One look at
you and I can't disguise
La riunione è finita
tardissimo, ci hanno spostato l’aereo a domattina!
Fai gli auguri e le scuse a
Momomiya-san da parte mia, per favore.
Appena arrivo ti chiamo,
buona serata!
Minto
rispose con un veloce messaggino di comprensione e ripose il cellulare in
tasca, leggermente amareggiata. Non importava da quanto la sua vita fosse
accompagnata da impegni cancellati per motivi di lavoro, ogni volta lei non
riusciva mai ad abituarsi del tutto alla cosa.
Forse
avrebbe dovuto incominciare lei a comportarsi in quella maniera.
Ripose
il cellulare nella borsetta e riconcentrò l’attenzione sulla sala in cui aveva
fatto il suo ingresso. Una lunga tavolata, quasi invasa da centrotavola
fiorati, occupava circa un lato del ristorante in cui si stavano riunendo per
celebrare il venticinquesimo compleanno di Ichigo, magicamente in orario
sicuramente a causa dell’influsso positivo di Ryo.
«
Se questo è lo sfarzo del quarto di secolo, cosa combinerai per un tuo
eventuale matrimonio? » la prese dolcemente in giro mentre la salutava e veniva
avvolta dall’abbraccio felice della festeggiata, che rise sottovoce.
«
Eh, per quello devi chiedere a Ryo. »
«
Qualcosa mi dice che dovrebbe essere lui a chiederlo a te, » si scambiarono una
risatina complice, il biondo poco distante che le guardò scuotendo la testa ben
conscio di cosa potessero combinare insieme, poi la mora si allontanò verso il
tavolo alla ricerca del cartoncino con il suo nome mentre Ichigo salutava altri
ospiti.
«
Stai cercando di fare stragi di cuori stasera, tortorella? »
Lei
sorrise alla battuta carica di ironia di Kisshu, una luce furba che gli
illuminava gli occhi, e alzò il mento con aria fiera mentre ondeggiava appena i
fianchi per far ballare il fiocco laterale del corto abitino che indossava: «
Non ti piace? » chiese con aria innocente.
Kisshu
scosse la testa divertito, prima di studiarla con evidente apprezzamento da
capo a piedi: « Il rosso è un colore molto deciso. Non passi certo inosservata.
»
Minto
inclinò il volto, i capelli lasciati sciolti e piegati in morbide onde che
seguirono il movimento lungo la schiena: « Sarebbe stato un peccato lasciarlo
dentro l’armadio, era da un sacco che aspettava il suo momento. »
«
No, infatti, non posso che concordare. »
Avvertì
un accenno di orgoglioso sfarfalleggio al petto all’espressione che gli vide
fare. Era d’accordo che quell’abito non rientrava decisamente nei suoi canoni
tradizionali, visto il colore sgargiante e il fatto che fosse ricamato quasi
interamente di paillettes, tranne che per la cintura di seta che le stringeva i
fianchi e le chiudeva la scollatura presente sia sul petto che sulla schiena.
Se n’era innamorata a prima vista, ma non aveva ancora avuto il coraggio di
indossarlo, fino a quella sera. Giusto perché Ichigo aveva implorato tutti fino alla fine di essere eleganti (forse era
davvero riuscita a contagiarla), e perché aveva avuto voglia di cambiare, per
un istante.
E
la soddisfazione di cancellare undici centimetri buoni con quello svergognato
alieno grazie ad un paio di tacchi a spillo dello stesso colore, e ottenere una
reazione simile, era decisamente impagabile.
Kisshu
tossicchiò, poi fece un cenno della testa: « Tutto molto elegante, non trovi? »
«
Non avresti dovuto avere dubbi, » replicò lei,
« Il ristorante è stato un consiglio della onee-sama.
»
«
Non vuoi ammettere che c’è stato anche un po’ del tuo zampino? Dubito che la lupotta si lasci scappare il nome con voce dolce ma decisa
con i ristoranti per ottenere il tavolo migliore con poco preavviso. »
«
Stai dicendo che io chiedo trattamenti di favore , » scherzò lei, poggiando una
mano sul petto con finta sorpresa.
«
Sto dicendo che sei una tortorella molto caparbia quando vuoi ottenere le cose,
» commentò a bassa voce l’alieno, sfiorandole il braccio con il torace quando
si piegò in avanti per afferrare il segnaposto su cui era scritto il suo nome,
« Bene, io sono arrivato. »
Lei
annuì appena, poi con un dito dalla manicure perfetta indicò una sedia
dall’altro lato del tavolo: « Io ho il posto d’onore. »
«
Ovviamente. Qualcosa mi dice che stiate mandando segnali ben precisi al povero
biondo. »
Minto
alzò le sopracciglia, sorpresa e divertita: « Certe insinuazioni non sono
eleganti. »
«
Mai detto di esserlo. »
Lei
scosse la testa divertita, poi gli abbozzò un inchino, giusto per sbeffeggiarlo
un po’: « Ti auguro una buona cena. »
Avvertì
il suo sguardo seguirla mentre girava intorno alla fine del tavolo per andarsi
a sedere: « Così lo fai sembrare come se non mi rivolgerai più la parola. »
«
Magari te lo devi meritare! »
In
poco tempo, anche spinti dai richiami di Ichigo che cominciava a sentire i
primi morsi della fame, la ventina di commensali occupò ognuno il proprio posto
così che l’accurato menù a cui Minto effettivamente aveva contribuito a
scegliere potesse sfilare davanti a loro e riempire sia occhi che stomaci.
Non
avrebbe voluto, ma, nonostante si stesse davvero godendo la serata,
rimettendosi al passo di pettegolezzi con Moe e Miwa, continuò a controllare ogni tanto il cellulare,
giusto per vedere se fosse arrivato qualche messaggino in più. Probabilmente
c’era stato l’intervento divino di Zakuro che si era presa la briga di scalare
i posti all’ultimo secondo vedendola arrivare sola, ma la sedia vuota in fondo
al tavolo era per lei sicuramente notevole. Almeno, era una magra consolazione
sapere che nessuno si sarebbe mai azzardato a chiederle qualcosa, a meno che
non il discorso non fosse partito da lei. Prese un sorso del suo cocktail fruttato
e si lasciò andare di nuovo alle chiacchiere, fingendo di non essere almeno un
pelino soddisfatta dalle occhiate che la parte maschile della tavolata le
lanciava sottobanco.
Il
volume della tavolata, già di per sé alto visto i partecipanti, raggiunse un
livello ancora più alto nel momento in cui una torta sormontata da venticinque
candeline veniva portata davanti a un’euforica Ichigo, che arrossì vistosamente
e applaudì deliziata.
«
La solita esagerata, » la prese in giro Minto, « Quella torta è più grande di
te. »
«
Ne avrai un pezzetto solo se ti spicci a venire a fare la foto. »
Lei
alzò gli occhi a cielo divertita e si alzò in piedi, lasciandosi agguantare
dalla rossa mentre si disponevano tutti in gruppo decisamente non per una foto.
«
Okay, una con le ragazze ora! »
«
Ichigo-chan, ma la torta…! »
«
Ultimissima, Ryo torna qua! »
Il
biondo cedette alle richieste della sua fidanzata, probabilmente già un po’
oltre il suo tasso di resistenza alcolica, sussurrandole dolcemente qualcosa
all’orecchio che la fece sorridere ancora più e le colorò le guance giusto nel
momento in cui Retasu scattò la foto.
Minto
non si trattenne dallo scuotere la testa con un accenno di sorriso,
concentrandosi piuttosto sul cameriere che stava tagliando la torta in
simmetrici quadretti invece che su tutte quelle dimostrazioni di affetto a
dieci centimetri da lei.
«
Ne gradisce un pezzetto, signorina? »
«
Molto piccolo, per favore. »
«
Scatenatissima stasera, tortorella, addirittura
un dolce. »
Lei
alzò gli occhi su Kisshu, dall’altro lato della tavola, il piattino da dolci
già allungato in attesa verso la torta.
«
Oltre ogni tua aspettativa? »
Lui
rise divertito: « Assolutamente. »
Si
scambiarono un’occhiata di comprensione mentre Ichigo scoppiava a ridere ad
alta voce all’ennesimo mormorio di Ryo all’orecchio, e all’alieno non sfuggì il
minimo arriccio di naso e lo sbuffetto che scapparono alla mora.
«
Per favore, contegno, » esclamò scherzosa, mentre girava intorno alla tavolata
e lo raggiungeva.
«
Ah, vedo che le smancerie sono comunque il tuo punto debole, » la prese in
giro, continuando a ingurgitare la torta.
«
Le buone maniere di Ichigo sono il mio più grande fallimento, » rispose con un
sospiro ironico, poi allungò una mano per spazzargli la camicia dai residui di
briciole, « E le tue anche, a quanto pare. »
«
Non farmi ricredere su di te proprio ora. »
Minto
rispose con una finta risata alla presa in giro, giocherellò ancora per poco
con la glassa della torta da cui aveva preso appena qualche pezzetto, poi gli
porse il piattino: « Tieni, strafogati anche per me. Non ne ho più voglia. »
Lui
non rifiutò, ma le lanciò un’occhiata studiosa, prima di attaccare anche quel
secondo pezzo e schiarirsi la gola.
«
Non so come abbiano il coraggio di lasciarti sola, » commentò casualmente,
accennando con un gesto della forchetta al gruppetto di tre colleghi di Ichigo
che non lesinavano occhiate, « Con tutti questi soggetti pericolosi. »
Lei
rise supponente, spostandosi i capelli dietro le spalle: « So cavarmela
benissimo da sola. Tu dovresti saperlo. »
Kisshu
rise e le fece l’occhiolino: « In effetti tremo al pensiero di quanto male
potrebbero fare quelle gambette armate di quelle scarpe. »
«
Gambette. »
«
Tortorella, siamo in pubblico. »
Lei
rise divertita e scosse la testa, sotto sotto lusingata: « Stanno già dando dei
cattivi esempi. »
«
Mmmhm, » lui annuì, poi si voltò per afferrare una
singola peonia da uno dei centrotavola e gliela porse, « In ogni caso, alla più
bella della festa. »
Lei
sentì le guance accalorarsi appena e gli sfiorò le dita quando afferrò lo
stelo, guardandolo da sotto le ciglia scure: « Grazie, ma non si dovrebbe dire.
»
Kisshu
annuì e, le dita ancora poco sotto le sue, inclinò appena il fiore per colpire
appena il naso con un sorriso birichino: « Non fare la puntigliosa. »
Minto
rise per davvero all’infantilità di quel gesto, arricciando un po’ il naso e
agguantando il fiore con più decisione così da toglierglielo: « Torno al mio
posto. Cerca di non farti venire l’indigestione. »
Almeno
tre ore dopo, Minto fu certa che il ristorante fu decisamente grato che la
rumorosa compagnia si stesse congedando, vista la tarda ora e la quantità di
piatti, bicchieri, e posate consumate.
«
Tortorella, hai intenzione di accamparti qui? »
«
Giro di ricognizione per controllare di aver preso tutto, » lei lanciò uno
sguardo sotto al tavolo al posto dov’era stata seduta la festeggiata alla
ricerca di qualche accessorio dimenticato, « Devo forse raccontarti di quante
volte Ichigo ha perso il telefono nelle location più disparate? »
Kisshu
ghignò divertito: « Un evento me lo ricordo. (1) »
La
mora scosse la testa a quell’accenno, mentre raccoglieva i cospicui mazzi di
fiori rimasti come centrotavola.
«
Vuoi una mano con quelli? »
«
Ti chiederei solo la cortesia di riportarli al Caffè, ti riesce sicuramente
meglio che a me, » non poté trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia per
ricordargli che sapeva benissimo del suo uso improprio del teletrasporto, « Ryo
ha detto che passerà a prenderli domani. »
«
Sì, sicuramente stasera avrà troppa roba tra le mani, » ghignò lui.
«
Kisshu! »
«
Intendevo, che la gattina aveva
bevuto un po’ troppo, tortorella maliziosa. »
Gli
occhi dorati brillarono divertiti nel silenzio della saletta in disparte del
ristorante ormai vuoto, e Minto alzò appena lo sguardo al cielo.
«
Sempre il solito. »
«
Almeno ti faccio ridere. »
«
Ora non vantarti troppo. »
«
Sorridi sempre così poco che li conto tutti quelli che riesco a conquistare. »
«
Questo non è vero! »
«
Mmhm, » Kisshu le tolse i bouquet dalle braccia così
che lei potesse prendere borsa e cappotto dall’apposito armadio, « Pensavo ci
tenessi alla tua reputazione di donna di ghiaccio. »
«
Hai davvero una brutta idea di me, » Minto gli lanciò un’occhiata da sopra la
spalla, sistemandosi attentamente i capelli così che non fossero schiacciati
dal tessuto pesante.
Gli
occhi di Kisshu seguirono attentamente il movimento dei boccoli scuri e lucidi,
le labbra arricciate in un ghigno malizioso: « Fidati, passerotto, tutto il
contrario. »
Lo
strano farfalleggio a metà altezza tra cuore e stomaco la prese alla
sprovvista, si avvertì sorridere mentre infilava le mani in tasca e piegava
appena la testa da un lato, una gamba incrociata davanti all’altra: « Lo
prenderò come un complimento. »
Lui
fece appena un passetto in avanti, la carta in cui erano avvolti i mazzi che
scricchiolò sottile: « Sono a disposizione per quando ne avrai voglia. »
Minto
inspirò bruscamente quando si rese conto di essere effettivamente sola con
Kisshu in uno spazio molto angusto, le iridi dorate che brillavano furbe fisse
nelle sue e quel sorrisetto affabile sempre stampato in volto. E tutto il suo
corpo stava strillando che fosse una pessima idea, vista la maniera in cui
stava reagendo, visto come non si fosse nemmeno accorta di essersi protesa
verso di lui, la voce bassa e calda che le rintoccava in testa e lo stomaco
sottosopra.
Perché
continuava a cacciarsi in situazioni simili, perché le sembravano quasi
naturali nel loro accadere? Non era umanamente possibile che potesse percepire
così chiaramente il tepore e il profumo di quel maledetto ragazzo di fronte a
lei, più che l’odore dolciastro dei fiori.
Come
poteva fermarlesi il respiro in gola? Perché non
riusciva a trovare nulla da dire?
Lei
era…
Prima
che il cervello finisse di formulare la frase, Kisshu le sorrise ancora e si
allontanò, alzando tutti quei bouquet e quasi sbattendoglieli sul naso: « Bene,
si è fatto tardi, passerotto. Ti vengono a prendere, vero? »
Minto,
rimasta intontita, si schiarì la gola e annuì: « Uh, sì, c’è… c’è la macchina
fuori. »
L’alieno
le fece l’occhiolino e poi un buffo saluto militare: « Buonanotte, allora. »
Lei
lo guardò allontanarsi, aspettando finché non fu sicura fosse uscito dalla
porta, aspettando che il cuore tornasse a un ritmo consono, poi esalò in un
unico respiro pesante e scrollò la testa, ricomponendosi e avviandosi anche lei
all’uscita.
Il
mattino dopo, Minto decise che si sarebbe dedicata solamente a un po’ di
meritato relax, soprattutto mentale. La domenica era sacra, su quello era
sempre stata intransigente. Soprattutto se la serata precedente si era concessa
pure lei un calice in più di vino.
Canticchiò
sottovoce mentre sistemava il vestito della festa con fare amorevole dentro la
sua apposita custodia e lo appendeva un po’ in fondo alla cabina armadio, nella
zona riservata agli abiti speciali, poi scelse un abitino tranquillo e comodo
in denim per affrontare la giornata.
Si
era appena appollaiata su una delle poltrone dello studio del padre, che ormai
fingeva più da biblioteca in formato ridotto, quando una delle cameriere bussò
piano alla porta socchiusa, inchinandosi prima di sussurrare: « C’è una visita
per lei, signorina. »
Lei
aggrottò la fronte, confusa, non aspettava certo nessuno, men che meno la domenica.
Posò il libro dov’era stata seduta lei e si avviò all’ingresso, in mente il
frivolo pensiero che magari Eichi avesse deciso di farle una sorpresa per
recuperare il tempo perduto.
La
prima cosa che i suoi occhi registrarono fu un enorme cumulo di mazzi di fiori
da cui spuntavano due gambe.
Due
gambe che sicuramente non appartenevano al suo fidanzato.
« Che – che
stai facendo? »
Kisshu
apparve fin troppo divertito e soddisfatto dal tono stupito con cui lei porse
quella domanda, allungando il collo per spuntare da dietro le centinaia di
petali: « Buongiorno anche a te, tortorella. Tranquilla, non ho derubato
nessuno. Il biondo ha detto che casa sua è già abbastanza invasa di fiori e continua
a sternutire. Mi sembrava un peccato lasciarli andare o buttarli. »
Minto intimò al
suo cuore di smetterla di battere come quello di una ragazzina per una simile
sciocchezza.
«
No, hai fatto… bene, » si guardò intorno, un po’ spaesata, notando subito
l’assenza di personale nelle vicinanze, « Posso, uhm, far chiamare qualcuno per
metterli in dei vasi. »
L’alieno
ridacchiò: « Possiamo anche metterli via io e te, non trovi? Sei o non sei
un’esperta delle composizioni floreali? »
Lei
lo guardò storto per il tono di presa in giro con cui le si rivolse, alzò il
mento e fece dietrofront sui tacchi: « Quanto sei spiritoso. »
«
Ohi non ti allontanare troppo, qua se mi perdo mi tirano fuori dopo una
settimana. »
Minto
decise di ignorarlo – così come decise di ignorare che quella casa in
quell’istante sembrava decisamente troppo vuota – e prese a vagare per i
corridoi, diretta alle sue stanze preferite dove lasciare un po’ di quei fiori.
Kisshu la seguiva fischiettando e guardandosi in giro con aria curiosa ogni volta
che attraversavano un’ala che ancora non aveva visto, lanciando ogni tanto
occhiate divertite alla mora accanto a lui, di nuovo alle prese con la sua aria
sostenuta.
«
Dai, ammettilo che ci sono dei passaggi segreti, » le domandò divertito mentre
le passava uno dei mazzi affinché lei potesse riporlo in un vaso in sala da
pranzo.
«
Se anche ci fossero, sarebbero appunto segreti.
»
«
Ah, tortorella, non ti fidi di me? »
«
Ma quando mai! »
Lui
rise, continuando a seguirla e soppesando i fiori tra le braccia: « Direi che
ne rimangono abbastanza per altre due stanze. »
«
Uno va per il salottino col pianoforte, » pensò ad alta voce lei, « L’altro…»
Minto
si bloccò, ben conscia che lui sapesse a cosa si stesse riferendo; lui però non
aggiunse altro, nascondendo solamente un sorriso sotto i baffi che
fortunatamente lei non colse.
«
Comunque capisco quando dici che ti senti sola, » commentò dopo un po’, intanto
che lei sistemava qualche peonia sul tavolino al centro del menzionato
salottino, « Posso quasi sentire l’eco qua dentro. »
«
Già, » la mora sospirò piano, girando appena il vaso per dargli la posizione
millimetricamente perfetta, « A volte non mi accorgerei nemmeno che i miei
genitori sono tornati, se non ne venissi informata. »
«
Da noi era il contrario, » raccontò invece l’alieno, « Siamo sempre stati un
po’ stretti. Non c’era molto spazio costruibile, e con tre fratelli maschi,
puoi immaginare. E anche dopo il miglioramento con la Mew
Aqua, ormai ci eravamo abituati così. Stare qui
potrebbe quasi fare paura. »
Minto
lo guardò appena da sopra la spalla con un sorriso triste, tentennando mentre
poggiava la mano sulla maniglia della porta della sua camera: « Non hai tutti i
torti. »
Kisshu
attese un istante quando lei entrò, fin troppo decisa: « Devo essere invitato
per entrare? »
«
Non sei mica un vampiro, Kisshu. »
«
Magari hai messo lo stesso delle trappole. »
Lei
alzò ancora gli occhi al cielo e gli prese gli ultimi fiori dalle mani,
aggiungendoli ad alcune gerbere dalla testa già un po’ abbassata.
«
Allora ho avuto una bella idea. »
Minto
gli rimase di schiena, il tono appena più basso di voce che non le sfuggì.
«
Non vantarti come sempre, » replicò ilare, spostando i singoli fiori per
tenersi impegnata.
Kisshu
le camminò intorno e si fermò dal lato opposto della scrivania, afferrando la
cornice d’argento lì posata e osservandola con un ghigno divertito.
«
Ma che bel pulcino. »
Lei
sentì le guance arroventarsi a quel soprannome, e reagì di scatto cercando di
togliergli la foto dalle mani, allungandosi oltre il tavolo, ma ovviamente la
stava tenendo fuori dalla sua portata.
«
Kisshu, » sibilò minacciosa, « Non si
ficca il naso nelle cose altrui! Ridammela immediatamente! »
Lui
invece si portò il vetro a un palmo dal viso per poter osservare meglio lo
scatto che ritraeva una Minto di forse nemmeno un anno che si tendeva felice
verso Seiji, le manine distese al massimo per raggiungere le sue mentre quelle
che lui sospettava appartenessero alla loro balia spuntavano da fuori
l’inquadratura per assicurarsi che la bimba non cadesse.
«
Ma guarda com’eri cariiiiiina,
» rise, vedendola così a disagio, « Anche se forse il giallo non è proprio il
tuo colore. »
«
Grazie tante, » sbraitò lei, « Ora potresti cortesemente rimetterla a posto? Ci
tengo molto. »
Kisshu
la osservò ancora per un paio di secondi: « Non ti si vede così spesso
sorridere così, sai, te l’ho detto. Ti farebbe bene. »
Per
qualche ragione, il cuore della mora sussultò per un attimo: « Bè sai, da
bambina non dovevo avere a che fare con un rompiscatole impiccione come te, »
rispose acida.
L’alieno
le lanciò un’occhiata poco divertita: « Sì, eri decisamente più simpatica. »
Lei
approfittò della sua momentanea distrazione per raggiungerlo e strappargli la
foto dalle mani, riponendola con cautela sulla scrivania, la familiare
sensazione di nostalgia canaglia per quei momenti felici di cui purtroppo aveva
ben pochi ricordi.
«
Però ti si addice cornacchietta,
visto quante cose brillanti hai qui in giro. »
Mentre
si voltava per lanciargli un’occhiata esausta del suo spirito, Minto si rese
conto che nel tentativo di recuperare il maltolto aveva azzerato qualsiasi
distanza di sicurezza ci fosse tra loro.
E
lo strano sorriso che lui aveva, lo sguardo con cui la stava osservando, la
testa piegata da un lato e l’espressione al solito così calma, le fece
intendere che anche lui era completamente conscio della situazione. Che il
giorno prima non era stato affatto cancellato e che tutti e due sapevano
benissimo cosa fosse.
Poteva
respirare il suo respiro, si accorse che inspiegabilmente stava tremando a
percepirlo così vicino, a sapere cosa sarebbe successo di lì a poco se non si
fosse spostata, eppure non riusciva a trovare la volontà di farlo, di
staccarsi, non di nuovo.
Perché
era tutto giusto nel suo essere terribilmente sbagliato.
Inspirò
a pieni polmoni soltanto per capire che fu un tremendo errore non appena il
profumo di lui le fece vibrare le narici, chiamandola.
«
Kisshu… » mormorò con un fil di voce, un fievole tentativo di fermarsi, di far
ripartire il tempo ed evitare ciò che stava temendo da settimane.
Invece
lui alzò soltanto una mano per sfiorarle il collo, prima di sorridere
diabolico: « Ciao. »
Sentì
lo stomaco contrarsi in una morsa non appena la bocca dell’alieno catturò la
sua, un’enorme sensazione di impossibile sollievo che la percorse mentre si
attaccava alle sue mani e si lasciava andare, spingendosi verso di lui,
ricambiando il bacio con altrettanta passione.
Era
come se il suo cervello avesse deciso di spegnersi, di abbandonarsi totalmente
a quella sensazione che sentiva risalirle dalla pancia e farle sussultare il
cuore impazzito, lasciarla avvolta, catturata, solamente dal ragazzo stretto a
lei.
Udì
il rumore di qualcosa rotolare giù dalla sua cassettiera mentre Kisshu la
issava lì sopra d’urgenza, senza smettere di baciarla con forza mentre le
apriva i bottoni del vestito in denim per arrivare alla sua pelle nuda. Lei si
lasciò scappare un sospiro a sentirlo premere contro di lei intanto che gli passava
le mani tra i capelli per avvicinarlo ancora, vagando giù per il torace tonico
e arrivando quasi senza rendersene conto alla cintura dei suoi jeans, che
slacciò con un singulto mentre la bocca di lui le scese famelica sul petto.
Avvertì il piacere rimbombarle nel ventre e si sporse di più verso di lui,
artigliandogli al tempo stesso la maglietta per tentare di togliergliela, ma
desistette quando capì che lui non aveva intenzione di allontanarsi né di
fermarsi, quindi lo tirò di nuovo a sé per baciarlo ancora, bramando quel
sapore che le faceva ruggire lo stomaco, esplorando senza pudore il corpo caldo
e muscoloso solo per sentire i suoi sospiri.
Fu
solo quando sentì le mani del verde fermarsi sui suoi fianchi per farle
scorrere via l’ultimo pezzo di intimo che qualcosa cliccò nel suo cervello,
forse la presa delle dita troppo forte sulla sua carne che la fece sussultare,
riportandola al presente.
« A-aspetta,
Kisshu, non… » Minto lo spinse via e si divincolò per disincastrarsi da lui e
saltare giù dalla cassettiera, mettendo quattro o cinque passi tra di loro, «
Non posso. »
Lui dovette
scuotere la testa per scacciare l’ottundimento, si passò una mano un paio di
volte tra i ciuffi della frangia: « Un minuto
in più d’avvertimento, che dici? »
« Io ho… un
fidanzato, » la parola risuonò amara pure sulla lingua della mora, che incrociò
le braccia al petto pur di coprirsi e tenne lo sguardo ben in alto, fisso sul
viso del ragazzo rimasto in maglietta, « Un fidanzato che mi ha… mi ha chiesto
di pensare se il… se magari un giorno sposarlo, e… »
Kisshu fece
scoccare la lingua, decisamente infastidito: « Tortorella, qualcosa mi dice che
una risposta te la sei già data se in questo momento siamo così. »
Minto
scosse la testa e aprì la bocca un paio di volte per cercare di dire qualcosa.
Avrebbe voluto recuperare il suo vestito, miseramente penzolante da un angolo
della cassettiera, ma ciò avrebbe significato riavvicinarsi all’alieno, e aveva
appena ricevuto conferma di quanto fosse una pessima idea.
«
Quindi?! »
Lei
finse di non ascoltarlo, avendo adocchiato la sua vestaglia piegata con cura
sulla chaise longue, e si affrettò ad
afferrarla e coprirsi un minimo, il cuore che batteva violento tappandole le
orecchie, un odioso sapore alla bocca dello stomaco che sapeva tanto di bile e
senso di colpa, e una vergognosa punta di voglia che ancora le incendiava le
vene.
«
Ti pregherei di andartene, » sussurrò, schiarendosi la gola dato che la voce
veniva a mancarle, « Tutto questo non è mai successo, è stato uno sbaglio
enorme perché… »
«
Perché cosa, eh? » sibilò lui, « Avanti, sentiamo la stronzata. »
La
mora sussultò appena a quelle parole, ma alzò il viso: « Non credo ci sia
niente da aggiungere. Un errore, tutto qui, da cancellare. »
Una
luce scura offuscò gli occhi dorati: « Certo, nato dal nulla cosmico, immagino.
»
« Non so a cosa
tu ti riferisca. »
«
Per forza tu e Ichigo siete amiche, che cazzo, ma ci pensate mai agli altri o
vi piace davvero così tanto sventolarcela davanti e poi fare le ritrose? »
Il
viso di Minto divenne una maschera di rabbia e offesa: « Non ti permettere,
sai! E non ho intenzione di sentire parlare di Ichigo in questo momento! »
«
Nemmeno a me piace sentirmi raccontare delle proposte di matrimonio del tuo
fidanzato mentre sto qua a culo all’aria! »
«
… e allora rivestiti! »
Lui
fece un respiro profondo, l’espressione del viso che si rilassò per diventare
sinceramente più dolce e contrita: « Passerotto, ascolta, mi dispia - »
«
No, » replicò lei con voce rotta, evitando di guardarlo, « Ti pregherei di
usare il mio nome. »
Kisshu
sbuffò, ma protese una mano verso di lei, cercando di incrociare il suo
sguardo: « Minto, se tu potessi ascoltarmi un istante… »
Ma
lei stava già scuotendo di nuovo la testa, le braccia incrociate attorno a sé
con così tanta forza che le nocche stavano impallidendo, le note del suo nome
che le fecero capire che avrebbe voluto sentirlo ancora, e non avrebbe dovuto
più.
«
Non c’è niente da dire, è tutto… tutto sbagliato, » bisbigliò, un groppo in
gola che cresceva ad ogni sillaba, « Tutto questo non… non credo avrai bisogno
di cercare molto per trovare quello che vuoi, quindi. »
L’occhiataccia
che il verde le lanciò mentre si rinfilava i pantaloni in un gesto secco la
trapassò gelidamente da parte a parte come il più tagliente dei coltelli. Lui
non disse una parola in più, si limitò ad afferrare il suo giubbotto da terra e
prese l’uscita, sbattendosi la porta alle spalle.
La
casa era così silenziosa che udì addirittura il portone d’ingresso sbattere
rabbiosamente. Un ultimo respiro e quell’insopportabile sensazione di
solitudine che la colse le fecero tremare violentemente il corpo mentre la
bolla di vergogna che aveva in petto scoppiava senza pietà, rigandole il viso
di lacrime. Si trascinò fino al letto e si avvolse di nuovo tra le coperte,
singhiozzando piano e cercando un calore che le sembrava impossibile ottenere.
Aveva perso il
senno, quello era certo.
Che poi
l’avesse perso per Kisshu, quella era un’altra storia.
§§§
«
Eeeeeeed espira! »
Minto
gemette piano mentre il fisioterapista le premeva accorto sulla schiena,
allentandole un poco la tensione e facendola scrocchiare deliziosamente.
Lui,
però, schioccò appena la lingua, non soddisfatto: « Sei un po’ tesa
ultimamente, non mi piace questa rigidità. »
Lei
si lasciò scappare un risolino nervoso mentre si girava sulla schiena: «
Fidati, non lo faccio apposta, Ito-san. »
«
Mmhm, » Ito le controllò
un’ultima volta le caviglie e le lanciò un’occhiata severa, « Domani voglio
vederti di nuovo, e dirò a Obara-san di prestarti
particolare attenzione alla lezione di yoga, domattina. »
«
Signorsì signore, » lo prese affettuosamente in giro lei, mettendosi a sedere
con un sorriso incerto non appena la lasciò andare.
Ci
mancava anche che il fisioterapista della compagnia si rendesse conto che ormai
era sull’orlo di una crisi di nervi.
Si
trascinò stanca fino allo spogliatoio, scambiandosi occhiate di comprensione
con le sue compagne che avevano una lezione in più anche a quell’ora. Si era
fatto tardi, quindi almeno aveva una scusa seria per non passare al Caffè come
suo solito.
Non
era esattamente il luogo migliore per lei in quel momento storico.
Quando
era entrata, due giorni dopo quella maledetta mattina, le era come mancata
l’aria a vedere Kisshu lanciarle un’occhiata piena di rancore e poi alzarsi per
andarsene senza dire una parola, senza nemmeno tentare di mascherare la rabbia
e il fastidio. Almeno Purin, che era stata seduta vicino a lui, aveva avuto la
buona creanza di non investigare ulteriormente, perché lei si sarebbe solo
strappata i capelli.
Era
ovvio che lui fosse arrabbiato, l’aveva fermato brutalmente appena prima che…
Scosse
la testa, imponendo a sé stessa di ricordare che non avrebbe dovuto importale
se lui fosse arrabbiato o meno, avevano sbagliato entrambi e lui avrebbe dovuto
capire… ecco, almeno il suo punto di vista avrebbe dovuto intuirlo un secondo.
Poteva
trovare ciò che aveva puntato altrove
senza troppi problemi, giusto, quindi perché prendersela così tanto con lei?
Era tutto da cancellare, resettare, non c’erano rancori da dover portare.
Per
questo voleva evitare il locale il più possibile, voleva cercare di sotterrare
tutto ciò che era successo e continuare la sua vita esattamente come era.
Com’era
stata programmata.
Il
cellulare le trillò allegramente un paio di volte nel borsone mentre lei
puntava decisa l’automobile che l’aspettava all’uscita sul retro del teatro. Il
cuore le borbottò in petto ansioso quando lesse sul display il nome di Eichi, e
un messaggio che solitamente non si sarebbe aspettata.
Mi hanno annullato degli
appuntamenti – cenetta da asporto?
Lo
prese quasi come un segno del karma, un simbolo che effettivamente poteva
ritornare le cose al loro ordine primigenio. Rispose velocemente, ignorando
stoica l’amarognolo del senso di colpa che le faceva capolino in fondo alla
gola, e si precipitò in auto.
«
Allora quale ti piace di più delle due? »
Minto
posò le bacchette e si sporse per vedere le opzioni di arredamento per suite
che Eichi le stava mostrando sul tablet.
«
Mmhm, non saprei. Sai che ho un debole per lo stile
francese, ma forse questa mi sembra un po’… troppo. »
«
Dici? » il ragazzo studiò le opzioni, rimbalzò velocemente tra le due foto in
un tentativo di compararle ancora, « La seconda mi piaceva molto, devo dire. »
«
Allora fai come preferisci, » lei rise appena e si alzò dal divanetto per
andare a riporre le loro stoviglie sul carrellino portavivande, « È il vostro
hotel, dopotutto. »
«
Potrebbe essere il nostro… » commentò con nonchalance Eichi, continuando a
sfogliare la carpetta di documenti che aveva con sé.
Minto
si irrigidì, grata di stargli ancora dando le spalle. Impilò con attenzione le
ciotole, poi si schiarì la gola, pulendosi un’ultima volta le mani sul
tovagliolo di cotone color panna.
«
Non è passato tanto tempo da quando… »
«
Hai ragione, hai ragione, » il ragazzo si affrettò ad accantonare le carte ed
alzarsi, facendo un passo verso di lei, « Scusa, è che… è un pensiero
confortante. »
«
Mh, » la mora annuì in un borbottio poco convinto, si
girò verso di lui e sorrise, raggiungendolo per avvolgergli le braccia intorno
al collo, « Invece il mio pensiero
confortante è che potremmo fare quel viaggetto alle terme che dicevi. Alla
fine, non siamo riusciti ad organizzare. »
Eichi
sorrise e poggiò leggero le mani sui suoi fianchi: « Hai ragione, ma come vedi
mi stanno uccidendo. »
«
Potresti dirgli di no, ogni tanto. »
«
Sei l’unica a cui non riesco a dire di no. »
Lei
rise soddisfatta e avvicinò il viso al suo: « Allora potremmo rilassarci qua. »
La
risata del ragazzo si spense sulle sue labbra, e Minto si calmò nel suo
abbraccio familiare, pronta a lasciarsi andare e scollegare il cervello, quando
il ricordo prepotente di Kisshu, della sua bocca e del suo sapore prese
violentemente il controllo della sua mente. Storse appena il naso e si strinse
di più a Eichi, ma di nuovo il calore che aveva provato tre giorni prima
l’avvolse aggressivo, petulante, senza lasciarle scampo.
Stava
baciando il suo fidanzato, erano le
sue le mani che le stavano accarezzando tenero la schiena, e lei invece non
riusciva a togliersi dalla testa la sensazione di libertà e desiderio totale
che aveva provato con quello stupido alieno.
Si
staccò di scatto, tossicchiò e cercò di sorridere: « Scusami, ho bisogno un
attimo del bagno. »
Si
sforzò di non correre per raggiungere il bagno più vicino, appoggiandosi alla
porta non appena la richiuse per prendere un respiro profondo e darsi
mentalmente della stupida.
Da
quando si comportava in quella maniera? Da quando aveva perso così tanto il
controllo di sé stessa?
Si
sciacquò la faccia con l’acqua fredda, stando ben attenta a non rovinare il
poco trucco, e si impose di darsi un tono e accantonare quello stupido errore
in un angolino relegato della testa.
Perché
non era altro che quello.
Agitò
le mani in aria e fece un altro respiro, proprio come faceva per scaramanzia
prima di entrare in scena ad ogni spettacolo, si schiarì ancora la gola e
ritornò nel salottino degli ospiti.
Eichi
la stava aspettando con il suo sorriso gentile in volto, la giacca elegante
accuratamente piegata sul bracciolo del divano. Lei gli tese la mano e lo tirò
placidamente contro di sé, baciandolo languida un’altra volta prima di
affrettarsi verso la sua stanza.
«
Eri diversa, stasera. »
Minto,
seduta alla toeletta a pettinarsi i capelli, guardò nello specchio il riflesso
di Eichi, che si stava riabbottonando la camicia.
«
Che vuoi dire? »
«
Nulla, eri solo più… non saprei, » lui rise e scosse la testa, prima di
controllare l’orario sull’orologio che aveva al polso, « Accidenti, guarda che
ora si è fatta. »
Lei
gli lanciò un’occhiata di soppiatto, nascondendo un sospiro : « Sai che non
devi andartene per forza. »
«
Devo essere in ufficio prestissimo domattina, ci vengono a prendere dei clienti
per un retreat
di due giorni. »
La
mora annuì e sospirò appena: « D’accordo. Mi chiami quando arrivi? »
«
Ovvio, » Eichi le si avvicinò con un sorriso e le baciò dolcemente la guancia,
« Buonanotte tesoro. »
«
‘Notte. »
La
stanza ripiombò nel silenzio non appena la porta si chiuse piano alle spalle
del ragazzo. Minto avvertì la solita sensazione di familiare malinconia che
aveva sempre associato alla sua casa. Si struccò con attenzione, prendendosi il
suo tempo per spalmarsi la sua crema preferita e controllare se ci fosse
bisogno di sistemare le sopracciglia.
Non
era mai riuscita ad abituarsi per davvero alla solitudine. Le cose erano
cambiate da quando aveva conosciuto le ragazze, perché da allora aveva sempre
avuto la sensazione di avere qualcuno vicino, da poter chiamare, nel momento
del bisogno senza pensarci due volte.
Eppure,
non si era mai sentita così sola come in quel momento.
E
avrebbe tanto voluto non esserlo, per non poter pensare.
§§§
Fu
in grado di udire il solito casino che segnalava che il gruppo fosse tutto
insieme non appena raggiunse le scale. Si affrettò a raggiungerli, il sorriso
divertito che crebbe ad ogni scalino insieme all’intensità del volume.
«La
portaaaa… Ichigo,
il cane! »
Un
salsicciotto color castagna sgusciò dall’ingresso lasciato aperto, direttamente
tra le gambe di Minto, abbaiando allegro per richiedere attenzioni. Lei rise e
si inginocchiò per prendere in braccio il cucciolo di bassotto, nuovo arrivato
in casa Shirogane.
«
La tua padrona ti ha già esaurito, eh? »
«
Nessun problema, è stato recuperato! »
La
voce allegra di Kisshu la fece sussultare, e quando si alzò con poca
convinzione fu sorpresa dal trovarlo felice e sorridente come non le si
presentava da un po’, rivolgendole anche un sorriso e un cenno della testa in
saluto.
Lei
mormorò un ehi poco deciso,
continuando a stringere il cagnolino che sembrava molto contento di tutte
quelle attenzioni, e oltrepassò la soglia per andare incontro a Ichigo.
«
Sei proprio un birbante, » tubò contenta la rossa, accarezzando le orecchie del
cucciolo, poi lanciò un’occhiata divertita all’amica « Mi spieghi perché ti sei
messa gli stivali con il tacco per un trasloco? »
Minto
si osservò appena gli stivali neri scamosciati che le arrivavano fin sopra al
ginocchio, sfiorando lo stretto vestito dello stesso colore: « Perché ho avuto
un appuntamento prima, e perché non bisogna mai perdere l’occasione di essere
eleganti. Comunque, se ti piacciono te li vendo, visto quanto ci hai messo ad
adocchiarli. »
«
Ah-ah-ah, » Ichigo si strinse al petto il bassotto e le fece una linguaccia, «
Vieni, ci sono un sacco di scatoloni
da aprire! »
La
mora rise e alzò gli occhi al cielo, guardandosi intorno nel nuovo appartamento
dei due amici, invaso da valigie, pacchetti e buste, salutando tutti gli altri
componenti della ciurma che si erano riuniti per aiutarli a trasferirsi.
«
Non ho intenzione di sistemare le mutande di Shirogane. »
«
Ma come siamo simpatiche! » la voce del suddetto la raggiunse da una stanza
sulla sinistra, che a giudicare dalla scrivania già sormontata di carte e dalla
libreria a tutta parete che stava mettendo in ordine, era probabilmente il suo
studio, « Ricordami perché ti ho invitata? »
«
Perché avete assolutamente bisogno del
mio senso estetico, » Minto afferrò un cuscino buttato sul divano in pelle e lo
porse alla padrona di casa, « Questo non c’entra proprio niente. »
Ichigo
sbuffò spazientita: « Mhmm, non vedi che siamo ancora in fase transitoria! »
«
Ah però, che parolone, questo fidanzamento sta cominciando a dare i suoi
frutti. »
«
Vai, vai, » Ichigo la prese per le spalle e la spinse fuori dalla stanza, « Vai
ad aiutare Retasu, vai. »
Minto
rise e raggiunse la verde nel salotto, l’area più grande dell’appartamento e
quella più invasa dagli scatoloni.
«
Noto che Shirogane non ha perso l’abitudine di sfruttarci. »
«
Minto! »
Parecchie
ore dopo, già con le luci accese in giro per l’appartamento, Minto si sedette
esausta sul nuovissimo divano del salotto per prendere un respiro, osservando
con molta soddisfazione come lo spazio fosse già molto più ordinato e svuotato
dal casino che invece l’aveva accolta.
«
Non posso crederci che ce l’abbiamo quasi fatta! » esalò Purin, lanciandosi con
un sospiro rumoroso a pancia in su sopra un pouf color crema « È stata
un’impresa titanica! »
«
Come sei esagerata, » la riprese divertito Ryo, accasciandosi anche lui su una
delle eleganti poltrone in pelle rossa.
«
Sai quanto pesavano tutti i tuoi libri di scienze, capo? »
«
Il fatto che li rinomini libri di scienze
ne ha già dimezzato il valore. »
«
Chi vuole un tè caldo? »
«
Io ho una fame da lupi. »
«
Tu hai sempre una fame da lupi,
Taruto. »
«
Da che pulpito, Kisshu! »
Minto
si scambiò una risata divertita con la biondina, poi la sua attenzione venne
nuovamente catturata dal bassottino, che abbaiò un paio di volte per reclamare
che lei lo prendesse in braccio.
«
Mi sa che hai fatto colpo. »
Si
irrigidì nell’avvertire Kisshu – e il suo calore – sedersi accanto a lei e
parlarle divertito dopo parecchi giorni. Si schiarì la gola, ben decisa sulle
sue convinzioni, e continuò a concentrarsi sulle carezze al cagnolino.
«
Mi piacciono i cani. È con i gatti che ho qualche problema, » aggiunse
sarcastica a voce più alta.
«
Always so funny.
»
«
Ammettilo, biondo, è ironico che voi due
vi siate presi un cane. »
«
Parla con Ichigo, è lei che ha tutta una teoria sui lei e i gatti maschi. E me
e le gatte femmine, per quello che conta. »
«
Non ho una teoria, » replicò la
rossa, poggiando un vassoio con teiera e tazzine sul tavolino di vetro in mezzo
a loro, « Ho prove ben precise di cosa ho dovuto passare con dei gatti maschi,
e non ho intenzione di avere altre rivali che ti scorrazzano dietro. »
«
Oh, please don’t start. »
«
E io avrò scelto il cane, ma tu gli hai dato il nome. »
«
Ecco, appunto, » Minto continuò a coccolare impunemente il bassottino
gongolante, « In quale assurda maniera lo avete chiamato? »
«BB8(2). Il bassotto, » Ryo apparve fin troppo
soddisfatto mentre lo annunciò, facendo sbuffare subito Ichigo « Perché è
piccolo e tondo. »
«
Santo cielo, Shirogane, sei peggio di quanto pensassi. »
«
Vedi, non sono l’unica che lo dice. »
«
A me piace! »
«
Grazie, Purin, sapevo di poter contare su di te. »
«
Possiamo ordinare da mangiare ora? »
Il
chiacchiericcio sollevato e confortevole che sempre li
caratterizzava riprese animato, tutti rinvigoriti dal calore del tè mentre
cominciavano a discutere su cosa ordinare, da dove e in quale quantità.
Minto
si rilassò sul divano, nonostante non potesse fare a meno di percepire con ogni
singola terminazione nervosa la presenza dell’alieno accanto a sé.
«
Anche tu avevi un botolo, se non sbaglio. »
Si
voltò irritata prima di poterci pensare, lanciando un’occhiataccia a Kisshu: «
Mickey era un volpino di ottimo pedigree, se proprio vuoi saperlo. »
Lui
la osservò con genuina curiosità e un pizzico di dispiacere, e la mora sentì il
cuore farle un sussulto al pensiero del suo fidato amico.
«
Si è ammalato, ormai aveva una certa età, » gli confidò a bassa voce, annuendo
piano, « E dopo che hai voluto così tanto bene a qualcuno, è difficile… non
potrei mai rimpiazzarlo, quindi non so se prenderò un altro cucciolo. »
«
Mi dispiace, » le rispose lui, poi si sporse in avanti per accarezzare le
orecchie di BB8, che sembrava entusiasta da tutte quelle attenzioni, « In
effetti questi cosi sono accattivanti. »
Il
cucciolo abbaiò entusiasta, e trotterellò allegro su di lei per andarsi a
spanciare sulle gambe dell’alieno.
«
Ah, credo di aver fatto colpo io ora. »
A
Minto scappò un sorriso, scosse la testa rallegrata: « È proprio il tuo cane,
Ichigo, un gran ruffiano. »
«
Eppure non potete fare a meno né di me né di lui! » rimbeccò allegra la rossa,
appollaiandosi sfacciatamente sulle gambe del suo fidanzato.
La
mora alzò gli occhi al cielo, scambiandosi quasi inconsciamente un’occhiata
divertita con l’alieno accanto a lei.
«
Dite che tra questi scatoloni troviamo anche la modestia della micetta? »
«
Tu poi non dovresti commentare, Kisshu. »
«
Sentenziò la nostra principessa. »
Non
seppe se immaginò lo sguardo curioso e furbo che Ichigo le lanciò a quello
scambio, ma decise di ignorarlo e si limitò a fare una smorfia all’alieno,
mentre si rilassava un po’ di più nel suo angolino di divano per gustarsi la
cena in santa pace.
O
almeno ci provava.
Perché
certe parti di lei sembravano essere
decisamente convinte a non rilassarsi.
Soprattutto quando sentiva chiaramente il suo sguardo sulle cosce ogni volta che si alzava dal divano per passare piatti agli altri.
O
quando si ritrovava a ridere delle sue battutine idiote e dei battibecchi con
il fratello minore, e se ne rendeva conto nello stesso momento in cui
succedeva, e si bloccava come una bambina delle elementari perché aveva deciso
che non doveva succedere. Quando
sentiva, forte e chiara, la voglia di affondare il viso nell’incavo del suo
collo per annusare ancora più profondamente quell’odore così familiare. Quando
la sua risata un po’ sguaiata le rimbombava in petto e la portava a osservarlo,
a scambiarsi uno sguardo e un sorriso d’intesa, anche dall’altro lato della
stanza.
«
Grazie, Minto-chan, » Retasu le rivolse un sorriso
gentile mentre le passava gli ultimi contenitori del cibo da gettare via, « Si
è fatto un po’ tardi, forse dovremmo togliere il disturbo. »
Ichigo
si tolse i guanti di gomma che aveva indossato per lavare i piatti e fece il
broncio: « Ah, io vi terrei qui per sempre. »
«
Credo che Ryo sia di diverso avviso, » rise la mora, appoggiata al bancone
ancora avvolto dalla plastica protettiva, volgendo lo sguardo verso il
suddetto.
«
Tranquilla, nee-chan, anche se ci sono i fantasmi ci
sarà Ryo nii-san a proteggerti. »
«
Uh, confortante, » borbottò la rossa, poco convinta, « Ci vediamo domani al
locale? »
«
Ichigo cara, torno volentieri ad aiutarti a spacchettare, prometto che la
tariffa oraria sarà alquanto d’occasione. »
Il
gruppetto rise contento mentre lentamente, stanchi e satolli, salutavano e si
rivestivano per concludere anche quella giornata. Scesero le scale ancora
vociando, BB8 che li accompagnò dall’uscio con un paio di abbaiate di saluto.
Si fermarono sulla soglia del portone d’ingresso a sistemarsi i giubbotti,
ancora ridendo per le solite scenette tra i più giovani della compagnia, Kisshu
che tentennò un secondo per rimanere in disparte, accanto a lei, come se fosse
capitato per caso e come se anche a lui non venisse ormai naturale.
«
Tutto okay? » le domandò, senza guardarla, aggiustandosi il colletto peloso del
giubbotto di jeans, lo stesso noto che avrebbe usato per chiederle del meteo ma
che non ingannò nessuno dei due.
Minto
annuì piano, sistemandosi nervosa la catena della borsetta sulla spalla, presa alla
sprovvista da quella domanda come da tutta quella giornata, faticando a trovare
la voce: « Io… sì. Tu? »
Lui
si voltò per lanciarle un sorriso smagliante, il suo sorriso, prima di farle un cenno con la testa: « Buonanotte,
tortorella. »
La
mora ricambiò appena con un ciao
abbozzato, ancora più confusa di prima. Salutò con un cenno gli altri che si
allungavano per strada in direzione opposta alla sua, che realizzò solo in quel
momento di aver completamente dimenticato di avvertire l’autista perché tornasse
a prenderla.
Anche
se forse, decisamente, una passeggiata l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.
Si
incamminò verso la stazione della metro più vicina, stringendosi nel cappotto.
Non
ricordava l’ultima volta che era stata così persa, in tutti i sensi. Lei non
era abituata ad avere confusione in testa, tantomeno in petto.
Perché
quello era il problema. E non le piaceva non capire che cosa stesse succedendo.
Aveva
pensato che le cose sarebbero andate in un certo modo. Che la ovvia frattura
tra lei e Kisshu sarebbe rimasta lì, una specie di cratere di sicurezza finché
non le fosse passato quel momentaneo istante di crisi mistica da adolescente
preda di tempeste ormonali. Perché lui era così, dopotutto, testardo e
orgoglioso proprio come lei, e l’aveva già ammesso a sé stessa di essersi
comportata male nei suoi confronti, quindi ovvio che l’avrebbe trattata in
maniera diversa. E le sarebbe andato bene. Si sarebbe aspettata la sua
freddezza glaciale, le sue pungenti battutine che non mascheravano la rabbia né
il risentimento, quelle che aveva cercato di evitare in quegli ultimi giorni,
non il suo essere allegro e accogliente come al solito.
Anzi,
lo avrebbe preferito, perché tutto questo far finta di niente le stava rendendo
molto difficile il far davvero finta
di niente.
Salì nel treno
come un automa, imponendo alla sua mente di smetterla di divagare.
Lei aveva pieno controllo del suo corpo, delle
sue azioni, delle sue emozioni. Già le era stato portato via una volta, e bene,
aveva imparato a farci i conti, anche se le costava così tanto ammettere di
averci trovato della libertà.
Non
l’avrebbe certo perso ora per gli stupidi giochetti di Kisshu.
Perché
lui era così, no, mai serio, sempre uno spirito libero di fare tutto ciò che
voleva senza pensare troppo alle conseguenze, guidato dall’istinto e
soprattutto da quello sotto alla cintura, sempre pronto a testare quanto tirare
la corda senza romperla.
Lei non poteva essere l’ennesima tacca nel suo
conto. Lei non si lasciava andare in
quella maniera, e soprattutto non s’illudeva, non si faceva prendere in giro.
Non ragionava con lo stomaco.
E allora perché
invece le sembrava sempre tutto così genuino?
Ogni
volta che pensava all’alieno, maledetto, sentiva il cuore iniziare a battere
erratico, quasi testardo nel farsi ascoltare mentre le pompava sempre più
sangue a colorarle il viso, come se fosse una ragazzina sciocca. E si ritrovava
a pensarci spesso, le costava fatica ammetterlo; alla compagnia che le faceva,
ai sorrisi che le strappava con poco sforzo, alla maniera in cui potevano
scambiarsi scherzi e confidenze come se fosse la cosa più normale del mondo, e
come finivano a farlo senza accorgersene.
E
al suo sapore che ancora le pizzicava sulla lingua. Al calore che aveva sentito
provenire dalle sue mani sulla sua pelle nuda, lui che sembrava non sentire mai
freddo. All’odore che le aveva riempito le narici e le aveva completamente
azzerato qualsiasi capacità di ragionamento, e che le faceva sussultare lo
stomaco ogni volta che si avvicinava troppo.
E
alla vampa che sentiva in petto ogni volta che tutti quei pensieri si
affacciavano nella sua mente.
Quand’era
stata l’ultima volta che si era sentita così?
Lei
e Eichi… aveva creduto di provare le stesse emozioni con Eichi, ma anche
scavando nella memoria, lei non…
Si
era mai sentita davvero così viva con
Eichi?
La
rendeva un essere orribile pensarlo, poi?
Corse
fuori velocemente dalla stazione della metro, incolpando la lacrima che le
corse giù per lo zigomo al cambiamento di temperatura mentre si affrettava lungo
il marciapiede, la villa buia che si stagliò alla fine dell’ampio viale. La
cena consumata da poco le si stava rivoltando nello stomaco, inacidito dal
senso di colpa, e il cuore che ancora le batteva forte più cercava di
accantonare il ricordo di quella mattina in un angolo lontanissimo del suo
cervello.
Non
poteva andare avanti così.
Si
infilò il più silenziosamente possibile dentro casa passando per la porta sul
retro, voleva evitare tutti, voleva stare da sola. Sentiva la testa scoppiarle,
e quasi corse fino alla sua stanza; il rumore della porta della sua stanza che
si chiudeva, con un giro di chiave, le diede uno strano senso di sicurezza.
Contrariamente
alle sue abitudini, lanciò gli stivali in un angolo e i vestiti malamente sulla
poltrona, poi si lanciò sul letto a pancia in su.
Rimase
ferma così per quello che le sembrò un tempo lunghissimo, le mani premute sugli
occhi e le gambe appoggiate alla testiera del letto alla ricerca di relax,
immobile e tesa.
Poi
agì senza quasi pensarci.
Afferrò
il cellulare e prese dei respiri profondi mentre scorreva la rubrica fino alla
lettera E, e selezionava il numero
del suo fidanzato.
Pure
lo squillo della telefonata le sembrava lontanissimo, e se avesse continuato a
respirare così profondamente sarebbe con molta probabilità andata in
iperventilazione, ma si sentiva come se la gola le si stesse chiudendo mentre
pigiava fortissimo il telefono contro l’orecchio.
« Ehi, tesoro, tutto bene?
Non avevamo programmi, mi sembra.
»
Minto
chiuse gli occhi e deglutì il nulla, solo per cercare di alleviare quella
orribile sensazione: « Eichi, avrei bisogno di parlarti, quando hai un momento.
Di persona. »
§§§
La
Tokyo Opera City Tower era il settimo edificio più alto di tutta la capitale,
ospite di circa una cinquantina tra negozi e ristoranti, e di importanti uffici
agli ultimi piani. Soprattutto, era residenza del New National Theatre, e quindi, per estensione, un po’ anche casa
sua.
Non
era decisamente solita girovagare per la terrazza del cinquantatreesimo piano,
visto che il Teatro e annesse e connesse sale dedicate al New National Ballet of Japan erano ai primissimi, ma le circostanze
della sua visita non erano le solite.
La
primavera era in arrivo, poteva sentirla pungere sulle guance arrossate dal vento
tutt’attorno a sé. La vista sulla città illuminata per la notte, almeno, era
fantastica.
Si
strinse di più nel cappotto, fece un respiro profondo e si concentrò ancora sul
rumore del vento per cercare la quiete dentro di sé. Si rigirò un paio di volte
il telefono tra le mani, incerta se rispondere all’ultimo messaggio di Ichigo
oppure continuare ancora a fare finta di niente.
“Non so cosa stai combinando,
ma se hai bisogno sai che ci sono <3”, le aveva scritto l’amica solo quella mattina. Era un po’ svampita,
certo, ma dopotutto si conoscevano ormai da una vita e la rossa era diventata
particolarmente brava a interpretare certi suoi silenzi, anche durante brevi
telefonate per altri motivi.
Lei
però faceva persino fatica ad ammettere a sé stessa cosa stesse succedendo.
Aveva
pensato che, una volta chiusa la parentesi Mew Mew, sarebbe stata in grado di riprendere in mano le redini
della sua vita. Sarebbe diventata prima solista, e poi prima ballerina, avrebbe
trovato un bravo ragazzo coi criteri che sempre aveva pensato di desiderare, e
avrebbe vissuto la vita che da quando era nata avevano costruito e preparato
per lei, come le si addiceva.
E
ce l’aveva fatta, davvero.
Ma
allora perché si sentiva così terribilmente sola?
Fece
un respiro tremulo, il disagio dei giorni precedenti che si rimpossessò di lei.
Aveva sempre voluto solamente un po’ di quiete; aveva sempre fatto tutto ciò
che una signorina del suo rango
doveva fare. L’unica sua eccezione era la danza, il suo grande amore. E già per
quello si sentiva costantemente in lotta con la sua famiglia, come se non
potesse mai dimostrare abbastanza, e lei era così stanca di controbattere
continuamente. Aveva ceduto, alla fine, aveva fatto tutto il resto che avevano
voluto soltanto per poter continuare ad amare senza remore, nascondendo il
resto.
Ovvio,
del problema genetico non si poteva certo parlare. C’erano davvero tante cose
di lei di cui non si poteva parlare, e piano piano l’avevano erosa dentro,
stancandola.
Forse
era per questo che ora si sentiva come se stesse buttando via tutto. Anche se
al tempo stesso, non poteva ignorare la vocina nella testa che le sussurrava
che lo poteva sentire anche lei, quel peso sollevarsi lentamente dalle sue
spalle.
Una
folata di vento più intensa le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire,
mentre ripensava alla conversazione di pochi giorni prima.
Eichi
era stato… così meraviglioso anche in
quel momento, anche con il dolore e la confusione che aveva potuto leggergli in
volto. Forse davvero lei non se lo meritava.
Non
meritava qualcuno a cui aveva sempre mentito.
Non
era stata nemmeno capace di dirgli tutta
la verità su quello che era successo, come poteva continuare una relazione con
quelle premesse? Era stata una codarda, testarda e troppo orgogliosa per poter
ammettere d’aver ceduto a una tentazione, spaventata che se avesse davvero
saputo, avrebbe creato un danno irreparabile. Aveva solamente borbottato di
essere confusa, una scusa qualsiasi, banale, l’accenno a qualcun altro tra le
righe ma mai esplicito, mentre Eichi la fissava avvilito e sempre paziente,
comprensivo, senza mai spingerla troppo. Aveva accettato il suo discorso,
pregandola solo di non lasciarlo aspettare troppo, confermandole che qualunque
decisione avrebbe preso, lui l’avrebbe compresa.
E lei si era odiata quando, una volta rimasta sola, aveva pregato che lui si fosse arrabbiato, che l’avesse spinta a tirare fuori la verità, che l’avesse dato qualcosa che le stava mancando.
Come
se poi avrebbe fatto la differenza.
«
Avvistato un passerotto solitario. »
Minto
sussultò e soffocò un urletto di paura, voltandosi di scatto.
«
Ma sei pazzo?! » esclamò arrabbiata, una mano sul petto, « Potevo cadere di
sotto! »
Kisshu,
a pochi metri da lei, si appoggiò al muro con una spalla e le sorrise: « Ti
avrei sicuramente lasciato cadere. E tu qui sei arrivata strisciando. »
La
mora apprezzò poco il suo sarcasmo e gli diede di nuovo le spalle, tornando a
osservare il panorama della città illuminata sotto di sé.
«
Devo chiederti cosa ci fai qui e come hai fatto a trovarmi? »
«
Non ti sei fatta viva al Caffè per qualche giorno, e ho sentito Ichigo dire che
anche con lei sembravi strana. E, vivi più qui che a casa tua. Non che ti possa
biasimare, effettivamente. »
Lei
sbuffò appena, poi incassò un po’ la testa tra le spalle: « Pensavo fossi
arrabbiato con me. »
Kisshu
rise sottovoce: « Diciamo che non mi piace essere additato solo come un
superficiale alla ricerca di dieci minuti di divertimento, ma diciamo anche che
non mi piace lasciare le cose a metà. »
«
Sarebbe a dire? »
«
Siamo anche un po’ troppo adulti per mandarci a quel paese senza spiegazioni
ulteriori. »
Minto
rimase in silenzio a godersi ancora un po’ il fresco del vento contro il viso,
ormai conscia che la quiete che era venuta a cercare sarebbe durata poco. Lo
avvertì però tentennare, prendersi più tempo del solito per dire qualsiasi cosa
fosse ciò per cui l’aveva raggiunta, gli occhi che sentiva ben fermi su di sé.
«
Lo so che non ho nessun diritto di chiedertelo - »
«
Esattamente. »
«
- ma ci hai parlato? »
Lo
stomaco le diede un fastidioso tremito a quel pensiero, il senso di colpa che
le risalì in gola con un sapore acido.
«
Da quando siete tornati, ho iniziato a mentirgli ancora di più, » rivelò con
una nota amara nella voce, continuando a fissare avanti a sé « Su chi siete,
come ci siamo conosciuti, perché tu insisti
con quei nomignoli - » scosse la testa con un risolino sarcastico, « Non mi ero
mai resa davvero conto quante bugie compongano la mia vita. »
Kisshu
si spostò contro ad un altro lato della parete protettiva, avvicinandosi di più
a lei pur mantenendo della distanza.
«
L’hai fatto per proteggere te stessa e le altre, » le rispose sottovoce, « E
noi, devo riconoscerlo. »
«
Non è bello comunque, » replicò lei piccata, « E non è giusto. »
«
Vedila così, » l’alieno incrociò le braccia al petto e fece spallucce, « Se tu
fossi stata sicura di lui, come persona, probabilmente gliel’avresti detto
senza problemi. »
«
Che io posso capire cosa si dicono gli uccelli fuori dalla mia finestra, che se
la mia migliore amica si agita troppo le spuntano le orecchie e la coda, e che
il ragazzo con cui l’ho… tradito in
realtà viene da un altro pianeta? »
«
Forse non l’avresti tradito, se avessi potuto raccontargli di tutto questo. »
Minto
fece scoccare la lingua, infastidita, e lui continuò irriverente.
«
Per non parlare poi del biondo che fa le magie col DNA per farvi saltellare in
bikini e sconfiggere un cattivone interplanetario parassita del corpo dell'ex
fidanzato della tua migliore amica. Sai che diritti cinematografici da paura
poteva intascarsi? »
Rise
soddisfatto sotto i baffi quando vide sorridere anche lei e scuotere la testa,
i capelli sciolti che le ricadevano morbidi lungo la schiena e che sembravano
ancora più scuri con la poca luce lì intorno.
«
Erano dei bei tempi, eh passerotto? »
«
Io avrei un’altra definizione. »
«
A proposito, » un sorriso beffardo gli colorò il viso, « Dicevo, tu sicuramente
non hai fatto tutte queste scale per venire fino qua. »
Minto
gli lanciò uno sguardo d’avvertimento, inclinando appena la testa: « Non ci
pensare minimamente. »
«
E dai, fammi rivivere un momento della nostra giovinezza. L’hai detto tu stessa
che ne senti la mancanza. »
«
Come se fosse una cosa così eclatante. »
«
Devo mettermi in ginocchio? »
Minto
gli lanciò un’occhiata infastidita, poi fece di nuovo un respiro, afferrò il
suo ciondolo e chiuse gli occhi alzandosi in piedi. Il familiare tepore della
sua trasformazione l’avvolse come una vecchia amica, facendola brillare per
pochi secondi, il solletico delle ali e della coda che le sembrarono la cosa
più normale del mondo.
Kisshu
non si trattenne dal fischiare soddisfatto non appena MewMinto
gli si parò di nuovo davanti, osservandola sfacciato e ghignante da capo a
piedi.
« Mi sa che ti
sta un po’ più stretto stavolta quel costumino. (3) »
Lei
arrossì e incrociò le braccia al petto per cercare di mascherare un minimo la
bassa scollatura del suo fedele tubino azzurro.
«
Non sei mai adeguato, tu! »
«
Scusami, » rise lui, continuando a guardarla come un gatto sornione, « Ma sei
davvero molto sexy. »
«
Kisshu! »
«
Preferisci adorabile? »
«
Nessuna delle due opzioni! »
L’alieno
rise e si spinse dal muro per inclinarsi verso di lei: « Sicura sicura? »
Minto
lo guardò scocciata, arrabbiata per quel continuo battere ostinato contro al
petto, e sciolse la trasformazione, strappandogli un mugolio scontento e poi
una risatina.
«
Scusa, » le mormorò, riportandole una ciocca sciolta dietro l’orecchio e
approfittandone per sfiorarle la guancia, « Mi piace farti arrabbiare. »
« Ho notato, » rispose con un sussurro che
tentò di essere convinto mentre cercava di ignorare il piacevole calore delle
dita di lui.
«
Non mi hai risposto, comunque. »
Il
respiro le scappò tremulo mentre istintivamente inclinava la testa verso di
lui, fissa sulle labbra così vicine: « Perché ti interessa? »
«
Minto, » il suo nome, un rimprovero bisbigliato, le ribaltò lo stomaco, «
Smettila di fare la stupida. »
Sentire
di nuovo il suo sapore le azzerò ancora il cervello, ma quella volta fu un
bacio più dolce, più lento, come se stesse cercando di trasmetterle qualcosa, o
forse era solo lei a essere impazzita del tutto. Si staccò dopo poco, incerta
delle reazioni del suo corpo, ma rimase lì a percepire il suo calore,
scrutandolo come per trovare una risposta a tutto ciò che le frullava per la
mente.
E
forse lui sembrò capirlo, perché l’accarezzò ancora e sfiorò appena il naso
contro al suo: « Ti accompagno a casa? »
La
mora annuì, la gola improvvisamente secca e il rimbombo del cuore nelle
orecchie che opprimeva qualsiasi altro suono. Per una volta nella vita, fu
grata del teletrasporto nonostante il risucchio nauseante, che in una frazione
di secondo le fece poggiare i piedi sulla ghiaia del viale d’ingresso.
Kisshu
si allontanò di pochi passi e si infilò le mani in tasca, fece un cenno verso
la casa dalle finestre buie e sorrise: « Non ti perdere, mi raccomando. »
Lei
tentò di ricambiare senza troppo successo, poi sospirò: « Buonanotte, Kisshu. »
«
Buonanotte passerotto. »
Non
fu sicuramente una bella notte, per la ballerina. Continuava a girarsi e rigirarsi
nel suo lettone, senza riuscire a prendere sonno: sentiva troppo caldo, si
scopriva e congelava, si rimetteva accoccolata tra le coperte e si sentiva
soffocare, scopriva un braccio o una gamba e di nuovo il freddo era troppo
insopportabile. Per lei era assolutamente insostenibile, non aveva mai avuto
problemi in vita sua ad addormentarsi, nemmeno prima di spettacoli importanti,
e ora per un bacio…!
Per
tutto ciò che ne scaturiva, davvero.
Si
addormentò a notte inoltrata, ottenendo solo un sonno poco profondo e poco
riposante, intermezzato da strani sogni, e si ridestò alle prime luci del
mattino, con i cinguettii allegri degli uccellini fuori dalla finestra che le
fecero da sveglia. Gemendo ad alta voce, la faccia affossata nel cuscino e la
consapevolezza che, tanto, non sarebbe riuscita a riaddormentarsi, si buttò giù
dal letto per affrontare la giornata. Non ebbe nemmeno la forza di guardarsi
allo specchio, ben sapendo che avrebbe avuto un aspetto orribile. Grata che
fosse sabato mattina e che non dovesse presenziare a teatro, per una volta, si
trascinò di peso al Caffè, ben sapendo che gremito come sarebbe stato, nessuno
avrebbe fatto troppo caso a lei, e che sarebbe stato troppo presto perché le
sue amiche fossero già lì.
Solo
di un paio di persone aveva la certezza della presenza nel weekend.
Come
aveva previsto, Kisshu, che a volte era più abitudinario di un gatto, era già
lì, nel suo tavolino preferito in un angolo che gli permetteva di avere
un’ottima visione di tutto il locale e al tempo stesso di poter scappare a uno
degli altri piani o in cucina quando ne avesse avuto voglia.
Forse
l’aveva sentita entrare, nonostante il fracasso, o forse la stava aspettando,
non appena lei oltrepassò l’uscio lo sguardo dorato la raggiunse, e l’alieno le
rivolse un sorriso tentennante alla sua espressione abbattuta.
Minto
fece un respiro veloce e si portò indietro delle ciocche sfuggite alla treccia
veloce che le cadeva su una spalla, un misero tentativo di darsi un po’ di tono
nonostante l’esaurimento, mentre senza pensarci lo raggiungeva e scivolava
sulla sedia accanto alla sua.
«
Posso? » gli domandò, accennando alla caffettiera ancora fumante che gli stava
davanti.
Kisshu
annuì e abbozzò un sorriso: « Sicura non ti faccia schifo bere da dove ho
bevuto io? »
La
smorfia che la ragazza gli rivolse, mentre afferrava la tazza e quasi ci
annegava dentro, gli fece capire che davvero non era il momento di scherzare.
Non pensava di aver mai visto Minto con quell’espressione, nascosta sotto
l’evidente stanchezza, un faccino preoccupato che la faceva sembrare più
piccola. Avrebbe voluto carezzarle una guancia in un gesto di conforto, ma
sapeva che l’avrebbe decisamente ucciso in un contesto e una situazione simile,
perciò si limitò a sfiorare il dorso della mano con un dito.
«
Tutto okay, passerotto? »
Lei
si limitò a scrollare le spalle, riempendosi un’altra volta la tazza di caffè e
soffiandoci sopra un paio di volte, senza voltarsi verso di lui.
Kisshu
osservò per qualche secondo il suo viso pensieroso, prima di darle un colpetto
con la spalla: « Sputa il rospo. »
Minto
continuò a fissare il bordo della tazza.
«
Mi sento in colpa, » esclamò dopo un po’, « Per… ieri. Non sarei completamente…
lo sai. E per tutto. »
«
Ti ho già detto come la penso. »
«
Ci sono un sacco di cose che tu non sai, Kisshu, » sbottò lei, ritirandosi
quando una cliente che passò lì accanto la guardò incuriosita, « La mia vita è…
complicata. »
«
Mmhm, » lui appoggiò una guancia al pugno chiuso e la
guardò con le sopracciglia alzate, « Ti prego, illuminami mentre continuo a
camuffarmi perché io vengo da un altro pianeta. »
La
ragazza gli lanciò un’occhiataccia: « Non sei simpatico. Tu non hai una
famiglia molto esigente che non ammette comportamenti al di fuori di quelli
prestabiliti. »
«
Ed è per colpa di questa famiglia che ora sei qui come un gattino abbandonato?
»
«
… anche, » Minto lo guardò di sottecchi, prendendo un respiro profondo e
pigolando sottovoce, « Mi sono comportata male con tutti. »
«
Già ammetterlo per te è un passo avanti. »
«
E non so che devo fare, » lo ignorò, giocherellando piano con la tazza da cui
aveva bevuto solo per non tenere le mani aperte sul tavolo.
«
Non so se io sia la persona giusta a cui chiederlo, tortorella, » rise
sottovoce Kisshu, « Potrei essere leggermente
di parte. »
Alla
ballerina scappò un mezzo colpetto di tosse agitato, poi scosse la testa
nervosa: « Non è che posso discuterne con le altre. »
«
Cos’è, ti vergogni? »
Lei
ebbe il coraggio di tirargli una gomitata per il tono poco velatamente offeso
in cui lo disse: « Non è un comportamento corretto
facile da sbandierare ai quattro venti. »
«
Lo stai facendo ingigantendo un po’, a parer mio, ma okay. »
Minto
sbuffò contrariata: « Forse sei tu che sei abituato male. »
«
Non mi conosci per queste cose, tortorella. Mi sarò anche divertito, in vita
mia, ma non sono così terribile. »
Lei
si mosse a disagio sulla sedia: « … mi stai dicendo che sono peggio di te. »
«
No, tortorella, ti sto dicendo che non ci sono verità universali e che nella
vita succede, ogni tanto, di fare cazzate che non sono la morte di nessuno. »
« Cosa faresti tu se la tua ragazza ti tradisse? »
Lui
ridacchiò a disagio e si passò una mano nella frangia: « Allora per me sarebbe
chiusa lì. Faccio già fatica così com’è a fidarmi delle persone. Forse le
chiederei il motivo, forse no, ma non credo riuscirei a rimanerci. »
Minto
lo guardò storto: « Forti principi morali quando si tratta di te, eh? »
«
Ehi, lo sai che quando voglio qualcosa, faccio di tutto per ottenerlo. »
Lei
studiò un istante il suo sguardo, poi gli domandò: « Cosa vorresti, quindi? »
Kisshu
si rilassò sulla sedia: « Adesso, che tu mi faccia un bel sorriso. »
La
mora sbuffò, si sorresse la fronte con una mano: « Non ne ho molta voglia ora.
»
L’alieno
rifletté un paio di secondi, poi le si avvicinò e le tese la mano: « Ho
un’idea. »
Minto
lo guardò estremamente dubbiosa, senza spostarsi: « Ovvero? »
Lui
alzò gli occhi al cielo e sospirò, allungandole ancora di più la mano: « Giuro
che non è niente di scandaloso o pericoloso, fidati per una volta. »
Lei
valutò con cura la proposta di passare dell’altro tempo da sola con lui, visti
gli ultimi accadimenti, poi fece un respiro e accettò il suo palmo, lasciandosi
tirare in piedi e poi verso l’uscita sul retro del Caffè. Continuò a tirarla
lungo il sentiero che dal locale portava al parco lì circostante, per poi
condurla in una zona in cui gli alberi si infittivano, offrendo un po’ di
protezione dalla vista degli altri visitatori.
«
Kisshu, mi spieghi cosa stai facendo? »
Kisshu
si guardò intorno un paio di volte, controllando effettivamente quante altre
persone fossero lì nei paraggi, poi si voltò verso di lei con un sorriso furbo.
«
Trasformati. »
«
Cosa? »
«
Su, prendi il ciondolino, sfavilla qualche secondo e tira fuori le alucce. »
«
Kisshu, non ho intenzione di accontentare nuovamente le tue fantasie
adolescenziali. »
«
Aaaah, non è per quello, dammi retta per una buona
volta e trasformati. »
Minto
lo osservò dubbiosa, poi con un sospiro estrasse il ciondolo Mew dalla borsa e fece come le aveva chiesto.
Lui
la guardò contento, incrociò le braccia e fece un passo verso di lei: « A parte
il piacere di vederti così, è meglio se qui
sei in forma rinforzata. »
Lei
non fece in tempo a chiedergli a cosa si riferisse, che estrasse dalla tasca un
piccolo strumento simile a una pulsantiera tonda con sopra inciso un simbolo
che le risultò familiare. Kisshu l’afferrò di nuovo per la mano e premette il
pulsante; Minto ebbe la netta sensazione di essere risucchiata con un pop, come se il terreno le scomparisse
da sotto i piedi e al tempo stesso qualcuno la tirasse per un fianco verso
destra.
Barcollò
appena quando il suolo le ricomparve sotto le scarpe, udendolo ridacchiare
appena mentre le stringeva forte il palmo per stabilizzarla.
«
Niente da fare per te e i metodi di trasporto alieni, eh colombella? »
Le
ci volle un minuto per abituare gli occhi alla strana luce di quell’ambiente,
vivace eppure tenue, come se ci fosse un velo davanti a lei. Li riaprì e sbatté
le palpebre un paio di volte, ancora più confusa di prima, mentre la borsetta
le scappava di mano. La prima cosa che pensò fu di trovarsi dentro un enorme
hangar senza tetto e dalle pareti rigogliose di vegetazione, tutto reso
stranamente etereo dalla luce azzurrina che lo pervadeva. Rimase a bocca aperta
mentre cercava di elaborare l’informazione di essere passata dal boschetto del
Caffè a lì, tentando di comprenderne
le dimensioni, la strana tinta di quello che poteva definire cielo, l’odore dolce di una foresta e la
sensazione che l’atmosfera fosse più pesante di quella terrestre.
«
Pai ha la responsabilità di questo posto, quindi
perdona la poca fantasia. L’addobbo floreale è da parte di Taruto. »
«
Dove siamo? »
«
Detta brevemente, in una dimensione parallela. Una tana in più per noi, se
vuoi. »
Minto
fece un giro su sé stessa, poi strabuzzò gli occhi puntando il dito contro ciò
che le si era parato davanti: « Quella è…? »
Kisshu
annuì soddisfatto mentre guardava l’astronave con una punta d’orgoglio negli
occhi: « Non sapevamo dove parcheggiarla, e Shirogane ha rotto le scatole,
quindi l’abbiamo relegata qua. Io e Taruto usiamo anche questo spazio per
allenarci, in maniera seria, ogni tanto, e Pai lo usa
per comunicare con i suoi superiori sui risultati delle loro ricerche. »
«
Mmh, immagino che Ryo sia estasiato da questa
prospettiva. »
L’alieno
rise divertito, poi la guardò con un sorriso: « Qui puoi essere quello che
vuoi. »
Minto
si guardò intorno stupita, testando saggiamente il terreno con la punta degli
stivaletti, come se avesse potuto cedere da un momento all’altro.
«
Quant’è grande? »
Kisshu
scrollò le spalle, incerto: « Eh, sai com’è fatto Pai,
non sarà enorme… ma un bel voletto te lo puoi fare senza problemi. »
«
Dovrei starci io, qua dentro? »
Lui
ghignò furbo: « Se non divulghiamo la notizia, è meglio. »
«
Mmhm, » lei si azzardò a fare qualche passo,
guardandolo appena da sopra la spalla, « Quindi a cosa devo quest’onore? »
«
Ti ho promesso che ti avrei portata a volare, no? » lui piegò appena la testa
da un lato e le fece l’occhiolino, « Non sarà un giretto sull’oceano, per
quello dovremmo aspettare la notte. »
«
Certo, così poi a Shirogane verrebbe un colpo, » rise sottovoce lei,
continuando a guardarsi intorno, le piume delicate delle ali che fremevano
piano, « Pensi che non tenga tutti i rilevatori accesi? »
«
Qua non ci trova sicuro, o sarebbe stato più facile per voi venire a
disturbare, al tempo. »
Minto
gli lanciò un’occhiataccia al tono casuale e canzonatorio che usò, poi decise
di dare ascolto ai suoi geni aviari e scosse delicatamente le piume della coda:
« Facciamo a gara a chi vola più veloce? »
Un
ghigno furbo si dipinse sul volto dell’alieno: « Non sarò un gentleman,
sappilo. »
Lo
vide partire di scatto prima ancora che lei potesse ribattere, scoccandole un
occhiolino veloce da sopra la spalla quando
la sentì gridargli dietro. Lo seguì svelta, volando dritta fino all’apertura
curva del tetto e prendendosi un secondo per ammirare il paesaggio dall’alto.
L’hangar sembrava ancora più largo da quella prospettiva, e se da una parte la
dimensione sembrava iniziare con esso, dall’altro lato poteva scorgere qualche
dolce collina verde, con uno spiazzo di terra battuta che interpretò come uno
dei luoghi di allenamento dei tre.
«
Tortorella, vuoi perdere in partenza? »
La
voce scanzonata dell’alieno la riscosse, e riprese a rincorrerlo; sentiva il
cuore battere forte mentre il vento le sferzava contro al viso, una familiare
adrenalina che le vibrava nelle vene e le ali che battevano vibranti e forti
nonostante il tempo passato. Chiuse gli occhi per un istante, godendosi la
sensazione di totale libertà, lasciandosi cullare dall’aria e dall’odore di
quel luogo, dalle risate che poteva udire dell’alieno e forse, per qualche
strano motivo, anche della sua energia. Quasi dimentica della gara che lei
stessa aveva indetto, si lasciò andare a qualche giravolta e piroetta, aprendo
le braccia e davvero, lasciandosi andare come faceva solo sul palco.
Si
stupì un po’ di quanto potessero continuare a volare, anche se Kisshu la guidò
a salire fino a quello che le sembrò l’altezza massima, il cielo che si curvava
quasi come sotto una cupola, poi entrambi si lasciarono andare alla gravità,
cadendo leggeri verso il suolo e poi riprendendo la corsa.
Lo
vide fermarsi di scatto quando arrivò di fronte a un ammasso intricato di rami
e radici, le teste degli alberi piegate gentilmente, probabilmente un confine
ben visibile di quello strano luogo. Lui poggiò i piedi a terra e alzò le
braccia in segno vittorioso, voltandosi verso di lei con un sorriso.
«
Kisshu, hai barato! »
«
Nooo, ho
solo fatto del mio meglio per batterti. »
Lei
rise e si portò una mano al petto mentre cercava di riprendere fiato: « Sei
terribile. »
Kisshu
studiò compiaciuto il rossore sulle guance e l’accenno di sorriso che le
coloravano il viso dopo il volo: « Sei tu quella che si è messa a ballare per
aria. »
Minto
lo guardò con una smorfia, poi svolazzò appena per annusare uno strano fiore
che spuntava dall’intreccio di rami, stupendosi di quanto le ricordasse l’odore
di un’albicocca.
«
Venite spesso qui? »
Quando
si voltò, notò che l’alieno continuava ad avere quel sorrisetto soddisfatto che
tanto lo caratterizzava, probabilmente per la panoramica che gli aveva offerto.
«
Taruto più di tutti – come puoi notare – e Pai ogni
due settimane o giù di lì. Io non ne sono un gran fan, vengo solo per sfogarmi
ogni tanto. »
«
Sfogarti? »
Lui
le fece l’occhiolino: « Troppi dolci, troppe belle ragazze, al Caffè si
accumulano troppi zuccheri. »
«
Ah-ah-ah, » Minto fece finta di ridere,
La
osservò ridere ancora, poi fare un respiro profondo mentre la sua espressione
diventata più pensosa e simile a quella che aveva voluto cancellare.
«
Com’è che per te le cose sono sempre così semplici? »
Kisshu
si strinse nelle spalle e diede un calcetto a un pezzetto di radice che
spuntava dal terreno: « Sarà una filosofia di vita. »
Minto
lo guardò storto e prese a passeggiare lenta lì intorno, abbozzando qualche
passetto come faceva tutte le volte che era persa nei suoi pensieri,
giocherellando con lo strano terreno polveroso.
«
Sai che io ho sempre fatto tutto ciò che si conviene a una brava ragazza? »
accennò ad un pas de bourrée e lo guardò da sopra la spalla
con un sorrisetto triste, « L’unica cosa su cui non transigevo era la danza.
Poi siete arrivati voi. »
L’alieno
fece schioccare la lingua: « Non mi sembra giusto darci tutta la colpa. »
«
Se vuoi ci aggiungiamo Shirogane, » lei ridacchiò amara e fece una piroetta, le
ali che frullarono contente, « Però è vero. »
Kisshu
incrociò le braccia al petto: « E quindi? »
«
Niente, » scrollò le spalle e abbozzò un arabesque,
« Pensavo ad alta voce. »
«
Puoi smetterla di saltellare, mi stai facendo venire mal di testa, » lui sbuffò
irritato, trattenendosi dall’afferrarla per le spalle e piantarla in una
posizione soltanto, « Siamo un po’ troppo vecchi per accusarci su certe cose, no? »
«
La mia vita andava benissimo, prima che arrivassi tu con le tue moine. »
«
Invece a te facevano schifo le attenzioni, » Kisshu rise amaro, per nascondere
la nota di irritazione che non riuscì a controllare, « Io ci avrò anche
provato, tortorella, ma tu mi hai dato corda. Il tango si balla in due. »
La
vide fare una smorfia, probabilmente punta sul vivo e nell’orgoglio, lei che
sempre si proclamava al di sopra dei vizi e degli errori degli altri. Si
azzardò ad avvicinarsi, sfiorandole una gota con le nocche.
«
Ammettilo che c’era qualcosina e non
me lo sono inventato solo io. Un po’ ti conosco, sai. »
Gli
occhioni scuri tremolarono un istante: « Dirlo con quel tono soddisfatto non ti
porterà da nessuna parte. »
«
Per una volta che ho ragione… »
Minto
allontanò appena il busto, soffiando tra i denti e giocherellando di nuovo con
una foglia carnosa e vivace.
«
Io e te siamo abbastanza diversi, non trovi? »
«
Biologicamente parlando o… » lui tentò la battuta, ma poi si schiarì la gola
quando vide l’occhiataccia un po’ triste che lei gli rivolse, « Non vuol dire
che sia un problema. »
«
Ci sono un sacco di cose che non sai. »
«
L’hai già detto, e lo so. Ma mi è anche parso di capire che io, a differenza di
altri, sia a conoscenza di un sacco di cose molto importanti. »
La
mora realizzò che probabilmente non aveva mai visto Kisshu stare fermo come in
quel momento, lui che sembrava incapace di rimanere in una sola posizione per
più di qualche minuto, sempre a gingillarsi nervosamente con qualsiasi cosa,
scomposto su ogni seduta. Forse era la convinzione che poteva sentire nelle sue
parole, si disse, che lo manteneva saldo, le mani infilate con nonchalance
nelle tasche in contrasto con la schiena dritta e lo sguardo deciso.
«
Chi sei venuta a cercare oggi, tortorella? »
Minto
sbuffò e girò la testa, stringendosi le braccia al petto.
Possibile
che lui sembrasse avere più senso di
tutte le cose che le erano passate per la testa?
Si
rese conto in quel momento che avrebbe solamente voluto tirarlo a sé per la
collottola e baciarlo, sentire ancora quella sensazione nello stomaco al
contatto della pelle con la sua, il battere irrequieto del suo cuore al suo
profumo e al suo sapore intorno a sé.
Invece
fece un passo indietro, cercando una zona neutrale e sicura.
«
Devo parlare con Eichi, » mormorò, « Pensare, e poi… sistemare le cose. »
Kisshu
annuì piano, senza staccare gli occhi da lei, scrutandola forse in cerca di una
risposta, poi indicò l’hangar con un cenno della testa: « Vieni, torniamo
indietro. L’uscita è di là. »
Camminarono
in silenzio, Minto che gli stette a un metro buono di distanza, cercando di non
concentrarsi troppo sulla sua schiena, le unghie così conficcate nella pelle
nuda delle braccia che quasi fece fatica a scollare le dita per accettare di
nuovo la mano che lui le porse prima di riattivare il teletrasporto.
Sciolse
subito la trasformazione appena ritornati al punto di partenza, ben più sicura
del controllo del suo corpo con abbondanti centimetri di tessuto in più
addosso. Il senso di inquietudine che si portava addosso dalla sera precedente
le riapparve nello stomaco, e si schiarì la gola per fermare almeno il
silenzio.
«
Credo che… credo che andrò, » esclamò, accennando appena con il mento al Caffè,
« Non ho molta voglia di vedere le altre, Ichigo potrebbe subissarmi di
domande. »
«
D’accordo, » Kisshu, le mani ancora in tasca, annuì ma non fece cenno di
spostarsi da davanti a lei, « Fai come pensi sia meglio, passerotto. »
Lei
storse il naso, proprio non poteva mai esimersi dal parlare in doppi sensi in
ogni circostanza. Fece un respiro profondo e strinse di più la catenella della
borsetta: « Ci sentiamo, okay? »
«
In ogni caso? »
«
Kisshu. »
«
Chiedevo solo, » le spostò la treccia dietro la spalla, sfiorandole il collo
con abbastanza lentezza per percepire, sotto la punta delle dita, il cuore che
batté erratico quando aggiunse in un sussurro deciso, « Minto. »
Gli
ci volle molta convinzione per allontanarsi, ben sapendo da come aveva reagito
lei prima che non avrebbe potuto spingersi oltre, in quel momento; lasciò
cadere la mano lungo il fianco e le lanciò un sorriso affettato, prima di fare
dietrofront sui tacchi con un mezzo fischio e incamminarsi lungo il sentiero,
il sospiro pesante che le scappò che risuonò chiaro al suo udito.
Today
Eichi
bussò piano contro lo stipite della porta, per annunciare nuovamente il suo
arrivo.
«
Eichi, » esclamò Minto, alzandosi dal pianoforte e facendo due passi verso di
lui prima di bloccarsi all’improvviso, « Cosa… »
«
Sono venuto a portarti un po’ di cose tue che ho trovato in giro, » le sorrise
e alzò la busta di carta che aveva con sé, « Non c’è molto, solo un libro,
qualche nastro per capelli e un paio di ricambi di danza. »
«
Grazie, » lei inclinò un poco la testa in un accenno di inchino, tenendo le mani
composte lungo i fianchi, « Come stai? »
«
Tutto a posto, » annuì quasi convinto mentre evitava il suo sguardo e
appoggiava la busta lì accanto, « Tu stai bene? »
«
Io… sì, » la mora esalò pesante a quella sillaba, lasciando cadere le spalle in
sollievo, « Ho solo bisogno di un po’ di tempo per… »
«
No, capisco, » la interruppe lui, lisciandosi la camicia perfettamente stirata
in un gesto di nervosismo, « Volevo dirti che mi dispiace, Minto, non… non
essere stato abbastanza. »
«
No, Eichi, non è quello, » Minto scosse la testa e fece un passo avanti,
sentendo improvvisamente il senso di colpa rimpossessarsi di lei, « È che io…
te l’ho detto, io non… tu ti meriti qualcuno che sappia davvero condividere con
te tutto ciò che vuoi. »
«
Lo so che… il rapporto che tu hai con gli altri, io non posso capirlo, » il
ragazzo si strinse nelle spalle, « Non sei mai stata come le altre, Minto, per
quello mi piacevi. Ma capisco se… se le cose differenti ci hanno allontanato
perché non potevo capirle. Come comprendo il perché tu possa aver… cercato
qualcuno che invece non avesse questo problema. »
Lei
annuì, conscia di meritarsi un po’ la frecciatina che sapeva lui non aver detto
con quell’intento: « Non so se il risultato sarebbe stato diverso se… se io non
avessi… »
«
Infatti, capisco, » Eichi le sorrise ancora e stese il braccio per afferrare
ancora la maniglia della porta, facendo per uscire « Ti auguro davvero il
meglio, Minto-chan. Spero che troverai ciò che
cerchi. »
«
Eichi, aspetta, » Minto fece un respiro profondo, lo guardò dritto negli occhi
e scosse la testa, « Non… non pensi, a volte, che siamo stati insieme solo
perché… dovevamo? »
Lui
sembrò pensarci su un secondo, poi strinse le labbra in un’espressione
dolcemente rassegnata: « A me sarebbe andato benissimo lo stesso. »
Uscì
e si chiuse la porta alle spalle, senza lasciarle il tempo di aggiungere altro.
Lei esalò il respiro e si lasciò cadere sul bordo del divano, mordendosi un
labbro.
Forse
si sarebbe sentita un po’ meno in colpa, un po’ meglio, se avesse provato una
tristezza maggiore, o un senso di vuoto come già le era successo in passato –
era stata una storia importante, non l’avrebbe mai negato, aveva creduto anche
davvero che sarebbe stata la storia…
Però
nella testa continuava solamente ad avvertire quel fastidioso ronzio, quella
caotica confusione che la destabilizzava e che non riusciva a domare. Le
sembrava di aver perso del tutto il controllo, anche ora, di non riuscire a
pensare chiaramente a nulla. Aveva solamente voglia di rimanere da sola,
lontano però da quella casa così dannatamente silenziosa e piena di ricordi
diversi, per passare del tempo con sé stessa e capire, sul serio.
Afferrò
il cellulare da sopra il tavolino in cui lo aveva appoggiato, scorse la chat e
scrisse un messaggio veloce, prima di alzarsi e affrettarsi verso la sua
camera.
Se
già aveva smesso di agire solo di testa, tanto valeva seguire anche quell’ultimo
impulso e ritrovare la calma.
§§§
Minto
si chiuse lo sportello della macchina alle spalle e fece un sorriso di
ringraziamento al vecchio autista, che le ricambiò dal finestrino abbassato con
un tocco di cappello prima di rimettersi in marcia. Rimasta sola, fece un
respiro profondo mentre osservava l’alto palazzo di fronte a sé, cercando con
lo sguardo le finestre che avrebbero potuto appartenere all’appartamento che le
interessava.
Si
diede mentalmente della sciocca per il nervosismo che stava provando
costantemente da quella mattina, quando appena poggiate le valigie sul
pavimento della camera aveva preso la decisione di prepararsi e uscire
nuovamente per mettere un punto fermo a tutta la situazione.
Non
era certo il momento di farsi prendere dal panico, ora.
Tirò
indietro le spalle e si avviò verso l’entrata, digitando il codice d’accesso
che una Purin ghignante aveva condiviso con lei per evitarle di suonare il
campanello del portone principale – una mossa da codardi, davvero, doveva ammetterlo.
Come se le sue buone maniere non le avessero fatto annunciare la visita “a
sorpresa”.
Ricontrollò
il messaggio che l’amica le aveva spedito per confermare il piano e il numero
dell’appartamento e pigiò il pulsante dell’ascensore, adducendogli la colpa
della capriola che fece il suo stomaco.
Un
lungo pianerottolo le si parò davanti, costellato da porte verdi tutte dello
stesso colore. Il rumore del tacco dei suoi stivaletti rimbombò appena sulla
moquette un po’ invecchiata mentre cercava alla sua destra il numero giusto e
si fermava lì davanti con, di nuovo, quella sgradevole sensazione di panico
alla gola.
Fece
ancora un respiro profondo e, questa volta, bussò con fare convinto, facendo un
cortese passetto indietro e stringendo la borsetta tra le mani non appena udì
dei passi attutiti aldilà del muro.
Kisshu
aprì la porta e l’accolse con il tipico sorriso sornione: « Ah, un uccellino di
bosco. »
Minto
fece una smorfia: « Sono andata a trovare mio fratello. »
«
E sei tornata abbronzata? »
Lei
sbuffò al solito tono ironico del ragazzo: « Non ho scelto io la sua location.
E avevo bisogno di rilassarmi un attimo. »
L’alieno
si staccò dallo stipite a cui era appoggiato e le prese una ciocca di capelli
tra le dita: « Due settimane non sono proprio un attimo. »
«
Come se non ci fossimo sentiti. »
«
Che c’entra, » rispose sottovoce lui con un sorriso, sistemandole lo spesso
cerchietto di velluto che indossava, « Magari mi sei mancata lo stesso. »
La
mora ordinò al suo cuore di comportarsi in maniera civile anche con quel tono
di voce, e piegò appena la testa di lato: « Non mi fai entrare? »
Kisshu
continuò a sorridere e si fece di lato, alzando un braccio in maniera comica
per farle strada: « Prego, madamigella, benvenuta nella mia umile dimora. »
Lei
alzò di nuovo gli occhi al cielo ed entrò con un flebile permesso, osservando curiosa il piccolo ma accogliente appartamento
che i tre fratelli Ikisatashi condividevano (e che lei fu molto grata fosse
vuoto, in quel momento).
«
Salotto, cucina – che è il regno di Retasu e di Purin, non guardare me, non so
come faremmo senza quelle due – là in fondo c’è il bagno e qui le camere. »
«
Un bagno diviso tra voi tre, potrei avere gli incubi. »
«
Chi pensi pulisse nell’esercito, tortorella, fammi capire. »
Lei
sbuffò appena divertita e lo seguì dietro l’angolo alla fine del corridoio
principale, tentennando appena prima di oltrepassare la soglia della sua
stanza.
«
E questo è il mio nido. »
Minto
entrò con calma, guardandosi attorno curiosa e già con il ventre che scalpitava
contento a sentire il fievole odore di lui tutto intorno a sé. La camera era
ordinata in una maniera che lei non si sarebbe mai aspettata, perciò alzò un
sopracciglio, scettica.
«
Stavi aspettando qualcuno? »
«
Mi ero stancato del borbottio di mio fratello, » rispose lui con una nota
allegramente irritata nella voce, « A volte mi fa sentire la nostalgia dei
superiori, erano meno rompiscatole di lui. »
Lei
si lasciò andare ad un sorriso e sfiorò con un dito la scrivania vuota se non
per un pc con uno schermo extra e un paio di occhiali da sole.
«
Scommetto che l’armadio sta per esplodere. »
«
Passerotto, non tutti possiamo avere una sala da ballo per armadio. »
Lei
storse il naso e si avvicinò allo scaffale vicino a una finestra, per far
scorrere lo sguardo sui fumetti e libri lì riposti. Poteva avvertire lo sguardo
scanzonato del ragazzo vicino a lei, che si lanciò a sedere sul letto con poche
cerimonie, inclinandosi all’indietro e poggiandosi sui palmi.
«
Allora volevi dirmi qualcosa? » le domandò irriverente.
«
Volevo vederti, » rispose semplicemente lei, facendo qualche passo in avanti.
Kisshu
si portò a sedere dritto, afferrandola dolcemente per la vita per farle coprire
anche gli ultimi centimetri. Erano quasi alti uguali in quel momento, fu il
pensiero che le balenò a caso nella mente, abbastanza perché lui potesse
sfiorarle la fronte con la sua.
«
Vai subito al dunque, eh? » borbottò, aggrottando le sopracciglia ma non
accennando a spostarsi.
L’alieno
rise e le tamburellò le dita suoi fianchi: « Non sto facendo nulla. »
Minto
inspirò a fondo e poggiò le mani sui suoi avambracci, tenendo lo sguardo basso
e aggrottando appena la fronte.
«
Volevo vederti, » ripeté più convinta, « Anche quando ero con Seiji. Nemmeno
lui sa tutta la verità e… è così
difficile. Tu… »
Lui
sorrise sornione: « Io ho ragione. »
La
mora gli lanciò un’occhiataccia: « Tu sei insopportabile. »
« Da che pulpito. »
Le
fece appena il solletico, addolcendole lo sbuffo mentre si incastrava meglio
tra le sue gambe: « Lo sai che ci sono cose che tu non conosci, e anche io non
so se… ma non voglio stare in gabbia. »
Le
mani di Kisshu si erano spostate per premerle un po’ più decise sulla schiena:
« Mademoiselle Aizawa finalmente
segue un po’ di più l’istinto? »
«
Non vuoi sapere cosa mi dice l’istinto su di te. »
«
Ah, » lui sorrise ancora e strinse appena le dita sul tessuto del vestitino
rosso, « Invece direi di sì. »
Minto
sentì lo stomaco sfarfallare deciso e il cuore salirle fino in gola, spostò
lenta le mani sulle sue spalle e sfregò appena il naso contro al suo, stupita
di non aver ancora dato retta alla vocina nella testa che le gridava di
lasciarsi andare.
«
Sono… due anni e mezzo che… »
Kisshu
sorrise appena, iniziando a sfiorarla con le labbra sulla mandibola, il collo,
l’incavo della spalla.
«
Mi accontento dei baci, » mormorò sottovoce.
Minto
rabbrividì appena alla vibrazione contro la sua pelle: « Sei un bugiardo. »
Lui
ghignò felice, prima di tuffare la mano tra i boccoli corvini per tirarla a sé
e conquistare le sue labbra: « Ne parliamo dopo. »
Si
tirò il lenzuolo sulla testa, sbirciando da una fessura la schiena nuda di
Kisshu che in due salti copriva la distanza fino alla porta e parlottava
amabilmente con uno dei suoi fratelli senza aprirla troppo e rivelare chi si
stesse letteralmente nascondendo nel suo letto.
Lo
sentì ridere, e il cuore le sfarfallò sciocco nello stomaco mentre studiava il
corpo a cui si era aggrappata con trasporto fino a poco prima, il sangue che le
rifluì dispettoso alle guance.
«
Era solo Taruto, » l’alieno diede un giro di chiave e ritornò con un sorriso
verso di lei, lanciando noncurante i pantaloni della tuta di nuovo da qualche
parte per la stanza prima di infilarsi sotto le coperte, « Lui non è il rompiscatole della famiglia. »
«
Meno male che Purin non c’è, » esalò Minto, sollevata, « O non sarei uscita
viva da qui. »
Kisshu
le scostò un boccolo dalle tempie: « Sono un maestro delle fughe, sai. »
«
Ah, immagino – ehi! » la mora si
divincolò con una risata genuina quando lui prese a farle il solletico per il
tono con cui gli si era rivolta.
Quando
riprese fiato, sentì ancora le guance bruciarle per il modo in cui la stava
fissando, rendendosi conto di quanto fosse a suo agio così, pelle contro pelle
senza nient’altro tra di loro. Gli si fece più vicina, chiudendo gli occhi
quando lui le lasciò un paio di baci sulle spalle e sul petto.
«
Potremmo andare da te per il dessert, » mormorò, « Senza nessuno tra le
scatole. »
«
Mh, e io che pensavo fosse solo un antipasto. »
Kisshu
le lanciò un’occhiata tra lo scioccato e il divertito, facendole il verso
mentre si metteva a gattoni sopra di lei: « Ah-ah-ah. Magari mi stavo solo accertando di lasciarti con la voglia di
tornare per il bis. »
Minto
alzò gli occhi al cielo, sotto sotto divertita: « Non sarai mai modesto, tu. »
«
Tortorella, anche tu ti sei dimostrata apprezzativa. »
Rise
di gusto alla sua espressione irritata e le fermò le mani, intrecciando le dita
con le sue, giusto in tempo perché lei non se lo scrollasse di dosso facendolo
cascare a terra, poi le rubò un bacio.
«
Se proprio lo vuoi sapere, » sbuffò divertito e la guardò dritta negli occhi,
compiacendosi del rossore che le continuava a colorare le gote, « Ero anche un
po’ fuori allenamento. »
Minto
alzò un sopracciglio con una punta di scetticismo e lo stomaco che le fece una
capriola: « Dici sul serio? »
«
Vedi che tu non un sacco di cose non le capisci. »
Lei
storse il naso, poi fece scorrere leggera le dita lungo le sue spalle, le
clavicole e il petto, disegnando ghirigori immaginari: « Definisci un po’. »
«
Da prima del compleanno della micetta. »
«
Un mese?! »
«
Lo sai anche tu che è più tempo di così. E tu scusa, quanta pausa hai fatto? »
Minto,
evitando il suo sguardo, borbottò qualcosa di incomprensibile che lo fece
ridere, si ristese accanto a lei e le sfiorò lo zigomo col dorso della mano.
«
Poi a me non interessa, lo sai. »
Lei
annuì, allineando quasi automaticamente il corpo al suo: « Però possiamo…
andarci piano? »
Kisshu
la studiò un istante, continuando ad accarezzarle il volto: « Cosa vuoi fare? »
«
Io… io comunque mi sono appena lasciata e… tu non sai com’è la mia famiglia,
non ci sono mai però pensavano che… e anche le ragazze, non sono tutti al
corrente di certi dettagli quindi… »
«
Non c’è bisogno di fare annunci in pompa magna, » il verde le rivolse un
sorriso comprensivo, prima di lasciarle un bacio sulla punta del naso, « Sappi
però che non ho intenzione di condividerti con altri bellimbusti. »
«
Ovvio che no, » sbottò lei, roteando gli occhi, « La stessa cosa vale per te. »
Un
sorriso dispettoso gli colorò il viso: « Ah, una relazione segreta degna dei
più grandi romanzi. »
«
Sei proprio un imbecille. »
«
La nobile donzella aveva assaggiato il frutto proibito, e ora non sapeva più
come sopravvivere senza! »
«
Kisshu! »
Lui
rise ancora e la strinse a sé, baciandola contento: « D’accordo, passerotto,
ora ti faccio vedere io. »
Minto
ridacchiò e si rilassò nel suo abbracciò, un sospiro che le uscì dalle labbra
quando lo sentì stendersi sopra di lei e sfiorarle le gambe, poi dedicarsi a
quel delizioso punto appena sotto l’orecchio, scendendo un bacio alla volta
verso il suo petto, lambendole leggero con la lingua il seno minuto.
Si
inarcò appena contro di lui, cercò la sua mano ma quella rimase ferma a
disegnarle piccoli cerchi col pollice sul suo fianco mentre la bocca di lui
copriva esaustiva ogni centimetro della sua pelle, apparentemente però
scegliendo la strada più lunga verso dove lei desiderava ardentemente che
andasse.
«
Kisshu, » esalò a voce roca, muovendo ancora il bacino contro di lui, « Cosa
stai…? »
Gli
occhi dorati la fissarono divertiti mentre posava l’ennesimo bacio vicino
all’ombelico e uno nell’interno coscia: « L’hai detto tu che bisogna andarci
piano. »
Lei
si lasciò scappare un singulto e arrossì sotto il suo sguardo, piegando le gambe
per farsi più vicina: « Sei un idiot-ah! »
One year
later
«
Allora ci siamo intesi. »
«
Signorsì, signora. »
«
Davvero, per favore, non ti presentare. »
«
D’accordo. »
«
Guarda che se ti vedo tra il pubblico mi arrabbio. »
«
Rimarrò qua in casa, in pigiama, a fare finta di niente. »
«
Bravo, » Minto si sistemò meglio il borsone di danza sulla spalla, prese un
respiro e abbozzò un sorriso nervoso, « Allora vado. »
Kisshu
le prese dolcemente il volto tra le mani: « Sarai bravissima, » le sussurrò prima
di schioccarle un bacio sulle labbra, « Chiamami quando vuoi. »
Lei
annuì e quasi corse giù per lo scalone d’ingresso; si voltò appena prima di
uscire dall’imponente portone per incrociare il sorriso birbante e gli occhi
dorati, le mute conversazioni cariche di aspettative e assoluta comprensione
dell’altro.
Lo
scroscio degli applausi proseguì festoso anche quando il pesante sipario di velluto
rosso si chiuse di scatto davanti a loro, oscurandogli la vista del pubblico.
Minto fece un respiro profondo, si scambiò uno sguardo di vittoria e felicità
con il suo partner e il resto della compagnia, poi si mise di nuovo in
posizione per il saluto finale. Si inchinò elegantemente un paio di volte
quando fu riaperto il sipario, mano nella mano con il primo ballerino,
raggiante come lei di felicità al vedere la standing
ovation.
Era
stato un successo, non c’erano dubbi, anche meglio dell’anno precedente. Non
poteva essere più fiera di così.
Regalarono
al pubblico un’altra riverenza, prima di sciamare ordinatamente fuori; non
fecero nemmeno in tempo ad arrivare dietro le quinte che Minto si sentì
ingolfata in un abbraccio di gruppo, le risate e le grida di successo che
coprirono il rumore del pubblico. Quasi fu trascinata verso l’uscita senza che
i suoi piedi toccassero il suolo, senza poter smettere di ricambiare nemmeno
lei tutti i sorrisi e i complimenti, sgusciando all’ultimo tenendo molto stretta
la tiara che aveva in testa.
La
prima cosa che vide, non appena aprì la porta che conduceva agli spogliatoi, fu
un enorme mazzo di peonie rosa, sotto al quale spuntava un paio di gambe.
Un
paio di gambe che conosceva molto bene.
Le
guance protestarono affaticate al sorriso che si moltiplicò ancora.
« Ti avevo detto di non venire. »
Kisshu
le fece l’occhiolino e prese una singola peonia dal mazzo, mettendogliela sotto
al naso: « Non potevo certo non venire a festeggiare il successo della mia
tortorella. E poi sono rimasto dietro le quinte, tecnicamente non mi hai visto tra il pubblico. »
Lei
storse il naso al soprannome, così davanti a tutti, poi lasciò che la tirasse a
sé per la nuca, quanto più il largo tutù gli permettesse, e che le rubasse un
bacio mentre lei rideva sottovoce.
«
Mi sa che ho avuto ragione di nuovo. »
Minto
alzò gli occhi al cielo e lo colpì appena sul naso col fiore: « Non vantarti
troppo. »
Kisshu
rise e accennò allo spogliatoio: « Vai. Dobbiamo andare a festeggiare. Paghi
tu. »
Lei
finse di offendersi e scosse la testa, avviandosi veloce lungo il corridoio, i
piacevoli ricordi di come tutto fosse praticamente iniziato lì che l’avvolsero
e la costrinsero a girarsi di nuovo verso di lui per lanciargli un sorriso di
gratitudine, che avrebbe detto molto di più di quanto potesse.
***
(1)
Lungi da me ricordare che episodio esattamente, ma è un riferimento al chimero
che si mangiò il cellulare di Ichigo il giorno stesso in cui lei doveva andare
a un concerto con Masaya (o qualcosa del genere LOL)
(2)
Io la nota la metto per scrupolo, ma non devo ricordarvi che BB8 è l’ultimo
droide di Star Wars, vero? (Ovviamente la rima regge solo in Italiano, ahimè, ma già bassotto in inglese si
dice dachsund, volevo evitarmi di complicarmi la vita
ulteriormente xD)
(3) Rubata spudoratamente da
qua, dalla mente malvagia di Ria, la prima scena
nella mia top three di tutto Crossing <3 Qui
trovate anche la sua illustrazione!
***
Potrò mai io essere soddisfatta dal finale di una ff? è dal 2006 che scrivo ed è dal 2006 che ogni volta la
fine mi fa assai schifo ^^’’ Sarà la maledizione di Stephen King x’D
Ora posso rivelarvi che la genesi di questa ff nasce da uno dei tanti momenti di noia passati con Ria a svarionare su cose come “Ma chi tra i nostri paladini
metterebbe mai le corna, come quando dove e perché?”. Potrei quasi giurare che
sia una discussione di molto tempo fa, negli ancora ridenti anni dell’uni, ma non saprei LOL
Comunque, questo è il risultato, from my side. Ci ho messo circa sei mesi a scriverla, ma chi
mi segue su FB sa che il 2019 ha avuto un inizio faticoso :3 Spero che per voi
ne sia valsa la pensa e che sia tutto IC e in qualche modo “giustificato”.
Lungi da me “discolpare” i tradimenti, eh, sia chiaro, ma ognuno è diverso,
ognuno vede le cose a modo suo e questa rimane una ff,
quindi non me ne vogliate troppo x’D Io rimango
dell’idea di chi rompe paga e i cocci sono suoi LOL
La frase iniziale viene da Hungry
Eyes di Eric Carmen, tratta direttamente dalla
colonna sonora di Dirty Dancing e di cui io lo so un giorno scriverò un’altra
storia LOL
Grazie mille a chi è passato nel capitolo precedente
– come promesso non vi ho fatto aspettare troppo ;)
Bacioni a tutti e buon weekend!
Hypnotic Poison