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Autore: Enchalott    13/06/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disperato rimpianto.
 
Sì, il luogo in cui si trovava era come un carcere, isolato persino dai rumori più comuni. Quel silenzio e quella solitudine non lo disturbavano eccessivamente. Anzi, talvolta erano una sorta di nicchia in cui rifugiarsi.
La vera prigione, quella che lo devastava interiormente, se la portava dentro: dunque non avrebbe potuto liberarsene in alcun modo, se non con una ferma presa di coscienza. O di responsabilità: era ciò che stava mirando a compiere in quei giorni interminabili, senza evidenti risultati. L’unica cosa che aveva compreso di sé, spingendo i pensieri sul trascorso, lo aveva riempito di sgomento.
Paura… carenza… forse addirittura invidia.
Shion passò le dita sul Diadema e, come al solito, le Tre Gemme non risposero al suo tocco, limitandosi a baluginare indifferenti alla luce rossastra del fuoco acceso.
Il suo iniziale desiderio di essere d’aiuto a Elestorya si era alterato, mutandosi in qualcosa di marcio e irrimediabile: era stato come se ne avesse perso il controllo, come se non fosse più stato lui a guidare la propria volontà, ma il contrario. Eppure, avrebbe soltanto voluto proteggere la sua terra.
Non avrebbe potuto scaricarsi la coscienza attribuendone tutta la colpa al Nemico. Sarebbe stato troppo semplice. Il tempo, fisico e spirituale, di fuggire era terminato.
L’inizio della sua fine si perdeva negli oscuri recessi della memoria e si faceva nebbioso, quasi la sua mente si stesse ancora strenuamente difendendo dal peso di un errore troppo oneroso.
Ricordava di aver compiuto di sua iniziativa delle ricerche sulla Profezia, per non restarsene con le mani in mano, inviando una richiesta d’appoggio al Nord, ancor prima che sua madre lo facesse chiamare per comunicargli che il momento fatale, descritto dai testi sacri, era giunto. Che avrebbero dovuto scegliere il campione del Regno, per intraprendere la missione che era poi toccata a Adara.
Lui non era stato interpellato per gareggiare, trattandosi di un compito non annoverato tra quelli del successore. Anzi, a causa della prolungata assenza del reggente, era risultato imperativo che Shion diventasse il nuovo punto di riferimento del Sud. Era fuori questione per lui lasciare il palazzo, in quanto erede della casata.
Per la stessa ragione non aveva potuto partire con suo padre e, quando aveva osservato la delegazione da lui guidata uscire dalle mura di Erinna, gli era franata la terra sotto i piedi. Aveva perso l’unica occasione per allontanarsi dalla capitale, dalla reggia, dalle sue stanze, dal fallo che aveva commesso pur con tutte le buone intenzioni. L’unica per confidare a Stelio che cosa lo stesse attraversando nell’intimo, la sua frustrazione, la sua scelta azzardata e infausta. Era rimasto schiavo delle proprie paure, del proprio senso di inadeguatezza, della propria fragilità.
Sovrastato, esattamente come lo era in quel frangente.  
Il cammino lo aveva intrapreso sua sponte, ma poi era stato infilato a forza in un vicolo cieco e allora sì, sì che aveva davvero creduto alla rovina descritta dalla Profezia, alla sua ineluttabilità, alla necessità di agire anche contro il comune buon senso, in gran segreto. E a quel punto non aveva più parlato con nessuno, con nessuno… neppure con Dionissa che, forte nel Kalah, aveva iniziato a intuire qualcosa, aveva letto un disagio abissale nel suo profondo e gli aveva fatto visita, cercando di farlo sentire meno solo, meno debole, meno… l’uomo che era.
Invece, lui bruciava di senso di colpa e basta. L’affetto sincero della sorella lo aveva fatto sentire sporco e riprovevole. Una descrizione calzante, comunque, perché così era.
La risposta alla sua missiva primaria era giunta dopo qualche tempo da Jarlath, ma non tramite uno strik. E neppure con un messaggero umano.
Si era materializzata davanti al suo scrittoio, come se fosse stata evocata dalle pagine ingiallite su cui stava lavorando, terrificante e suadente come l’ultima speranza, nera come l’inchiostro di kafri.
Il Nemico.
Quello che non aveva nome e lo aveva trascinato lì dove ora si trovava, in quella gabbia dorata, lontano da Elestorya e lontano anche dalla morte che aveva bramato per sé come una liberazione.
 
Quel giorno, la creatura composta d’ombra e malvagità non lo aveva risparmiato. Le sue lusinghe avevano fatto presa su di lui e sulla sua anelante volontà di agire. Gli aveva chiarito che la Profezia si sarebbe attuata e che sarebbero morti tutti, in quanto troppo ciechi per scorgere l’unica via di fuga. Quella che l’essere conosceva.
Solo Shion, evidentemente, aveva compreso come sfuggire a quel destino letale e, dunque, il Nemico lo avrebbe aiutato, anzi si sarebbero dati un appoggio vicendevole. Avrebbero stretto un patto inviolabile.
Certo, il principe avrebbe potuto rifiutare in tutta libertà, scegliendo di non operare in favore dei suoi cari e della sua amata terra, rimanendo fermo e superfluo come gli stavano imponendo di fare a corte; il Nemico sarebbe sparito per sempre dalla sua vista, rischiando il tutto per tutto eroicamente, senza più importunarlo.
Ma se avesse accettato, Shion avrebbe dovuto stare alle sue condizioni, persino a quelle più dure, altrimenti tutto sarebbe andato evidentemente in fumo.
Ciò che gli sarebbe stato richiesto avrebbe potuto apparire severo e ingiusto, ma la salvezza di tutti era più importante delle esigenze dei singoli.
 
Anche in quel momento, fissando il soffitto a cassettoni intarsiati, il giovane credeva fermamente a quanto l’essere oscuro gli aveva raccontato: che era a conoscenza degli eventi di millenni prima non per sentito dire, ma perché ne era stato testimone diretto. Dunque, chi meglio di lui avrebbe saputo cogliere il momento decisivo per evitare la dannazione dell’universo? Shion era ostinatamente sicuro che quella creatura pericolosa avesse la stessa età del cosmo e sapesse più cose di tutte le veggenti dei due Regni messe insieme. Era parte del male intessuto nell’esistente.
Adesso come allora. Infatti, aveva accolto la proposta. Cioè siglato la propria condanna. Shion non era un predestinato, si era solo illuso di esserlo.
Un sorriso triste gli si disegnò sulle labbra. Gli occhi nocciola si riempirono di lacrime.
Il Nemico sapeva piegare bene le parole, nuove e antiche.
Chissà che non lo avesse fatto anche al tempo in cui Amathira aveva maledetto Irkalla… non ci sarebbe stato alcunché di stupefacente.
 
Per prima cosa, l’essere ignobile gli aveva imposto di non rivelare a nessuno la sua esistenza, poiché i suoi avversari aspettavano che si manifestasse per poterlo intralciare. Senza di lui, la Profezia avrebbe seguito il suo percorso e il principe non avrebbe dovuto pensare neppure per un istante di potercela fare da solo. Sarebbe stato fantastico apparire su un cavallo bianco come l’eroe di turno; ma quelle erano le storie che si leggevano sui libri d’avventura, ovviamente diverse dalla realtà. Il riserbo era tassativo.
Era stato molto convincente, era venuto da sé promettergli fedeltà e silenzio. Un silenzio ben più greve di quello che lo circondava nella sua lussuosa cella.
Poi, gli aveva spiegato che il Kalah di sua sorella era un’arma a doppio taglio: sicuramente era utile per interpretare i presagi e il futuro, ma qualunque creatura dotata di poteri avrebbe facilmente piegato le visioni della ragazza a proprio vantaggio, inserendo degli elementi fuorvianti e fasulli per i propri loschi fini. Gli aveva dimostrato la veridicità di quella teoria, penetrando nei suoi sogni la notte stessa e terrorizzandolo con lo scenario apocalittico che avrebbe abbattuto il creato intero.
Pertanto, avrebbe dovuto fare in modo che il dono di Dionissa restasse ovattato e nebuloso, onde evitare di spalancare una porta a chi desiderava che la Profezia si compisse in modo sfavorevole.
 
Shion si raddrizzò, sedendosi sul letto con il viso tra le mani. Aveva eseguito l’ordine e gli risultava impossibile perdonarsi.
 
Approfittando delle sue amorevoli visite, aveva somministrato a Dionissa ogni giorno quel miscuglio di erbe sconosciute, che aveva inibito la sua visione.
Poi la principessa si era ammalata gravemente: Shion era precipitato nel panico più totale ed era stato attanagliato da un insopportabile senso di colpa.
Il Nemico gli aveva garantito che il problema di salute della sorella non dipendeva assolutamente dal preparato, ma che era frutto di una magia arcana e oscura, su cui avrebbe indagato personalmente. Che era sintomo della Profezia e del creato incanalato verso la sua perdizione definitiva.
Ma le certezze di Shion si erano incrinate, non aveva più prestato fede al suo terrificante alleato e si era rifiutato di continuare il gioco. Non così. Non con sua sorella, che gli aveva sempre voluto bene e stava lentamente morendo.
 
Le lacrime presero a scorrergli sulle guance, rivelando la sua immensa vergogna e il suo profondo rimorso. L’orrore di sé lo sovrastò.
 
Era stato in quel momento che l’essere spregevole gli aveva riso in faccia, chiarendogli che, a quel punto, non avrebbe più potuto tornare indietro neanche volendolo. Con ciò che era stato compiuto, con il suo silenzio, con la sua condotta sarebbe passato per un traditore e come tale sarebbe stato giustiziato, perdendo l’occasione di fare qualcosa di buono. Sarebbe stato il solito vigliacco che tutti conoscevano. Perché non aveva la pazienza di attendere e l’intelligenza di seguire le istruzioni che gli venivano impartite. Eppure, aveva giurato. Forse, per lui la parola data non aveva valore?
Il principe aveva avvertito le maglie della rete in cui era caduto serrarsi su di lui. Non era stato in grado di reagire, la sua debolezza d’animo aveva nutrito un rivale ancora più abietto del Nemico in persona. Aveva generato uno Shion irriconoscibile ed esecrabile, un uomo che nessuno avrebbe mai assolto. Lui stesso, in primis, non era in grado di perdonarsi, perché gli altri avrebbero dovuto?
 
A meno che non riusciamo davvero a salvarci tutti.
Quella possibilità gli risuonava nuovamente in testa come il ritornello di una filastrocca per bambini.
In quel caso, aveva abilmente affermato l’essere oscuro, nessuno avrebbe inteso le sue azioni come negative, anzi…
Gli aveva messo in mano l’ampolla blu, quella che conteneva il veleno.
Se lui lo avesse saputo, l’avrebbe bevuto all’istante e con gioia estrema sarebbe morto. Non gli era stato concesso neppure quello.
Lo aveva passato alla dama di compagnia di Dionissa con la certezza di non nuocere, ma il Nemico aveva colto l’occasione per far cadere la colpa dell’omicidio sugli Aethalas e l’aveva semplicemente usato per i suoi fini. Come da quando si erano incontrati. Come Shion non aveva avuto il fegato di ammettere.
Aveva assistito inerme all’agonia di quella donna innocente, che per puro caso aveva preso il posto della principessa, e non aveva più retto. Aveva abbandonato tutto, rinunciato a ciò che ancora costituiva il vile principe di Elestorya.
E aveva nuovamente sbagliato.
 
Il principe posò il Diadema sul tavolo, allontanandolo bruscamente.
Il Nemico lo bramava con cupidigia e lui era stato così stupido da finirgli in bocca portandoselo dietro. Pensò di gettarlo nelle fiamme del focolare e lo afferrò tra le dita.
“Se fossi in voi non lo farei, altezza”.
Il suono del buio.
Quella era l’unica definizione adatta alla voce che fuoriusciva dal manto di tenebra della creatura che lo aveva catturato.
Maledizione.
Shion lanciò il manufatto nel fuoco con un gesto di sfida.
La creatura sollevò una mano scarna e spettralmente diafana e la sua magia proruppe inesorabile.
Il giovane fu scagliato all’indietro contro la parete di pietra. Il potere arcano lo tenne inchiodato lì, togliendogli il respiro e facendolo avvampare di dolore.
Gridò con la certezza che nessuno lo avrebbe udito e che quel supplizio sarebbe durato proporzionalmente alla misura di scelleratezza dell’azione che il Nemico riteneva avesse commesso.
Senza tuttavia togliergli la vita.
Quando la creatura ritirò il braccio nella lunga manica, Shion non aveva più forze e non era in grado di articolare alcun segnale senza provare sofferenza.
Invece, il monile era come prima.
“Pessima scelta” commentò il Nemico, asettico “Potete far liquefare il metallo, ma le Gemme non possono essere distrutte da una semplice fiamma. Pensavo l’aveste compreso. O forse era solo un puerile tentativo di cercare la morte?”.
Shion si rialzò, reggendosi a fatica, strizzando le palpebre per lo sforzo.
“Il reggente del Nord non è ancora rientrato e, sinceramente, non riesco a motivare la sua lunga assenza. Ma non è importante. In base a questo hai ancora qualche giorno per riflettere su ciò che ti ho ordinato. Te lo ricordi, vero?”
Gli occhi di brace vermiglia arsero minacciosi e spietati sotto la cappa nera, in attesa di un retorico riscontro.
Il principe annuì, in cerca d’aria.
“Anthos non deve assolutamente sapere che noi abbiamo agito insieme. Se gli fornirai anche inconsapevolmente qualunque indizio sul nostro piano, sai che cosa ti sarà riservato. Vale anche per tua sorella, ovviamente”.
“Sì” rantolò Shion, privo di accenti.
Il Nemico parve soddisfatto e iniziò a sciogliersi nell’ombra della stanza.
“A-aspetta, ti prego…”
Il flusso di tenebra si arrestò.
“Dimmi di lei, ti scongiuro…”
“Se parli di Adara, ci penserà il reggente ad accoglierla” rispose con freddo e disumano divertimento “Della veggente non so più nulla da quando tu hai pensato bene di trasferirti qui”.
Sparì, lasciandolo nella più assoluta disperazione.
 
 
Stelio agganciò il mantello alle fibbie sulle spalle, guardandosi nella specchiera girevole che occupava un angolo della sua tenda. Pareva che la preoccupazione dipinta sul suo viso fosse destinata a durare in eterno: per il Sud, per la sua amata Eudiya, per i loro figli, per tutto ciò che era il suo mondo, quello che avrebbe voluto proteggere a qualsiasi prezzo.
Quella mattina era stranamente fredda, considerando che la tribù aveva stabilito il campo in pieno deserto e che neppure di notte, in quella zona, le temperature scendevano sotto lo zero.
Uscì all’aperto e l’aria frizzante lo investì, facendogli socchiudere gli occhi verdi.
Sia le sue guardie sia i due arcieri Aethalas si inchinarono rispettosamente. L’assenza di Kendeas gli risultava ancora non familiare, nonostante Varsya avesse acconsentito a lasciarlo andare via già da circa una settimana.
Incollandogli alle costole sua figlia Phylana, ovviamente.
Il reggente aveva accettato il compromesso, ma avrebbe preferito che il suo generale fosse rientrato da solo ad Erinna. Si augurava che la presenza della ragazza non fosse una trappola, ma certo Kendeas non si sarebbe fatto ingannare da una ragazzina.
Il cielo era nuvoloso. Non erano i piccoli cumuli spumeggianti che talvolta percorrevano l’azzurro sopra le dune di sabbia dorata; erano strati grigi e uniformi, che non lasciavano intravedere il sole. In quella luce schermata e malinconica il deserto pareva incolore.
Raggiunse il centro dell’accampamento, dove Varsya lo attendeva per la colazione, come ogni giorno da quando era stato garbatamente trattenuto lì.
Anche il volto del portavoce degli Aethalas era scuro e inquieto.
Stelio pregò che non fossero altre pessime notizie provenienti dalla capitale ad angustiare così pesantemente l’uomo.
Lo guardò con espressione interrogativa e pressante.
“Questo freddo è molto più che inusuale” disse Varsya, interpretando le elucubrazioni del reggente “Stanotte l’oasi è ghiacciata. Giuro che non avevo mai riscontrato prima un fenomeno tanto atipico. Gli esploratori me ne avevano parlato, ma non è come assistervi di persona. Venite, ve ne prego”.
Il sovrano aggrottò la fronte, ma lo seguì verso lo specchio d’acqua limpida incastonato tra le dune.
La superficie azzurro acciaio stava lentamente tornando allo stato liquido, ma alcuni frammenti congelati galleggiavano ancora, urtando la riva sabbiosa.
Stelio li fissò con sincera apprensione.
“La Profezia si sta compiendo, vero?” domandò mesto, mentre il suo cuore volò di nuovo verso Erinna, là dove avrebbe dovuto essere.
“E’ così. Mi auguro che vostra figlia Adara riesca a trovare nel principe del Nord un valente alleato. O sarà davvero la fine di ogni cosa che amiamo”.
Il reggente lo squadrò con severità.
“Io, invece, auspico che tuo figlio non le pianti una freccia in corpo” ribatté senza mezzi termini “Avete una certa tendenza all’accusa di tradimento non suffragata da prova alcuna, ultimamente”.
Varsya abbassò lo sguardo, ancora più amareggiato.
“Narsas non è un assassino, credetemi…” mormorò grave.
Lo pronunciò con una tristezza e una rassegnazione tale che Stelio si sentì quasi in difetto per essere stato tanto aspro.
Il bailye lo invitò gentilmente a proseguire la camminata lungo la sponda semi congelata dell’oasi, facendo parimenti cenno agli arcieri di restare indietro, in modo che non potessero ascoltare i loro discorsi privati.
“Mio figlio si è unito ai vostri nel viaggio per il Nord con la certezza indiscutibile che non sarebbe mai più tornato. L’ha fatto perché ha un forte senso del dovere, ma non solo” proseguì, quando furono lontani da orecchie indiscrete “Non c’è stato modo di dissuaderlo, ha voluto prendere su di sé il carico di questa missione, nonostante il mio parere contrario”.
“Che cosa intendi?” domandò il reggente, sorpreso.
Il portavoce degli Aethalas sospirò, scuotendo dolorosamente il capo.
“Anche voi, mio signore, siete un padre. Ho visto la vostra reazione, quando avete ricevuto la notizia della scomparsa del principe Shion e del tentato omicidio della principessa Dionissa. Eravate fuori di voi, a buon diritto. Perciò, potete immaginare il mio stato d’animo, quando ho visto Narsas allontanarsi in solitudine da questo fazzoletto di deserto per adempiere ad un incarico estremo e pericoloso, sapendo che probabilmente non l’avrei mai più rivisto…”
“Perché parli in questo modo, Varsya? Non è detto che il ragazzo fallisca… Anzi, mi aspetto sinceramente che riesca a smascherare il vero traditore, com’è giusto che sia! Che risulti un compagno fidato per la mia Adara…”.
“Vi ringrazio, sire. Sulle sue attitudini di arciere e sulla sua capacità di giudizio non nutro alcun dubbio. Ma vedete… lui è partito per devozione alla sua tribù, alla Profezia e al suo ruolo… ma anche per espiare una colpa che ritiene di avere commesso. E reputa di poterlo fare solo a prezzo della propria vita”.
Stelio si fermò, turbato, e afferrò il bailye per le spalle, rinunciando a tutte le formalità del rango e guardandolo negli occhi, da uomo a uomo.
“Parla chiaro, Varsya. Non te lo chiedo come re, ma come amico. Se mio figlio avesse in testa un’idea del genere, quale che ne fosse la sacrosanta ragione, lo incatenerei nelle segrete piuttosto che lasciarlo allontanare! Che cos’è successo?”.
“Niente di tutto questo ha a che fare con la spedizione guidata dalla principessa, non preoccupatevi. Riguarda la mia famiglia e non inciderà in alcun modo su…”
“Non me ne importa niente!” esclamò il reggente, scrollandolo con impeto “Allora?!”
L’uomo si afflosciò, come se avesse improvvisamente perso tutte le energie, tutte le ragioni per continuare a tacere, tutte le maschere forzatamente indossate per apparire sereno e si sedette pesantemente su un ceppo a bordo riva, con la testa fra le mani, disperato.
“Narsas aveva solo otto anni, quando ha perso la madre. Purtroppo, mia moglie ci ha lasciati troppo presto… se n’è andata mettendo al mondo Phylana e, dopo diciotto anni, io non riesco ancora a farmene una ragione”.
“Capisco” sussurrò Stelio, avvertendo un brivido.
Anche lui aveva sperimentato il terrore di poter perdere Eudiya la notte in cui era nata Adara, quella con la luna di sangue, quella dove il Kalah aveva parlato e solo il Crescente aveva riportato la speranza.
“Mio figlio le ha giurato che si sarebbe occupato della sorellina in sua vece e così ha fatto. Ha sempre considerato Phylana come l’ultimo dono di sua madre e non come la causa della sua prematura scomparsa. Come qualcosa di prezioso e unico”.
“Questo gli fa onore” commentò il reggente, ammirato.
Varsya annuì, passandosi stancamente una mano tra i capelli.
“Non ha mai mancato alla sua promessa, i miei due ragazzi sono sempre stati molto legati, sebbene con due temperamenti completamente diversi. Narsas è riflessivo e pacato, invece Phylana è impulsiva e testarda. Forse è una mia mancanza, forse non sono stato abbastanza severo con lei e le ho concesso troppo… mi rammenta così tanto la donna che ho amato e perduto…”
Il reggente sentì il magone crescere, ascoltando quella sofferta confidenza e riconoscendosi in una situazione sfiorata e ancora spaventosamente possibile.
“Ho raccomandato più volte a Narsas di considerare il fatto che Phylana era una fanciulla e non un guerriero… mi sono anche adirato quando ho scoperto che le stava insegnando a tirare con l’arco, perché già mi figuravo che si sarebbe cacciata nei guai, a furia di comportarsi come un maschiaccio e con quel suo caratterino ribelle. Ma mai avrei immaginato… mai, credetemi mio signore…”
Stelio si abbassò e strinse saldamente l’avambraccio del bailye, per fargli percepire la sua comprensione e la sua vicinanza.
“Anche Adara ha voluto imparare a cavalcare e a tirare di spada, io stesso le ho insegnato i primi rudimenti. È sempre stata coraggiosa e determinata, come sua madre. In questo non ho scorto nulla di male… finché non l’ho saputa in viaggio, lontana da Erinna, con il destino dei due Regni sulle spalle. Da allora, ogni maledetta notte mi domando se io le avessi negato l’addestramento, se l’avessi convinta a dedicarsi ad altro, se fossi stato meno indulgente, probabilmente ora sarebbe a palazzo, al sicuro. Ma sarebbe ugualmente felice?”.
Varsya annuì, commosso.
“Tu dici che abbiamo entrambi sbagliato?” ragionò Stelio.
“Si dice che l’amore non sbaglia. Forse, quando è troppo, al contrario…”
“Non vuoi raccontarmi il seguito? Perché Narsas si sente in fallo? Ha solo mantenuto la parola data e ha fatto in modo che sua sorella crescesse forte e serena” incalzò il re “Qual è la ragione che ti addolora?”
“Perché gli dei non pensano come gli uomini, mio signore”.
“Mi pare che qualcuno mi abbia inciso questo detto a fuoco nel cuore, infatti”.
Varsya attese un istante prima di proseguire.
“Voi avete mai sentito parlare degli Anskelisia?”
Il reggente spalancò gli occhi nell’udire quel nome.
“Certamente! Gli angeli del deserto! Un titolo tanto poetico per definire una banda di predoni, di rinnegati che vivono ai danni di noi tutti. Sono un flagello per tutto il Regno! Detesto non essere ancora riuscito a sgominarli, ma paiono inafferrabili!”
“Gli Anskelisia sono antichi come questa sabbia, sire” concesse il portavoce degli Aethalas “Non crucciatevi. Finché ci saranno le tribù e, conseguentemente, qualcuno che opterà per condurre un’esistenza scellerata e sregolata, i sedicenti angeli del deserto esisteranno sempre. Non dipende affatto da voi, ma dalla natura umana”.
Stelio, tuttavia, strinse i pugni, avvertendo il peso della propria corona. Quei briganti erano una macchia infamante su Elestorya.
“Purtroppo” continuò Varsya “Phylana non ha considerato i rischi del deserto e si è messa in pericolo a causa della sua avventatezza. Si è allontanata da sola dell’accampamento, per allenarsi di nascosto con l’arco e gli Anskelisia l’hanno trovata. Ha provato a nascondersi, ma potete immaginare le risorse di una ragazzina contro la scaltra esperienza di quei banditi. Anzi, non mi sorprenderei se l’avessero tenuta d’occhio già da tempo… così giovane, così bella…”
Il reggente sentì una morsa allo stomaco e inevitabilmente il suo pensiero corse alla figlia minore. Cercò conforto nel saperla accompagnata da Aska Rei e, figurando il drammatico seguito del racconto, anche da Narsas.
“L’unico lato positivo di questa tragica vicenda è che non me l’hanno uccisa. Si è difesa tenacemente e ha messo fuori gioco un paio dei loro con le frecce, prima che la sopraffacessero. Anche messa alle strette, ha continuato a ribellarsi e non ha dato loro la soddisfazione di farsi vedere né spaventata né sottomessa. Deve essere stato quello il motivo per cui Laras, il capobranco, che era fortuitamente presente in quell’occasione l’ha voluta per sé. E, nell’affermare questo, intendo voluta con tutti i crismi: mi ha inviato uno strik, chiedendomi la mano di Phylana e invitandomi al matrimonio. Ovviamente, se avessi negato il consenso, l’avrebbe costretta ugualmente alle nozze con la forza”.
Stelio sentì la collera montare.
“Narsas ed io abbiamo subito intuito come sarebbe andata a finire” continuò il bailye mestamente “Phylana si sarebbe uccisa con il veleno piuttosto che farsi violare o diventare la moglie di un uomo per cui provava solo disprezzo. Tentare di liberarla sarebbe stato un suicidio e, probabilmente, saremmo arrivati comunque tardi per trovarla ancora viva.
Mentre io ero preda della disperazione e chiamavo in adunata i guerrieri del deserto, mio figlio è riuscito a dominarsi, nonostante la rabbia e il senso di impotenza che provava; ha garantito che se ne sarebbe occupato personalmente. Non ho subito compreso che cosa intendesse e ho cercato di fermarlo, ma lui si sentiva troppo responsabile per ascoltarmi, così ha dato seguito al suo progetto. Ha proposto a Laras uno scambio e si è diretto senza esitare e senza attendere la risposta verso la tana di quei maledetti”.
“Non sarà che…” esalò Stelio, passandosi una mano sulla fronte.
Varsya annuì con l’anima in pezzi.
“Oh, per tutti gli dei…” mormorò il reggente.
   
 
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