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Autore: NPC_Stories    05/06/2019    3 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Il diavolo è nei dettagli, e non solo lui


Quella sera Daren e Amaryll si addormentarono nel momento stesso in cui le loro teste toccarono il cuscino. Per l’elfa era una questione di stanchezza emotiva, dopo le preoccupazioni per suo figlio e le sconvolgenti rivelazioni della giornata. Per Daren… era comunque stanchezza emotiva, ma per altre ragioni.
Il drow non sognava spesso, ma quella notte rivisse come in un incubo il momento in cui quella pazza dell’amica di Amaryll l’aveva chiamato con un cenno e aveva ordinato un “Kalifein”, solo per poi rivelare che era il suo nome.
“Adesso che l’hai sentito non potrai più dimenticarlo, pezzo di merda”, aveva detto con un sorriso smielato e una punta di cattiveria. Poi aveva sollevato un coltello da burro, sempre con quell’espressione folle. “E ricordati che se fai soffrire la mia amica userò questo oggetto per farti a pezzi.”
Non era un coltello affilato, entrambi lo sapevano. Quindi, o l’elfa stava scherzando, oppure intendeva dargli una morte estremamente dolorosa. Lei però sembrava piuttosto seria, e Daren non voleva mettere alla prova le sue minacce.
Sognò che Kalifein lo pugnalava con una spatolina per aver dimenticato il compleanno di Amaryll, e si svegliò in ansia a notte fonda rendendosi conto di non aver mai saputo quando fosse, il compleanno di Amaryll.
Oh, maledizione! Non ho nessun obbligo di saperlo! si disse, stendendosi di nuovo sul materasso e fissando il soffitto con astio. Va bene, è chiaro che non riprenderò sonno, a questo punto.
La stanza di Amyl aveva solo una piccola finestra da cui filtrava poca luce. Le sagome e le ombre dei mobili erano a malapena distinguibili. La locanda di notte era avvolta nell’oscurità, rischiarata solo dai tenui fuochi fatui magici che illuminavano i corridoi, e dalla fioca luce delle stelle nelle stanze con finestra. Questo però non era mai stato un problema per il drow. Si alzò dal letto e recuperò i suoi vestiti e gli stivali, poi uscì, in perfetto silenzio. Si rivestì fuori dalla porta, per non rischiare di svegliare Amyl, e uscì a fare una passeggiata.

Più o meno nello stesso momento, un falco pellegrino volava sopra la città di Myth Dyraalis, descrivendo ampi cerchi. Era stanco e affamato, non aveva trovato molto da cacciare durante il suo viaggio, ma alla fine riuscì a individuare una radura nella fitta foresta e si diresse laggiù. Il mythal che proteggeva Myth Dyraalis non fermava gli animali privi di intelletto, quindi il falco passò indenne oltre la barriera, ma si accorse istintivamente del cambio di temperatura. All’interno della città il clima era più mite, e per un attimo il cambio di pressione destabilizzò l’uccello, ma un animale abituato a lunghi viaggi non si sarebbe lasciato fermare da una sciocchezza come quella. Riuscì ad atterrare indenne su un ramo. Nella sua mente era impressa l’immagine di una casa elfica, ma le case elfiche ai suoi occhi sembravano tutte uguali. Per fortuna il suo arrivo era stato notato da un ranger di pattuglia che lo chiamò con un fischio.
All'inizio il falco lo ignorò, perché aveva una missione da compiere, ma poi l’elfo ripetè il richiamo con un pezzo di carne in mano e il falco ricordò che aveva molta fame. Era un animale semi-addomesticato, abituato agli elfi della sua foresta natìa, e non vedeva differenza fra loro e questo ranger. Scese in volo verso di lui e si posò sul suo braccio proteso.
L’elfo dei boschi gli diede da mangiare (rischiando di farsi beccare un dito) e sfilò delicatamente il messaggio legato alla zampa del rapace. Era evidente che fosse un animale messaggero, i falchi sono animali diurni.
Il ranger svolse il messaggio mentre l’uccello volava via (non era stato addestrato a riportare una risposta), e cominciò a leggere voracemente, alla fioca luce delle stelle.

La mattina dopo Amyl si svegliò di buon’ora, come sempre. Si sentiva stranamente comoda, e presto scoprì il motivo: l’altro lato del letto era vuoto.
La sua stanza non era molto grande e il suo letto, di conseguenza, era spazioso per una persona sola ma scomodo per dormirci in due, e ormai si era abituata a svegliarsi in posizioni costrette quando Daren era suo ospite, rannicchiata contro il bordo del letto oppure sdraiata addosso a lui. All'inizio si chiese che fine avesse fatto, ma ormai la loro relazione era abbastanza consolidata e non si sentì mortificata per la sua assenza. Poco dopo si accorse che lui era in piedi davanti a uno specchio, vicino alla porta d’ingresso.
“Daren? Già in piedi?”
“Mi sono svegliato in piena notte e non riuscivo più a dormire” spiegò lui, anche se dalla voce non sembrava per nulla assonnato. “Sono uscito a fare una passeggiata e sono rientrato da poco.” Mentre raccontava seguitò a guardarsi allo specchio, passando un pettine fra i lunghi capelli chiari.
Amyl si alzò e camminò a piedi nudi fino a lui, gli tolse dolcemente il pettine dalle mani e lo aiutò a sbrogliare i nodi che da solo non riusciva a raggiungere.
“Ti ho visto raramente con i capelli sciolti” commentò lei, giocando con le sue ciocche.
“La mia treccia ormai era scompigliata e in disordine, era tempo di rifarla” fu la spiegazione pratica. “Ieri continuava ad impigliarsi nel gancio del grembiule... e comunque doverlo indossare è stata una cosa gratuita e fastidiosa.”
“Ti sei rovesciato addosso mezza pinta di birra, per questo ti hanno dato un grembiule” lei alzò gli occhi al cielo.
“Mi hanno fatto lo sgambetto! Me ne sono accorto, anche se non so chi sia stato. Uno come me non inciampa e basta!”
“Come vuoi” Amyl decise che non aveva senso insistere, e continuò a pettinare i suoi capelli fino a sciogliere tutti i nodi. “Mi piacciono i tuoi capelli, non riesco a capire se siano bianchi o argentei…”
“Un po’ e un po’, in realtà” borbottò Daren controvoglia “quando un maschio drow invecchia i suoi capelli tendono a diventare argentati o grigi”.
Amyl rimase a bocca aperta per questa ammissione. “Ma quanti anni hai?”
“Uh… sono nato circa duecentosessanta anni fa, ma se conti i periodi in cui sono stato morto, ho qualche anno in meno. Non ho mai capito bene come calcolare la mia età.”
“Non sono tanti comunque!” Amyl sorrise per tirargli su il morale e gli restituì il pettine. “Sei coetaneo di Johel, più o meno. Pensavo che ti colorassi i capelli per via della tua religione.”
“Non li coloro” tagliò corto il drow, anche se dentro di sé sapeva che la supposizione dell’elfa non era così sbagliata. Era vero che la vicinanza costante della sua dea stava lentamente modificando il suo aspetto. I suoi capelli stavano diventando argentei prima del tempo, e talvolta gli sembrava di cogliere un bagliore argentato anche nei suoi occhi grigi. Temeva che un giorno non si sarebbe più riconosciuto allo specchio, per questo aveva molto a cuore quei piccoli dettagli fisici che gli ricordavano che lui era… be’, lui.
La sua treccia era uno di essi, quindi si mise subito all’opera per rifarla. Si mise il pettine fra i denti perché gli servivano entrambe le mani libere.
“Perché non li lasci sciolti, per una volta? Ti stanno molto meglio.” Gli consigliò Amyl, mentre andava a recuperare i suoi vestiti.
“Quehto non ahhatrà mai” rispose lui in tono deciso. Il suo tono fu in qualche modo reso ridicolo dal pettine che aveva in bocca. Lo riprese in mano il tempo sufficiente per recuperare qualche ciocca che si era data alla fuga. “Solo i drow nobili possono tenere i capelli lunghi sciolti, o usare acconciature elaborate. Nella mia città natale c’è un rigido codice estetico. I cittadini comuni si legano i capelli in una singola treccia semplice.” Spiegò, poi lanciò il pettine sul letto di Amyl perché non gli serviva più, e finì rapidamente di intrecciare le ciocche.
“Ma non vivi più in mezzo ai drow.”
“Non importa. Mi ricorda chi sono e da dove vengo. Mi ricorda… il mio posto.” Raccontò, abbassando progressivamente la voce. “Mi ricorda dove mi hanno portato le mie ambizioni smodate.”
La locandiera fu molto colpita da questo discorso, non tanto per i contenuti, ma perché intuiva che l’elfo scuro le stava lasciando intravedere qualcosa del suo passato che ancora lo tormentava. Era chiaro che parlarne gli faceva male, e lei non voleva insistere, ma tornò vicino a lui e si infilò tra le sue braccia.
“Ovunque ti abbiano portato le tue azioni in passato… alla fine ti hanno portato qui. La nostra vita non è mai fatta di compartimenti stagni. Ogni cosa è conseguenza di qualcos’altro, no?”
Daren per un istante restò senza parole. Certo, l’elfa aveva ragione, lui lo sapeva. Se da giovane non avesse fatto scelte così sbagliate, forse sarebbe rimasto per sempre un normale drow, o forse sarebbe morto. In ogni caso non sarebbe arrivato in Superficie, non avrebbe mai stretto amicizia con Johel, non sarebbe diventato l’amante di Amyl né avrebbe scoperto di essere fratello di Krystel.
Lo sapeva, ma questo in qualche modo peggiorava le cose.
“Non è giusto” mormorò infine, con un nodo in gola. “Non è giusto che i miei errori mi abbiano portato qui. Ho fatto una cosa terribile… più di una, immagino, ma ai miei occhi ho fatto una cosa inaccettabile, e come conseguenza ho trovato degli amici, una famiglia e una persona come te.” Strinse Amyl un po’ più forte, senza accorgersene, e le passò una mano dietro la testa in una carezza possessiva. “Che senso ha tutto questo? Tu che sei sempre stata una brava persona, che conosci la differenza fra il bene e il male, dimmi: è mai possibile che una cattiva azione porti a una ricompensa?”
Amyl non sapeva che cosa fosse l’azione passata per cui Daren si tormentava ancora, ma sapeva - i chierici erano stati chiari con tutti a proposito di questa cosa - che uno come lui, un senza-ombra, doveva aver commesso qualche turpe crimine in passato. Però avevano rassicurato la popolazione che questo crimine non aveva niente a che fare con gli elfi di Superficie, perché era stata la prima cosa che avevano controllato, decenni prima. Nessuno poteva essere investito del titolo di Ruathar, Amico degli Elfi, se aveva commesso crimini contro la razza elfica… nemmeno se poi se n’era pentito.
Adesso la donna cominciava anche a capire come mai in tutti quei decenni lui non fosse ancora riuscito a riguadagnare la sua ombra. Come poteva ottenere il perdono, se lui stesso si giudicava così duramente?
“Non so se una cattiva azione dovrebbe portare a una ricompensa” sussurrò infine, accarezzandogli la schiena nel tentativo di fargli sentire la sua vicinanza. “Però so che credo in quello che ho detto prima: ogni cosa è una conseguenza di qualcos’altro. Anche la tua azione malvagia. Io non credo che tu fossi cattivo tanto per. Non credo che tu agissi senza ragioni.”
“Rancore. Ti sembra una ragione valida?”
“Molto valida” l’elfa lo sorprese con questa risposta, e quando lo guardò negli occhi Daren vide solo determinazione nel suo sguardo. “Il rancore nasce solo a seguito di un torto!”
“Era un torto percepito, non reale” balbettò lui.
Questo la rese ancora più triste, perché intuì come dovesse essersi sentito lui. “Allora capisco meglio il tuo senso di colpa, ma hai agito in base a quella che credevi la verità, i tuoi sentimenti in quel momento erano legittimi.”
“Erano sbagliati” insistette lui.
“Erano sbagliati, sì, l’odio è spesso sbagliato, il desiderio di vendetta è sbagliato e non porta a nulla di buono. Ma è comunque legittimo. Le due cose non si escludono. Tutti siamo fallibili, Daren, specialmente qualcuno che non è cresciuto con valori sani. Eri un drow normale, hai replicato l’unico schema che conoscevi.”
“Ero comunque una persona senziente” obiettò lui, ma cominciava a capire il punto di vista di Amyl. “Non so cosa tu sappia del mio popolo, ma non siamo incapaci di ragionare e di provare sentimenti positivi. Veniamo solo… dissuasi dal farlo.”
“Quanti di voi riescono ad andare oltre la loro educazione? Spontaneamente, intendo.”
“Vuoi dire… senza affrontare la realtà in modo traumatico come è accaduto a me, oppure senza essere presi da piccoli ed educati in modo diverso come mia sorella?” Ci pensò per un momento, rimandando alla mente le sue conoscenze all’interno del suo culto e le dicerie che aveva sentito all’infuori di esso. “Non lo so. Uno su… migliaia… forse.”
“E quindi hai la presunzione di essere proprio tu quell’uno su migliaia?” Amyl gli diede una piccola spinta, allontanandolo da sé.
“Non ero del tutto anaffettivo” sbottò lui. Non aveva intenzione di rivelarlo, era il pensiero che gli bruciava di più, non voleva ammetterlo a parole. Eppure l’insistenza di Amyl glielo stava facendo sputare. “Questo è il problema! Quando ero bambino ho voluto bene a mio fratello, certo, a modo mio, come un drow, ma gli ho voluto bene. Quando lui è morto ho giurato a me stesso di non cedere mai più a sentimenti così stupidi e inutili. Ma poi l’ho fatto di nuovo! Avevo un amico a Menzoberranzan, so che era un’amicizia di convenienza ma era molto più di quanto avesse la maggior parte di noi, e a modo suo era reale. Se tutto questo è stato possibile, è perché ho sempre avuto un animo debole, propenso alle emozioni, perfino a quelle positive. Ho ucciso innumerevoli volte, e spesso per odio, non per abitudine. Odiavo in modo viscerale perché capivo che c’era qualcosa di sbagliato in… in tutta la mia vita… e mi manda in collera il fatto di non aver saputo capire cosa fosse! Odiavo chiunque mi fosse superiore in rango, tranne il mio amico mago. Se sono riuscito a provare amicizia per qualcuno che avrei dovuto detestare, significa che… il mio cuore aveva tutti gli strumenti per capire, eppure non l’ha fatto. Non posso essere indulgente con me stesso, perché non ho visto la realtà delle cose anche se era proprio lì davanti ai miei occhi” raccontò, prendendo a malapena fiato.
Evitò di incrociare lo sguardo di Amyl, perché non sapeva come avrebbe reagito. Forse lo stava compatendo, e il pensiero era umiliante. Forse invece aveva paura di lui, perché non avevano mai parlato dell’epoca in cui era uno spietato assassino; vedere l’incertezza nei suoi occhi sarebbe stato ancora più doloroso.
Lei non lo costrinse a guardarla in faccia. Invece, lo abbracciò di nuovo.
“Forse era così anche per altri” sussurrò. Daren si irrigidì, non per il disagio ma per la sorpresa. Non si aspettava un simile pensiero, non da un’elfa. “Io non so molto di come viva la tua gente, però… provare sentimenti è normale. Negativi, o positivi, è comunque qualcosa. La tua razza cerca da più di diecimila anni di eradicare ogni sentimentalismo, però… forse in fondo in fondo, da qualche parte nel vostro animo, sapete di essere elfi. Forse ci sono cose che non si possono sopprimere del tutto. Capisco che per molti drow questa educazione porti...” ci pensò brevemente, cercando le parole “a vivere di odio. Ma che cos’è che odiano? La società, la vita, gli altri drow, le altre razze? Tutto questo mi sembra un chiaro sintomo di una istintiva rabbia, forse sapete che qualcosa vi è stato tolto e non capite cosa. Se non foste capaci di provare sentimenti, non vivreste nell’infelicità, credo.”
L’elfo scuro lasciò che le sue parole sedimentassero per qualche momento nella sua mente.
“Hai un’idea troppo romantica del mio popolo” sorrise alla fine, accarezzandole la testa. Le sue parole l’avevano rincuorato, suo malgrado; non perché ci credesse, ma perché gli piaceva quel punto di vista. “In fondo in fondo possiamo anche essere elfi, ma un normale drow non avrebbe il minimo rimorso a tagliarti la gola.”
“Non sono completamente stupida” ridacchiò lei. “Ma vorrei che tu ammettessi che eri semplicemente una persona normale, così come io sono una persona normale. Non c’è niente di vergognoso in questo.”
“Ah, un’elfa che dice a un drow che non c’è niente di vergognoso nell’essere un normale drow. Potrebbero cacciarti dalla foresta anche solo per averlo pensato!”
“Se tu fossi ancora un normale drow, avrei già chiamato le guardie. Anzi, non saresti nemmeno qui.” Sorrise con aria complice e si sporse per baciarlo. “Ma adesso non sei più normale, sei un Ruathar, e noi non concediamo questo onore a chiunque. Mi hai chiesto se essere qui sia una specie di premio per le tue cattive azioni. No, non lo è. Sai benissimo che è una specie di premio per le tue buone azioni.”
“Non è merito mio” si schernì lui. “Johel mi ha insegnato come vivere in Superficie, e l’ha fatto senza motivo.”
“Johel ha visto qualcosa di buono in te.” Indovinò lei. “Nessun elfo dei boschi si fiderebbe alla leggera di un drow.”
“Johel è stupido come un asino e due volte più testardo” la corresse il guerriero. “Mi ha dato il tormento finché non siamo diventati amici.”
“E tu non l’hai ucciso mentre ti dava il tormento, quindi aveva ragione lui.” Gli fece notare lei, e Daren gemette come un gatto preso a calci, perché sapeva che l’elfa aveva ragione. “Forse quello che ti stava offrendo era proprio ciò di cui il tuo animo debole aveva bisogno. Ciò di cui ogni maledetta persona al mondo ha bisogno. Qualcuno con cui sentirsi a casa.”
Daren ci rifletté in silenzio, aggrottando la fronte. Non aveva mai capito perché Johel gli avesse dato fiducia, e probabilmente era destinato a non capirlo mai, ma era felice che l’avesse fatto.
“Pensi che dovrei sentirmi a casa in questa foresta, con queste persone che mi maltrattano e mi ordinano bevande arcobaleno?”
Amaryll rise di cuore, e la sua risata era fresca come la pioggia di primavera. “Puoi provare a lavorare sul tuo rapporto con gli altri! Ma mi piacerebbe che prima lavorassimo sul nostro.”
“Uh, in che modo?”
L’elfa ripensò ai consigli delle sue amiche, sia a quelli generici che a quelli dettagliati. Le ragazze sarebbero arrivate per la colazione solo fra una mezz’oretta.
“Mi piacerebbe che tu provassi a fidarti di me. So che alcune cose ti mettono in allarme, ma sai che io ti voglio bene e non desidero farti del male.”
“Sì, lo so, ma non capisco dove vuoi arrivare.” Il drow fece un passo indietro, sospettoso.
“Ieri ho apprezzato tantissimo quello che hai fatto per me, soprattutto perché non è nella tua natura. L’ultima cosa che voglio è metterti di nuovo a disagio, non voglio che associ il tempo passato con me a sentimenti come l’ansia. Però vorrei che almeno provassi a rilassarti e a lasciarmi fare qualcosa.”
“Se… se vuoi prendere il controllo a me va bene, sono abituato al fatto che le donne a letto decidano cosa devo fare.”
Amyl prese un respiro profondo, raccogliendo il coraggio.
“Io vorrei che tu non facessi nulla. Vorrei che per una volta lasciassi lavorare me. In modo… non reciproco.”
Daren all’inizio non capì, poi un sospetto cominciò a farsi strada nella sua mente.
“Oh cielo. Non so, mi sembra una cosa innaturale, perversa.”
“In una coppia è una cosa normale” la ragazza cercò di tranquillizzarlo. “Tu fai qualcosa per me, io faccio qualcosa per te; in tutti i nostri incontri precedenti tu hai fatto tante cose per me. Quindi, per favore… tu mi piaci moltissimo e vorrei un po’ più di parità nel nostro rapporto.”
“Se ti dico di sì, mi troverò in una posizione assurda e inconcepibile. Se ti dico di no, significa negare il desiderio esplicito di una donna, che è una cosa assurda e inconcepibile. Amyl, tutto questo è… soltanto folle.”
“Possiamo cominciare con qualcosa di molto tranquillo” propose lei. “Qualcosa che per la tua mente non sia uno sbilanciamento di ruoli. Sai che noi elfi non tocchiamo nessuno senza il suo consenso, ma mi piacerebbe che mi dessi un po’ di fiducia. Sono molte settimane che ci frequentiamo, mi hai vista in momenti decisamente brutti, e io ho visto te in stato di crisi, sia ieri che stamattina.” Ricapitolò lei. “Se sei stato in grado di cercare conforto emotivo da me, puoi permettermi di darti anche conforto fisico.”
Il drow realizzò solo allora che sì, era vero, era illogico e ipocrita da parte sua fidarsi di Amyl al punto di aprirle il suo cuore, ma non abbastanza da lasciarla giocare con il suo corpo. Dopotutto la richiesta di Amyl poteva essere vista come un normale desiderio di controllo, che però prendeva una direzione un po’ eccentrica. Elfica.
“Possiamo provare” decise, infine. “Ma non posso prometterti che sarò a mio agio.”
“Prometto che proverò a metterti a tuo agio, quantomeno” gli assicurò Amyl, e lui non aveva motivo di non crederle.

Una mezz'oretta dopo, Amyl si sedette al tavolo delle sue amiche, leggermente in ritardo. Di solito si legava i capelli in modo elaborato per quei loro incontri, ma questa volta non ne aveva avuto il tempo. Le altre lo notarono subito, e si scambiarono sorrisetti complici.
“Allora?” Fu Freya a prendere la parola, perché come sempre era la più sfrontata. “Come mai questo ritardo? Hai qualcosa da raccontare?”
Amyl si versò una tazza di tisana, e dai suoi gesti posati fu subito chiaro a tutte che l’elfa non sprizzava gioia, anche se non sembrava nemmeno seccata.
“Non molto. Abbiamo… cominciato qualcosa.” Sussurrò.
“Cominciato?” Sillabò Kalifein, senza dirlo a voce alta.
“E non abbiamo finito” mugugnò la rossa, un po’ mortificata. “Arriva un punto oltre cui… insistere diventa inutile. Ma abbiamo cominciato, ed è un grande passo avanti considerando le sue obiezioni passate.”
Freya fece un’espressione dubbiosa, Pilindiel si strinse nelle spalle perché non riusciva nemmeno a capire certi problemi in una coppia, ma Aphedriel si mostrò molto incoraggiante.
“Hai ragione, è un buon inizio” assentì. “Quando qualcuno si sente a disagio le cose possono non funzionare subito, o non sembrare naturali. Ma secondo me con l’abitudine il disagio svanisce, e le cose andranno sempre meglio, a patto che tu non faccia troppe pressioni.”
Amaryll le rivolse uno sguardo carico di gratitudine. “Sì, lo penso anche io. Non insisterò, ma ogni tanto riproveremo. Siamo elfi, abbiamo moltissimo tempo davanti a noi.”

In quello stesso momento, un drow ancora mortificato camminava fra gli alberi della città, senza una meta, solo per svagare la mente. Era stato un completo disastro. Durante l’atto si sentiva fuori luogo perché stavano facendo una cosa che avrebbe dato piacere solo a lui, e questo lo bloccava, ma allo stesso tempo il fatto di non arrivare da nessuna parte gli metteva ansia perché non stava rispettando i desideri della sua amante. Alla fine Amyl si era arresa, e non si era nemmeno arrabbiata. Era stata dolce e comprensiva e questo era stato come un pugno nello stomaco.
Certo, era stato anche tranquillizzante. Lui aveva fallito nel compiacerla e lei aveva detto che andava bene lo stesso, e che era felice che ci avessero provato. Questo era… un ottimo presupposto per provare di nuovo in futuro.
È proprio vero: non conosci il carattere di una persona finché non la deludi, ragionò fra sé e sé. Ma questo mi fa sentire in colpa per avere fallito, e per avere dubitato di lei.
Va bene, farò meglio la prossima volta.
Decise, risoluto.
Nel suo vuoto peregrinare non si accorse che era arrivato quasi ai limiti della città. Decise di tornare indietro, forse sarebbe andato a trovare Johel, visto che per le prossime due settimane l’elfo sarebbe rimasto in città e quindi non avrebbero pattugliato insieme.
Era quasi tornato alla piazzola davanti alla Casa degli Scapoli, quando lady Merildil sbucò da dietro un albero e gli si parò davanti.
“Daren, ti cercavo!” La druida sembrava avere fretta, e tutto nella sua postura indicava che era a disagio. “Hinistel ha avuto una premonizione inquietante e vorrei che tu andassi a controllare le gallerie.”
“Uhm… va bene. Quando?”
“Adesso. Mastro Wilhik è già alla Porta dei Monti con le mappe e le tue armi.”
Cosa?” Daren era incredulo, e anche un po’ offeso. Non gli piaceva che qualcun altro toccasse le sue armi.
“Mi dispiace, credimi, ma ci sembra una cosa molto urgente.”
Il guerriero s’incupì un po’, perché non avrebbe nemmeno avuto il tempo di salutare Amaryll, Johel o Jaylah, ma se Merildil diceva che era urgente allora lui doveva fidarsi e partire.
“Va bene, vado subito. Puoi passare alla Casa degli Scapoli, per favore? Ho soggiornato lì la notte scorsa e… uhm…” Aveva parlato senza pensare e ora era un po’ in difficoltà. Non avrebbe potuto sostenere che avesse in programma di dormire lì anche stanotte, perché nel pomeriggio o verso sera avrebbe comunque dovuto lasciare la città per tornare al suo dovere di pattuglia. Non poteva nemmeno dire di dover pranzare lì perché aveva un anello magico che gli rendeva superfluo il cibo, e tutti lo sapevano. “Ho dimenticato lì una cosa. Puoi dire alla locandiera che tornerò a prenderla quando sarò di nuovo in città?”
La druida sorrise con una certa condiscendenza. “Ma certo, ci penso io. Buon viaggio, e gra… uhm, buon viaggio e basta.” Si corresse, perché lui aveva già cominciato a guardarla male.

Una decina di minuti più tardi, Merildil raggiunse suo marito nella piazza principale.
“È andato?” Mormorò Fisdril, guardando nervosamente verso nord.
“In fretta e senza fare domande” rispose la dama a bassa voce.
“Siano ringraziati i Seldarine. La delegazione sta per arrivare. Che gli hai detto per farlo partire?”
“Che sospettavamo problemi dal sottosuolo. Questo dovrebbe tenerlo lontano dalla vista.”
Lord Fisdril tirò un sospiro di sollievo. A volte dimenticava quanto fosse fortunato ad avere una moglie intelligente e con pochi scrupoli.

           

   
 
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