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Autore: Mary P_Stark    06/06/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3.
 
 
 
 
Sapeva di aver corso più di un rischio, con quel piano ai limiti del sopportabile, così come era cosciente che presentarsi lì, disarmato e solo, era ancor più rischioso di ciò che aveva fatto fino a quel momento.

Studiare le abitudini di Artemide, il suo rapporto con il mortale che amava, però, lo aveva convinto a rischiare il tutto e per tutto, pur di salvare fratello e madre, perciò ora Memnone stava affrontando da solo la nemesi di Eos.

Colei che gli aveva strappato il suo Orione, colei che al tempo stesso aveva reso onore e giustizia alle amiche Pleiadi, colei che non aveva perdonato il tradimento dell’amico.

La dea della caccia era tutte queste cose, ai suoi occhi, ma in quel momento sperò soprattutto che fosse una donna abbastanza paziente da ascoltarlo.

Già il fatto che avesse gettato a terra la sua magica rete – complice l’aver ascoltato le parole del suo uomo – deponeva a suo favore.

Ugualmente, ripiegò ossequioso il capo e disse: “Ti rendo onore, Agròtis Dia. Giungo qui in pace, e con risposte, se vorrai farmi la cortesia di ascoltare.”

Artemide si accigliò leggermente, percependo quel messaggio mentale destinato a lei sola e, scosso il capo, si avvicinò cauta a Memnone, sollevò una mano per sfiorarlo e, con un mezzo sorriso, disse: “Ti concederò la forza per tornare alla tua forma primigenia, Memnone, poiché è giusto che le persone con me sappiano ogni cosa.”

Ciò detto, lasciò che l’icore nel suo sangue prendesse vita e, fulgida come una piccola stella, trasferì parte del suo potere all’immortale che, sotto gli occhi sorpresi di tutti, prese sembianze umane.

Scostandosi e tornando la se stessa di sempre, Artemide si riaffiancò a Felipe e, inclinando il capo nell’osservare il giovane dai ricci capelli castani e gli occhi grigi, chiosò: “Non ti ricordavo così bello. Somigli molto a tua madre, Memnone.”

Ancora, il giovane reclinò il capo e mormorò: “Sei molto cortese, Agròtis Dia. Le tue parole mi lusingano, pur se so che la vera bellezza è ben lungi dalla mia persona, che è di assai modesta natura.”

Artemide ghignò un poco, replicando: “Parli con proprietà e rispetto, figlio di Eos, ma ciò non toglie che tu sia di stirpe a me invisa perciò dimmi cosa vuoi, e poi io deciderò cosa farne di te.”

“Così sia, Agròtis Dia. Giungo qui con una preghiera e una spiegazione. Tutto ciò che è avvenuto in queste ore è stato fatto per offrire a mia madre un pegno per il suo dolore millenario ma, al tempo stesso, per non infierire in maniera irreparabile su di te, Kynégetria.”

Più che mai confuso dalle parole dell’uomo di nome Memnone che, da quel che aveva capito, era il figlio della nemesi di Artemide, Felipe lanciò un’occhiata dubbia alla dea e domandò: “Scusa l’ignoranza, …ma perché ti chiama con tutti questi titoli?”

Sogghignando beffarda all’indirizzo di Memnone, la divinità asserì: “Perché il giovane qui dinanzi a noi ha studiato la lezione, e sa che amo essere venerata, anche se cerco di non darlo a vedere. Inoltre, sa che è meglio non arruffare le piume di un falco, vero?”

“Ciò che dici è giusto, Agròtis Dia” chiosò Memnone, affabile, prima di adombrarsi in viso e aggiungere: “Sono io il responsabile di ciò che hai trovato dinanzi alla porta della tua villa, così come del cadavere nella dependance. Il tutto è stato fatto per offrire a mia madre le tue lacrime, così che esse potessero lavare le sue.”

Pur accigliandosi, Artemide fu ligia alla promessa fatta a Felipe di lasciar parlare l’immortale figlio di Eos così, con un cenno nervoso della mano, incitò l’uomo a proseguire.

“Emastione e mia madre volevano colpire lui…” proseguì Memnone, indicando Felipe. “… per questo sono intervenuto in prima persona, deviando i loro piani iniziali. Non desideravo la morte di nessuno, poiché sufficiente sangue era stato versato per questa faida millenaria, e non desideravo che proseguisse in eterno.”

Indicando la dependance, Artemide replicò piccata: “Mi sembra che un cadavere riposi sul letto di Endimione. Lui dov’è, a proposito?”

“Endimione sta bene. Si trova in una grotta sulla costa, protetto dai miei simili e stordito da un infuso di belladonna” le spiegò Memnone. “Quanto al cadavere, ho prelevato il corpo da una camera mortuaria. Ho impiegato un po’ per trovare la persona giusta ma, alla fine, è successo.”

“La testa mozzata?” domandò a quel punto Felipe.

“Opera di mastri artigiani umani. La mecca del cinema offre un sacco di Studi che lavorano sugli effetti speciali, e non è stato difficile ottenere ciò che volevamo per mettere in pratica il nostro piano” ammise l’immortale. “Emastione ha seguito per diverso tempo Endimione, procurandomi così moltissime foto da inviare allo Studio.”

“Curioso che quello psicopatico di Emastione abbia accettato di giocare tutto sulla psicologia, piuttosto che sul sangue” chiosò sarcastica Artemide, giocherellando con le dita sulla superficie lignea del suo arco.

Felipe la scrutò ansioso, ma lei non fece nulla. Fu però Delia a prendere la parola e, livida in viso, sibilò: “Avete terrorizzato mio figlio, oltre a me e mio marito, e avete portato lo scompiglio nella mia famiglia. E tutto per cosa?!”

“Per Orione, è ovvio” celiò Artemide, allungando una mano per carezzare il viso della figlia. “Eos si è voluta vendicare, ferendomi come io ferii lei. Quel che mi chiedo è… perché ora? Ha avuto millenni per farlo.”

Scrollando le spalle, Memnone si limitò a dire: “Le rinascite di Emastione avvenivano sempre lontano dai periodi in cui Endimione era desto, così non ha mai potuto aiutare nostra madre a compiere la sua vendetta.”

“Perché, ovviamente, Eos è così vigliacca da non volersi sporcare le mani in prima persona, vero?” ghignò perfida Artemide, la mano ora stretta a pugno intorno all’arco.

“Mia madre non ha mai brillato per iniziativa. Non è come te, Agròtis Dia.”

“Questo è poco ma sicuro” sbuffò la dea. “Tu, quindi, hai sempre rifiutato le sue richieste?”

“Io vivo in pace, Kynégetria, e non amo la guerra. La mia vita da airone mi piace perché mi permette di vivere in un mondo lontano dalle ipocrisie dell’uomo, perciò non poteva interessarmi la sete di vendetta di mia madre. Sete di vendetta, tra l’altro, del tutto immotivata” sottolineò Memnone con estremo candore.

Sollevando sorpresa un sopracciglio, la divinità lo scrutò con estremo interesse e, dubbiosa, domandò: “Cosa vuoi dire, con le tue parole?”

“So tutto ciò che successe alle Pleiadi. Parlai a suo tempo sia con Alcione che con le sue sorelle, e seppi da loro la verità. Cercai di parlarne in più occasioni anche con mia madre, ma tutto fu vano, così rinunciai a darle conforto e sbagliando, lo ammetto, la lasciai al suo dolore.”

Artemide sospirò pesantemente, fece scomparire l’arco e la faretra con le frecce dopodiché, scrutando con profonda stanchezza Memnone, disse: “Sono disposta ad ascoltare i tuoi consigli. Come dovremmo risolverla, una volta per tutte?”
 
***

Mai, in tutta la sua esistenza, era stata vittima di un tradimento così grande, così profondo, così totale.

Perché, in nome di tutti gli dèi, Memnone si trovava nel giardino dei Panagulis, in piena vista? Cosa aveva in mente di fare?! Perché non si era attenuto al piano?!

Ma più di tutto, come aveva potuto riprendere sembianze umane?!

“Avrei dovuto far fare tutto a Emastione” sibilò la dea, abbandonando la sua postazione sul colle alle spalle di Kissonerga per raggiungere il figlio.

Emastione non era ancora tornato dalla sua missione californiana – i tempi dei voli transoceanici erano maledettamente lunghi, e lei non poteva smaterializzarlo da un capo all’altro del mondo – ma non importava, al momento.

Doveva capire cosa aveva in mente Memnone. E nel caso, fermarlo.
 
***

“Credo di avere la soluzione a tutto, Agròtis Dia, anche se mi ci è voluto non poco per risolvere l’ultimo rompicapo di questo intricato guaio…” iniziò col dire Memnone, quando una nuvola argentea si materializzò sopra le loro teste.

Artemide si parò immediatamente dinanzi a Felipe mentre Hermes, mosso da un insolito istinto protettivo, si pose innanzi a Delia, porgendo poi a Theodoros il piccolo Hektor.

Dalla nuvola, con ben poca sorpresa, emerse una furente Eos che, scrutando il folto gruppo presente nel giardino, fissò accigliata la forma umana del figlio e, confusa, esalò: “Memnone… come puoi…”

“Merito di Artemide” le spiegò lui, prima di aggiungere: “Ora, madre, è tempo di affrontare questo inutile dolore, e di ascoltare – e accettare – la verità per quella che è.”

Ripresasi dal momentaneo shock – come, e perché, Artemide aveva ridato le forme umane a Memnone? – la dea sibilò: “Non ricominciare con questa litania. Non ascolterò mai le bugie delle leccapiedi di quella puttana!”

“Ehi, dico un po’!” si inalberò immediatamente Artemide, stringendo i pugni per la rabbia.

Felipe si limitò a prenderla per mano e lei, pur furente, mormorò: “Ringrazia che ti amo, sennò farei ‘chiamate aiuto’1.”

Accennando un sorrisino, l’uomo replicò: “Devo toglierti i blue-ray della Marvel. Tu e Athena fate troppe maratone.”

“Provaci, e ti brucerò i boxer di Iron Man” sottolineò per contro lei, ammiccando melliflua.

“Questo è un colpo basso” brontolò Felipe.

“Può anche essere, ma…” cominciò con il ribattere Artemide, prima di venire interrotta dall’imbarazzato tossicchiare di Hermes.

Volgendosi verso il dio, sbottò dicendo: “Beh, che hai? Ti è venuta la tosse cavallina?!”

“Ragazzi, per quanto mi piaccia vedervi battibeccare come due piccioncini, abbiamo giusto una faida millenaria da risolvere, e una dea incazzata da calmare” celiò Hermes, indicando diverto una inviperita Eos.

Artemide non se lo fece ripetere. Raccolse le maniche della sua camiciola fin sopra i gomiti e, a passo di carica, si diresse verso Eos ringhiando: “Risolviamola alla vecchia maniera. A suon di pugni!”

Prima ancora che Felipe potesse bloccarla, o Memnone si mettesse in mezzo per proteggere sua madre, la voce poco distante di un uomo interruppe tutti, congelandoli sul posto.

“Ti prego, amica mia. Fermati.”

Raggelata dal suono di quella voce che, per millenni, non aveva più udito, Artemide divenne pallida come un cencio e, volgendosi a mezzo, fissò lo sguardo sull’uomo alto e bruno che si trovava al limitare del giardino.

Eos ne seguì a sua volta lo sguardo, le lacrime ben visibili nei suoi occhi di cielo e, con un singulto, esalò straziata: “Orione…”

Sia Felipe che i coniugi Panagulis rimasero scioccati nell’udire quel nome, ma non Hermes, che chiosò: “Beh, se non è una carrambata questa…”

“Perché… perché sei qui, ora?” domandò addolorata Eos, non riuscendo neppure a muoversi, tanto era il suo disagio. “Perché non ti ho mai trovato, in questi millenni?”

“Perché non mi sono mai reincarnato” sottolineò colpevole Orione, guardando turbato le lacrime di Eos. “Dovevo espiare le mie colpe.”

Quelle ultime parole congelarono il volto della dea dell’aurora che, immobile, mormorò: “Quali… colpe?”

Orione, allora, scrutò dolente Artemide e ammise: “Le colpe per cui la dea della caccia mi diede la morte.”

Eos impiegò diversi attimi per assimilare quelle parole ma, quando il suo cervello sconvolto ammise ciò che l’uomo aveva detto, crollò in ginocchio ed emise un grido così straziante da colpire persino Hermes.

Il pianto venne subito dopo e Memnone, nel vedere la madre così prostrata dal dolore, si accovacciò al suo fianco per stringerla in un abbraccio.

Cullandola contro di sé mentre le lacrime della dea intridevano la sua tunica, Memnone la sentì dire: “Tu mi avevi avvisata… mi avevi detto ogni cosa, e io non ho voluto crederti…”

“Il tuo amore per lui ti aveva resa cieca e sorda, per questo non riuscivi ad ascoltarmi” replicò comprensivo il figlio, baciando gentilmente i capelli della madre.

Artemide osservò l’intera scena senza avere la forza di provare alcun risentimento, ma così non fu per Delia che, furiosa, sibilò: “Spero che ora sarete tutti soddisfatti! Avete avuto la vostra scena madre! Ma adesso rivoglio mio padre!”

Hektor si allungò dalle braccia del padre per raggiungere Delia e lei, tremante, lo prese tra le braccia, aggiungendo: “Avete sconvolto me, mio figlio e mio marito, oltre che mia madre. Spero che il vostro orgoglio di dèi sia sazio, ormai.”

Artemide sospirò spiacente nel vedere il livido dolore della figlia e Orione, nell’osservare la donna, annuì contrito e disse: “Tutti noi, in un modo o nell’altro, ti abbiamo reso un danno, e me ne scuso.”

Scostandosi dal figlio e tergendosi le gote rosse di pianto, Eos si rialzò in piedi e, annuendo a sua volta, mormorò: “Ti devo delle scuse anch’io. Avrei dovuto sapere che, su un argomento simile, Artemide non avrebbe mai potuto mentire, ma il dolore ha parlato per me, e mi ha guidato in questi millenni senza mai farmi scorgere la verità.”

Artemide sospirò irritata, a quell’accenno, e replicò: “Meglio tardi che mai. Io non mi schiererò mai contro una donna tradita, Eos. Avresti dovuto pensarci a suo tempo!”

“Lo so” ammise Eos, lanciando poi uno sguardo a Felipe, che teneva ancora una mano premuta sul braccio di Artemide. “Voglio scusarmi anche con te, mortale, per la terribile sorte cui ti volevo rendere partecipe.”

Felipe si limitò a un assenso torvo, preferendo non esprimersi proprio in quel momento. Stava tentando di trattenere la collera per non far inalberare Artemide, e qualsiasi parola uscita dalla sua bocca in quel momento, sarebbe apparsa in ogni caso rabbiosa.

Meglio tacere, quindi.

Eos accettò il suo silenzio, non potendo certo pretendere il suo perdono immediato e, rivolgendosi infine a Orione, disse: “Furono le Pleiadi, quindi.”

“Temo di sì” ammise lui, reclinando colpevole il capo bruno.

Eos sospirò affranta ma non disse nulla e Hermes, passandosi una mano tra i riccioli biondi, domandò scocciato: “Beh, tutto qui? La risolvete così? A tarallucci e vino?”

La dea dell’aurora, allora, volgendosi a mezzo verso il messaggero degli dèi, lo raggelò con uno sguardo colmo di risentimento e mormorò lapidaria: “Chi ha detto di aver risolto?”

L’attimo seguente, prima che Memnone o Artemide potessero bloccarla, Eos si scagliò contro Orione, insultandolo in tutte le lingue di sua conoscenza e utilizzando una gergalità così sboccata che persino Artemide arrossì sconvolta.

Delia e Theodoros, preferendo non correre rischi, portarono in casa di volata Hektor mentre Memnone, osservando l’intera scena con aria esasperata, si passò una mano sul volto e mormorò: “La mia idea non era esattamente questa.”

Del tutto impreparato a questa svolta, Felipe fissò Artemide con aria palesemente divertita e chiosò: “Le dee conoscono la moderazione?”

“Evidentemente, no” ammise Artemide, sgranando a più riprese gli occhi man mano che gli insulti sboccati proseguivano.

“Devo immaginare che non stia esattamente cantando l’Ave Maria… almeno a giudicare dalla tua faccia” asserì dopo un attimo Felipe, chiedendosi al tempo stesso quanto potesse resistere, un corpo umano, sotto i colpi ripetuti di una dea furiosa.

“Ah… no. Decisamente non è una preghiera, la sua. Non quella canonica dei cristiani, per lo meno” esalò Artemide, mordendosi dubbiosa il labbro inferiore.

Hermes, tutt’altro che allibito, si accomodò su una delle poltrone da giardino e, sospirando deliziato, asserì: “Arty, ti ringrazio. Mi fai sempre partecipare a delle gite assai istruttive.”

“Idiota” bofonchiò Artemide, prima di volgersi a mezzo quando udì un’imprecazione giungere dal bordo del giardino.

Trafelato per la corsa e rosso in volto come un peperone maturo, Emastione si aggrappò alla staccionata di legno bianco come se ne andasse della sua vita e, contrariato, esclamò: “Ma perché diavolo non mi ha aspettato?!”

Sollevando entrambe le sopracciglia con espressione rinvigorita – il litigio tra Eos e Orione già del tutto dimenticato – Artemide celiò: “Oh, del divertimento anche per me.”

“Ah… Agròtis Dia…” tentennò Memnone, non sapendo quanto schierarsi dalla parte del fratello. In fondo, si meritava una lezione per aver congiurato contro la vita dell’amante della dea, ma non voleva che si creasse un’altra faida millenaria.

La dea silvana storse il naso, fissò sia Memnone che Felipe con aria scoraggiata e, rilassando le mani già strette a pugno, borbottò: “Siete due piaghe pacifiste. Non c’è alcun divertimento, ad avervi attorno.”

Ciò detto, sollevò il mento verso il cielo, ghignò e aggiunse: “Afroditeee… caraaa… ci sarebbe una total body per teee…”

Quel tono stranamente zuccheroso e querulo preoccupò immediatamente sia Felipe che Memnone, ma non Emastione che, ripresosi dalla corsa per raggiungere casa Panagulis, oltrepassò il cancelletto aperto e domandò: “Perché quelle facce? Cosa volete che succeda, se arriva anche Afrodite? E poi, perché la mamma sta malmenando quel tipo?”

Memnone si domandò fuggevolmente dove, nella mente ottusa del fratello, potesse essersi nascosto l’unico neurone funzionante ma, quando una nube d’oro si materializzò nel giardino, lasciò perdere quel pensiero e iniziò a pregare.

Hermes, invece, batté le mani eccitato ed esclamò: “Vai così! Ultimate fighting!”

La dea della bellezza apparve in tutto il suo splendore, meravigliosa alla vista nel suo peplum color cielo, mentre nuvole di capelli dorati le scendevano sulle spalle.

Raggiante e piena di brio, la dea atterrò dolcemente sul prato ormai irrimediabilmente rovinato da tutto quel tramestio di persone e, sorridendo alla dea silvestre, domandò: “Sono così felice che tu mi abbia chiamato! Sarebbe il mio primo cliente!”

Ora del tutto confuso, Felipe fissò Artemide con occhi colmi di domande e Afrodite, nel notarlo, cinguettò allegra ed esclamò: “Ohhh, dimmi che è il tuo uomo, ti prego! E’ adorabile!”

“Sì, tesoro… ma non è a lui che farai la total body…” ghignò Artemide, indicando poi con un dito il sempre più smarrito Emastione. “… lui si è gentilmente offerto per una ceretta su tutto il corpo.”

“Ma che amore!” trillò Afrodite, schioccando le dita e facendo comparire la sua borsa con l’attrezzatura da estetista.

Alla parola ‘ceretta’, Emastione impallidì di colpo, si tastò il torace irsuto, si guardò le braccia ricoperte di peluria castana e, con un grido ben poco mascolino, se la diede a gambe levate.

“Oh, ma tu guarda che fifone…” brontolò Afrodite, scuotendo il capo prima di incamminarsi verso il cancelletto da cui era scappato Emastione. “Deimooos… Phobooos… mamma ha bisogno di voiii!”

Nel sentirli nominare, Artemide scoppiò in una grassa e un po’ sadica risata e, mentre due creature alate dall’aspetto demoniaco apparvero accanto alla dea della bellezza, Felipe chiosò sconcertato: “E meno male che sono dèi…”
 
***

Con la promessa di rientrare in un breve lasso di tempo, Artemide e Memnone si allontanarono da casa Panagulis con l’intento di recuperare Endimione e, dopo essersi teleportati sulla spiaggia, la dea domandò: “Perché ti sei prestato a tutta questa pagliacciata di pessimo gusto?”

Indicando alla dea dove imboccare il sentiero che conduceva alla grotta dove aveva nascosto Endimione, Memnone sorrise spiacente e ammise: “E’ difficile vedere le lacrime della propria madre, anno dopo anno, secolo dopo secolo, senza tentare di fare almeno qualcosa. Sapevo di rischiare, ma speravo nella tua clemenza.”

Sbuffando, Artemide assentì suo malgrado e borbottò: “Sì… immagino sia qualcosa di vagamente angosciante.”

Ridacchiando, Memnone indicò un’apertura nella scogliera dove miriadi di aironi stavano stoicamente facendo la guardia e aggiunse ironico: “Angosciante? Stavano per scoppiarmi i timpani!”

Anche Artemide sorrise divertita nonostante tutto e, nel penetrare all’interno della grotta assieme a Memnone, asserì: “Quando uccisi Orione, non volli certo ferire lei. Non sono così meschina da negare che, a suo tempo, lo predai anche per vendicarmi dell’onta subita, ma fu soprattutto per ciò che Orione aveva fatto alle Pleiadi e a Eos. Per me è inaccettabile che un uomo ferisca a questo modo una donna.”

“Ne sono cosciente e, quando ho percepito la presenza di Orione su questa terra, ho iniziato a cercarlo per parlargli di ciò che avevo intenzione di fare. Ma mai, in tutta la mia vita, avrei immaginato che mia madre avrebbe reagito così alla sua presenza” esalò sconcertato Memnone, facendo ridere la dea della caccia.

“Sottovaluti il senso di rivalsa di una donna. Può essere tremendo” ghignò la dea, prima di inarcare un sopracciglio e domandare: “E così, tu fiuti i semidei?”

“Qualcosa del genere. Li percepisco, come se fossero segnali radio che posso sentire coi miei sensi. E’ così che abbiamo trovato tua figlia, e abbiamo iniziato a tenere d’occhio Endimione” assentì Memnone. “A ben vedere, ce ne sono un sacco, al momento.”

“Chi, per esempio?” domandò Artemide, addentrandosi ulteriormente nella caverna e tastando la parete alla sua destra per non cadere. Non si vedeva a un palmo, e non aveva pensato di portare con sé una torcia elettrica.

“Oh, beh, così su due piedi mi vengono in mente Asclepio che, da quel che so, fa il chirurgo a Philadelphia, Tersicore, che ha aperto un disco pub a Londra e Achille, che fa l’insegnante di atletica a…” iniziò col dire Memnone prima di interrompersi quando vide Artemide ghignare soddisfatta. “…credo che non avrei dovuto nominare proprio lui.”

“Non preoccuparti…” ciangottò la dea, ammiccando perfida. “… non hai visto come sono diventata brava a trattenere la rabbia?”

“E’ un brav’uomo. Davvero” sottolineò suo malgrado Memnone, indicando alla dea di svoltare alla sua sinistra.

“Non devi dirlo a me. Sono Athena e Apollo che hanno avuto da dire con lui” si limitò a replicare Artemide prima di sorridere di fronte al corpo di Endimione.

Al solo vederlo, l’icore prese a brillare nel suo corpo di dea.

L’uomo stava riposando su un letto di frasche e, quando la dea si accucciò per svegliarlo, sorrise nel vedere i suoi occhi azzurri aprirsi alla luce fioca emanata dal suo corpo divino.

“Ehi… ma non avevamo smesso di vederci così?” ironizzò la dea, dandogli un buffetto sulla guancia.

Endimione si poggiò su un gomito per mettersi seduto, sorrise alla dea e replicò: “In effetti, ha molto del dejà vu. Dove siamo, stavolta, per la cronaca? E chi è lui?”

Sorridendo, Arty lo aiutò a rialzarsi e, nell’indicargli di seguirlo all’esterno della grotta dove in quel momento si trovavano, disse: “Lui è il tuo rapitore e, quando torneremo a casa, ne vedrai delle belle.”

Endimione si concesse un secondo per apparire sbalordito ma, l’attimo seguente, scoppiò in una frenetica risata ed esclamò: “Con te, ne succedono sempre delle belle!”

“Vero” chiosò la dea, facendo spallucce.





(1) "chiamate aiuto": vedasi il film Marvel Thor: Ragnarok. La scena riguarda Thor e il suo fratellastro Loki e riguarda un vecchio gioco che facevano da bambini.



N.d.A.: che dite? Ormai Eos si sentirà appagata, o adesso la sua vendetta si protrarrà all'infinito contro Orione?
  
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