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Autore: Shakethatangstforme    07/06/2019    0 recensioni
Raccolta delle fanfiction che scrivo per la "A Stucky a Day Challenge", indetta nel gruppo Facebook "till the end of the line - Steven Rogers / Bucky Barnes - Stucky"
Ogni giorno un modo diverso per parlare dell'amore che c'è fra Steve Rogers e Bucky Barnes.
Da una delle OS: [...] A volte Bucky è convinto che tutti gli altri sappiano che lui è completamente innamorato di Steve, lo confida allo stesso che risponde con un semplice: “Pensi che si mettano contro Captain America?” [...]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Possibili spoiler di Endgame alla fine della storia
 
Bucky ha conosciuto più stanze di quelle che vorrebbe.
 
La prima, quella in cui è nato – anni quaranta a Brooklyn, una stanza che lo ha visto crescere fino a diventare adulto. Lì ha giocato, riso, pianto, ha condiviso lo spazio con i propri fratelli. Lì si è reso conto di essere innamorato.
In quella stanza, in quei pochi momenti in cui riusciva a ritagliarsi uno momento di privacy, Bucky ha scoperto cosa significava passare ore a letto con la persona che si ama, lì, disteso accanto a Steve, sorridendogli in modo quasi stupido, per quanto era dolce, tenero, in adorazione. Quella stanza che ricorda baci, carezze e promesse di rimanere insieme a qualunque costo.
 
Bucky non ci è mai più tornato.
 
Poi arriva l’esercito, l’addestramento, le sveglie nel cuore della notte per imparare a essere sempre all’erta. Non era una stanza personale, quella, è il luogo in cui dormiva – effettivamente l’unica cosa personale, lì, è un disegno dove Steve ha ritratto uno dei loro baci. È sempre nascosto, quel disegno, per il timore che qualcuno possa vederlo e non capire che non c’è devianza, in quel bacio, ma solo amore, un amore che Bucky non ha mai provato prima e che la lontananza non fa altro che rendere più forte - Bucky tornerà da Steve, sempre.
 
Ma è Steve ad andare da Bucky, quella volta.
 
Bucky non sa neanche di preciso quanto tempo passa in quella cella, circondato dai propri compagni, costretto a lavorare fino a quando non si regge più in piedi. 
Ma poi arriva la stanza e, onestamente, Bucky tornerebbe volentieri ai lavori forzati. Quella è pura tortura, digiuni prolungati, o assenza di acqua, o entrambi, dolore fisico, elettricità, gli iniettano chissà cosa e a Bucky sembra di stare impazzendo.
Cerca di ripetersi chi è, dietro gli occhi cerca di ripescare quelle immagini che sembrano essere l’unica cosa che lo ancorano alla realtà: abbracciare Steve, un sorriso di sua madre… ogni secondo che passa, però, è come se venisse costretto ad allontanarsi da questi ricordi.
Ma poi sente quella voce che dice il proprio nome e Bucky per un istante crede di starselo immaginando. Steve?
 
Bucky Barnes, a quel punto, impara a condividere lo spazio con Captain America.
 
A volte Bucky è convinto che tutti gli altri lo sappiano che lui è completamente innamorato di Steve, lo confida allo stesso che risponde con un semplice: “Pensi che si mettano contro Captain America?”, che fa effettivamente ridere un po’ Bucky, che risponde: “Penso che il siero abbia amplificato anche la tua voglia di farti picchiare, Rogers”, riceve un verso divertito in risposta – è un momento di pace in una guerra che sembra non finire mai, attorno a loro, quindi Bucky si fa bastare questa idea, appoggia la testa sulla spalla di Steve e insieme passano la notte seduti fuori a fare la ronda.
 
Tuttavia, Bucky perde Steve.
 
E pensa di averlo perso per sempre. Sente ogni osso rotto, dolori lancinanti nel corpo e il desiderio di essere morto sul colpo, piuttosto che sentire questa agonia. Non riesce a muoversi, sente troppo sangue uscire. Panico.
Da quel momento in poi il vero Bucky Barnes desidererà essere morto ogni giorno, piuttosto che sopportare quello a cui lo sottopongono.
C’è una stanza, quando si sveglia, troppo luminosa, abbastanza da rendergli difficile aprire gli occhi, per un momento immagina che troverà Steve, preoccupato e innamorato come lo ricorda. Ma non è così.
Sergente Barnes. Una voce sconosciuta, un accento che non è sicuramente quello americano, ma c’è troppa luce, Bucky si rende conto di provare troppo dolore per potersi muovere e reagire.
E poi il panico, si sente bloccare, sente un rumore a lui sconosciuto avvicinarsi, elettrico, spalanca gli occhi realizzando che il braccio sinistro non poteva muoverlo perché non esiste più, poi urla, solo urla, dolore che sembra eterno, tanto da farlo svenire – purtroppo, dice una voce nella sua testa, non è morto in quell’occasione.
 
Bucky si sveglia e realizza di essere diventato una cavia da laboratorio.
 
Realizza anche di non aver saputo fino a quel momento cosa volesse dire tortura.
È una stanza buia, che si accende solo quando lo trascinano su quella sedia, quella in cui l’HYDRA uccide Bucky Barnes.
Parole, urla, preghiere di un ragazzo che non ce la fa più, tanta, tantissima ribellione, la tremenda consapevolezza che nessuno lo cercherà mai, neanche Steve, l’ultimo viso amico che ha visto nella sua vita, pensa. L’ultimo che vedrà mai, Bucky pensa che morirà lì.
 
E poi l’HYDRA decide di farlo vivere nel ghiaccio.
 
In quei momenti Bucky Barnes è stato annientato. Non è rimasto niente. Dentro la testa solo le voci dell’HYDRA, il russo, una lingua che il vero Bucky non aveva mai neanche pensato di imparare.
Ma a quel punto Bucky non esiste. L’HYDRA ha creato il Soldato d’Inverno, un perfetto schiavo armato, privo di emozioni, pensieri e memorie. Un soldato che di proprio non ha niente se non una stanza, una cella, dove l’HYDRA lo congela regolarmente, quando non ha bisogno di lui – trattato alla stregua di un oggetto.
 
Eppure, quell’assassino dagli occhi privi di emozioni incontra Steve Rogers e per la prima volta dopo anni sente.
 
Perché Il soldato d’inverno sa che in qualche modo lui quell’uomo lo conosceva, non importa cosa dicano i dottori o quante volte viene colpito perché chiede, lui lo conosceva e il calore che questa consapevolezza porta al proprio cuore è talmente bello che non vuole dimenticarlo, ci si aggrappa in modo disperato. Riportatelo a zero.
Ma certe persone sono semplicemente troppo importanti per poter essere dimenticate e quando Bucky rivede Steve torna a combattere con tutta la forza che settant’anni di torture gli hanno lasciato, per riaverlo indietro.
Sarò con te fino alla fine, e il Soldato d’Inverno viene messo all’angolo, incapace, per la prima volta, di completare una missione. Decide, in quel momento, di fuggire da un destino chiuso in una stanza di ghiaccio e cercare di ritrovare sé stesso. Chi diavolo è Bucky?
 
La persona che fugge, però, non è né il Soldato d’Inverno, né Bucky Barnes e allora corre cercando di capire chi è davvero.
 
Quella persona, giorno dopo giorno, anno dopo anno, impara qualcosa di nuovo su sé stesso. Tenta disperatamente di ritrovare una propria identità.
Vive in una casa quasi fatiscente, eppure lui ne è fiero per come, nelle piccole cose, quella casa è piena di dettagli scelti da Bucky. Il materasso dove lui pensa sia meglio, il frigo con il cibo che a lui piace, gli snack che ha deciso essere i suoi preferiti, persino un paio di libri che, in ricordi lontani, ricorda essere i suoi preferiti. Ma è ancora vago, poco stabile, eternamente in conflitto con sé stesso.
 
Ed è per questo che, anche se ritrova Steve, decide che è meglio tornare in quella stanza di ghiaccio.
 
Steve non era d’accordo, ha pregato in tutti i modi di cambiare idea, ho bisogno di te, Buck. “Esatto! Tu hai bisogno di Bucky, Steve e… e io non lo sono, io sono pericoloso”.
Steve ha sofferto troppo a causa sua, non può rischiare che delle stupide parole lo mettano di nuovo in pericolo.
Ma lì sono in Wakanda, Bucky ammira quel posto e la serietà con cui Shuri gli parla, gli assicura che troverà un modo di togliergli tutte quelle cose dalla testa – troverà il modo di aggiustarlo, in parole che userebbe lui.
 
E quando è pronto, Bucky si ritrova a sorridere sentendosi bene, lì, in Africa.
 
La prima persona che chiede di sentire è, ovviamente, Steve e Bucky è grato al re T’Challa quando lascia loro privacy. Steve lo stringe in un abbraccio forte, Bucky poggia la testa sulla sua spalla, sorpreso di vedere la barba sul volto dell’uomo, ma non infastidito, con l’unica mano stringe il tessuto della maglietta che Steve indossa come se non volesse farlo andare più via. Steve gli permette di allontanarsi, così da guardarsi negli occhi, ma non lo lascia, gli passa le mani fra i capelli sempre più lunghi, si sorridono. Bucky bacia Steve, un bisogno al pari di quello per l’aria.
Steve rimane un paio di giorni, T’Challa li invita al palazzo, Bucky mostra un po’ a Steve la città, che prima Shuri ha mostrato a lui, gli mostra il posto in cui vive, quella stanza in mezzo alla natura dove Bucky ammette di sentirsi libero, finalmente. E Steve ne è così felice.
 
Ma non dura così a lungo, questa felicità ritrovata.
 
Bucky è stanco, non vuole più combattere, vorrebbe poter semplicemente vivere la propria vita, potendo, si libererebbe anche del siero del super soldato – forse è per questo che non ha chiesto un braccio, non ne sentiva il bisogno, non quando è in una terra, libero, dove ha iniziato a conoscere le persone, dove queste lo rispettano e gli hanno dato persino un soprannome. Lupo bianco è molto meno militare di Soldato d’Inverno.
Ma, nonostante questo, Bucky non potrebbe mai rifiutare di affiancare Steve in battaglia. E allora si lascia impiantare un nuovo braccio, si lascia dare una nuova divisa e una nuova arma ed eccolo lì, pronto a seguire di nuovo quel ragazzino di Brooklyn che non sa tirarsi indietro dalle battaglie.
Ma Steve glielo promette, dopo quella volta si rifaranno una vita insieme, quella che gli era stata negata tanto a lungo.
 
L’ultima cosa che ricorda di quella battaglia, Bucky, è Steve.
 
Semplicemente, a un certo punto, Bucky cessa di esistere e, davvero, a quel punto lui non vuole. Non ora che ha ritrovato Steve, non ora che possono stare assieme. Bucky lo guarda un’ultima volta e vorrebbe correre da lui, baciarlo e sentirsi dire che andrà tutto bene, ma non è così, perché Steve non ha neanche il tempo di rispondergli.
 
Ma come cessa di esistere, Bucky torna, lì, sul suolo Wakandiano, confuso e senza Steve.
 
Bucky lo chiama, cerca in quella natura che aveva tanto apprezzato, trova Sam, trova T’Challa, ma lui non c’è. Non capiscono cosa stia succedendo, almeno finché non arriva un tipo che non ha mai visto, Strange dice di chiamarsi, che spiega tutto in modo parecchio veloce, comunica loro che il Capitano ha bisogno di voi. E Bucky va, come non potrebbe.
L’ultima battaglia, si dice, e questa ha intenzione di vincerla. Non sarà lui a salvare il mondo, ma lui vuole continuare a viverci, con Steve.
 
Ed alla fine, nonostante le perdite e i sacrifici, è quello che succede.
 
Lui e Steve tornano insieme a New York, decidono di prendere casa lì in modo da poter tenere d’occhio gli Avengers, aiutarli, in caso di bisogno. Steve ha ceduto il titolo di Capitano a Sam.
E dopo mesi, quando Bucky si guarda introno, vede una stanza piena di libri che gli piacciono, film, cd, le coperte che ha scelto, e, lo sa, quella è proprio la stanza di Bucky Barnes e lo è perché è anche quella di Steve Rogers, se lo sono promessi e Bucky non ha mai smesso di crederci, staranno insieme fino alla fine.
   
 
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