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Autore: MackenziePhoenix94    18/05/2019    0 recensioni
PREQUEL DI 'LIKE A PRAYER'.
“Non stiamo parlando di pazzia, ma c’è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericoloso. Anche lei sa che è meglio prevenire che curare… Non sarà un percorso semplice o indolore, ma è necessario. Assolutamente necessario”.
Tutti sanno chi è Theodore ‘T-Bag’ Bagwell, e quali sono i crimini che lo hanno portato a scontare due ergastoli nel penitenziario di Fox River; ma nessuno, neppure Nicole Baker, conosce la storia che si cela dietro l’uomo ribattezzato dalla stampa: ‘Il Mostro Dell’Alabama’.
Perché alcune storie, come i segreti, anche se logorano interiormente, sono più semplici da custodire che da confessare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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I sei anni a Donaldson, se possibile, trascorrono molto più velocemente dei tre anni in riformatorio, ma non nello stesso modo tranquillo.

All’interno del gruppo ci sono frequenti dissapori tra Wolf e David, e spesso sono arrivati ad un solo passo dall’iniziare una rissa; credo che il mio compagno di cella sia geloso del rapporto di amicizia che, nonostante tutto, sono riuscito a creare con David, e credo anche che sia fermamente convinto che tra noi due ci sia qualcosa di molto più intimo.

Questo, però, è un problema secondario se paragonato ad un altro, che mi riguarda da molto più vicino e che voglio risolvere il prima possibile, una volta fuori di prigione: non ricevo una visita da parte di James da quasi sei anni, e quelle di zia Margaret sono diminuite drasticamente.

Quando le ho chiesto spiegazioni, in uno dei nostri ultimi incontri, ha minimizzato l’intera faccenda dicendo che si tratta solo di un brutto periodo, ma io sono convinto che dietro c’è qualcosa che prova a nascondermi, per chissà quale motivo a me sconosciuto.

“T-Bag!” esclama il mio unico amico, raggiungendomi alle spalle.

“Cosa?”

“Il tuo soprannome. Che ne dici di ‘T-Bag’? Ascolta, lo so che forse non è il migliore dei soprannomi, ma ha un suono terribilmente accattivante… E poi c’è la ‘T’ di ‘Theodore’ e il ‘Bag’ di ‘Bagwell’. Sembra fatto apposta per te”

“E come ti è venuta in mente questa brillante idea? Hai visto che in mensa distribuivano le bustine per le tisane?” commento, in tono sarcastico, scoppiando a ridere.

“Sto parlando seriamente”

“Ohh, d’accordo, allora ti ringrazio per avermi trovato un soprannome proprio nel giorno in cui sto per essere rilasciato”

“Quando te ne andrai?”

“Appena termina l’ora all’aria aperta. Il tempo di raccogliere le mie cose e tornerò ad essere un libero cittadino… David, che cosa stai facendo?” domando, perché lui mi abbraccia senza alcun preavviso “non sto partendo per il fronte. Ti scriverò delle lettere, resteremo in contatto. E poi dovrà arrivare il giorno in cui anche tu tornerai in libertà”

“Lo spero” risponde lui, scrollando le spalle.

In sei anni non gli ho mai chiesto per quale motivo si trova a Donaldson, e preferisco continuare ad ignorarlo, anche perché non m’interessa.

Gli do una pacca sulla schiena, per ricambiare il saluto, ed il suono della sirena riecheggia in tutto il cortile, segnando la fine dell’ora all’aria aperta e l’inizio della mia libertà; quando ritorno in cella, per prendere i miei pochi effetti personali, trovo Wolf che mi sta aspettando.

“E così… Finalmente è arrivato il tuo grande giorno, giusto? Tra poco un secondino verrà a prelevarti e varcherai il cancello di Donaldson”

“E tornerò ad essere un libero cittadino”

“Sai che non durerà a lungo” continua lui, con un sorrisetto, rigirandosi un oggetto tra le mani “tornerai prima o poi, Theodore. E non mi sto riferendo a quello che le persone dicono di chi è stato in prigione. Non credo che tu ci tornerai perché ci sei già stato una volta. Io penso che esistano persone che sono destinate, fin dalla nascita, a trascorrere la maggior parte della loro esistenza dietro le sbarre di una cella. E tu sei una di quelle persone. Potremo dire che il carcere è il tuo… Habitat naturale?”

“Come fai ad esserne così sicuro?”

“Sei pentito di quello che hai fatto?” mi domanda, prendendomi alla sprovvista; sbatto più volte le palpebre, apro la bocca e poi la richiudo senza dire una sola parola “ecco. Vedi? Tu non sei minimamente pentito di ciò che hai fatto a quella ragazza. Fidati delle mie parole: tornerai. E ti prometto che, per quel giorno, troverai un posto libero in questa cella. Tieni, questo è per te”

“Che cos’è?” chiedo, afferrando al volo l’oggetto che mi lancia; mi avvicino alle sbarre della cella per osservarlo meglio sotto la luce dei neon: è una catenina, con un piccolo ciondolo che ricorda la zanna di un lupo.

“Qualcosa che ti farà ricordare di me… Ovviamente aspetto con trepidazione le tue lettere, Theodore”.

Non rispondo alle sue ultime parole perché, fortunatamente, la porta della cella si apre, ed una guardia mi comunica che è arrivato il momento, per me, di andarmene.
Vengo scortato in una stanza al di fuori del Braccio E; un altro secondino mi consegna i vestiti che indossavo il giorno in cui sono entrato a Donaldson e lo zaino che avevo con me: mi spoglio velocemente, indosso i miei vecchi indumenti e stringo la mano destra attorno ad una delle due cinghie.

Appena l’enorme cancello del carcere si chiude alle mie spalle, abbasso le palpebre ed emetto un lungo sospiro di sollievo, godendomi la mia prima boccata di aria fresca; tiro fuori da una tasca dei pantaloni il ciondolo che Wolf mi ha regalato, lo lascio cadere a terra e lo calpesto più volte, finché i piccoli anelli non si rompono, spargendosi nella stradina di sassi.

Non ho pensato di indossarlo neppure per un secondo, e di sicuro non riceverà una sola lettera da parte mia.

Al termine della lunga e stretta stradina di sassi c’è una vecchia cabina telefonica, ma preferisco non usarla e dirigermi alla fermata degli autobus: non voglio avvisare zia Margaret e James del mio rilascio, voglio far loro una sorpresa.

Trascorro tutto il tempo del viaggio con il palmo della mano destra appoggiato al mento e con lo sguardo rivolto al finestrino; continuo a pensare a quello che può essere accaduto a Conecuh County durante la mia assenza, ed al motivo per cui mio cugino James ha smesso di farmi visita in carcere.

Non so se ha a che fare con Wolf, ma spero vivamente che non sia così.

Quando l’autista grida il nome della mia fermata, mi alzo velocemente dal sedile e scendo i scalini del mezzo di trasporto con un piccolo salto: le porte automatiche si chiudono alle mie spalle e l’autobus riparte, sollevando un’enorme nuvola di polvere.

Impiego solo una decina di minuti per raggiungere la casa di mia zia, ed è proprio lei ad aprirmi la porta d’ingresso.

“Oh, mio dio, Teddy!” esclama, sorpresa, abbracciandomi “è da questa mattina che attendo tue notizie! Stavo per chiamare il carcere, per chiedere quando ti avrebbero rilasciato! Sei tornato a casa da solo? Perché non mi hai avvisata?”

“Volevo farti una sorpresa. E poi, nello zaino avevo ancora qualche banconota da un dollaro per pagarmi il biglietto dell’autobus. Dovresti ringraziarmi, dal momento che ti ho fatto risparmiare un bel po’ di benzina. Dov’è James?” chiedo, poi, cercandolo con lo sguardo; l’espressione di Meg cambia completamente, nei suoi occhi scuri compare un velo di lacrime e non riesce a reprimere un tremito che le attraversa il labbro inferiore.

“James non abita più qui da tempo” confessa poi, con voce rotta “in realtà non ho la più pallida idea di dove si trovi in questo momento. Ho perso qualunque contatto con lui”

“Che cosa significa che hai perso qualunque contatto con lui? Che cosa è successo?”.

E così, apprendo da mia zia che questi sei anni sono stati molto più duri per Jimmy che per me: non solo è stato licenziato nel fast-food in cui lavorava, ma è entrato in un giro poco raccomandabile, e quando Margaret lo ha scoperto, per puro caso, ha messo qualche indumento dentro uno zaino e se ne è andato, troncando ogni rapporto sia con lei che con me.

“Non ho voluto dirtelo perché non volevo provocarti un ulteriore stress… Dove stai andando?”

“Vado a cercarlo”

“Teddy, ci ho provato anche io, ma non sono mai riuscita a trovarlo! Potrebbe essersene andato da Conecuh County”.

Ignoro le sue parole, esco di casa e trascorro l’intera giornata tra le strade della città, alla ricerca di mio cugino; ritorno sui miei passi a notte inoltrata, senza essere riuscito a trovarlo.

Impiego quasi un’intera settimana di ricerche personali prima di riconoscerlo, a fatica, in un giovane uomo con addosso dei vestiti strappati, fuori da un pub.

Mi avvicino a lui, e quando sono a pochi passi di distanza lo chiamo per nome, per attirare la sua attenzione; James si volta di scatto, e nel suo volto sciupato appare la stessa espressione di sorpresa che c’è sul mio.

“Teddy? Si può sapere che cosa ci fai qui?”

“Tu, piuttosto, che cazzo ci fai qui?” lo afferro per un braccio e lo trascino lontano da quel posto; la bottiglia di birra che ha in mano cade a terra, disintegrandosi, ma non me ne preoccupo “ti sto cercando da sette giorni! Si può sapere che cosa è questa storia? Perché hai smesso di farmi visita in carcere?”

“Lasciami andare!” esclama lui, riuscendo a liberarsi dalla mia presa “non vedi che sono con i miei amici?”.

Lancio un’occhiata ad un piccolo gruppo di uomini e poi torno a fissare mio cugino, con le labbra piegate in una smorfia.

“Hai visto le loro facce e le condizioni dei loro vestiti? Hai visto quali sono le tue condizioni? Tu, adesso, torni a casa con me e non verrai mai più in questo posto. Puoi urlare e odiarmi quanto vuoi, ma lo sto facendo solo per il tuo bene”

“Teddy! Tutto questo è ridicolo!” protesta James per l’ennesima volta; lo afferro nuovamente per un braccio e lo lascio andare, dandogli uno spintone, solo quando siamo arrivati a casa.

“Vuoi spiegarmi questa storia? Chi erano quelle persone? Perché te ne sei andato? Perché non sei più venuto a farmi visita in carcere?”

“Te l’ho già detto, sono i miei amici”

“Ohh, allora dovresti seriamente rivedere i criteri con cui scegli le tue amicizie, James!”

“Ed io dovrei ascoltare le tue parole? Chissà in quali modi hai usato quella bocca in questi sei anni”.

James ha appena il tempo di terminare la frase, che lo aggredisco e lo sbatto con forza contro una parete del soggiorno; stringo le dita della mano destra attorno ai suoi capelli, in modo da immobilizzarlo ulteriormente.

“Tu non sei mai stato in prigione. Non hai la più pallida idea di che cosa significhi trascorrere anni dietro le sbarre di una cella. Se vuoi sopravvivere, devi adattarti alle regole non scritte che esistono. Ed anche se vuoi farti un nome ed una posizione importante, sei costretto a partire dal basso ed a sporcarti le mani. Anche la bocca se necessario” sussurro, prima di lasciarlo andare; costringo Jimmy a voltarsi e, a fatica, riesco a sollevargli le maniche della felpa che indossa.

I miei occhi si posano in automatico sulle punture, alcune ancora fresche, che ha su entrambi gli avambracci.

A questo punto riesce a ribellarsi ancora: si copre le braccia e le incrocia all’altezza del petto, come se volesse nascondere quei segni che, ormai, non sono più un mistero per me.

“Posso spiegarti ogni cosa” mormora, ed il suo atteggiamento cambia drasticamente.

“Cosa? Che cosa vuoi spiegarmi? Non c’è nulla da spiegare, sei un drogato! Si può sapere come è accaduto? Cosa… Cosa ti ha fatto prendere questa strada? Tu hai sempre disprezzato le persone che fanno uso di sostanze stupefacenti”.

Improvvisamente le parole escono dalle labbra di James come un fiume in piena, in una confessione che forse aspettava di fare da sei anni.

Mi racconta di come si è sentito profondamente solo ed abbandonato dopo che sono stato rinchiuso nel carcere di Donaldson, di come è rimasto deluso da me quando ha scoperto ciò che sono stato costretto a fare, di come si è velocemente allontanato da zia Margaret e di come, nell’arco di poche settimane, si è unito ad un gruppo di tossici che lo hanno spinto a provare la droga per la prima volta, per dimenticare ciò che stava passando.

“Sono stato un enorme coglione” dice poi, con un sospiro, concludendo il suo racconto “sono stato un enorme coglione e ne pagherò le conseguenze per tutto il resto della mia vita. Non riuscirò mai a liberarmi della dipendenza, e quando mia madre tornerà da lavoro, mi sbatterà subito fuori casa”

“Non accadrà nulla di tutto questo, devi fidarti delle mie parole. Appena Meg finirà il turno, ci siederemo davanti al tavolo in cucina e penseremo a come agire. Vedrai, riusciremo a trovare una soluzione. Non sarà semplice, ma sono sicuro che ce la faremo a superare questo… Non sarà semplice ma ce la faremo… Ne sono sicuro” rispondo, prontamente; gli passo il braccio sinistro attorno alle spalle, per calmarlo, e sento la rabbia di poco prima svanire del tutto “a tante persone capita di perdersi o di commettere delle scelte sbagliate nella propria vita, ma c’è sempre la possibilità di rimediare. A tutti è concessa una seconda possibilità”.
 
   
 
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