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Autore: Enchalott    04/06/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Occhi d’argento.
 
Azhulio si lisciò con cura le penne corvine, tergendosi dalla fastidiosa e persistente polvere del deserto. Le arruffò con un acuto pigolio, scrollandosi e apparendo ancora più imponente della sua già enorme stazza.
La regina l’aveva prontamente liberato dall’anello assicurato alla nodosa zampa destra e gli aveva fatto portare acqua limpida e carne fresca, in modo che si rifocillasse dal faticoso volo.
Sarebbe ripartito volentieri per cacciare nei dintorni, ma era stanco per il lungo viaggio e il tempo eccessivamente variabile lo rendeva irrequieto. Ormai si avvicinava inesorabilmente ai trent’anni, un’età considerevole per uno strik.
Perciò si era limitato ad appollaiarsi comodamente sullo schienale ligneo di una delle sedie degli appartamenti di Shion, osservando le due donne lì presenti con i lucidi e attentissimi occhi d’argento.
Eudiya gli passò le dita sul dorso robusto e liscio, sussurrandogli un affettuoso ringraziamento. In mano aveva ancora lo scritto criptato inviatole dal padre.
“Quindi il nonno ha fatto spostare tutti i Thaisa…” riassunse Dionissa, avvicinandosi al maestoso rapace. Lui si strofinò contro il suo petto, fissandola a lungo.
“Sì. Zheule ha compiuto la scelta più saggia, ero certa di poter fare affidamento su di lui. Le notizie che gli abbiamo mandato lo hanno irritato parecchio, ma ci invita alla calma e promette che anche lui eviterà azioni drastiche. Non si trova molto vicino agli Aethalas e il fatto di dover muovere tutta la tribù lo rallenta, ma spera di raggiungere l’accampamento dei Guardiani del Mare in una decina di giorni. Ci farà avere sue notizie appena incontrerà Varsya…e Stelio” aggiunse con un sospiro ansioso.
“Dobbiamo immediatamente fargli sapere che il veleno non proviene dal deserto, ma che il mandante è originario di Iomhar, prima che muova accuse indigeste alle persone sbagliate, aggravando la situazione” sottolineò la veggente.
“Sì, gli scriverò, anche se questa non è la comunicazione più urgente. Tuo nonno non si metterebbe mai ad avanzare delle insinuazioni senza prove precise”.
Dionissa annuì, un po’ più convinta.
“Ciò che invece mi preme grandemente è la sicurezza di Adara” proseguì la regina È imperativo fermarla prima che raggiunga Jarlath. Sospendere la missione a questo punto e studiare un altro sistema per confrontare gli scritti sacri. Non riesco a pensare ad altro! Non avrei mai dovuto lasciarla partire, campionessa del Sud o meno!”.
“Mi sento responsabile anch’io, mamma. Se fossi riuscita a controllare a dovere il mio Kalah, tutto questo non sarebbe accaduto. Avrei compreso che qualcuno aveva violato la sicurezza del nostro palazzo, manovrato gli eventi e forse…”.
Eudiya la osservò torcersi nervosamente le mani mentre parlava.
“No” disse poi dura, interrompendola “Sbagliamo a parlare così. Non possiamo torturarci con quanto avrebbe potuto essere, non è giusto e neppure proficuo. Dobbiamo, invece, agire immediatamente all’interno delle alternative che abbiamo in mano attualmente!”
 
Sedette allo scrittoio con decisione e prese un foglio intonso dalla risma che non era fregiata con lo stemma reale. Scrisse un messaggio breve e anonimo, composto di caratteri strani e indecifrabili, che solo la principessa più giovane avrebbe saputo interpretare.
Era un gioco che aveva insegnato ai suoi tre figli appena avevano imparato a leggere, pensando alle difficoltà del loro ruolo e all’incertezza del loro futuro. Non si era sbagliata. Il codice criptico avrebbe forse salvato la vita alla più giovane di essi. Anche in quel momento, il suo sesto senso le suggeriva di agire in quella direzione. Adara non sarebbe caduta nella trappola che il loro malvagio avversario aveva ordito contro di lei, contro tutti loro, contro la Profezia stessa.
Porse lo scritto alla veggente, prima di inserirlo nell’incavo del bussolotto argentato.
Dionissa scorse rapidamente il messaggio e lo restituì con un cenno d’approvazione.
“Purtroppo non sappiamo se la missiva riuscirà ad intercettare mia sorella prima che sia giunta alla capitale del Nord” ragionò lei ad alta voce “Certamente qualcuno sta mirando alla sua vita, ma c’è anche la possibilità che costui abbia dei nemici proprio in seno alla sua stessa terra. Non sarebbe così improbabile, data la posta in gioco. In tal caso, Adara avrebbe contemporaneamente degli alleati, che costituirebbero un valido appoggio. Dobbiamo fornirle delle prove da mostrare a sostegno di quanto le stiamo comunicando”.
“Hai ragione” osservò Eudiya con piena ammirazione “Cosa suggerisci?”
La giovane fissò l’odiosa scheggia di vetro blu, che scintillava indifferente all’interno del piccolo contenitore trasparente portato da mastro Omiron.
“Di allegare al messaggio sia quel frammento sia l’argomentazione inconfutabile che ci ha fornito prima il nostro alchimista” propose Dionissa, indicando il pezzettino residuo di ampolla “Se Adara la portasse a fondamento dei nostri sospetti, le sue non sarebbero solo più parole, ma fatti verificabili”.
“E’ un’ottima idea, tesoro” sorrise con orgoglio la regina.
Maneggiò con cautela il frantume e lo inserì insieme con lo scritto, dopo averlo integrato, nel cilindro metallico, sigillandolo con la cera. Poi lo appoggiò sul tavolo.
“Mi farò portare Mandaree” affermò determinata “Affiderò a lui la comunicazione, Azhulio è sfinito, non può volare fino a Jarlath”.
“Sei sicura?” domandò Dionissa incerta “Quello strik è molto giovane, non vorrei che per lui le vie del cielo fossero ancora troppo incerte. Ha poca esperienza, soprattutto sulle lunghe distanze. Perché non scegli invece Amarelo?”
Eudiya la guardò con comprensione e tenerezza. Sapeva perché la figlia aveva fatto quel nome e perché avrebbe affidato la sua stessa vita a quel feroce rapace dalle penne color bronzo e dai grandi occhi gialli.
Amarelo era lo strik preferito di Aska Rei e, come il carismatico capitano, sembrava non temere mai nulla.
Azhulio stridette, allargando le ali e spostandosi elegantemente su un’altra sedia. I suoi artigli color ocra strinsero la stoffa variopinta dell’alta spalliera.
“Dice che quel suo fratellino è una testa calda, sebbene sia veloce” tradusse la allegramente regina, mentre gli occhi argentei del volatile scintillarono fieri.
“Inviando lui, però, avremmo la certezza di aver consegnato la lettera alla persona giusta” insistette la ragazza “Non si lascerebbe avvicinare da alcuno, se non da Aska Rei… o da Adara”.
Eudiya soppesò la proposta, mentre Azhulio le si affiancò ulteriormente, continuando a puntare su di lei il suo sguardo di metallo liquido.
“Sono costretta a chiederti se in questo caso il tuo giudizio è oggettivo, Dionissa” affermò “Non desidero conoscere quali sono i rapporti che intercorrono tra te e il nostro capitano della Guardia, ma vedo che stai portando al collo il suo ciondolo e ogni volta che si parla di lui i tuoi occhi diventano malinconici…”
La ragazza arrossì e le sue guance apparvero ancora più colorite sul biancore trasparente della sua pelle.
“Lui… lui mi manca molto, mamma. Ma sta assolvendo un compito vitale per tutti noi. Gli ho lasciato un portafortuna prima che partisse e ho ricevuto questo in cambio. Per la buona sorte presso gli dei” glissò, stringendo il pendente nel pugno aggraziato.
La regina sorrise, scuotendo indulgentemente la testa, ma non abbandonò la conversazione intrapresa.
“Anche la lontananza di tuo padre mi fa impazzire di nostalgia, Dionissa. Ma non certo perché è il reggente o perché è in missione diplomatica nel deserto. Così come non porto il suo anello al dito per rendergli propizi gli dei. Lo faccio perché lo amo. E non sai quanto fatico ad essere obiettiva, quando sono costretta a prendere una decisione a favore del Sud, ma a scapito dei miei sentimenti personali…”.
Gli occhi sfumati di verde della fanciulla si velarono di dolore. Si sedette sulla cassapanca, prostrata e incapace di mantenere oltre il contegno che si era imposta di conservare, rivelando tutta la sua fragilità di giovane donna innamorata.
“Sì, sono imparziale” sussurrò “Amarelo è la scelta migliore, devi far volare lui verso Jarlath… e no, non lo sono affatto, perché senza Rei mi sento perduta! Mi sta mancando l’aria! Ci sono dei momenti in cui desidero solo rintracciarlo attraverso il Kalah e subito dopo mi pento, mi sento un’egoista, perché vorrei usare il mio dono per una motivazione privata. E non ci riesco, mamma, non ci riesco neppure attraverso l’amore che provo per lui, che trascende la mia malattia e il suo ruolo di soldato! Allora… allora inizio a piangere come una sciocca, come adesso, perché ho il terrore che gli sia accaduto qualcosa di irreparabile! Non lo sento… da quando è partito non riesco a percepirlo e non so che cosa darei per poterlo vedere nei sogni, anche per un infinitesimo di secondo! Sapere che è vivo, che sta bene, che lui…”.
Si interruppe, incapace di continuare, con le lacrime che scendevano inesorabilmente sul volto pallidissimo e la testa prese a girarle vorticosamente. Si puntellò con le mani al bordo del sedile, per non piombare a terra.
“Dionissa!” esclamò la regina, sorreggendola “Non sforzarti così, non è necessario! Richiama il tuo Kalah, ti prego, sei esausta!”
Circondò la figlia con le braccia, stringendola a sé con empatia e, per la stessa sensazione di affinità, intuì inconsciamente che non era il precario stato di salute della ragazza ad averle provocato quel malessere.
Lo strik dai riflessi bluastri gracchiò la sua saggia opinione dal bordo laboriosamente intagliato della sedia più vicina.
Eudiya, spalancò gli occhi scuri: lui aveva appena detto qualcosa come “somiglia a te”. Il che non aveva senso, giacché la figlia, a guardarla, era il ritratto di Stelio.
“Non capisco, Azhulio” mormorò “Perché è come me?”.
La veggente sollevò il viso, parimenti sorpresa. Le sue labbra, tuttavia, tremarono.
L’animale schiuse ancora il becco acuminato, emettendo un altro verso gutturale.
Hai pianto anche tu.
“Dice che ho versato le tue stesse lacrime, ma non riesco a comprendere cosa mai…”
Anche tu, così.
Poi la verità esplose evidente, attraverso sua natura istintiva di madre e di donna. Quella sera di pioggia, nel podere fuori città, tra lei e Stelio…
“Oh, Dionissa…” sussurrò, portandosi una mano alla bocca per soffocare l’improvvisa e potente commozione “Che sciocca a non essermene accorta, piccola mia! Tu… tu sei incinta!”
Poche settimane dopo quell’incontro di passione, Eudiya si era accorta di aspettare Shion: l’unico a cui era stata capace di confessarlo era stato Azhulio, mentre scriveva tra le lacrime un messaggio a quello che ora era suo marito.
La principessa rimase come pietrificata per un istante. Poi si staccò lentamente dall’abbraccio e annuì, senza riuscire ad articolare alcun suono. Fissò penosamente il cielo al di là della finestra con una mano posata sul ventre, che non mostrava ancora alcun indizio del suo stato.
“Il padre è lui, non è vero?” continuò la regina con dolcezza ed emozione, tentando di far svanire quel triste silenzio tra loro.
“Sì…Rei” sussurrò la giovane.
“Ho la mente imperdonabilmente occupata, tesoro. Mi devi scusare, se in qualche modo ti ho trascurata e se non ho compreso immediatamente che…”
“No…” la interruppe Dionissa “No, non devi fartene un cruccio. Non volevo che tu lo sapessi. Non volevo che nessuno ne venisse a conoscenza”.
“E perché mai? Volevi che Aska Rei fosse il primo a ricevere la notizia?”
“No. Avrei messo Amarelo sulle sue tracce, altrimenti”.
 Eudiya aggrottò la fronte, dubbiosa.
“Non starai pensando che lui non intenda chiedere la tua mano? O che abbia giocato con i tuoi sentimenti?”
“Rei mi ama immensamente e mi ha chiesto di sposarlo più di una volta. L’ultima la notte prima di lasciare Erinna. Gli ho sempre risposto che avrei acconsentito al momento opportuno, quando il mondo non sarebbe più stato sull’orlo di una tragica fine e quando… quando sarei stata certa di possedere ancora una vita da poter condividere con lui…”
Gli occhi della regina luccicarono per il turbamento, per il riflesso del dolore contenuto e insopportabile che le parole della figlia le stavano gradatamente rivelando.
“Ma quella notte…” continuò lei adagio “Lui ha giurato sugli dei, non ha voluto ascoltare ragioni e ha versato il suo sangue sulla fiamma di una candela. Io ho guardato i suoi occhi e nel suo cuore, ho fatto altrettanto e…”
“Un matrimonio di sangue!” sentenziò Eudiya, meravigliata.
“Sì. Io non avrei dovuto cedere, ma non sono stata abbastanza forte, abbastanza decisa per chiedergli di aspettare ancora, per dirgli di no un’ultima volta…”
“Oh, Dionissa! Perché mai? Che senso avrebbe avuto far attendere l’uomo che ami e che ti ha donato per primo una promessa eterna?”.
“Non avrei dovuto essere così egoista, pensare solo a me stessa, mamma! Che cosa accadrà se io non dovessi sopravvivere? Rei ne soffrirebbe per sempre! Che cosa accadrà se, invece, non dovessi riuscire a portare a termine i miei nove mesi a causa del male che mi sta distruggendo? Se lui perdesse entrambi?! Quando ci penso, mi si frantuma l’anima… e non comprendo questo gioco del destino, che questo potesse accadere nonostante la mia debolezza fisica…”.
Si passò la mano sul volto umido, disperata e avvilita, ma libera dal segreto che stava gelosamente custodendo e che le pesava sul cuore.
Eudiya si avvicinò, premurosa e sicura di sé, spostandosi la lunga treccia bruna sulla schiena con un rapido movimento.
“Per quale assurdo motivo dovresti considerarti morta mentre sei ancora viva, Dionissa?” disse con fermezza.
La principessa sgranò gli occhi, sorpresa.
“Come…?”
“Hai venticinque anni, ami un uomo integerrimo e lui ti ricambia pienamente, sei una donna generosa e ti prodighi per aiutare chi ne ha bisogno. È vero, il tuo dono si è affievolito e stai lottando contro una malattia devastante… ma non sei ancora vinta! Finché il respiro esce dalle tue labbra, puoi decidere di non arrenderti, puoi reclamare a gran voce il diritto di essere felice, di essere ancora parte di questo mondo, fosse anche per un solo giorno! Ma fino a quando quel momento non arriverà, e tu non puoi sapere quando accadrà neppure usando il Kalah, nessuno potrà toglierti il sorriso o la speranza, se non tu sola a te stessa. E sarebbe un errore!”.
“Mamma…” mormorò lei, scossa.
“Siamo in un momento di greve oscurità, lo so… ma non puoi pensare di risolverlo sacrificando il tuo tempo nella privazione o nell’infelicità. La serenità non è un atto egoismo, ti stai confondendo. Se ti tormenti, non farai del bene a nessuno, in primis a te. Perciò lasciati andare, Dionissa, e smettila di pensare alla morte!”.
La principessa si tuffò tra le braccia della madre, affondando il viso nel suo petto e stringendola forte come quando era ancora una bambina.
“Grazie…” singhiozzò contro di lei “Grazie…”
Azhulio osservò la scena con fiero cipiglio e le sue pupille pungenti si spostarono rapidamente sul contenitore abbandonato sullo scrittoio.
“Adesso ho una ragione in più per richiamare immediatamente ad Erinna la missione” annunciò la regina, decisa “I piani sono cambiati. Voglio che Aska Rei ti rimanga vicino e protegga te e vostro figlio. Può scordarsi il grado acquisito, se accampa l’onore di combattente come necessità primaria. Voglio che tua sorella si nasconda in un luogo sicuro, lontano dalla capitale, mentre indagheremo ulteriormente sull’identità di chi ha carpito la fiducia di Shion. E poi quel giovane Aethalas, Narsas… non m’importa nulla delle sue accuse di tradimento, gli dirò senza mezze misure che, se suo padre non rilascerà mio marito, lui sarà parimenti nostro ospite, così potrà verificare di persona se tra noi si cela un rinnegato o meno!”.
Dionissa la seguì con lo sguardo, mentre passeggiava nervosamente su e giù per il lucido pavimento della stanza.
“Infine…” aggiunse Eudiya alzando un dito “Dovrò abituarmi all’idea di diventare nonna e, credo, che questo sarà l’aspetto più problematico dell’intera vicenda!”
La ragazza rise, rasserenata dal precedente discorso della madre e dalla prospettiva di poter presto riabbracciare il suo Rei.
Gli occhi argentati del maestoso strik scintillarono grifagni alla luce. Si voltò improvvisamente verso la finestra, anticipando di qualche istante l’udirsi chiaro di una corsa a rotta di collo di zoccoli ferrati attraverso il cortile principale del palazzo reale.
Le due donne si affacciarono alla finestra, sporgendosi per scrutare quell’arrivo inatteso, con un senso d’ansia crescente nel cuore.
Un cavallo nero saettò pancia a terra attraverso il secondo portale, seguito a breve distanza da un altro animale pezzato a folle velocità. L’uomo che montava il primo aveva un lungo mantello chiaro, ricamato con le Tre Pietre del Sud, che sferzava l’aria al ritmo del galoppo, e una spada cinta al fianco: un ufficiale d’alto grado. L’altra figura era riconoscibile dall’abbigliamento come un Aethalas.
“Ma cosa…?” borbottò la regina, fissando l’impennata poderosa del destriero che si arrestava di botto, schiumando, e l’accorrere delle guardie che convergevano a circondare in via preventiva i due nuovi arrivati.
I soldati, tuttavia, scattarono immediatamente sull’attenti, salutando l’uomo che, nel frattempo era balzato giù di sella. Alcuni di loro afferrarono malamente le redini del secondo convenuto, che era invece rimasto in arcione.
“E’ Kendeas!” esclamò Dionissa, sconcertata.
Eudiya impallidì nel riconoscere il più valoroso generale del regno. Non sarebbe mai rientrato senza il reggente, a meno che...
“Oh, stelle!” esalò “Stelio! No!”.
Dionissa trattenne il fiato, mentre la madre correva verso la porta per raggiungere Kendeas, in preda all’angoscia più totale.
Poi, un movimento la distrasse.
Un’ombra la sfiorò, accompagnata da un frullio di piume e da un verso inconfondibile.
“Mamma!” gridò.
La regina di volse, giusto in tempo per vedere Azhulio afferrare con il rostro il bussolotto che conteneva il fondamentale messaggio per Adara.
Lo strik imboccò la finestra con il contenitore stretto nel becco, spalancando le ali immense e librandosi armoniosamente nell’aria.
“Azhulio, fermati!” urlò la donna, tornando frettolosamente sui suoi passi “Azhulio! Torna da me! Non puoi…! Non…!”
L’uccello virò per un attimo in direzione dell’accorato richiamo, fissando per un lungo istante la sua adorata umana con gli occhi d’argento. Poi emise uno stridio prolungato e prese la corrente ascensionale, sparendo dalla vista nel giro di pochi secondi.
Eudiya rimase impietrita, con la luce abbagliante del sole e l’immensità del cielo vuoto nelle iridi scure.
Addio.
Azhulio le aveva detto addio.
 
 
Irkalla sorseggiò adagio il suo vino speziato, osservando il panorama circostante, gli occhi terribili ombreggiati dalle lunghe ciglia.
Non era abituato a quella luminosità. Il cielo non era particolarmente splendente, ma il chiarore di quel luogo era decisamente più intenso di quello cui era assuefatto nel cuore del suo freddo e desolato impero, avvolto nel grigio perpetuo della tempesta.
Circondò il boccale trasparente con le mani e percepì il calore della bevanda, inalandone con piacere l’aroma intenso e particolare.
La sua attenzione fu convogliata altrove dal manifestarsi improvviso di una presenza estranea. Sorrise, tagliente come una lama di ghiaccio, senza voltarsi.
“Come puoi sopravvivere lontano dalla tua prigione?” domandò una voce baritonale alle sue spalle “Sei ancora più potente di quando sei stato maledetto, forse?”
Lui sogghignò, divertito, girandosi lentamente verso l’interlocutore.
“Di fatto sono ancora sul suolo di Iomhar” rispose sprezzante “Al confine, è vero, ma non sto infrangendo alcuna regola. Quanto alla seconda richiesta non so risponderti, Elkira. Non mi sono ancora messo alla prova”.
Il dio del Buio avanzò di qualche passo, per nulla in soggezione.
“Sei sempre stato uno sbruffone, Irkalla, ti avrei riconosciuto tra mille, anche se Amathira avesse scelto di farti reincarnare in una donna” ribatté.
“Quello sì che sarebbe stato divertente” rispose il Distruttore, versando del liquido color rubino in un altro prezioso bicchiere “Avresti potuto suggerirglielo”.
La sopraggiunta divinità sgusciò dall’ombra e accettò l’offerta con un cenno del capo. Strizzò con fastidio gli occhi violetti e sollevò il cappuccio sopra i folti capelli corvini, per schermarsi dal riverbero proveniente dall’esterno.
Superava in altezza Irkalla di una spanna buona e la sua pelle chiara contrastava con il pesante mantello nero che indossava sulle spalle. Ai lobi delle orecchie portava due orecchini di onice lucidissima, di una rotondità perfetta e al polso sinistro era avviluppato in spire un bracciale di tormalina a forma di serpente.
Alzò le spalle con noncuranza.
“Ho pensato che non fossero affari miei” commentò, assaporando la bevanda.
“O che non ci sarebbe stato alcun vantaggio immediato per te…” aggiunse aspro il Distruttore, aggrottando la fronte.
“Se vogliamo metterla così…” concesse Elkira.
Irkalla chiuse la pesante imposta da cui filtrava il chiarore del giorno e sollevò l’indice con un gesto quasi negligente: la lampada ad olio posata sulla mensola irradiò prontamente la sua luce discreta e lieve nell’ambiente.
“Che vuoi da me, Elkira? La tua non è certo una visita di cortesia”.
“Ah, così mi offendi!” protestò quello a denti stretti, sganciando la fibbia che chiudeva il mantello e lasciandolo cadere su una poltrona, tutt’altro che intenzionato a levarsi di torno brevi tempore.
Vestiva una casacca aderente tinta porpora, tagliata di sbieco e con le maniche a tre quarti, che lasciavano scoperti gli avambracci muscolosi. Portava un paio di pantaloni di pelle scura e ai piedi calzava un paio di morbidi stivali conciati. La vita era stretta da uno spesso cinto nero, ornato con ricami a contrasto.
“La tua presunta cortesia infastidisce me, invece” saettò il Distruttore.
Il dio del Buio sbuffò pazientemente, servendosi nuovamente un bicchiere di vino e accomodandosi senza invito.
“Mi sto chiedendo, ormai da tempo, quali siano le tue reali intenzioni, amico mio” disse, sorbendo con calma la bevanda.
“Se tu fossi stato davvero mio amico” rispose Irkalla, visibilmente contrariato dal termine fuori luogo “Saresti intervenuto allora. Invece, arrivi adesso, con un ritardo di… fammi contare…millenni? E pretendi che io ti metta a parte dei miei progetti. Non insultare la mia intelligenza, Elkira, non te lo consiglio!”
L’essere superiore scosse la testa, apparentemente indifferente, ma la tensione delle sue dita sul calice di cristallo aumentò, denunciando scarsa tranquillità a fronte di quello sfogo furibondo.
“A quel tempo non avrei saputo che cosa fare…” rispose con sincero rammarico.
Irkalla sollevò un sopracciglio, leggermente sorpreso dal suo atteggiamento dimesso.
“Non mi commuovi” rimandò tuttavia, duro.
L’altro fissò il contenuto vermiglio del bicchiere, pensieroso.
“Tu credi nella Profezia, Irkalla?” domandò poi a bruciapelo.
“Tsk! Non ho bisogno di fare atto di fede, quando ce l’ho incisa nel sangue!” ringhiò il Distruttore, adirato “Rinascere, amare, morire… tutte parole prive di senso! Non mi piegherò alla volontà di Amathira e neppure tu riuscirai a convincermi a vivere i miei giorni mortali come un vigliacco o un rassegnato, se sei qui a questo scopo! Sono tornato, ma non intendo realizzare nient’altro di ciò che è uscito dalla sua bocca!”.
“No” mormorò Elkira “Lungi da me il tentare di persuaderti. Il motivo della mia presenza è un altro. Ritengo però di avere fatto un viaggio a vuoto, ascoltandoti”.
“Spiegati!”.
“La Profezia ha una falla. Penso che tu te ne sia accorto o non sventoleresti la prospettiva della vendetta come un vessillo, con tale sicurezza per giunta…”.
“Non sono un idiota, se desideri un indizio”.
“Già. Non l’ho mai pensato. Vorrei solo chiederti se ritieni che questa spaccatura nel tuo destino sia una casualità o se, piuttosto, sia stata creata intenzionalmente”.
Irkalla sgranò gli occhi e si riempì ancora il bicchiere. Tra le sue mani, il liquido prese a fumare lievemente.
“Non ne ho la più pallida idea” replicò “E comunque non me ne importa niente!”
Elkira si concesse un altro lungo sorso, come se stesse meditando su come continuare il discorso spinoso che aveva intrapreso.
“Dovrebbe, invece” suggerì pacato.
Il Distruttore sospirò, lasciando in parte evaporare la furia che gli aveva riempito l’anima di detestabili e amari ricordi.
“Perché?” domandò amareggiato “Perché dovrei preoccuparmene adesso?”
“Perché ciò significherebbe che lei non ha del tutto creduto a quanto le è stato riferito e che ti ha lasciato uno spiraglio che non intaccasse la dignità di entrambi”.
“Ma cosa stai dicendo? Lei non ha mai smesso di odiarmi per questo tempo infinito! Sono io ad essermi crogiolato nella convinzione che mi avrebbe perdonato un torto che neanche le ho fatto! No, non mi ha concesso alcuna via, se non quella della maledizione. Tu non la conosci bene come me…”.
“Sto dicendo…” lo interruppe Elkira, sporgendosi con aria grave nella sua direzione “Che qualcuno vi ha messi scientemente l’uno contro l’altro. E che se Amathira avesse bevuto pienamente le parole di un tale ingannatore, non ti avrebbe lasciato una possibilità, come quella che tu stesso hai già individuato. O neppure la dea del Cielo è stata in grado di creare una condanna perfetta”.
“C-cosa!?” esclamò lui scattando in piedi “Queste sono tutte assurdità!”
“Pensaci bene, Irkalla” continuò il dio del Buio “Tu hai distrutto il creato perché ti sono state portate evidenti prove dell’inguaribile corruzione di quel mondo. Per questo il tuo è stato un atto dovuto, non un’azione arbitraria. O sbaglio?”
“Non sbagli”.
“Allo stesso modo, quel qualcuno ha riferito ad Amathira il contrario, mostrandole un riscontro incontestabile dell’innocenza degli uomini che lei tanto amava e proteggeva, facendoti passare per un crudele sterminatore. Ne sono certo. Qualcuno ha tradito entrambi”.
Negli occhi feroci del Distruttore passò un lampo di consapevolezza.
“Chi è stato a fare questo? E perché? Sono tue fantasie, Elkira, e stai cercando di farmi rinunciare alla rivalsa che pianifico da quando mi sono reincarnato oppure…?”.
“Tu puoi scegliere la strada che preferisci” rispose “A me non cambia nulla. Il buio, prima o poi, giunge. Così come la luce. Non so chi sia stato a volere tutto questo, a mentire, a rischiare il tutto per tutto pur di annientarti. Non ne conosco neppure i motivi o sarei sulla buona strada per scoprire di chi si tratta. Ho solo pensato che fosse giusto che tu lo sapessi e ti regolassi di conseguenza”.
“Perché solo ora?” sussurrò Irkalla, in preda a sentimenti contrastanti.
Il suo sguardo fiammeggiò feroce sull’interlocutore, procurandogli un brivido.
Elkira sospirò, forzandosi a rispondere.
“Per due motivi, in verità. Millenni orsono, non avevo pensato ad una simile eventualità e, come ti ho detto prima, non mi andava di impicciarmi negli affari altrui. Dammi pure del menefreghista, so di meritarmelo per non aver interceduto per te al momento opportuno. Non ho mai indagato su chi avesse torto e chi ragione tra voi due e schierarmi non era assolutamente mio compito. Forse, tu avresti fatto lo stesso, se ti fossi trovato al mio posto”.
Il Distruttore annuì, incrociando le braccia sul petto.
“E poi…” proseguì il dio del Buio quasi con reticenza “Perché nel frattempo mi sono innamorato. Non mi era mai successo in tutta la mia infinita esistenza. Solo in quel momento e in quella condizione ho compreso appieno tutta la…”.
Indugiò, incapace di trovare il termine adatto a definire la situazione.
“Sofferenza?” suggerì Irkalla con un sogghigno “Vicenda? Tragedia? Beffa?”.
“Sì” affermò l’altro “Tutto ciò insieme, invero”.
Irkalla tacque per un istante e il suo sguardo si fece puro dolore. Ma quelle iridi intense esprimevano parimenti rabbia, orgoglio ferito e desiderio di rivincita. Nessuna pietà, nessun perdono, nessun ripensamento apparente.
“Ovviamente, se ho ragione come credo, chi ti ha mostrato quel mondo traviato e irrecuperabile da eliminare non era il tuo vero nemico, ma una semplice e sacrificabile pedina”.
Il Distruttore alzò le spalle, inespressivo.
“Lo hai già raccontato a… a lei?” domandò poi.
“Avrei voluto. Ma Amathira ha mantenuto il suo giuramento e nessuno di noi esseri superiori l’ha più vista da allora. Neppure le sue sacerdotesse più fedeli riescono a scorgere dove sia andata, nonostante le loro doti profetiche. E tu, Irkalla…?”
“Mi prendi in giro?” rispose lui indignato “Sono l’ultimo degli esseri che è destinato ad incontrarla. Me l’ha detto in faccia. Suppongo si farà viva al momento della mia disfatta. Anzi, presunta disfatta… ma sarebbe meglio per lei non incrociare il mio cammino né ora né mai”.
“Non intendevo questo” si corresse Elkira.
“E cosa, dunque?”
“Tu… la ami ancora?”
Il calice tra le mani del Distruttore esplose in mille pezzi, che schizzarono al suolo in un caleidoscopio iridescente. Alcune gocce di sangue gli colarono tra le dita contratte, ma lui le ignorò. Inchiodò uno sguardo furibondo sul vicino, che trascolorò.
“Non… non dire sciocchezze!” tuonò, la voce deformata dalla collera “E’ una domanda che non avresti neppure dovuto osare!”
Il dio del Buio sollevò verso di lui gli occhi d’ametista, consapevole di aver toccato la corda sbagliata.
“Perdona l’insolenza” mormorò con un gesto pacificante “Voleva solo essere un atto di partecipazione, non altro”.
Si alzò, raccogliendo il manto nero e aggiustandoselo sulle spalle possenti, dando modo alla rabbia del Distruttore di scemare.
“Tu ricordi il messaggero che ti ha convinto ad estinguere l’umanità?”
“Sì. Ma, come hai inteso, è un dettaglio insignificante. Arguisco che, a tuo parere, dovrei cercare il mandante e non progettare altro finché non lo avrò scovato”.
“Esatto. Intendi farlo?”
Irkalla ponderò meticolosamente la sentenza e sul suo viso aleggiarono infinite memorie. Si scostò i capelli dalla fronte, malinconico.
“Che cosa cambierebbe?”
“Tutto”.
“Io non credo”.
“Io sì. A quel punto, Amathira comprenderebbe l’inganno e non avrebbe più motivo per persistere ostinatamente con il suo anatema nei tuoi riguardi. Riflettici”.
“Come si chiama?” ribatté il Distruttore.
“Chi?” fece Elkira, colto alla sprovvista.
“La donna che ami”.
“Emerynn… Ma che c’entra con…”
Irkalla socchiuse le palpebre e strinse il pugno. Il flusso di sangue si arrestò.
“Se un essere qualsiasi, mortale o divinità, ti venisse a dire che Emerynn è una persona crudele e che ha agito contro di te e contro chi ti è caro, tu gli crederesti?”
“Assolutamente no…” replicò il dio del Buio con convinzione.
“E perché no?” continuò l’altro, voltandosi e fissandolo negli occhi.
“Beh, perché io…” obiettò Elkira.
Poi si fermò, afferrando il senso stretto di quella richiesta. Guardò il Distruttore con profonda pena: Amathira aveva reputato vere quelle falsità, senza titubanza e senza concedere alcun beneficio del dubbio. La falla nella Profezia era una svista.
“Perché io la amo” concluse mestamente.
Irkalla annuì grave.
“Hai la tua risposta”.
Elkira espirò, rilassandosi, rassegnato all’evidenza dei fatti. Si avvolse nel mantello scuro e posò il bicchiere vuoto sul tavolino di legno scheggiato.
“Grazie per il vino” mormorò mesto.
“Non c’è di che” replicò ironico l’altro “Ora lasciami in pace”.
Il dio del Buio non svanì. Rimase ancora nell’ombra confortevole della stanza.
“Concedimi un favore” disse “Lascia che sia io a indagare sull’identità di chi si è macchiato di questa imperdonabile colpa. Te ne prego”.
“Fai come vuoi, non mi interessa”.
Elkira si inchinò lievemente e poi si dissolse, rapido com’era giunto.
Il Distruttore attese qualche secondo e poi posò un ginocchio a terra, osservando i frammenti di cristallo sparsi sul pavimento. Inspiegabilmente, apparivano sfocati. Inspiegabilmente, a velargli la vista erano lacrime.
Le ricacciò indietro con orgoglio estremo e aprì la mano destra: i cocci divennero polvere cangiante. Lui la raccolse e la serrò nel pugno.
Quando stese le dita, sul palmo luccicava un nuovo, splendido calice.
   
 
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