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Autore: Hypnotic Poison    07/06/2019    3 recensioni
« A volte un po’ mi manca. La sensazione di libertà che ogni tanto mi dava. Sai, volare. »
« Vedi che non ti dispiace allora se ti chiamo tortorella. » [...] Aveva sempre voluto solamente un po’ di quiete; aveva sempre fatto tutto ciò che una signorina del suo rango doveva fare. L’unica sua eccezione era la danza, il suo grande amore. E già per quello si sentiva costantemente in lotta con la sua famiglia, come se non potesse mai dimostrare abbastanza, e lei era così stanca di controbattere continuamente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Kisshu Ikisatashi/Ghish, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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One look at you and I can't disguise

 

 

 

 

 

La riunione è finita tardissimo, ci hanno spostato l’aereo a domattina!

Fai gli auguri e le scuse a Momomiya-san da parte mia, per favore.

Appena arrivo ti chiamo, buona serata!

 

Minto rispose con un veloce messaggino di comprensione e ripose il cellulare in tasca, leggermente amareggiata. Non importava da quanto la sua vita fosse accompagnata da impegni cancellati per motivi di lavoro, ogni volta lei non riusciva mai ad abituarsi del tutto alla cosa.

Forse avrebbe dovuto incominciare lei a comportarsi in quella maniera.

Ripose il cellulare nella borsetta e riconcentrò l’attenzione sulla sala in cui aveva fatto il suo ingresso. Una lunga tavolata, quasi invasa da centrotavola fiorati, occupava circa un lato del ristorante in cui si stavano riunendo per celebrare il venticinquesimo compleanno di Ichigo, magicamente in orario sicuramente a causa dell’influsso positivo di Ryo.

« Se questo è lo sfarzo del quarto di secolo, cosa combinerai per un tuo eventuale matrimonio? » la prese dolcemente in giro mentre la salutava e veniva avvolta dall’abbraccio felice della festeggiata, che rise sottovoce.

« Eh, per quello devi chiedere a Ryo. »

« Qualcosa mi dice che dovrebbe essere lui a chiederlo a te, » si scambiarono una risatina complice, il biondo poco distante che le guardò scuotendo la testa ben conscio di cosa potessero combinare insieme, poi la mora si allontanò verso il tavolo alla ricerca del cartoncino con il suo nome mentre Ichigo salutava altri ospiti.

« Stai cercando di fare stragi di cuori stasera, tortorella? »

Lei sorrise alla battuta carica di ironia di Kisshu, una luce furba che gli illuminava gli occhi, e alzò il mento con aria fiera mentre ondeggiava appena i fianchi per far ballare il fiocco laterale del corto abitino che indossava: « Non ti piace? » chiese con aria innocente.

Kisshu scosse la testa divertito, prima di studiarla con evidente apprezzamento da capo a piedi: « Il rosso è un colore molto deciso. Non passi certo inosservata. »

Minto inclinò il volto, i capelli lasciati sciolti e piegati in morbide onde che seguirono il movimento lungo la schiena: « Sarebbe stato un peccato lasciarlo dentro l’armadio, era da un sacco che aspettava il suo momento. »

« No, infatti, non posso che concordare. »

Avvertì un accenno di orgoglioso sfarfalleggio al petto all’espressione che gli vide fare. Era d’accordo che quell’abito non rientrava decisamente nei suoi canoni tradizionali, visto il colore sgargiante e il fatto che fosse ricamato quasi interamente di paillettes, tranne che per la cintura di seta che le stringeva i fianchi e le chiudeva la scollatura presente sia sul petto che sulla schiena. Se n’era innamorata a prima vista, ma non aveva ancora avuto il coraggio di indossarlo, fino a quella sera. Giusto perché Ichigo aveva implorato tutti fino alla fine di essere eleganti (forse era davvero riuscita a contagiarla), e perché aveva avuto voglia di cambiare, per un istante.

E la soddisfazione di cancellare undici centimetri buoni con quello svergognato alieno grazie ad un paio di tacchi a spillo dello stesso colore, e ottenere una reazione simile, era decisamente impagabile. 

Kisshu tossicchiò, poi fece un cenno della testa: « Tutto molto elegante, non trovi? »

« Non avresti dovuto avere dubbi, » replicò lei,  « Il ristorante è stato un consiglio della onee-sama. »

« Non vuoi ammettere che c’è stato anche un po’ del tuo zampino? Dubito che la lupotta si lasci scappare il nome con voce dolce ma decisa con i ristoranti per ottenere il tavolo migliore con poco preavviso. »

« Stai dicendo che io chiedo trattamenti di favore , » scherzò lei, poggiando una mano sul petto con finta sorpresa.

« Sto dicendo che sei una tortorella molto caparbia quando vuoi ottenere le cose, » commentò a bassa voce l’alieno, sfiorandole il braccio con il torace quando si piegò in avanti per afferrare il segnaposto su cui era scritto il suo nome, « Bene, io sono arrivato. »

Lei annuì appena, poi con un dito dalla manicure perfetta indicò una sedia dall’altro lato del tavolo: « Io ho il posto d’onore. »

« Ovviamente. Qualcosa mi dice che stiate mandando segnali ben precisi al povero biondo. »

Minto alzò le sopracciglia, sorpresa e divertita: « Certe insinuazioni non sono eleganti. »

« Mai detto di esserlo. »

Lei scosse la testa divertita, poi gli abbozzò un inchino, giusto per sbeffeggiarlo un po’: « Ti auguro una buona cena. »

Avvertì il suo sguardo seguirla mentre girava intorno alla fine del tavolo per andarsi a sedere: « Così lo fai sembrare come se non mi rivolgerai più la parola. »

« Magari te lo devi meritare! »

In poco tempo, anche spinti dai richiami di Ichigo che cominciava a sentire i primi morsi della fame, la ventina di commensali occupò ognuno il proprio posto così che l’accurato menù a cui Minto effettivamente aveva contribuito a scegliere potesse sfilare davanti a loro e riempire sia occhi che stomaci.

Non avrebbe voluto, ma, nonostante si stesse davvero godendo la serata, rimettendosi al passo di pettegolezzi con Moe e Miwa, continuò a controllare ogni tanto il cellulare, giusto per vedere se fosse arrivato qualche messaggino in più. Probabilmente c’era stato l’intervento divino di Zakuro che si era presa la briga di scalare i posti all’ultimo secondo vedendola arrivare sola, ma la sedia vuota in fondo al tavolo era per lei sicuramente notevole. Almeno, era una magra consolazione sapere che nessuno si sarebbe mai azzardato a chiederle qualcosa, a meno che non il discorso non fosse partito da lei. Prese un sorso del suo cocktail fruttato e si lasciò andare di nuovo alle chiacchiere, fingendo di non essere almeno un pelino soddisfatta dalle occhiate che la parte maschile della tavolata le lanciava sottobanco.

Il volume della tavolata, già di per sé alto visto i partecipanti, raggiunse un livello ancora più alto nel momento in cui una torta sormontata da venticinque candeline veniva portata davanti a un’euforica Ichigo, che arrossì vistosamente e applaudì deliziata.

« La solita esagerata, » la prese in giro Minto, « Quella torta è più grande di te. »

« Ne avrai un pezzetto solo se ti spicci a venire a fare la foto. »

Lei alzò gli occhi a cielo divertita e si alzò in piedi, lasciandosi agguantare dalla rossa mentre si disponevano tutti in gruppo decisamente non per una foto.

« Okay, una con le ragazze ora! »

« Ichigo-chan, ma la torta…! »

« Ultimissima, Ryo torna qua! »

Il biondo cedette alle richieste della sua fidanzata, probabilmente già un po’ oltre il suo tasso di resistenza alcolica, sussurrandole dolcemente qualcosa all’orecchio che la fece sorridere ancora più e le colorò le guance giusto nel momento in cui Retasu scattò la foto.

Minto non si trattenne dallo scuotere la testa con un accenno di sorriso, concentrandosi piuttosto sul cameriere che stava tagliando la torta in simmetrici quadretti invece che su tutte quelle dimostrazioni di affetto a dieci centimetri da lei.

« Ne gradisce un pezzetto, signorina? »

« Molto piccolo, per favore. »

« Scatenatissima stasera, tortorella, addirittura un dolce. »

Lei alzò gli occhi su Kisshu, dall’altro lato della tavola, il piattino da dolci già allungato in attesa verso la torta.

« Oltre ogni tua aspettativa? »

Lui rise divertito: « Assolutamente. »

Si scambiarono un’occhiata di comprensione mentre Ichigo scoppiava a ridere ad alta voce all’ennesimo mormorio di Ryo all’orecchio, e all’alieno non sfuggì il minimo arriccio di naso e lo sbuffetto che scapparono alla mora.

« Per favore, contegno, » esclamò scherzosa, mentre girava intorno alla tavolata e lo raggiungeva.

« Ah, vedo che le smancerie sono comunque il tuo punto debole, » la prese in giro, continuando a ingurgitare la torta.

« Le buone maniere di Ichigo sono il mio più grande fallimento, » rispose con un sospiro ironico, poi allungò una mano per spazzargli la camicia dai residui di briciole, « E le tue anche, a quanto pare. »

« Non farmi ricredere su di te proprio ora. »

Minto rispose con una finta risata alla presa in giro, giocherellò ancora per poco con la glassa della torta da cui aveva preso appena qualche pezzetto, poi gli porse il piattino: « Tieni, strafogati anche per me. Non ne ho più voglia. »

Lui non rifiutò, ma le lanciò un’occhiata studiosa, prima di attaccare anche quel secondo pezzo e schiarirsi la gola.

« Non so come abbiano il coraggio di lasciarti sola, » commentò casualmente, accennando con un gesto della forchetta al gruppetto di tre colleghi di Ichigo che non lesinavano occhiate, « Con tutti questi soggetti pericolosi. »

Lei rise supponente, spostandosi i capelli dietro le spalle: « So cavarmela benissimo da sola. Tu dovresti saperlo. »

Kisshu rise e le fece l’occhiolino: « In effetti tremo al pensiero di quanto male potrebbero fare quelle gambette armate di quelle scarpe. »

« Gambette. »

« Tortorella, siamo in pubblico. »

Lei rise divertita e scosse la testa, sotto sotto lusingata: « Stanno già dando dei cattivi esempi. »

« Mmmhm, » lui annuì, poi si voltò per afferrare una singola peonia da uno dei centrotavola e gliela porse, « In ogni caso, alla più bella della festa. »

Lei sentì le guance accalorarsi appena e gli sfiorò le dita quando afferrò lo stelo, guardandolo da sotto le ciglia scure: « Grazie, ma non si dovrebbe dire. »

Kisshu annuì e, le dita ancora poco sotto le sue, inclinò appena il fiore per colpire appena il naso con un sorriso birichino: « Non fare la puntigliosa. »

Minto rise per davvero all’infantilità di quel gesto, arricciando un po’ il naso e agguantando il fiore con più decisione così da toglierglielo: « Torno al mio posto. Cerca di non farti venire l’indigestione. »

 

 

Almeno tre ore dopo, Minto fu certa che il ristorante fu decisamente grato che la rumorosa compagnia si stesse congedando, vista la tarda ora e la quantità di piatti, bicchieri, e posate consumate.

« Tortorella, hai intenzione di accamparti qui? »

« Giro di ricognizione per controllare di aver preso tutto, » lei lanciò uno sguardo sotto al tavolo al posto dov’era stata seduta la festeggiata alla ricerca di qualche accessorio dimenticato, « Devo forse raccontarti di quante volte Ichigo ha perso il telefono nelle location più disparate? »

Kisshu ghignò divertito: « Un evento me lo ricordo. (1) »

La mora scosse la testa a quell’accenno, mentre raccoglieva i cospicui mazzi di fiori rimasti come centrotavola.

« Vuoi una mano con quelli? »

« Ti chiederei solo la cortesia di riportarli al Caffè, ti riesce sicuramente meglio che a me, » non poté trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia per ricordargli che sapeva benissimo del suo uso improprio del teletrasporto, « Ryo ha detto che passerà a prenderli domani. »

« Sì, sicuramente stasera avrà troppa roba tra le mani, » ghignò lui.

« Kisshu! »

« Intendevo, che la gattina aveva bevuto un po’ troppo, tortorella maliziosa. »

Gli occhi dorati brillarono divertiti nel silenzio della saletta in disparte del ristorante ormai vuoto, e Minto alzò appena lo sguardo al cielo.

« Sempre il solito. »

« Almeno ti faccio ridere. »

« Ora non vantarti troppo. »

« Sorridi sempre così poco che li conto tutti quelli che riesco a conquistare. »

« Questo non è vero! »

« Mmhm, » Kisshu le tolse i bouquet dalle braccia così che lei potesse prendere borsa e cappotto dall’apposito armadio, « Pensavo ci tenessi alla tua reputazione di donna di ghiaccio. »

« Hai davvero una brutta idea di me, » Minto gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, sistemandosi attentamente i capelli così che non fossero schiacciati dal tessuto pesante.

Gli occhi di Kisshu seguirono attentamente il movimento dei boccoli scuri e lucidi, le labbra arricciate in un ghigno malizioso: « Fidati, passerotto, tutto il contrario. »

Lo strano farfalleggio a metà altezza tra cuore e stomaco la prese alla sprovvista, si avvertì sorridere mentre infilava le mani in tasca e piegava appena la testa da un lato, una gamba incrociata davanti all’altra: « Lo prenderò come un complimento. »

Lui fece appena un passetto in avanti, la carta in cui erano avvolti i mazzi che scricchiolò sottile: « Sono a disposizione per quando ne avrai voglia. »

Minto inspirò bruscamente quando si rese conto di essere effettivamente sola con Kisshu in uno spazio molto angusto, le iridi dorate che brillavano furbe fisse nelle sue e quel sorrisetto affabile sempre stampato in volto. E tutto il suo corpo stava strillando che fosse una pessima idea, vista la maniera in cui stava reagendo, visto come non si fosse nemmeno accorta di essersi protesa verso di lui, la voce bassa e calda che le rintoccava in testa e lo stomaco sottosopra.

Perché continuava a cacciarsi in situazioni simili, perché le sembravano quasi naturali nel loro accadere? Non era umanamente possibile che potesse percepire così chiaramente il tepore e il profumo di quel maledetto ragazzo di fronte a lei, più che l’odore dolciastro dei fiori.

Come poteva fermarlesi il respiro in gola? Perché non riusciva a trovare nulla da dire?

Lei era…

Prima che il cervello finisse di formulare la frase, Kisshu le sorrise ancora e si allontanò, alzando tutti quei bouquet e quasi sbattendoglieli sul naso: « Bene, si è fatto tardi, passerotto. Ti vengono a prendere, vero? »

Minto, rimasta intontita, si schiarì la gola e annuì: « Uh, sì, c’è… c’è la macchina fuori. »

L’alieno le fece l’occhiolino e poi un buffo saluto militare: « Buonanotte, allora. »

Lei lo guardò allontanarsi, aspettando finché non fu sicura fosse uscito dalla porta, aspettando che il cuore tornasse a un ritmo consono, poi esalò in un unico respiro pesante e scrollò la testa, ricomponendosi e avviandosi anche lei all’uscita.

 

 

Il mattino dopo, Minto decise che si sarebbe dedicata solamente a un po’ di meritato relax, soprattutto mentale. La domenica era sacra, su quello era sempre stata intransigente. Soprattutto se la serata precedente si era concessa pure lei un calice in più di vino.

Canticchiò sottovoce mentre sistemava il vestito della festa con fare amorevole dentro la sua apposita custodia e lo appendeva un po’ in fondo alla cabina armadio, nella zona riservata agli abiti speciali, poi scelse un abitino tranquillo e comodo in denim per affrontare la giornata.

Si era appena appollaiata su una delle poltrone dello studio del padre, che ormai fingeva più da biblioteca in formato ridotto, quando una delle cameriere bussò piano alla porta socchiusa, inchinandosi prima di sussurrare: « C’è una visita per lei, signorina. »

Lei aggrottò la fronte, confusa, non aspettava certo nessuno, men che meno la domenica. Posò il libro dov’era stata seduta lei e si avviò all’ingresso, in mente il frivolo pensiero che magari Eichi avesse deciso di farle una sorpresa per recuperare il tempo perduto.

La prima cosa che i suoi occhi registrarono fu un enorme cumulo di mazzi di fiori da cui spuntavano due gambe.

Due gambe che sicuramente non appartenevano al suo fidanzato. 

« Che – che stai facendo? »

Kisshu apparve fin troppo divertito e soddisfatto dal tono stupito con cui lei porse quella domanda, allungando il collo per spuntare da dietro le centinaia di petali: « Buongiorno anche a te, tortorella. Tranquilla, non ho derubato nessuno. Il biondo ha detto che casa sua è già abbastanza invasa di fiori e continua a sternutire. Mi sembrava un peccato lasciarli andare o buttarli. »

Minto intimò al suo cuore di smetterla di battere come quello di una ragazzina per una simile sciocchezza.

« No, hai fatto… bene, » si guardò intorno, un po’ spaesata, notando subito l’assenza di personale nelle vicinanze, « Posso, uhm, far chiamare qualcuno per metterli in dei vasi. »

L’alieno ridacchiò: « Possiamo anche metterli via io e te, non trovi? Sei o non sei un’esperta delle composizioni floreali? »

Lei lo guardò storto per il tono di presa in giro con cui le si rivolse, alzò il mento e fece dietrofront sui tacchi: « Quanto sei spiritoso. »

« Ohi non ti allontanare troppo, qua se mi perdo mi tirano fuori dopo una settimana. »

Minto decise di ignorarlo – così come decise di ignorare che quella casa in quell’istante sembrava decisamente troppo vuota – e prese a vagare per i corridoi, diretta alle sue stanze preferite dove lasciare un po’ di quei fiori. Kisshu la seguiva fischiettando e guardandosi in giro con aria curiosa ogni volta che attraversavano un’ala che ancora non aveva visto, lanciando ogni tanto occhiate divertite alla mora accanto a lui, di nuovo alle prese con la sua aria sostenuta.

« Dai, ammettilo che ci sono dei passaggi segreti, » le domandò divertito mentre le passava uno dei mazzi affinché lei potesse riporlo in un vaso in sala da pranzo.

« Se anche ci fossero, sarebbero appunto segreti. »

« Ah, tortorella, non ti fidi di me? »

« Ma quando mai! »

Lui rise, continuando a seguirla e soppesando i fiori tra le braccia: « Direi che ne rimangono abbastanza per altre due stanze. »

« Uno va per il salottino col pianoforte, » pensò ad alta voce lei, « L’altro…»

Minto si bloccò, ben conscia che lui sapesse a cosa si stesse riferendo; lui però non aggiunse altro, nascondendo solamente un sorriso sotto i baffi che fortunatamente lei non colse.

« Comunque capisco quando dici che ti senti sola, » commentò dopo un po’, intanto che lei sistemava qualche peonia sul tavolino al centro del menzionato salottino, « Posso quasi sentire l’eco qua dentro. »

« Già, » la mora sospirò piano, girando appena il vaso per dargli la posizione millimetricamente perfetta, « A volte non mi accorgerei nemmeno che i miei genitori sono tornati, se non ne venissi informata. »

« Da noi era il contrario, » raccontò invece l’alieno, « Siamo sempre stati un po’ stretti. Non c’era molto spazio costruibile, e con tre fratelli maschi, puoi immaginare. E anche dopo il miglioramento con la Mew Aqua, ormai ci eravamo abituati così. Stare qui potrebbe quasi fare paura. »

Minto lo guardò appena da sopra la spalla con un sorriso triste, tentennando mentre poggiava la mano sulla maniglia della porta della sua camera: « Non hai tutti i torti. »

Kisshu attese un istante quando lei entrò, fin troppo decisa: « Devo essere invitato per entrare? »

« Non sei mica un vampiro, Kisshu. »

« Magari hai messo lo stesso delle trappole. »

Lei alzò ancora gli occhi al cielo e gli prese gli ultimi fiori dalle mani, aggiungendoli ad alcune gerbere dalla testa già un po’ abbassata.

« Allora ho avuto una bella idea. »

Minto gli rimase di schiena, il tono appena più basso di voce che non le sfuggì.

« Non vantarti come sempre, » replicò ilare, spostando i singoli fiori per tenersi impegnata.

Kisshu le camminò intorno e si fermò dal lato opposto della scrivania, afferrando la cornice d’argento lì posata e osservandola con un ghigno divertito.

« Ma che bel pulcino. »

Lei sentì le guance arroventarsi a quel soprannome, e reagì di scatto cercando di togliergli la foto dalle mani, allungandosi oltre il tavolo, ma ovviamente la stava tenendo fuori dalla sua portata.

« Kisshu, » sibilò minacciosa, « Non si ficca il naso nelle cose altrui! Ridammela immediatamente! »

Lui invece si portò il vetro a un palmo dal viso per poter osservare meglio lo scatto che ritraeva una Minto di forse nemmeno un anno che si tendeva felice verso Seiji, le manine distese al massimo per raggiungere le sue mentre quelle che lui sospettava appartenessero alla loro balia spuntavano da fuori l’inquadratura per assicurarsi che la bimba non cadesse.

« Ma guarda com’eri cariiiiiina, » rise, vedendola così a disagio, « Anche se forse il giallo non è proprio il tuo colore. »

« Grazie tante, » sbraitò lei, « Ora potresti cortesemente rimetterla a posto? Ci tengo molto. »

Kisshu la osservò ancora per un paio di secondi: « Non ti si vede così spesso sorridere così, sai, te l’ho detto. Ti farebbe bene. »

Per qualche ragione, il cuore della mora sussultò per un attimo: « Bè sai, da bambina non dovevo avere a che fare con un rompiscatole impiccione come te, » rispose acida.

L’alieno le lanciò un’occhiata poco divertita: « Sì, eri decisamente più simpatica. »

Lei approfittò della sua momentanea distrazione per raggiungerlo e strappargli la foto dalle mani, riponendola con cautela sulla scrivania, la familiare sensazione di nostalgia canaglia per quei momenti felici di cui purtroppo aveva ben pochi ricordi.

« Però ti si addice cornacchietta, visto quante cose brillanti hai qui in giro. »

Mentre si voltava per lanciargli un’occhiata esausta del suo spirito, Minto si rese conto che nel tentativo di recuperare il maltolto aveva azzerato qualsiasi distanza di sicurezza ci fosse tra loro.

E lo strano sorriso che lui aveva, lo sguardo con cui la stava osservando, la testa piegata da un lato e l’espressione al solito così calma, le fece intendere che anche lui era completamente conscio della situazione. Che il giorno prima non era stato affatto cancellato e che tutti e due sapevano benissimo cosa fosse.

Poteva respirare il suo respiro, si accorse che inspiegabilmente stava tremando a percepirlo così vicino, a sapere cosa sarebbe successo di lì a poco se non si fosse spostata, eppure non riusciva a trovare la volontà di farlo, di staccarsi, non di nuovo.

Perché era tutto giusto nel suo essere terribilmente sbagliato.

Inspirò a pieni polmoni soltanto per capire che fu un tremendo errore non appena il profumo di lui le fece vibrare le narici, chiamandola.

« Kisshu… » mormorò con un fil di voce, un fievole tentativo di fermarsi, di far ripartire il tempo ed evitare ciò che stava temendo da settimane.

Invece lui alzò soltanto una mano per sfiorarle il collo, prima di sorridere diabolico: « Ciao. »

Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa non appena la bocca dell’alieno catturò la sua, un’enorme sensazione di impossibile sollievo che la percorse mentre si attaccava alle sue mani e si lasciava andare, spingendosi verso di lui, ricambiando il bacio con altrettanta passione.

Era come se il suo cervello avesse deciso di spegnersi, di abbandonarsi totalmente a quella sensazione che sentiva risalirle dalla pancia e farle sussultare il cuore impazzito, lasciarla avvolta, catturata, solamente dal ragazzo stretto a lei.

Udì il rumore di qualcosa rotolare giù dalla sua cassettiera mentre Kisshu la issava lì sopra d’urgenza, senza smettere di baciarla con forza mentre le apriva i bottoni del vestito in denim per arrivare alla sua pelle nuda. Lei si lasciò scappare un sospiro a sentirlo premere contro di lei intanto che gli passava le mani tra i capelli per avvicinarlo ancora, vagando giù per il torace tonico e arrivando quasi senza rendersene conto alla cintura dei suoi jeans, che slacciò con un singulto mentre la bocca di lui le scese famelica sul petto. Avvertì il piacere rimbombarle nel ventre e si sporse di più verso di lui, artigliandogli al tempo stesso la maglietta per tentare di togliergliela, ma desistette quando capì che lui non aveva intenzione di allontanarsi né di fermarsi, quindi lo tirò di nuovo a sé per baciarlo ancora, bramando quel sapore che le faceva ruggire lo stomaco, esplorando senza pudore il corpo caldo e muscoloso solo per sentire i suoi sospiri.

Fu solo quando sentì le mani del verde fermarsi sui suoi fianchi per farle scorrere via l’ultimo pezzo di intimo che qualcosa cliccò nel suo cervello, forse la presa delle dita troppo forte sulla sua carne che la fece sussultare, riportandola al presente.

« A-aspetta, Kisshu, non… » Minto lo spinse via e si divincolò per disincastrarsi da lui e saltare giù dalla cassettiera, mettendo quattro o cinque passi tra di loro, « Non posso. »

Lui dovette scuotere la testa per scacciare l’ottundimento, si passò una mano un paio di volte tra i ciuffi della frangia: « Un minuto in più d’avvertimento, che dici? »

« Io ho… un fidanzato, » la parola risuonò amara pure sulla lingua della mora, che incrociò le braccia al petto pur di coprirsi e tenne lo sguardo ben in alto, fisso sul viso del ragazzo rimasto in maglietta, « Un fidanzato che mi ha… mi ha chiesto di pensare se il… se magari un giorno sposarlo, e… »

Kisshu fece scoccare la lingua, decisamente infastidito: « Tortorella, qualcosa mi dice che una risposta te la sei già data se in questo momento siamo così. »

Minto scosse la testa e aprì la bocca un paio di volte per cercare di dire qualcosa. Avrebbe voluto recuperare il suo vestito, miseramente penzolante da un angolo della cassettiera, ma ciò avrebbe significato riavvicinarsi all’alieno, e aveva appena ricevuto conferma di quanto fosse una pessima idea.

« Quindi?! »

Lei finse di non ascoltarlo, avendo adocchiato la sua vestaglia piegata con cura sulla chaise longue, e si affrettò ad afferrarla e coprirsi un minimo, il cuore che batteva violento tappandole le orecchie, un odioso sapore alla bocca dello stomaco che sapeva tanto di bile e senso di colpa, e una vergognosa punta di voglia che ancora le incendiava le vene.

« Ti pregherei di andartene, » sussurrò, schiarendosi la gola dato che la voce veniva a mancarle, « Tutto questo non è mai successo, è stato uno sbaglio enorme perché… »

« Perché cosa, eh? » sibilò lui, « Avanti, sentiamo la stronzata. »

La mora sussultò appena a quelle parole, ma alzò il viso: « Non credo ci sia niente da aggiungere. Un errore, tutto qui, da cancellare. »

Una luce scura offuscò gli occhi dorati: « Certo, nato dal nulla cosmico, immagino. »

« Non so a cosa tu ti riferisca. »

« Per forza tu e Ichigo siete amiche, che cazzo, ma ci pensate mai agli altri o vi piace davvero così tanto sventolarcela davanti e poi fare le ritrose? »

Il viso di Minto divenne una maschera di rabbia e offesa: « Non ti permettere, sai! E non ho intenzione di sentire parlare di Ichigo in questo momento! »

« Nemmeno a me piace sentirmi raccontare delle proposte di matrimonio del tuo fidanzato mentre sto qua a culo all’aria! »

« … e allora rivestiti! »

Lui fece un respiro profondo, l’espressione del viso che si rilassò per diventare sinceramente più dolce e contrita: « Passerotto, ascolta, mi dispia - »

« No, » replicò lei con voce rotta, evitando di guardarlo, « Ti pregherei di usare il mio nome. »

Kisshu sbuffò, ma protese una mano verso di lei, cercando di incrociare il suo sguardo: « Minto, se tu potessi ascoltarmi un istante… »

Ma lei stava già scuotendo di nuovo la testa, le braccia incrociate attorno a sé con così tanta forza che le nocche stavano impallidendo, le note del suo nome che le fecero capire che avrebbe voluto sentirlo ancora, e non avrebbe dovuto più.

« Non c’è niente da dire, è tutto… tutto sbagliato, » bisbigliò, un groppo in gola che cresceva ad ogni sillaba, « Tutto questo non… non credo avrai bisogno di cercare molto per trovare quello che vuoi, quindi. »

L’occhiataccia che il verde le lanciò mentre si rinfilava i pantaloni in un gesto secco la trapassò gelidamente da parte a parte come il più tagliente dei coltelli. Lui non disse una parola in più, si limitò ad afferrare il suo giubbotto da terra e prese l’uscita, sbattendosi la porta alle spalle.

La casa era così silenziosa che udì addirittura il portone d’ingresso sbattere rabbiosamente. Un ultimo respiro e quell’insopportabile sensazione di solitudine che la colse le fecero tremare violentemente il corpo mentre la bolla di vergogna che aveva in petto scoppiava senza pietà, rigandole il viso di lacrime. Si trascinò fino al letto e si avvolse di nuovo tra le coperte, singhiozzando piano e cercando un calore che le sembrava impossibile ottenere.

Aveva perso il senno, quello era certo.

Che poi l’avesse perso per Kisshu, quella era un’altra storia.

 

 

§§§

 

 

« Eeeeeeed espira! »

Minto gemette piano mentre il fisioterapista le premeva accorto sulla schiena, allentandole un poco la tensione e facendola scrocchiare deliziosamente.

Lui, però, schioccò appena la lingua, non soddisfatto: « Sei un po’ tesa ultimamente, non mi piace questa rigidità. »

Lei si lasciò scappare un risolino nervoso mentre si girava sulla schiena: « Fidati, non lo faccio apposta, Ito-san. »

« Mmhm, » Ito le controllò un’ultima volta le caviglie e le lanciò un’occhiata severa, « Domani voglio vederti di nuovo, e dirò a Obara-san di prestarti particolare attenzione alla lezione di yoga, domattina. »

« Signorsì signore, » lo prese affettuosamente in giro lei, mettendosi a sedere con un sorriso incerto non appena la lasciò andare.

Ci mancava anche che il fisioterapista della compagnia si rendesse conto che ormai era sull’orlo di una crisi di nervi.

Si trascinò stanca fino allo spogliatoio, scambiandosi occhiate di comprensione con le sue compagne che avevano una lezione in più anche a quell’ora. Si era fatto tardi, quindi almeno aveva una scusa seria per non passare al Caffè come suo solito.

Non era esattamente il luogo migliore per lei in quel momento storico.

Quando era entrata, due giorni dopo quella maledetta mattina, le era come mancata l’aria a vedere Kisshu lanciarle un’occhiata piena di rancore e poi alzarsi per andarsene senza dire una parola, senza nemmeno tentare di mascherare la rabbia e il fastidio. Almeno Purin, che era stata seduta vicino a lui, aveva avuto la buona creanza di non investigare ulteriormente, perché lei si sarebbe solo strappata i capelli.

Era ovvio che lui fosse arrabbiato, l’aveva fermato brutalmente appena prima che…

Scosse la testa, imponendo a sé stessa di ricordare che non avrebbe dovuto importale se lui fosse arrabbiato o meno, avevano sbagliato entrambi e lui avrebbe dovuto capire… ecco, almeno il suo punto di vista avrebbe dovuto intuirlo un secondo.

Poteva trovare ciò che aveva puntato altrove senza troppi problemi, giusto, quindi perché prendersela così tanto con lei? Era tutto da cancellare, resettare, non c’erano rancori da dover portare.

Per questo voleva evitare il locale il più possibile, voleva cercare di sotterrare tutto ciò che era successo e continuare la sua vita esattamente come era.

Com’era stata programmata.

Il cellulare le trillò allegramente un paio di volte nel borsone mentre lei puntava decisa l’automobile che l’aspettava all’uscita sul retro del teatro. Il cuore le borbottò in petto ansioso quando lesse sul display il nome di Eichi, e un messaggio che solitamente non si sarebbe aspettata.

 

 

Mi hanno annullato degli appuntamenti – cenetta da asporto?

 

Lo prese quasi come un segno del karma, un simbolo che effettivamente poteva ritornare le cose al loro ordine primigenio. Rispose velocemente, ignorando stoica l’amarognolo del senso di colpa che le faceva capolino in fondo alla gola, e si precipitò in auto.

 

 

« Allora quale ti piace di più delle due? »

Minto posò le bacchette e si sporse per vedere le opzioni di arredamento per suite che Eichi le stava mostrando sul tablet.

« Mmhm, non saprei. Sai che ho un debole per lo stile francese, ma forse questa mi sembra un po’… troppo. »

« Dici? » il ragazzo studiò le opzioni, rimbalzò velocemente tra le due foto in un tentativo di compararle ancora, « La seconda mi piaceva molto, devo dire. »

« Allora fai come preferisci, » lei rise appena e si alzò dal divanetto per andare a riporre le loro stoviglie sul carrellino portavivande, « È il vostro hotel, dopotutto. »

« Potrebbe essere il nostro… » commentò con nonchalance Eichi, continuando a sfogliare la carpetta di documenti che aveva con sé.

Minto si irrigidì, grata di stargli ancora dando le spalle. Impilò con attenzione le ciotole, poi si schiarì la gola, pulendosi un’ultima volta le mani sul tovagliolo di cotone color panna.

« Non è passato tanto tempo da quando… »

« Hai ragione, hai ragione, » il ragazzo si affrettò ad accantonare le carte ed alzarsi, facendo un passo verso di lei, « Scusa, è che… è un pensiero confortante. »

« Mh, » la mora annuì in un borbottio poco convinto, si girò verso di lui e sorrise, raggiungendolo per avvolgergli le braccia intorno al collo, « Invece il mio pensiero confortante è che potremmo fare quel viaggetto alle terme che dicevi. Alla fine, non siamo riusciti ad organizzare. »

Eichi sorrise e poggiò leggero le mani sui suoi fianchi: « Hai ragione, ma come vedi mi stanno uccidendo. »

« Potresti dirgli di no, ogni tanto. »

« Sei l’unica a cui non riesco a dire di no. »

Lei rise soddisfatta e avvicinò il viso al suo: « Allora potremmo rilassarci qua. »

La risata del ragazzo si spense sulle sue labbra, e Minto si calmò nel suo abbraccio familiare, pronta a lasciarsi andare e scollegare il cervello, quando il ricordo prepotente di Kisshu, della sua bocca e del suo sapore prese violentemente il controllo della sua mente. Storse appena il naso e si strinse di più a Eichi, ma di nuovo il calore che aveva provato tre giorni prima l’avvolse aggressivo, petulante, senza lasciarle scampo.

Stava baciando il suo fidanzato, erano le sue le mani che le stavano accarezzando tenero la schiena, e lei invece non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di libertà e desiderio totale che aveva provato con quello stupido alieno.

Si staccò di scatto, tossicchiò e cercò di sorridere: « Scusami, ho bisogno un attimo del bagno. »

Si sforzò di non correre per raggiungere il bagno più vicino, appoggiandosi alla porta non appena la richiuse per prendere un respiro profondo e darsi mentalmente della stupida.

Da quando si comportava in quella maniera? Da quando aveva perso così tanto il controllo di sé stessa?

Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, stando ben attenta a non rovinare il poco trucco, e si impose di darsi un tono e accantonare quello stupido errore in un angolino relegato della testa.

Perché non era altro che quello.

Agitò le mani in aria e fece un altro respiro, proprio come faceva per scaramanzia prima di entrare in scena ad ogni spettacolo, si schiarì ancora la gola e ritornò nel salottino degli ospiti.

Eichi la stava aspettando con il suo sorriso gentile in volto, la giacca elegante accuratamente piegata sul bracciolo del divano. Lei gli tese la mano e lo tirò placidamente contro di sé, baciandolo languida un’altra volta prima di affrettarsi verso la sua stanza.

 

 

« Eri diversa, stasera. »

Minto, seduta alla toeletta a pettinarsi i capelli, guardò nello specchio il riflesso di Eichi, che si stava riabbottonando la camicia.

« Che vuoi dire? »

« Nulla, eri solo più… non saprei, » lui rise e scosse la testa, prima di controllare l’orario sull’orologio che aveva al polso, « Accidenti, guarda che ora si è fatta. »

Lei gli lanciò un’occhiata di soppiatto, nascondendo un sospiro : « Sai che non devi andartene per forza. »

« Devo essere in ufficio prestissimo domattina, ci vengono a prendere dei clienti per un retreat di due giorni. »

La mora annuì e sospirò appena: « D’accordo. Mi chiami quando arrivi? »

« Ovvio, » Eichi le si avvicinò con un sorriso e le baciò dolcemente la guancia, « Buonanotte tesoro. »

« ‘Notte. »

La stanza ripiombò nel silenzio non appena la porta si chiuse piano alle spalle del ragazzo. Minto avvertì la solita sensazione di familiare malinconia che aveva sempre associato alla sua casa. Si struccò con attenzione, prendendosi il suo tempo per spalmarsi la sua crema preferita e controllare se ci fosse bisogno di sistemare le sopracciglia.

Non era mai riuscita ad abituarsi per davvero alla solitudine. Le cose erano cambiate da quando aveva conosciuto le ragazze, perché da allora aveva sempre avuto la sensazione di avere qualcuno vicino, da poter chiamare, nel momento del bisogno senza pensarci due volte.

Eppure, non si era mai sentita così sola come in quel momento.

E avrebbe tanto voluto non esserlo, per non poter pensare.

 

 

§§§

 

 

Fu in grado di udire il solito casino che segnalava che il gruppo fosse tutto insieme non appena raggiunse le scale. Si affrettò a raggiungerli, il sorriso divertito che crebbe ad ogni scalino insieme all’intensità del volume.

«La portaaaaIchigo, il cane! »

Un salsicciotto color castagna sgusciò dall’ingresso lasciato aperto, direttamente tra le gambe di Minto, abbaiando allegro per richiedere attenzioni. Lei rise e si inginocchiò per prendere in braccio il cucciolo di bassotto, nuovo arrivato in casa Shirogane.

« La tua padrona ti ha già esaurito, eh? »

« Nessun problema, è stato recuperato! »

La voce allegra di Kisshu la fece sussultare, e quando si alzò con poca convinzione fu sorpresa dal trovarlo felice e sorridente come non le si presentava da un po’, rivolgendole anche un sorriso e un cenno della testa in saluto.

Lei mormorò un ehi poco deciso, continuando a stringere il cagnolino che sembrava molto contento di tutte quelle attenzioni, e oltrepassò la soglia per andare incontro a Ichigo.

« Sei proprio un birbante, » tubò contenta la rossa, accarezzando le orecchie del cucciolo, poi lanciò un’occhiata divertita all’amica « Mi spieghi perché ti sei messa gli stivali con il tacco per un trasloco? »

Minto si osservò appena gli stivali neri scamosciati che le arrivavano fin sopra al ginocchio, sfiorando lo stretto vestito dello stesso colore: « Perché ho avuto un appuntamento prima, e perché non bisogna mai perdere l’occasione di essere eleganti. Comunque, se ti piacciono te li vendo, visto quanto ci hai messo ad adocchiarli. »

« Ah-ah-ah, » Ichigo si strinse al petto il bassotto e le fece una linguaccia, « Vieni, ci sono un sacco di scatoloni da aprire! »

La mora rise e alzò gli occhi al cielo, guardandosi intorno nel nuovo appartamento dei due amici, invaso da valigie, pacchetti e buste, salutando tutti gli altri componenti della ciurma che si erano riuniti per aiutarli a trasferirsi.

« Non ho intenzione di sistemare le mutande di Shirogane. »

« Ma come siamo simpatiche! » la voce del suddetto la raggiunse da una stanza sulla sinistra, che a giudicare dalla scrivania già sormontata di carte e dalla libreria a tutta parete che stava mettendo in ordine, era probabilmente il suo studio, « Ricordami perché ti ho invitata? »

« Perché avete assolutamente bisogno del mio senso estetico, » Minto afferrò un cuscino buttato sul divano in pelle e lo porse alla padrona di casa, « Questo non c’entra proprio niente. »

Ichigo sbuffò spazientita: « Mhmm, non vedi che siamo ancora in fase transitoria! »

« Ah però, che parolone, questo fidanzamento sta cominciando a dare i suoi frutti. »

« Vai, vai, » Ichigo la prese per le spalle e la spinse fuori dalla stanza, « Vai ad aiutare Retasu, vai. »

Minto rise e raggiunse la verde nel salotto, l’area più grande dell’appartamento e quella più invasa dagli scatoloni.

« Noto che Shirogane non ha perso l’abitudine di sfruttarci. »

« Minto! »

 

 

Parecchie ore dopo, già con le luci accese in giro per l’appartamento, Minto si sedette esausta sul nuovissimo divano del salotto per prendere un respiro, osservando con molta soddisfazione come lo spazio fosse già molto più ordinato e svuotato dal casino che invece l’aveva accolta.

« Non posso crederci che ce l’abbiamo quasi fatta! » esalò Purin, lanciandosi con un sospiro rumoroso a pancia in su sopra un pouf color crema « È stata un’impresa titanica! »

« Come sei esagerata, » la riprese divertito Ryo, accasciandosi anche lui su una delle eleganti poltrone in pelle rossa.

« Sai quanto pesavano tutti i tuoi libri di scienze, capo? »

« Il fatto che li rinomini libri di scienze ne ha già dimezzato il valore. »

« Chi vuole un tè caldo? »

« Io ho una fame da lupi. »

« Tu hai sempre una fame da lupi, Taruto. »

« Da che pulpito, Kisshu! »

Minto si scambiò una risata divertita con la biondina, poi la sua attenzione venne nuovamente catturata dal bassottino, che abbaiò un paio di volte per reclamare che lei lo prendesse in braccio.

« Mi sa che hai fatto colpo. »

Si irrigidì nell’avvertire Kisshu – e il suo calore – sedersi accanto a lei e parlarle divertito dopo parecchi giorni. Si schiarì la gola, ben decisa sulle sue convinzioni, e continuò a concentrarsi sulle carezze al cagnolino.

« Mi piacciono i cani. È con i gatti che ho qualche problema, » aggiunse sarcastica a voce più alta.

« Always so funny. »

« Ammettilo, biondo, è ironico che voi due vi siate presi un cane. »

« Parla con Ichigo, è lei che ha tutta una teoria sui lei e i gatti maschi. E me e le gatte femmine, per quello che conta. »

« Non ho una teoria, » replicò la rossa, poggiando un vassoio con teiera e tazzine sul tavolino di vetro in mezzo a loro, « Ho prove ben precise di cosa ho dovuto passare con dei gatti maschi, e non ho intenzione di avere altre rivali che ti scorrazzano dietro. »

« Oh, please don’t start. »

« E io avrò scelto il cane, ma tu gli hai dato il nome. »

« Ecco, appunto, » Minto continuò a coccolare impunemente il bassottino gongolante, « In quale assurda maniera lo avete chiamato? »

«BB8(2). Il bassotto, » Ryo apparve fin troppo soddisfatto mentre lo annunciò, facendo sbuffare subito Ichigo « Perché è piccolo e tondo. »

« Santo cielo, Shirogane, sei peggio di quanto pensassi. »

« Vedi, non sono l’unica che lo dice. »

« A me piace! »

« Grazie, Purin, sapevo di poter contare su di te. »

« Possiamo ordinare da mangiare ora? »

Il chiacchiericcio sollevato e confortevole che sempre li caratterizzava riprese animato, tutti rinvigoriti dal calore del tè mentre cominciavano a discutere su cosa ordinare, da dove e in quale quantità.

Minto si rilassò sul divano, nonostante non potesse fare a meno di percepire con ogni singola terminazione nervosa la presenza dell’alieno accanto a sé.

« Anche tu avevi un botolo, se non sbaglio. »

Si voltò irritata prima di poterci pensare, lanciando un’occhiataccia a Kisshu: « Mickey era un volpino di ottimo pedigree, se proprio vuoi saperlo. »

Lui la osservò con genuina curiosità e un pizzico di dispiacere, e la mora sentì il cuore farle un sussulto al pensiero del suo fidato amico.

« Si è ammalato, ormai aveva una certa età, » gli confidò a bassa voce, annuendo piano, « E dopo che hai voluto così tanto bene a qualcuno, è difficile… non potrei mai rimpiazzarlo, quindi non so se prenderò un altro cucciolo. »

« Mi dispiace, » le rispose lui, poi si sporse in avanti per accarezzare le orecchie di BB8, che sembrava entusiasta da tutte quelle attenzioni, « In effetti questi cosi sono accattivanti. »

Il cucciolo abbaiò entusiasta, e trotterellò allegro su di lei per andarsi a spanciare sulle gambe dell’alieno.

« Ah, credo di aver fatto colpo io ora. »

A Minto scappò un sorriso, scosse la testa rallegrata: « È proprio il tuo cane, Ichigo, un gran ruffiano. »

« Eppure non potete fare a meno né di me né di lui! » rimbeccò allegra la rossa, appollaiandosi sfacciatamente sulle gambe del suo fidanzato.

La mora alzò gli occhi al cielo, scambiandosi quasi inconsciamente un’occhiata divertita con l’alieno accanto a lei.

« Dite che tra questi scatoloni troviamo anche la modestia della micetta? »

« Tu poi non dovresti commentare, Kisshu. »

« Sentenziò la nostra principessa. »

Non seppe se immaginò lo sguardo curioso e furbo che Ichigo le lanciò a quello scambio, ma decise di ignorarlo e si limitò a fare una smorfia all’alieno, mentre si rilassava un po’ di più nel suo angolino di divano per gustarsi la cena in santa pace.

O almeno ci provava.

Perché certe parti di lei sembravano essere decisamente convinte a non rilassarsi.

Soprattutto quando sentiva chiaramente il suo sguardo sulle cosce ogni volta che si alzava dal divano per passare piatti agli altri.

O quando si ritrovava a ridere delle sue battutine idiote e dei battibecchi con il fratello minore, e se ne rendeva conto nello stesso momento in cui succedeva, e si bloccava come una bambina delle elementari perché aveva deciso che non doveva succedere. Quando sentiva, forte e chiara, la voglia di affondare il viso nell’incavo del suo collo per annusare ancora più profondamente quell’odore così familiare. Quando la sua risata un po’ sguaiata le rimbombava in petto e la portava a osservarlo, a scambiarsi uno sguardo e un sorriso d’intesa, anche dall’altro lato della stanza.

« Grazie, Minto-chan, » Retasu le rivolse un sorriso gentile mentre le passava gli ultimi contenitori del cibo da gettare via, « Si è fatto un po’ tardi, forse dovremmo togliere il disturbo. »

Ichigo si tolse i guanti di gomma che aveva indossato per lavare i piatti e fece il broncio: « Ah, io vi terrei qui per sempre. »

« Credo che Ryo sia di diverso avviso, » rise la mora, appoggiata al bancone ancora avvolto dalla plastica protettiva, volgendo lo sguardo verso il suddetto.

« Tranquilla, nee-chan, anche se ci sono i fantasmi ci sarà Ryo nii-san a proteggerti. »

« Uh, confortante, » borbottò la rossa, poco convinta, « Ci vediamo domani al locale? »

« Ichigo cara, torno volentieri ad aiutarti a spacchettare, prometto che la tariffa oraria sarà alquanto d’occasione. »

Il gruppetto rise contento mentre lentamente, stanchi e satolli, salutavano e si rivestivano per concludere anche quella giornata. Scesero le scale ancora vociando, BB8 che li accompagnò dall’uscio con un paio di abbaiate di saluto. Si fermarono sulla soglia del portone d’ingresso a sistemarsi i giubbotti, ancora ridendo per le solite scenette tra i più giovani della compagnia, Kisshu che tentennò un secondo per rimanere in disparte, accanto a lei, come se fosse capitato per caso e come se anche a lui non venisse ormai naturale.

« Tutto okay? » le domandò, senza guardarla, aggiustandosi il colletto peloso del giubbotto di jeans, lo stesso noto che avrebbe usato per chiederle del meteo ma che non ingannò nessuno dei due.

Minto annuì piano, sistemandosi nervosa la catena della borsetta sulla spalla, presa alla sprovvista da quella domanda come da tutta quella giornata, faticando a trovare la voce: « Io… sì. Tu? »

Lui si voltò per lanciarle un sorriso smagliante, il suo sorriso, prima di farle un cenno con la testa: « Buonanotte, tortorella. »

La mora ricambiò appena con un ciao abbozzato, ancora più confusa di prima. Salutò con un cenno gli altri che si allungavano per strada in direzione opposta alla sua, che realizzò solo in quel momento di aver completamente dimenticato di avvertire l’autista perché tornasse a prenderla.

Anche se forse, decisamente, una passeggiata l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.

Si incamminò verso la stazione della metro più vicina, stringendosi nel cappotto.

Non ricordava l’ultima volta che era stata così persa, in tutti i sensi. Lei non era abituata ad avere confusione in testa, tantomeno in petto.

Perché quello era il problema. E non le piaceva non capire che cosa stesse succedendo.

Aveva pensato che le cose sarebbero andate in un certo modo. Che la ovvia frattura tra lei e Kisshu sarebbe rimasta lì, una specie di cratere di sicurezza finché non le fosse passato quel momentaneo istante di crisi mistica da adolescente preda di tempeste ormonali. Perché lui era così, dopotutto, testardo e orgoglioso proprio come lei, e l’aveva già ammesso a sé stessa di essersi comportata male nei suoi confronti, quindi ovvio che l’avrebbe trattata in maniera diversa. E le sarebbe andato bene. Si sarebbe aspettata la sua freddezza glaciale, le sue pungenti battutine che non mascheravano la rabbia né il risentimento, quelle che aveva cercato di evitare in quegli ultimi giorni, non il suo essere allegro e accogliente come al solito.

Anzi, lo avrebbe preferito, perché tutto questo far finta di niente le stava rendendo molto difficile il far davvero finta di niente.

Salì nel treno come un automa, imponendo alla sua mente di smetterla di divagare.

Lei aveva pieno controllo del suo corpo, delle sue azioni, delle sue emozioni. Già le era stato portato via una volta, e bene, aveva imparato a farci i conti, anche se le costava così tanto ammettere di averci trovato della libertà.

Non l’avrebbe certo perso ora per gli stupidi giochetti di Kisshu.

Perché lui era così, no, mai serio, sempre uno spirito libero di fare tutto ciò che voleva senza pensare troppo alle conseguenze, guidato dall’istinto e soprattutto da quello sotto alla cintura, sempre pronto a testare quanto tirare la corda senza romperla.

Lei non poteva essere l’ennesima tacca nel suo conto. Lei non si lasciava andare in quella maniera, e soprattutto non s’illudeva, non si faceva prendere in giro. Non ragionava con lo stomaco.

E allora perché invece le sembrava sempre tutto così genuino?

Ogni volta che pensava all’alieno, maledetto, sentiva il cuore iniziare a battere erratico, quasi testardo nel farsi ascoltare mentre le pompava sempre più sangue a colorarle il viso, come se fosse una ragazzina sciocca. E si ritrovava a pensarci spesso, le costava fatica ammetterlo; alla compagnia che le faceva, ai sorrisi che le strappava con poco sforzo, alla maniera in cui potevano scambiarsi scherzi e confidenze come se fosse la cosa più normale del mondo, e come finivano a farlo senza accorgersene.

E al suo sapore che ancora le pizzicava sulla lingua. Al calore che aveva sentito provenire dalle sue mani sulla sua pelle nuda, lui che sembrava non sentire mai freddo. All’odore che le aveva riempito le narici e le aveva completamente azzerato qualsiasi capacità di ragionamento, e che le faceva sussultare lo stomaco ogni volta che si avvicinava troppo.

E alla vampa che sentiva in petto ogni volta che tutti quei pensieri si affacciavano nella sua mente.

Quand’era stata l’ultima volta che si era sentita così?

Lei e Eichi… aveva creduto di provare le stesse emozioni con Eichi, ma anche scavando nella memoria, lei non…

Si era mai sentita davvero così viva con Eichi?

La rendeva un essere orribile pensarlo, poi?

Corse fuori velocemente dalla stazione della metro, incolpando la lacrima che le corse giù per lo zigomo al cambiamento di temperatura mentre si affrettava lungo il marciapiede, la villa buia che si stagliò alla fine dell’ampio viale. La cena consumata da poco le si stava rivoltando nello stomaco, inacidito dal senso di colpa, e il cuore che ancora le batteva forte più cercava di accantonare il ricordo di quella mattina in un angolo lontanissimo del suo cervello.

Non poteva andare avanti così.

Si infilò il più silenziosamente possibile dentro casa passando per la porta sul retro, voleva evitare tutti, voleva stare da sola. Sentiva la testa scoppiarle, e quasi corse fino alla sua stanza; il rumore della porta della sua stanza che si chiudeva, con un giro di chiave, le diede uno strano senso di sicurezza.

Contrariamente alle sue abitudini, lanciò gli stivali in un angolo e i vestiti malamente sulla poltrona, poi si lanciò sul letto a pancia in su.

Rimase ferma così per quello che le sembrò un tempo lunghissimo, le mani premute sugli occhi e le gambe appoggiate alla testiera del letto alla ricerca di relax, immobile e tesa.

Poi agì senza quasi pensarci.

Afferrò il cellulare e prese dei respiri profondi mentre scorreva la rubrica fino alla lettera E, e selezionava il numero del suo fidanzato.

Pure lo squillo della telefonata le sembrava lontanissimo, e se avesse continuato a respirare così profondamente sarebbe con molta probabilità andata in iperventilazione, ma si sentiva come se la gola le si stesse chiudendo mentre pigiava fortissimo il telefono contro l’orecchio.

« Ehi, tesoro, tutto bene? Non avevamo programmi, mi sembra. »

Minto chiuse gli occhi e deglutì il nulla, solo per cercare di alleviare quella orribile sensazione: « Eichi, avrei bisogno di parlarti, quando hai un momento. Di persona. »

 

 

§§§

 

 

La Tokyo Opera City Tower era il settimo edificio più alto di tutta la capitale, ospite di circa una cinquantina tra negozi e ristoranti, e di importanti uffici agli ultimi piani. Soprattutto, era residenza del New National Theatre, e quindi, per estensione, un po’ anche casa sua.

Non era decisamente solita girovagare per la terrazza del cinquantatreesimo piano, visto che il Teatro e annesse e connesse sale dedicate al New National Ballet of Japan erano ai primissimi, ma le circostanze della sua visita non erano le solite.

La primavera era in arrivo, poteva sentirla pungere sulle guance arrossate dal vento tutt’attorno a sé. La vista sulla città illuminata per la notte, almeno, era fantastica.

Si strinse di più nel cappotto, fece un respiro profondo e si concentrò ancora sul rumore del vento per cercare la quiete dentro di sé. Si rigirò un paio di volte il telefono tra le mani, incerta se rispondere all’ultimo messaggio di Ichigo oppure continuare ancora a fare finta di niente.

“Non so cosa stai combinando, ma se hai bisogno sai che ci sono <3”, le aveva scritto l’amica solo quella mattina. Era un po’ svampita, certo, ma dopotutto si conoscevano ormai da una vita e la rossa era diventata particolarmente brava a interpretare certi suoi silenzi, anche durante brevi telefonate per altri motivi.

Lei però faceva persino fatica ad ammettere a sé stessa cosa stesse succedendo.

Aveva pensato che, una volta chiusa la parentesi Mew Mew, sarebbe stata in grado di riprendere in mano le redini della sua vita. Sarebbe diventata prima solista, e poi prima ballerina, avrebbe trovato un bravo ragazzo coi criteri che sempre aveva pensato di desiderare, e avrebbe vissuto la vita che da quando era nata avevano costruito e preparato per lei, come le si addiceva.

E ce l’aveva fatta, davvero.

Ma allora perché si sentiva così terribilmente sola?

Fece un respiro tremulo, il disagio dei giorni precedenti che si rimpossessò di lei. Aveva sempre voluto solamente un po’ di quiete; aveva sempre fatto tutto ciò che una signorina del suo rango doveva fare. L’unica sua eccezione era la danza, il suo grande amore. E già per quello si sentiva costantemente in lotta con la sua famiglia, come se non potesse mai dimostrare abbastanza, e lei era così stanca di controbattere continuamente. Aveva ceduto, alla fine, aveva fatto tutto il resto che avevano voluto soltanto per poter continuare ad amare senza remore, nascondendo il resto.

Ovvio, del problema genetico non si poteva certo parlare. C’erano davvero tante cose di lei di cui non si poteva parlare, e piano piano l’avevano erosa dentro, stancandola.

Forse era per questo che ora si sentiva come se stesse buttando via tutto. Anche se al tempo stesso, non poteva ignorare la vocina nella testa che le sussurrava che lo poteva sentire anche lei, quel peso sollevarsi lentamente dalle sue spalle.

Una folata di vento più intensa le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire, mentre ripensava alla conversazione di pochi giorni prima.

Eichi era stato… così meraviglioso anche in quel momento, anche con il dolore e la confusione che aveva potuto leggergli in volto. Forse davvero lei non se lo meritava.

Non meritava qualcuno a cui aveva sempre mentito.

Non era stata nemmeno capace di dirgli tutta la verità su quello che era successo, come poteva continuare una relazione con quelle premesse? Era stata una codarda, testarda e troppo orgogliosa per poter ammettere d’aver ceduto a una tentazione, spaventata che se avesse davvero saputo, avrebbe creato un danno irreparabile. Aveva solamente borbottato di essere confusa, una scusa qualsiasi, banale, l’accenno a qualcun altro tra le righe ma mai esplicito, mentre Eichi la fissava avvilito e sempre paziente, comprensivo, senza mai spingerla troppo. Aveva accettato il suo discorso, pregandola solo di non lasciarlo aspettare troppo, confermandole che qualunque decisione avrebbe preso, lui l’avrebbe compresa.

E lei si era odiata quando, una volta rimasta sola, aveva pregato che lui si fosse arrabbiato, che l’avesse spinta a tirare fuori la verità, che l’avesse dato qualcosa che le stava mancando.

Come se poi avrebbe fatto la differenza.

« Avvistato un passerotto solitario. »

Minto sussultò e soffocò un urletto di paura, voltandosi di scatto.

« Ma sei pazzo?! » esclamò arrabbiata, una mano sul petto, « Potevo cadere di sotto! »

Kisshu, a pochi metri da lei, si appoggiò al muro con una spalla e le sorrise: « Ti avrei sicuramente lasciato cadere. E tu qui sei arrivata strisciando. »

La mora apprezzò poco il suo sarcasmo e gli diede di nuovo le spalle, tornando a osservare il panorama della città illuminata sotto di sé.

« Devo chiederti cosa ci fai qui e come hai fatto a trovarmi? »

« Non ti sei fatta viva al Caffè per qualche giorno, e ho sentito Ichigo dire che anche con lei sembravi strana. E, vivi più qui che a casa tua. Non che ti possa biasimare, effettivamente. »

Lei sbuffò appena, poi incassò un po’ la testa tra le spalle: « Pensavo fossi arrabbiato con me. »

Kisshu rise sottovoce: « Diciamo che non mi piace essere additato solo come un superficiale alla ricerca di dieci minuti di divertimento, ma diciamo anche che non mi piace lasciare le cose a metà. »

« Sarebbe a dire? »

« Siamo anche un po’ troppo adulti per mandarci a quel paese senza spiegazioni ulteriori. »

Minto rimase in silenzio a godersi ancora un po’ il fresco del vento contro il viso, ormai conscia che la quiete che era venuta a cercare sarebbe durata poco. Lo avvertì però tentennare, prendersi più tempo del solito per dire qualsiasi cosa fosse ciò per cui l’aveva raggiunta, gli occhi che sentiva ben fermi su di sé.

« Lo so che non ho nessun diritto di chiedertelo - »

« Esattamente. »

« - ma ci hai parlato? »

Lo stomaco le diede un fastidioso tremito a quel pensiero, il senso di colpa che le risalì in gola con un sapore acido.

« Da quando siete tornati, ho iniziato a mentirgli ancora di più, » rivelò con una nota amara nella voce, continuando a fissare avanti a sé « Su chi siete, come ci siamo conosciuti, perché tu insisti con quei nomignoli - » scosse la testa con un risolino sarcastico, « Non mi ero mai resa davvero conto quante bugie compongano la mia vita. »

Kisshu si spostò contro ad un altro lato della parete protettiva, avvicinandosi di più a lei pur mantenendo della distanza.

« L’hai fatto per proteggere te stessa e le altre, » le rispose sottovoce, « E noi, devo riconoscerlo. »

« Non è bello comunque, » replicò lei piccata, « E non è giusto. »

« Vedila così, » l’alieno incrociò le braccia al petto e fece spallucce, « Se tu fossi stata sicura di lui, come persona, probabilmente gliel’avresti detto senza problemi. »

« Che io posso capire cosa si dicono gli uccelli fuori dalla mia finestra, che se la mia migliore amica si agita troppo le spuntano le orecchie e la coda, e che il ragazzo con cui l’ho… tradito in realtà viene da un altro pianeta? »

« Forse non l’avresti tradito, se avessi potuto raccontargli di tutto questo. »

Minto fece scoccare la lingua, infastidita, e lui continuò irriverente.

« Per non parlare poi del biondo che fa le magie col DNA per farvi saltellare in bikini e sconfiggere un cattivone interplanetario parassita del corpo dell'ex fidanzato della tua migliore amica. Sai che diritti cinematografici da paura poteva intascarsi? »

Rise soddisfatto sotto i baffi quando vide sorridere anche lei e scuotere la testa, i capelli sciolti che le ricadevano morbidi lungo la schiena e che sembravano ancora più scuri con la poca luce lì intorno.

« Erano dei bei tempi, eh passerotto? »

« Io avrei un’altra definizione. »

« A proposito, » un sorriso beffardo gli colorò il viso, « Dicevo, tu sicuramente non hai fatto tutte queste scale per venire fino qua. »

Minto gli lanciò uno sguardo d’avvertimento, inclinando appena la testa: « Non ci pensare minimamente. »

« E dai, fammi rivivere un momento della nostra giovinezza. L’hai detto tu stessa che ne senti la mancanza. »

« Come se fosse una cosa così eclatante. »

« Devo mettermi in ginocchio? »

Minto gli lanciò un’occhiata infastidita, poi fece di nuovo un respiro, afferrò il suo ciondolo e chiuse gli occhi alzandosi in piedi. Il familiare tepore della sua trasformazione l’avvolse come una vecchia amica, facendola brillare per pochi secondi, il solletico delle ali e della coda che le sembrarono la cosa più normale del mondo.

Kisshu non si trattenne dal fischiare soddisfatto non appena MewMinto gli si parò di nuovo davanti, osservandola sfacciato e ghignante da capo a piedi. 

« Mi sa che ti sta un po’ più stretto stavolta quel costumino. (3) »

Lei arrossì e incrociò le braccia al petto per cercare di mascherare un minimo la bassa scollatura del suo fedele tubino azzurro.

« Non sei mai adeguato, tu! »

« Scusami, » rise lui, continuando a guardarla come un gatto sornione, « Ma sei davvero molto sexy. »

« Kisshu! »

« Preferisci adorabile? »

« Nessuna delle due opzioni! »

L’alieno rise e si spinse dal muro per inclinarsi verso di lei: « Sicura sicura? »

Minto lo guardò scocciata, arrabbiata per quel continuo battere ostinato contro al petto, e sciolse la trasformazione, strappandogli un mugolio scontento e poi una risatina.

« Scusa, » le mormorò, riportandole una ciocca sciolta dietro l’orecchio e approfittandone per sfiorarle la guancia, « Mi piace farti arrabbiare. »

 « Ho notato, » rispose con un sussurro che tentò di essere convinto mentre cercava di ignorare il piacevole calore delle dita di lui.

« Non mi hai risposto, comunque. »

Il respiro le scappò tremulo mentre istintivamente inclinava la testa verso di lui, fissa sulle labbra così vicine: « Perché ti interessa? »

« Minto, » il suo nome, un rimprovero bisbigliato, le ribaltò lo stomaco, « Smettila di fare la stupida. »

Sentire di nuovo il suo sapore le azzerò ancora il cervello, ma quella volta fu un bacio più dolce, più lento, come se stesse cercando di trasmetterle qualcosa, o forse era solo lei a essere impazzita del tutto. Si staccò dopo poco, incerta delle reazioni del suo corpo, ma rimase lì a percepire il suo calore, scrutandolo come per trovare una risposta a tutto ciò che le frullava per la mente.

E forse lui sembrò capirlo, perché l’accarezzò ancora e sfiorò appena il naso contro al suo: « Ti accompagno a casa? »

La mora annuì, la gola improvvisamente secca e il rimbombo del cuore nelle orecchie che opprimeva qualsiasi altro suono. Per una volta nella vita, fu grata del teletrasporto nonostante il risucchio nauseante, che in una frazione di secondo le fece poggiare i piedi sulla ghiaia del viale d’ingresso.

Kisshu si allontanò di pochi passi e si infilò le mani in tasca, fece un cenno verso la casa dalle finestre buie e sorrise: « Non ti perdere, mi raccomando. »

Lei tentò di ricambiare senza troppo successo, poi sospirò: « Buonanotte, Kisshu. »

« Buonanotte passerotto. » 

 

 

Non fu sicuramente una bella notte, per la ballerina. Continuava a girarsi e rigirarsi nel suo lettone, senza riuscire a prendere sonno: sentiva troppo caldo, si scopriva e congelava, si rimetteva accoccolata tra le coperte e si sentiva soffocare, scopriva un braccio o una gamba e di nuovo il freddo era troppo insopportabile. Per lei era assolutamente insostenibile, non aveva mai avuto problemi in vita sua ad addormentarsi, nemmeno prima di spettacoli importanti, e ora per un bacio…!

Per tutto ciò che ne scaturiva, davvero.

Si addormentò a notte inoltrata, ottenendo solo un sonno poco profondo e poco riposante, intermezzato da strani sogni, e si ridestò alle prime luci del mattino, con i cinguettii allegri degli uccellini fuori dalla finestra che le fecero da sveglia. Gemendo ad alta voce, la faccia affossata nel cuscino e la consapevolezza che, tanto, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi, si buttò giù dal letto per affrontare la giornata. Non ebbe nemmeno la forza di guardarsi allo specchio, ben sapendo che avrebbe avuto un aspetto orribile. Grata che fosse sabato mattina e che non dovesse presenziare a teatro, per una volta, si trascinò di peso al Caffè, ben sapendo che gremito come sarebbe stato, nessuno avrebbe fatto troppo caso a lei, e che sarebbe stato troppo presto perché le sue amiche fossero già lì.

Solo di un paio di persone aveva la certezza della presenza nel weekend.

Come aveva previsto, Kisshu, che a volte era più abitudinario di un gatto, era già lì, nel suo tavolino preferito in un angolo che gli permetteva di avere un’ottima visione di tutto il locale e al tempo stesso di poter scappare a uno degli altri piani o in cucina quando ne avesse avuto voglia.

Forse l’aveva sentita entrare, nonostante il fracasso, o forse la stava aspettando, non appena lei oltrepassò l’uscio lo sguardo dorato la raggiunse, e l’alieno le rivolse un sorriso tentennante alla sua espressione abbattuta.

Minto fece un respiro veloce e si portò indietro delle ciocche sfuggite alla treccia veloce che le cadeva su una spalla, un misero tentativo di darsi un po’ di tono nonostante l’esaurimento, mentre senza pensarci lo raggiungeva e scivolava sulla sedia accanto alla sua.

« Posso? » gli domandò, accennando alla caffettiera ancora fumante che gli stava davanti.

Kisshu annuì e abbozzò un sorriso: « Sicura non ti faccia schifo bere da dove ho bevuto io? »

La smorfia che la ragazza gli rivolse, mentre afferrava la tazza e quasi ci annegava dentro, gli fece capire che davvero non era il momento di scherzare. Non pensava di aver mai visto Minto con quell’espressione, nascosta sotto l’evidente stanchezza, un faccino preoccupato che la faceva sembrare più piccola. Avrebbe voluto carezzarle una guancia in un gesto di conforto, ma sapeva che l’avrebbe decisamente ucciso in un contesto e una situazione simile, perciò si limitò a sfiorare il dorso della mano con un dito.

« Tutto okay, passerotto? »

Lei si limitò a scrollare le spalle, riempendosi un’altra volta la tazza di caffè e soffiandoci sopra un paio di volte, senza voltarsi verso di lui.

Kisshu osservò per qualche secondo il suo viso pensieroso, prima di darle un colpetto con la spalla: « Sputa il rospo. »

Minto continuò a fissare il bordo della tazza.

« Mi sento in colpa, » esclamò dopo un po’, « Per… ieri. Non sarei completamente… lo sai. E per tutto. »

« Ti ho già detto come la penso. »

« Ci sono un sacco di cose che tu non sai, Kisshu, » sbottò lei, ritirandosi quando una cliente che passò lì accanto la guardò incuriosita, « La mia vita è… complicata. »

« Mmhm, » lui appoggiò una guancia al pugno chiuso e la guardò con le sopracciglia alzate, « Ti prego, illuminami mentre continuo a camuffarmi perché io vengo da un altro pianeta. »

La ragazza gli lanciò un’occhiataccia: « Non sei simpatico. Tu non hai una famiglia molto esigente che non ammette comportamenti al di fuori di quelli prestabiliti. »

« Ed è per colpa di questa famiglia che ora sei qui come un gattino abbandonato? »

« … anche, » Minto lo guardò di sottecchi, prendendo un respiro profondo e pigolando sottovoce, « Mi sono comportata male con tutti. »

« Già ammetterlo per te è un passo avanti. »

« E non so che devo fare, » lo ignorò, giocherellando piano con la tazza da cui aveva bevuto solo per non tenere le mani aperte sul tavolo.

« Non so se io sia la persona giusta a cui chiederlo, tortorella, » rise sottovoce Kisshu, « Potrei essere leggermente di parte. »

Alla ballerina scappò un mezzo colpetto di tosse agitato, poi scosse la testa nervosa: « Non è che posso discuterne con le altre. »

« Cos’è, ti vergogni? »

Lei ebbe il coraggio di tirargli una gomitata per il tono poco velatamente offeso in cui lo disse: « Non è un comportamento corretto facile da sbandierare ai quattro venti. »

« Lo stai facendo ingigantendo un po’, a parer mio, ma okay. »

Minto sbuffò contrariata: « Forse sei tu che sei abituato male. »

« Non mi conosci per queste cose, tortorella. Mi sarò anche divertito, in vita mia, ma non sono così terribile. »

Lei si mosse a disagio sulla sedia: « … mi stai dicendo che sono peggio di te. »

« No, tortorella, ti sto dicendo che non ci sono verità universali e che nella vita succede, ogni tanto, di fare cazzate che non sono la morte di nessuno. »

 « Cosa faresti tu se la tua ragazza ti tradisse? »

Lui ridacchiò a disagio e si passò una mano nella frangia: « Allora per me sarebbe chiusa lì. Faccio già fatica così com’è a fidarmi delle persone. Forse le chiederei il motivo, forse no, ma non credo riuscirei a rimanerci. »

Minto lo guardò storto: « Forti principi morali quando si tratta di te, eh? »

« Ehi, lo sai che quando voglio qualcosa, faccio di tutto per ottenerlo. »

Lei studiò un istante il suo sguardo, poi gli domandò: « Cosa vorresti, quindi? »

Kisshu si rilassò sulla sedia: « Adesso, che tu mi faccia un bel sorriso. »

La mora sbuffò, si sorresse la fronte con una mano: « Non ne ho molta voglia ora. »

L’alieno rifletté un paio di secondi, poi le si avvicinò e le tese la mano: « Ho un’idea. »

Minto lo guardò estremamente dubbiosa, senza spostarsi: « Ovvero? »

Lui alzò gli occhi al cielo e sospirò, allungandole ancora di più la mano: « Giuro che non è niente di scandaloso o pericoloso, fidati per una volta. »

Lei valutò con cura la proposta di passare dell’altro tempo da sola con lui, visti gli ultimi accadimenti, poi fece un respiro e accettò il suo palmo, lasciandosi tirare in piedi e poi verso l’uscita sul retro del Caffè. Continuò a tirarla lungo il sentiero che dal locale portava al parco lì circostante, per poi condurla in una zona in cui gli alberi si infittivano, offrendo un po’ di protezione dalla vista degli altri visitatori.

« Kisshu, mi spieghi cosa stai facendo? »

Kisshu si guardò intorno un paio di volte, controllando effettivamente quante altre persone fossero lì nei paraggi, poi si voltò verso di lei con un sorriso furbo.

« Trasformati. »

« Cosa? »

« Su, prendi il ciondolino, sfavilla qualche secondo e tira fuori le alucce. »

« Kisshu, non ho intenzione di accontentare nuovamente le tue fantasie adolescenziali. »

« Aaaah, non è per quello, dammi retta per una buona volta e trasformati. »

Minto lo osservò dubbiosa, poi con un sospiro estrasse il ciondolo Mew dalla borsa e fece come le aveva chiesto.

Lui la guardò contento, incrociò le braccia e fece un passo verso di lei: « A parte il piacere di vederti così, è meglio se qui sei in forma rinforzata. » 

Lei non fece in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, che estrasse dalla tasca un piccolo strumento simile a una pulsantiera tonda con sopra inciso un simbolo che le risultò familiare. Kisshu l’afferrò di nuovo per la mano e premette il pulsante; Minto ebbe la netta sensazione di essere risucchiata con un pop, come se il terreno le scomparisse da sotto i piedi e al tempo stesso qualcuno la tirasse per un fianco verso destra.

Barcollò appena quando il suolo le ricomparve sotto le scarpe, udendolo ridacchiare appena mentre le stringeva forte il palmo per stabilizzarla.

« Niente da fare per te e i metodi di trasporto alieni, eh colombella? »

Le ci volle un minuto per abituare gli occhi alla strana luce di quell’ambiente, vivace eppure tenue, come se ci fosse un velo davanti a lei. Li riaprì e sbatté le palpebre un paio di volte, ancora più confusa di prima, mentre la borsetta le scappava di mano. La prima cosa che pensò fu di trovarsi dentro un enorme hangar senza tetto e dalle pareti rigogliose di vegetazione, tutto reso stranamente etereo dalla luce azzurrina che lo pervadeva. Rimase a bocca aperta mentre cercava di elaborare l’informazione di essere passata dal boschetto del Caffè a lì, tentando di comprenderne le dimensioni, la strana tinta di quello che poteva definire cielo, l’odore dolce di una foresta e la sensazione che l’atmosfera fosse più pesante di quella terrestre.

« Pai ha la responsabilità di questo posto, quindi perdona la poca fantasia. L’addobbo floreale è da parte di Taruto. »

« Dove siamo? »

« Detta brevemente, in una dimensione parallela. Una tana in più per noi, se vuoi. »

Minto fece un giro su sé stessa, poi strabuzzò gli occhi puntando il dito contro ciò che le si era parato davanti: « Quella è…? »

Kisshu annuì soddisfatto mentre guardava l’astronave con una punta d’orgoglio negli occhi: « Non sapevamo dove parcheggiarla, e Shirogane ha rotto le scatole, quindi l’abbiamo relegata qua. Io e Taruto usiamo anche questo spazio per allenarci, in maniera seria, ogni tanto, e Pai lo usa per comunicare con i suoi superiori sui risultati delle loro ricerche. »

« Mmh, immagino che Ryo sia estasiato da questa prospettiva. »

L’alieno rise divertito, poi la guardò con un sorriso: « Qui puoi essere quello che vuoi. »

Minto si guardò intorno stupita, testando saggiamente il terreno con la punta degli stivaletti, come se avesse potuto cedere da un momento all’altro.

« Quant’è grande? »

Kisshu scrollò le spalle, incerto: « Eh, sai com’è fatto Pai, non sarà enorme… ma un bel voletto te lo puoi fare senza problemi. »

« Dovrei starci io, qua dentro? »

Lui ghignò furbo: « Se non divulghiamo la notizia, è meglio. »

« Mmhm, » lei si azzardò a fare qualche passo, guardandolo appena da sopra la spalla, « Quindi a cosa devo quest’onore? »

« Ti ho promesso che ti avrei portata a volare, no? » lui piegò appena la testa da un lato e le fece l’occhiolino, « Non sarà un giretto sull’oceano, per quello dovremmo aspettare la notte. »

« Certo, così poi a Shirogane verrebbe un colpo, » rise sottovoce lei, continuando a guardarsi intorno, le piume delicate delle ali che fremevano piano, « Pensi che non tenga tutti i rilevatori accesi? »

« Qua non ci trova sicuro, o sarebbe stato più facile per voi venire a disturbare, al tempo. »

Minto gli lanciò un’occhiataccia al tono casuale e canzonatorio che usò, poi decise di dare ascolto ai suoi geni aviari e scosse delicatamente le piume della coda: « Facciamo a gara a chi vola più veloce? »

Un ghigno furbo si dipinse sul volto dell’alieno: « Non sarò un gentleman, sappilo. » 

Lo vide partire di scatto prima ancora che lei potesse ribattere, scoccandole un occhiolino veloce da sopra la spalla                 quando la sentì gridargli dietro. Lo seguì svelta, volando dritta fino all’apertura curva del tetto e prendendosi un secondo per ammirare il paesaggio dall’alto. L’hangar sembrava ancora più largo da quella prospettiva, e se da una parte la dimensione sembrava iniziare con esso, dall’altro lato poteva scorgere qualche dolce collina verde, con uno spiazzo di terra battuta che interpretò come uno dei luoghi di allenamento dei tre.

« Tortorella, vuoi perdere in partenza? »

La voce scanzonata dell’alieno la riscosse, e riprese a rincorrerlo; sentiva il cuore battere forte mentre il vento le sferzava contro al viso, una familiare adrenalina che le vibrava nelle vene e le ali che battevano vibranti e forti nonostante il tempo passato. Chiuse gli occhi per un istante, godendosi la sensazione di totale libertà, lasciandosi cullare dall’aria e dall’odore di quel luogo, dalle risate che poteva udire dell’alieno e forse, per qualche strano motivo, anche della sua energia. Quasi dimentica della gara che lei stessa aveva indetto, si lasciò andare a qualche giravolta e piroetta, aprendo le braccia e davvero, lasciandosi andare come faceva solo sul palco.

Si stupì un po’ di quanto potessero continuare a volare, anche se Kisshu la guidò a salire fino a quello che le sembrò l’altezza massima, il cielo che si curvava quasi come sotto una cupola, poi entrambi si lasciarono andare alla gravità, cadendo leggeri verso il suolo e poi riprendendo la corsa.

Lo vide fermarsi di scatto quando arrivò di fronte a un ammasso intricato di rami e radici, le teste degli alberi piegate gentilmente, probabilmente un confine ben visibile di quello strano luogo. Lui poggiò i piedi a terra e alzò le braccia in segno vittorioso, voltandosi verso di lei con un sorriso.

« Kisshu, hai barato! »

« Nooo, ho solo fatto del mio meglio per batterti. »

Lei rise e si portò una mano al petto mentre cercava di riprendere fiato: « Sei terribile. »

Kisshu studiò compiaciuto il rossore sulle guance e l’accenno di sorriso che le coloravano il viso dopo il volo: « Sei tu quella che si è messa a ballare per aria. »

Minto lo guardò con una smorfia, poi svolazzò appena per annusare uno strano fiore che spuntava dall’intreccio di rami, stupendosi di quanto le ricordasse l’odore di un’albicocca.

« Venite spesso qui? »

Quando si voltò, notò che l’alieno continuava ad avere quel sorrisetto soddisfatto che tanto lo caratterizzava, probabilmente per la panoramica che gli aveva offerto.

« Taruto più di tutti – come puoi notare – e Pai ogni due settimane o giù di lì. Io non ne sono un gran fan, vengo solo per sfogarmi ogni tanto. »

« Sfogarti? »

Lui le fece l’occhiolino: « Troppi dolci, troppe belle ragazze, al Caffè si accumulano troppi zuccheri. »

« Ah-ah-ah, » Minto fece finta di ridere,

La osservò ridere ancora, poi fare un respiro profondo mentre la sua espressione diventata più pensosa e simile a quella che aveva voluto cancellare.

« Com’è che per te le cose sono sempre così semplici? »

Kisshu si strinse nelle spalle e diede un calcetto a un pezzetto di radice che spuntava dal terreno: « Sarà una filosofia di vita. »

Minto lo guardò storto e prese a passeggiare lenta lì intorno, abbozzando qualche passetto come faceva tutte le volte che era persa nei suoi pensieri, giocherellando con lo strano terreno polveroso.

« Sai che io ho sempre fatto tutto ciò che si conviene a una brava ragazza? » accennò ad un pas de bourrée e lo guardò da sopra la spalla con un sorrisetto triste, « L’unica cosa su cui non transigevo era la danza. Poi siete arrivati voi. »

L’alieno fece schioccare la lingua: « Non mi sembra giusto darci tutta la colpa. »

« Se vuoi ci aggiungiamo Shirogane, » lei ridacchiò amara e fece una piroetta, le ali che frullarono contente, « Però è vero. »

Kisshu incrociò le braccia al petto: « E quindi? »

« Niente, » scrollò le spalle e abbozzò un arabesque, « Pensavo ad alta voce. »

« Puoi smetterla di saltellare, mi stai facendo venire mal di testa, » lui sbuffò irritato, trattenendosi dall’afferrarla per le spalle e piantarla in una posizione soltanto, « Siamo un po’ troppo vecchi per accusarci su certe cose, no? »

« La mia vita andava benissimo, prima che arrivassi tu con le tue moine. »

« Invece a te facevano schifo le attenzioni, » Kisshu rise amaro, per nascondere la nota di irritazione che non riuscì a controllare, « Io ci avrò anche provato, tortorella, ma tu mi hai dato corda. Il tango si balla in due. »

La vide fare una smorfia, probabilmente punta sul vivo e nell’orgoglio, lei che sempre si proclamava al di sopra dei vizi e degli errori degli altri. Si azzardò ad avvicinarsi, sfiorandole una gota con le nocche.

« Ammettilo che c’era qualcosina e non me lo sono inventato solo io. Un po’ ti conosco, sai. »

Gli occhioni scuri tremolarono un istante: « Dirlo con quel tono soddisfatto non ti porterà da nessuna parte. »

« Per una volta che ho ragione… »

Minto allontanò appena il busto, soffiando tra i denti e giocherellando di nuovo con una foglia carnosa e vivace.

« Io e te siamo abbastanza diversi, non trovi? »

« Biologicamente parlando o… » lui tentò la battuta, ma poi si schiarì la gola quando vide l’occhiataccia un po’ triste che lei gli rivolse, « Non vuol dire che sia un problema. »

« Ci sono un sacco di cose che non sai. »

« L’hai già detto, e lo so. Ma mi è anche parso di capire che io, a differenza di altri, sia a conoscenza di un sacco di cose molto importanti. »

La mora realizzò che probabilmente non aveva mai visto Kisshu stare fermo come in quel momento, lui che sembrava incapace di rimanere in una sola posizione per più di qualche minuto, sempre a gingillarsi nervosamente con qualsiasi cosa, scomposto su ogni seduta. Forse era la convinzione che poteva sentire nelle sue parole, si disse, che lo manteneva saldo, le mani infilate con nonchalance nelle tasche in contrasto con la schiena dritta e lo sguardo deciso.

« Chi sei venuta a cercare oggi, tortorella? »

Minto sbuffò e girò la testa, stringendosi le braccia al petto.

Possibile che lui sembrasse avere più senso di tutte le cose che le erano passate per la testa?

Si rese conto in quel momento che avrebbe solamente voluto tirarlo a sé per la collottola e baciarlo, sentire ancora quella sensazione nello stomaco al contatto della pelle con la sua, il battere irrequieto del suo cuore al suo profumo e al suo sapore intorno a sé.

Invece fece un passo indietro, cercando una zona neutrale e sicura.

« Devo parlare con Eichi, » mormorò, « Pensare, e poi… sistemare le cose. »

Kisshu annuì piano, senza staccare gli occhi da lei, scrutandola forse in cerca di una risposta, poi indicò l’hangar con un cenno della testa: « Vieni, torniamo indietro. L’uscita è di là. »

Camminarono in silenzio, Minto che gli stette a un metro buono di distanza, cercando di non concentrarsi troppo sulla sua schiena, le unghie così conficcate nella pelle nuda delle braccia che quasi fece fatica a scollare le dita per accettare di nuovo la mano che lui le porse prima di riattivare il teletrasporto.

Sciolse subito la trasformazione appena ritornati al punto di partenza, ben più sicura del controllo del suo corpo con abbondanti centimetri di tessuto in più addosso. Il senso di inquietudine che si portava addosso dalla sera precedente le riapparve nello stomaco, e si schiarì la gola per fermare almeno il silenzio.

« Credo che… credo che andrò, » esclamò, accennando appena con il mento al Caffè, « Non ho molta voglia di vedere le altre, Ichigo potrebbe subissarmi di domande. »

« D’accordo, » Kisshu, le mani ancora in tasca, annuì ma non fece cenno di spostarsi da davanti a lei, « Fai come pensi sia meglio, passerotto. »

Lei storse il naso, proprio non poteva mai esimersi dal parlare in doppi sensi in ogni circostanza. Fece un respiro profondo e strinse di più la catenella della borsetta: « Ci sentiamo, okay? »

« In ogni caso? »

« Kisshu. »

« Chiedevo solo, » le spostò la treccia dietro la spalla, sfiorandole il collo con abbastanza lentezza per percepire, sotto la punta delle dita, il cuore che batté erratico quando aggiunse in un sussurro deciso, « Minto. »

Gli ci volle molta convinzione per allontanarsi, ben sapendo da come aveva reagito lei prima che non avrebbe potuto spingersi oltre, in quel momento; lasciò cadere la mano lungo il fianco e le lanciò un sorriso affettato, prima di fare dietrofront sui tacchi con un mezzo fischio e incamminarsi lungo il sentiero, il sospiro pesante che le scappò che risuonò chiaro al suo udito.

 

 

Today

 

 

Eichi bussò piano contro lo stipite della porta, per annunciare nuovamente il suo arrivo.

« Eichi, » esclamò Minto, alzandosi dal pianoforte e facendo due passi verso di lui prima di bloccarsi all’improvviso, « Cosa… »

« Sono venuto a portarti un po’ di cose tue che ho trovato in giro, » le sorrise e alzò la busta di carta che aveva con sé, « Non c’è molto, solo un libro, qualche nastro per capelli e un paio di ricambi di danza. »

« Grazie, » lei inclinò un poco la testa in un accenno di inchino, tenendo le mani composte lungo i fianchi, « Come stai? »

« Tutto a posto, » annuì quasi convinto mentre evitava il suo sguardo e appoggiava la busta lì accanto, « Tu stai bene? »

« Io… sì, » la mora esalò pesante a quella sillaba, lasciando cadere le spalle in sollievo, « Ho solo bisogno di un po’ di tempo per… »

« No, capisco, » la interruppe lui, lisciandosi la camicia perfettamente stirata in un gesto di nervosismo, « Volevo dirti che mi dispiace, Minto, non… non essere stato abbastanza. »

« No, Eichi, non è quello, » Minto scosse la testa e fece un passo avanti, sentendo improvvisamente il senso di colpa rimpossessarsi di lei, « È che io… te l’ho detto, io non… tu ti meriti qualcuno che sappia davvero condividere con te tutto ciò che vuoi. »

« Lo so che… il rapporto che tu hai con gli altri, io non posso capirlo, » il ragazzo si strinse nelle spalle, « Non sei mai stata come le altre, Minto, per quello mi piacevi. Ma capisco se… se le cose differenti ci hanno allontanato perché non potevo capirle. Come comprendo il perché tu possa aver… cercato qualcuno che invece non avesse questo problema. »

Lei annuì, conscia di meritarsi un po’ la frecciatina che sapeva lui non aver detto con quell’intento: « Non so se il risultato sarebbe stato diverso se… se io non avessi… »

« Infatti, capisco, » Eichi le sorrise ancora e stese il braccio per afferrare ancora la maniglia della porta, facendo per uscire « Ti auguro davvero il meglio, Minto-chan. Spero che troverai ciò che cerchi. »

« Eichi, aspetta, » Minto fece un respiro profondo, lo guardò dritto negli occhi e scosse la testa, « Non… non pensi, a volte, che siamo stati insieme solo perché… dovevamo? »

Lui sembrò pensarci su un secondo, poi strinse le labbra in un’espressione dolcemente rassegnata: « A me sarebbe andato benissimo lo stesso. »

Uscì e si chiuse la porta alle spalle, senza lasciarle il tempo di aggiungere altro. Lei esalò il respiro e si lasciò cadere sul bordo del divano, mordendosi un labbro.

Forse si sarebbe sentita un po’ meno in colpa, un po’ meglio, se avesse provato una tristezza maggiore, o un senso di vuoto come già le era successo in passato – era stata una storia importante, non l’avrebbe mai negato, aveva creduto anche davvero che sarebbe stata la storia…

Però nella testa continuava solamente ad avvertire quel fastidioso ronzio, quella caotica confusione che la destabilizzava e che non riusciva a domare. Le sembrava di aver perso del tutto il controllo, anche ora, di non riuscire a pensare chiaramente a nulla. Aveva solamente voglia di rimanere da sola, lontano però da quella casa così dannatamente silenziosa e piena di ricordi diversi, per passare del tempo con sé stessa e capire, sul serio.

Afferrò il cellulare da sopra il tavolino in cui lo aveva appoggiato, scorse la chat e scrisse un messaggio veloce, prima di alzarsi e affrettarsi verso la sua camera.

Se già aveva smesso di agire solo di testa, tanto valeva seguire anche quell’ultimo impulso e ritrovare la calma. 

 

 

§§§

 

 

Minto si chiuse lo sportello della macchina alle spalle e fece un sorriso di ringraziamento al vecchio autista, che le ricambiò dal finestrino abbassato con un tocco di cappello prima di rimettersi in marcia. Rimasta sola, fece un respiro profondo mentre osservava l’alto palazzo di fronte a sé, cercando con lo sguardo le finestre che avrebbero potuto appartenere all’appartamento che le interessava.

Si diede mentalmente della sciocca per il nervosismo che stava provando costantemente da quella mattina, quando appena poggiate le valigie sul pavimento della camera aveva preso la decisione di prepararsi e uscire nuovamente per mettere un punto fermo a tutta la situazione.

Non era certo il momento di farsi prendere dal panico, ora.

Tirò indietro le spalle e si avviò verso l’entrata, digitando il codice d’accesso che una Purin ghignante aveva condiviso con lei per evitarle di suonare il campanello del portone principale – una mossa da codardi, davvero, doveva ammetterlo. Come se le sue buone maniere non le avessero fatto annunciare la visita “a sorpresa”.

Ricontrollò il messaggio che l’amica le aveva spedito per confermare il piano e il numero dell’appartamento e pigiò il pulsante dell’ascensore, adducendogli la colpa della capriola che fece il suo stomaco.

Un lungo pianerottolo le si parò davanti, costellato da porte verdi tutte dello stesso colore. Il rumore del tacco dei suoi stivaletti rimbombò appena sulla moquette un po’ invecchiata mentre cercava alla sua destra il numero giusto e si fermava lì davanti con, di nuovo, quella sgradevole sensazione di panico alla gola.

Fece ancora un respiro profondo e, questa volta, bussò con fare convinto, facendo un cortese passetto indietro e stringendo la borsetta tra le mani non appena udì dei passi attutiti aldilà del muro.

Kisshu aprì la porta e l’accolse con il tipico sorriso sornione: « Ah, un uccellino di bosco. »

Minto fece una smorfia: « Sono andata a trovare mio fratello. »

« E sei tornata abbronzata? »

Lei sbuffò al solito tono ironico del ragazzo: « Non ho scelto io la sua location. E avevo bisogno di rilassarmi un attimo. »

L’alieno si staccò dallo stipite a cui era appoggiato e le prese una ciocca di capelli tra le dita: « Due settimane non sono proprio un attimo. »

« Come se non ci fossimo sentiti. »

« Che c’entra, » rispose sottovoce lui con un sorriso, sistemandole lo spesso cerchietto di velluto che indossava, « Magari mi sei mancata lo stesso. »

La mora ordinò al suo cuore di comportarsi in maniera civile anche con quel tono di voce, e piegò appena la testa di lato: « Non mi fai entrare? »

Kisshu continuò a sorridere e si fece di lato, alzando un braccio in maniera comica per farle strada: « Prego, madamigella, benvenuta nella mia umile dimora. »

Lei alzò di nuovo gli occhi al cielo ed entrò con un flebile permesso, osservando curiosa il piccolo ma accogliente appartamento che i tre fratelli Ikisatashi condividevano (e che lei fu molto grata fosse vuoto, in quel momento).

« Salotto, cucina – che è il regno di Retasu e di Purin, non guardare me, non so come faremmo senza quelle due – là in fondo c’è il bagno e qui le camere. »

« Un bagno diviso tra voi tre, potrei avere gli incubi. »

« Chi pensi pulisse nell’esercito, tortorella, fammi capire. »

Lei sbuffò appena divertita e lo seguì dietro l’angolo alla fine del corridoio principale, tentennando appena prima di oltrepassare la soglia della sua stanza.

« E questo è il mio nido. »

Minto entrò con calma, guardandosi attorno curiosa e già con il ventre che scalpitava contento a sentire il fievole odore di lui tutto intorno a sé. La camera era ordinata in una maniera che lei non si sarebbe mai aspettata, perciò alzò un sopracciglio, scettica.

« Stavi aspettando qualcuno? »

« Mi ero stancato del borbottio di mio fratello, » rispose lui con una nota allegramente irritata nella voce, « A volte mi fa sentire la nostalgia dei superiori, erano meno rompiscatole di lui. »

Lei si lasciò andare ad un sorriso e sfiorò con un dito la scrivania vuota se non per un pc con uno schermo extra e un paio di occhiali da sole.

« Scommetto che l’armadio sta per esplodere. »

« Passerotto, non tutti possiamo avere una sala da ballo per armadio. »

Lei storse il naso e si avvicinò allo scaffale vicino a una finestra, per far scorrere lo sguardo sui fumetti e libri lì riposti. Poteva avvertire lo sguardo scanzonato del ragazzo vicino a lei, che si lanciò a sedere sul letto con poche cerimonie, inclinandosi all’indietro e poggiandosi sui palmi. 

« Allora volevi dirmi qualcosa? » le domandò irriverente.

« Volevo vederti, » rispose semplicemente lei, facendo qualche passo in avanti.

Kisshu si portò a sedere dritto, afferrandola dolcemente per la vita per farle coprire anche gli ultimi centimetri. Erano quasi alti uguali in quel momento, fu il pensiero che le balenò a caso nella mente, abbastanza perché lui potesse sfiorarle la fronte con la sua.

« Vai subito al dunque, eh? » borbottò, aggrottando le sopracciglia ma non accennando a spostarsi.

L’alieno rise e le tamburellò le dita suoi fianchi: « Non sto facendo nulla. »

Minto inspirò a fondo e poggiò le mani sui suoi avambracci, tenendo lo sguardo basso e aggrottando appena la fronte.

« Volevo vederti, » ripeté più convinta, « Anche quando ero con Seiji. Nemmeno lui sa tutta la verità e… è così difficile. Tu… »

Lui sorrise sornione: « Io ho ragione. »

La mora gli lanciò un’occhiataccia: « Tu sei insopportabile. »

 « Da che pulpito. »

Le fece appena il solletico, addolcendole lo sbuffo mentre si incastrava meglio tra le sue gambe: « Lo sai che ci sono cose che tu non conosci, e anche io non so se… ma non voglio stare in gabbia. »

Le mani di Kisshu si erano spostate per premerle un po’ più decise sulla schiena: « Mademoiselle Aizawa finalmente segue un po’ di più l’istinto? »

« Non vuoi sapere cosa mi dice l’istinto su di te. »

« Ah, » lui sorrise ancora e strinse appena le dita sul tessuto del vestitino rosso, « Invece direi di sì. »

Minto sentì lo stomaco sfarfallare deciso e il cuore salirle fino in gola, spostò lenta le mani sulle sue spalle e sfregò appena il naso contro al suo, stupita di non aver ancora dato retta alla vocina nella testa che le gridava di lasciarsi andare.

« Sono… due anni e mezzo che… »

Kisshu sorrise appena, iniziando a sfiorarla con le labbra sulla mandibola, il collo, l’incavo della spalla.

« Mi accontento dei baci, » mormorò sottovoce.

Minto rabbrividì appena alla vibrazione contro la sua pelle: « Sei un bugiardo. »

Lui ghignò felice, prima di tuffare la mano tra i boccoli corvini per tirarla a sé e conquistare le sue labbra: « Ne parliamo dopo. » 

 

 

Si tirò il lenzuolo sulla testa, sbirciando da una fessura la schiena nuda di Kisshu che in due salti copriva la distanza fino alla porta e parlottava amabilmente con uno dei suoi fratelli senza aprirla troppo e rivelare chi si stesse letteralmente nascondendo nel suo letto.

Lo sentì ridere, e il cuore le sfarfallò sciocco nello stomaco mentre studiava il corpo a cui si era aggrappata con trasporto fino a poco prima, il sangue che le rifluì dispettoso alle guance.

« Era solo Taruto, » l’alieno diede un giro di chiave e ritornò con un sorriso verso di lei, lanciando noncurante i pantaloni della tuta di nuovo da qualche parte per la stanza prima di infilarsi sotto le coperte, « Lui non è il rompiscatole della famiglia. »

« Meno male che Purin non c’è, » esalò Minto, sollevata, « O non sarei uscita viva da qui. »

Kisshu le scostò un boccolo dalle tempie: « Sono un maestro delle fughe, sai. »

« Ah, immagino – ehi! » la mora si divincolò con una risata genuina quando lui prese a farle il solletico per il tono con cui gli si era rivolta.

Quando riprese fiato, sentì ancora le guance bruciarle per il modo in cui la stava fissando, rendendosi conto di quanto fosse a suo agio così, pelle contro pelle senza nient’altro tra di loro. Gli si fece più vicina, chiudendo gli occhi quando lui le lasciò un paio di baci sulle spalle e sul petto.

« Potremmo andare da te per il dessert, » mormorò, « Senza nessuno tra le scatole. »

« Mh, e io che pensavo fosse solo un antipasto. »

Kisshu le lanciò un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, facendole il verso mentre si metteva a gattoni sopra di lei: « Ah-ah-ah. Magari mi stavo solo accertando di lasciarti con la voglia di tornare per il bis. »

Minto alzò gli occhi al cielo, sotto sotto divertita: « Non sarai mai modesto, tu. »

« Tortorella, anche tu ti sei dimostrata apprezzativa. »

Rise di gusto alla sua espressione irritata e le fermò le mani, intrecciando le dita con le sue, giusto in tempo perché lei non se lo scrollasse di dosso facendolo cascare a terra, poi le rubò un bacio.

« Se proprio lo vuoi sapere, » sbuffò divertito e la guardò dritta negli occhi, compiacendosi del rossore che le continuava a colorare le gote, « Ero anche un po’ fuori allenamento. »

Minto alzò un sopracciglio con una punta di scetticismo e lo stomaco che le fece una capriola: « Dici sul serio? »

« Vedi che tu non un sacco di cose non le capisci. »

Lei storse il naso, poi fece scorrere leggera le dita lungo le sue spalle, le clavicole e il petto, disegnando ghirigori immaginari: « Definisci un po’. »

« Da prima del compleanno della micetta. »

« Un mese?! »

« Lo sai anche tu che è più tempo di così. E tu scusa, quanta pausa hai fatto? »

Minto, evitando il suo sguardo, borbottò qualcosa di incomprensibile che lo fece ridere, si ristese accanto a lei e le sfiorò lo zigomo col dorso della mano.

« Poi a me non interessa, lo sai. »

Lei annuì, allineando quasi automaticamente il corpo al suo: « Però possiamo… andarci piano? »

Kisshu la studiò un istante, continuando ad accarezzarle il volto: « Cosa vuoi fare? »

« Io… io comunque mi sono appena lasciata e… tu non sai com’è la mia famiglia, non ci sono mai però pensavano che… e anche le ragazze, non sono tutti al corrente di certi dettagli quindi… »

« Non c’è bisogno di fare annunci in pompa magna, » il verde le rivolse un sorriso comprensivo, prima di lasciarle un bacio sulla punta del naso, « Sappi però che non ho intenzione di condividerti con altri bellimbusti. »

« Ovvio che no, » sbottò lei, roteando gli occhi, « La stessa cosa vale per te. »

Un sorriso dispettoso gli colorò il viso: « Ah, una relazione segreta degna dei più grandi romanzi. »

« Sei proprio un imbecille. »

« La nobile donzella aveva assaggiato il frutto proibito, e ora non sapeva più come sopravvivere senza! »

« Kisshu! »

Lui rise ancora e la strinse a sé, baciandola contento: « D’accordo, passerotto, ora ti faccio vedere io. »

Minto ridacchiò e si rilassò nel suo abbracciò, un sospiro che le uscì dalle labbra quando lo sentì stendersi sopra di lei e sfiorarle le gambe, poi dedicarsi a quel delizioso punto appena sotto l’orecchio, scendendo un bacio alla volta verso il suo petto, lambendole leggero con la lingua il seno minuto.

Si inarcò appena contro di lui, cercò la sua mano ma quella rimase ferma a disegnarle piccoli cerchi col pollice sul suo fianco mentre la bocca di lui copriva esaustiva ogni centimetro della sua pelle, apparentemente però scegliendo la strada più lunga verso dove lei desiderava ardentemente che andasse.

« Kisshu, » esalò a voce roca, muovendo ancora il bacino contro di lui, « Cosa stai…? »

Gli occhi dorati la fissarono divertiti mentre posava l’ennesimo bacio vicino all’ombelico e uno nell’interno coscia: « L’hai detto tu che bisogna andarci piano. »

Lei si lasciò scappare un singulto e arrossì sotto il suo sguardo, piegando le gambe per farsi più vicina: « Sei un idiot-ah! »

 

 

One year later

 

 

« Allora ci siamo intesi. »

« Signorsì, signora. »

« Davvero, per favore, non ti presentare. »

« D’accordo. »

« Guarda che se ti vedo tra il pubblico mi arrabbio. »

« Rimarrò qua in casa, in pigiama, a fare finta di niente. »

« Bravo, » Minto si sistemò meglio il borsone di danza sulla spalla, prese un respiro e abbozzò un sorriso nervoso, « Allora vado. »

Kisshu le prese dolcemente il volto tra le mani: « Sarai bravissima, » le sussurrò prima di schioccarle un bacio sulle labbra, « Chiamami quando vuoi. »

Lei annuì e quasi corse giù per lo scalone d’ingresso; si voltò appena prima di uscire dall’imponente portone per incrociare il sorriso birbante e gli occhi dorati, le mute conversazioni cariche di aspettative e assoluta comprensione dell’altro.

 

 

Lo scroscio degli applausi proseguì festoso anche quando il pesante sipario di velluto rosso si chiuse di scatto davanti a loro, oscurandogli la vista del pubblico. Minto fece un respiro profondo, si scambiò uno sguardo di vittoria e felicità con il suo partner e il resto della compagnia, poi si mise di nuovo in posizione per il saluto finale. Si inchinò elegantemente un paio di volte quando fu riaperto il sipario, mano nella mano con il primo ballerino, raggiante come lei di felicità al vedere la standing ovation.

Era stato un successo, non c’erano dubbi, anche meglio dell’anno precedente. Non poteva essere più fiera di così.

Regalarono al pubblico un’altra riverenza, prima di sciamare ordinatamente fuori; non fecero nemmeno in tempo ad arrivare dietro le quinte che Minto si sentì ingolfata in un abbraccio di gruppo, le risate e le grida di successo che coprirono il rumore del pubblico. Quasi fu trascinata verso l’uscita senza che i suoi piedi toccassero il suolo, senza poter smettere di ricambiare nemmeno lei tutti i sorrisi e i complimenti, sgusciando all’ultimo tenendo molto stretta la tiara che aveva in testa.

La prima cosa che vide, non appena aprì la porta che conduceva agli spogliatoi, fu un enorme mazzo di peonie rosa, sotto al quale spuntava un paio di gambe.

Un paio di gambe che conosceva molto bene.

Le guance protestarono affaticate al sorriso che si moltiplicò ancora.

« Ti avevo detto di non venire. »

Kisshu le fece l’occhiolino e prese una singola peonia dal mazzo, mettendogliela sotto al naso: « Non potevo certo non venire a festeggiare il successo della mia tortorella. E poi sono rimasto dietro le quinte, tecnicamente non mi hai visto tra il pubblico. »

Lei storse il naso al soprannome, così davanti a tutti, poi lasciò che la tirasse a sé per la nuca, quanto più il largo tutù gli permettesse, e che le rubasse un bacio mentre lei rideva sottovoce.

« Mi sa che ho avuto ragione di nuovo. »

Minto alzò gli occhi al cielo e lo colpì appena sul naso col fiore: « Non vantarti troppo. »

Kisshu rise e accennò allo spogliatoio: « Vai. Dobbiamo andare a festeggiare. Paghi tu. »

Lei finse di offendersi e scosse la testa, avviandosi veloce lungo il corridoio, i piacevoli ricordi di come tutto fosse praticamente iniziato lì che l’avvolsero e la costrinsero a girarsi di nuovo verso di lui per lanciargli un sorriso di gratitudine, che avrebbe detto molto di più di quanto potesse.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

(1) Lungi da me ricordare che episodio esattamente, ma è un riferimento al chimero che si mangiò il cellulare di Ichigo il giorno stesso in cui lei doveva andare a un concerto con Masaya (o qualcosa del genere LOL)

 

(2) Io la nota la metto per scrupolo, ma non devo ricordarvi che BB8 è l’ultimo droide di Star Wars, vero? (Ovviamente la rima regge solo in Italiano, ahimè, ma già bassotto in inglese si dice dachsund, volevo evitarmi di complicarmi la vita ulteriormente xD)

 

 (3) Rubata spudoratamente da qua, dalla mente malvagia di Ria, la prima scena nella mia top three di tutto Crossing <3 Qui trovate anche la sua illustrazione!

 

 

 

 

 

***

Potrò mai io essere soddisfatta dal finale di una ff? è dal 2006 che scrivo ed è dal 2006 che ogni volta la fine mi fa assai schifo ^^’’ Sarà la maledizione di Stephen King x’D

Ora posso rivelarvi che la genesi di questa ff nasce da uno dei tanti momenti di noia passati con Ria a svarionare su cose come “Ma chi tra i nostri paladini metterebbe mai le corna, come quando dove e perché?”. Potrei quasi giurare che sia una discussione di molto tempo fa, negli ancora ridenti anni dell’uni, ma non saprei LOL

Comunque, questo è il risultato, from my side. Ci ho messo circa sei mesi a scriverla, ma chi mi segue su FB sa che il 2019 ha avuto un inizio faticoso :3 Spero che per voi ne sia valsa la pensa e che sia tutto IC e in qualche modo “giustificato”. Lungi da me “discolpare” i tradimenti, eh, sia chiaro, ma ognuno è diverso, ognuno vede le cose a modo suo e questa rimane una ff, quindi non me ne vogliate troppo x’D Io rimango dell’idea di chi rompe paga e i cocci sono suoi LOL

La frase iniziale viene da Hungry Eyes di Eric Carmen, tratta direttamente dalla colonna sonora di Dirty Dancing e di cui io lo so un giorno scriverò un’altra storia LOL

Grazie mille a chi è passato nel capitolo precedente – come promesso non vi ho fatto aspettare troppo ;)

Bacioni a tutti e buon weekend!

Hypnotic Poison

   
 
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