viaggiare: che vita sarebbe stata essere ricca ma rimanere tappata in casa con un marmocchio urlante e bisognoso di cure?

Non era pronta alla reazione di Kuno, che sbatté un pugno sul tavolino: "Ti stai comportando come una mocciosa, Nabiki Tendo, e questo mi delude molto. Non me lo aspettavo da te. Sapevo perfettamente che eri viziata, ma questa creatura non ha colpa ed è nostra responsabilità...".

"Stavo per abortire", sputò lì per il solo gusto di fargli del male, di porre fine a tutto. Akane ne era rimasta sconvolta e si era allontanata, forse avrebbe funzionato anche con lui. Se quell'azione ripugnava così tanto le persone, tanto sarebbe bastato per liberarsi di Tatewaki una volta per tutte.

Lo vide impallidire, poi fece una cosa che per la frazione di un secondo la spaventò: le si avvicinò con un braccio alzato, nel chiaro intento di schiaffeggiarla. Rimase serio, gli occhi piantati nei suoi, la mano che tremava, le labbra serrate come per impedirsi di urlare. Deglutì vistosamente un paio di volte, il pomo di Adamo fece su e giù. Poi, parve ritrovare la calma: "Non picchierò la madre di mio figlio", dichiarò abbassando il braccio e voltandole le spalle.

Nabiki, che era rimasta in silenzio ma non aveva mai abbassato lo sguardo, cominciò a provare una sensazione spiacevole allo stomaco, diversa dalla solita nausea. Possibile che fosse una velenosa punta di senso di colpa?

"La mia opinione, dunque, non conta? Non sono forse io che ho nella pancia...?".

"Oh, non propinarmi le solite stupidaggini del tipo: il corpo è mio e me lo gestisco io. Cresci, Nabiki, e sii responsabile delle tue azioni e dei tuoi errori. Sono disposto a darti tempo, a lasciarti riflettere con calma, ma non ti consentirò di dare via mio figlio come se fosse un fardello di cui liberarsi. Se sarò costretto, ricorrerò ai miei avvocati". Detto questo, si alzò e fece per andarsene.

Nabiki aprì la bocca: non poteva lasciargli l'ultima parola, non doveva essere lui a guidare la situazione, diamine! Frustrata, scattò in piedi: "Quindi quello che sento io non ha alcun valore? Non eri tu quello che diceva di amarmi, fino a qualche tempo fa?". Si odiò per quelle parole, ma si trovava su un terreno sconosciuto e non aveva altri argomenti.

"E cosa senti, Nabiki Tendo, dimmelo". Kuno voltò di nuovo il viso verso di lei, senza però fare nemmeno il gesto di girarsi per tornare indietro. "Tu non ami che te stessa e i soldi. Se non hai alcun tornaconto nelle situazioni più disparate, lasci agli altri la briga di occuparsene, oppure li sfrutti finché non ti rimane più nulla da prendere. Non credevo che fossi così povera dentro, me ne accorgo solo ora. Pensavo che avrei potuto amarti anche se tu non mi avessi mai ricambiato, ma la tua freddezza ucciderebbe i sentimenti dell'uomo più determinato. Mi chiedo cosa possa aver visto in te, in questi anni".

Dopo di questo, se ne andò davvero. Nabiki respirava pesantemente, sull'orlo di una crisi di nervi. Attese che si fosse allontanato a sufficienza, poi urlò con quanto fiato aveva in gola e rovesciò tutto quello che aveva a portata di mano, rompendo vasi, piatti e soprammobili.

La leggendaria, fredda e calcolatrice Nabiki Tendo aveva ufficialmente perso la calma e non gliene importava un fico secco.

***

Kasumi sparecchiò la tavola in silenzio, guardandosi attorno. I bambini erano in cortile con Ono e la nonna, e sentiva distintamente le loro voci attraverso i vetri della cucina. Aveva chiesto di poter rassettare da sola, rifiutando l'aiuto del marito e della suocera, per avere un po' di tempo per sé.

Il sentimento nocivo, che pareva averla avvolta da quando era ricomparsa Mayumi, stava ritirandosi poco a poco per lasciare di nuovo posto alla calma e alla gioia. La brutta esperienza vissuta e i timori che le avevano affondato gli artigli fin nel profondo del cuore stavano svanendo per lasciare il posto solo a un pessimo ricordo.

Aveva parlato di nuovo con Ono, quando i bambini non erano presenti, e aveva scoperto di non essere più in collera. Aveva risentito fortemente anche lui della situazione, avrebbe dato la sua vita piuttosto che vedere i figli nelle mani di quei delinquenti, aveva pagato lo scotto del suo stesso errore. Si era ripetuto mille volte che, se avesse allertato le autorità o almeno se stesso, quel giorno non avrebbero lasciato Akio e Daiki da soli con la nonna, offrendo ai rapitori la possibilità di agire su un piatto d'argento.

Kasumi aveva avvertito il dolore dell'uomo, e quello stesso dolore l'aveva fatta sentire in colpa per il risentimento che provava. Erano una coppia, si amavano e avrebbero affrontato mille sfide nelle quali la responsabilità poteva ricadere sull'uno o sull'altro a seconda delle situazioni. Ma se non erano capaci di superarle, allora, voleva dire che non erano abbastanza affiatati. Invece loro lo erano e lei ne era consapevole ogni giorno di più.

Il senso di completezza che l'avvolgeva quando erano a tavola tutti insieme, o quando guardavano i bambini giocare o li mettevano a letto leggendo una favola a testa, era ciò che di più gratificante potesse avere una donna. Kasumi Tendo Tofu non poteva desiderare altro. Sperava che le cose si sistemassero anche per le sue sorelle, anche se Akane era già a buon punto. Nabiki, invece, la preoccupava più di tutti: non aveva avuto modo di parlarle molto dopo il suo annuncio, visto quello che era successo, ma si ripromise di andarla a trovare.

Si tolse il grembiule e raggiunse la sua famiglia sotto al sole, in cortile, sorridendo davvero per la prima volta dopo tanto tempo.

***

Mentre tornava a casa a piedi, Akane si fermò guardandosi alle spalle. Doveva parlare con suo padre e scusarsi con lui, ma a quanto pareva quel giorno non era in casa. Non che fosse entrata, ancora non se la sentiva di affrontare Nabiki. Ma, passando per il dojo, non aveva udito le solite risate sguaiate di Soun e Genma che giocavano a shogi o rincorrevano Happosai.

Probabilmente sono fuori città.

Aveva litigato praticamente con tutti e, anche se aveva le sue buone ragioni, quella era la sua famiglia e dovevano chiarirsi. Una parte di lei avrebbe voluto che fosse suo padre a fare il primo passo, scusandosi per gli errori commessi e per averla trattata quasi come una macchina sforna-bambini ogni dannato mese. Allora, lei si sarebbe detta dispiaciuta di aver urlato a quel modo e tutto sarebbe tornato come prima.

Cosa gli impedisce, di farlo? L'orgoglio, la testardaggine o la convinzione di essere nel giusto?

Sospirò, chiedendosi se dovesse aspettare ancora qualche giorno per presentarsi a casa dopo l'allenamento dei bambini. Lanciò un ultimo sguardo indietro e vide Kuno uscire a grandi passi dal portone principale. Sembrava furioso e si allontanò senza neanche vederla. Akane sbatté le palpebre. Se aveva litigato con Nabiki non li aveva sentiti urlare, d'altronde non si era messa ad origliare ed era rimasta a una certa distanza dall'ingresso. Strinse le buste della spesa combattendo contro l'impulso di vedere cosa diavolo fosse successo e fece un altro paio di passi verso casa.

Nabiki sarà furiosa. O vittoriosa. O infastidita.

Eppure, non fu per semplice curiosità che riempì quasi di corsa la distanza che la separava dal dojo e si fermò sulla porta, con una mano alzata per bussare. Doveva davvero bussare a casa sua? E cos'erano quei rumori? Un urlo la fece muovere contro la sua volontà e Akane aprì la porta schivando per un pelo un vaso pieno d'acqua, che si schiantò sulla parete a fianco della porta.

"E tu che diavolo ci fai qui?!".

"Nabiki, ma sei impazzita?". Mai, mai nella sua breve vita aveva visto la sorella maggiore perdere il controllo così. L'aveva vista arrabbiata, ma sempre con una padronanza che le aveva permesso di ribaltare la situazione a suo vantaggio. Nabiki analizzava le situazioni e trasformava la frustrazione in un'idea brillante. Non si metteva a lanciare vasi e a urlare come una furia scatenata.

Akane capì che, per una volta, doveva essere lei la più matura. Posò le buste con attenzione e si avvicinò alla sorella, togliendole gentilmente di mano un soprammobile di legno che sembrava volesse scagliare chissà dove. Aveva il viso arrossato ed era spettinata, sembrava sull'orlo dello svenimento.

"Credo che dovresti sederti", le disse prima di poterselo impedire.

La reazione di Nabiki fu immediata: "Smettila di trattarmi come una malata! Io sto benissimo!", gridò barcollando subito dopo.

"Sì, sì, certo che non sei malata, ma intanto sediamoci e raccontami cosa diamine è successo, vuoi?". Cercò di usare un tono calmo e conciliante e questo parve colpire Nabiki, che obbedì perplessa. Poi, incredibilmente, scoppiò a ridere.

Akane la guardò per un istante, inarcando un sopracciglio con aria interrogativa: "Il mondo va alla rovescia, parola mia. Tu fai la parte di Kasumi, io vengo colta da crisi isterica e Tatewaki si mette a fare le paternali sulle responsabilità genitoriali".

Ora capiva: Kuno doveva aver saputo dell'adozione e, forse, di qualcos'altro. Guardando Nabiki così nervosa e, incredibile ma vero, sconfitta, Akane venne colta da un'improvvisa empatia. Certo, non avrebbe avuto le sue reazioni e, nonostante tutto, avrebbe accolto l'arrivo, seppur per lei prematuro, di un figlio. Soprattutto dopo tutto il tempo che aveva passato a tentare di averlo. Ma non erano tutti Akane Tendo.

"Nabiki, se per te era un tale peso portare avanti questa gravidanza... perché non sei andata fino in fondo?". Le tremò la voce, ma dovette chiederlo. D'altronde, chi era lei per giudicare i motivi di una donna di fronte a una decisione così drastica? In cuor suo, sperava che, nel caso di Nabiki, ci fosse quella componente di umanità che sapeva essere, anche se ben nascosta, nella sua natura.

Lei la guardò e sul suo volto lesse prima lo stupore, poi la serietà di una profonda riflessione, infine qualcosa che le parve sfiorare il disgusto: "Perché sono una vigliacca".

Akane sorrise e le mise una mano sulla sua, sapendo che Nabiki non avrebbe gradito una manifestazione di affetto simile. Ma non poté farne a meno. La sorella si limitò a voltarsi dall'altra parte, sembrava voler calmare i nervi ma non si sottrasse al suo tocco.

"A quanto pare per far adottare un bambino devono essere consenzienti entrambi i genitori e Tatewaki vuole mettere di mezzo i suoi avvocati. Devo raccogliere più informazioni e verificare le mie possibilità", disse con tono determinato.

"Fai pure tutte le ricerche che vuoi, Nabiki. Ma non chiuderti subito la porta, perché potresti pentirtene. Ora lui è una cosina piccola e silenziosa, senza volto. Ma una volta nato... potresti anche amarlo". Akane non sapeva da dove le venissero quelle parole. Lei non aveva ancora figli e, per quanto ne desiderasse in futuro, era a digiuno di istinto materno provato sul campo. Ma, evidentemente, era latente in lei da sempre, come in ogni donna, e bastava evocarlo per capirne il potenziale.

"Tatweaki ha detto che non amo che me stessa e i soldi", rispose con un sorrisetto sghembo.

"E tu a chi credi, a lui o a te stessa? Tu sai chi sei, Nabiki, e forse, invece di metterti una maschera da donna infallibile, ogni tanto dovresti lasciare che i sentimenti trovino spazio dentro di te. Ti potresti anche stupire di quanto ti rendano forte, alle volte".

Nabiki alzò un sopracciglio, evidentemente perplessa: "E queste perle di saggezza così profonde da dove ti vengono? In questi ultimi anni penso sempre più spesso che tu abbia sbagliato strada, dovresti fare la psicanalista", disse con tono semiserio.

Akane rise: "Non sopporterei di avere a che fare con donne esaurite tutto il giorno: meglio fare kata e tirare pugni!", dichiarò alzandosi. Mentre andava alla porta, disse a Nabiki che sarebbe tornata per fare pace anche con suo padre, ammesso che lui la ascoltasse senza tirare fuori nuovamente argomenti spiacevoli.

"Lo preparerò io alla tua visita, tranquilla. Sai una cosa? Anche Kuno stava per schiaffeggiarmi quando gli ho detto che avevo intenzione di abortire".

Akane rimase a guardarla senza dire nulla. Probabilmente si meritava uno schiaffo come quello che le aveva dato, o probabilmente no. Di sicuro non avrebbe voluto che glielo desse Kuno.

"Forse devo valutare la possibilità di smetterla di raccontare quella vicenda, o rischio la pelle prima che cominci a vedersi il pancione", aggiunse sua sorella con una risatina.

Akane sorrise e l'abbracciò, di slancio. Sentiva dentro di sé che quello era il modo di Nabiki per dirle che era pentita, che avrebbe cercato di essere migliore di così e che la ringraziava. Magari si sbagliava, ma prima di uscire fece un'ultima cosa, sperando di aprire il suo cuore, quel cuore che probabilmente si era indurito dopo la morte della loro mamma. Le pose la mano sul ventre e mormorò: "Abbine cura, è pur sempre una parte di te".

Chiuse la porta sulla sua espressione di stupore e si avviò verso la sua nuova casa.
   
 
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