Fanfic su artisti musicali > Slash, Myles Kennedy & The Conspirators
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Autore: Soul Mancini    13/06/2019    4 recensioni
[Ispirata – e in un certo senso complementare – alla storia “Gli ospedali tirano fuori il meglio delle persone. O forse non il meglio, ma la verità.” di sheswanderlust, quindi leggerla sarà uno spoiler per quanto riguarda la sua shot. Vi lascio il suo link dentro, se siete curiosi di darci un’occhiata ^^]
Feci appena in tempo a lanciargli un’occhiata interrogativa e preoccupata, prima di vederlo impallidire ulteriormente e perdere l’equilibrio. Cadde contro la parete a peso morto, senza riuscire ad aggiungere altro. […]
Perché Myles era svenuto in quel modo? Qualcosa non andava e non me n’ero reso conto? Lo sapevo, avrei dovuto stare più attento a lui, forse non era abituato ai ritmi del tour quanto me. Perché non ero capitato io in quella situazione al posto suo? […]
Era tutto terribilmente bianco e luminoso, mi dava alla testa. Myles era accanto a me, inerme su un letto, con una flebo conficcata nella pelle e i muscoli sinistramente rilassati; il suo viso, anche quello, era bianco.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Myles Kennedy, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Html Ispirata e basata sulla one shot Gli ospedali tirano fuori il meglio dele persone. O forse non il meglio, ma la verità. di sheswanderlust, pubblicata nel fandom degli Alter Bridge – ovviamente con la sua autorizzazione. L’idea iniziale della storia non è mia, così come la trama e le scene descritte (mi sono permessa anche di riprendere qualche dialogo dalla sua storia), ho cercato di rielaborarla narrandola da un altro punto di vista. Quindi se vi piace ciò che leggerete, i complimenti vanno tutti a lei :P
La scena iniziale e quelle finali, invece, sono farina del mio sacco!
Buona lettura ^^
 
P.s: vi STRACONSIGLIO di leggere la shot su cui mi sono basata, sia perché così vi fate un’idea su come l’ho trattata, sia perché è un CAPOLAVORO ♥
 

 
 
 
 
You don't know how much I love him
 
 
 
Il concerto era andato a gonfie vele, non potevo che essere soddisfatto di quello che io e i ragazzi eravamo riusciti a mettere su anche quella sera.
Avevo il boato della folla nelle orecchie quando, una volta nel backstage, mi avvicinai a Myles, Todd, Brent e Frank per complimentarmi con loro.
“Anche stasera è andata alla grande, bravi ragazzi!” esclamai, sfilandomi il cilindro per liberare i capelli zuppi di sudore.
Il mio sguardo si posò su Myles: il suo viso imperlato di sudore e arrossato per la fatica dopo i live era una visione quasi sovrumana per me, mi inteneriva e mi faceva impazzire. Era bellissimo.
Comunque evitai di fissarlo per troppo tempo, non volevo dare nell’occhio. Eppure… c’era qualcosa in lui che non quadrava quella sera, forse erano gli occhi persi o il viso un po’ troppo pallido.
“Grazie a te, capo! Allora, prendiamo una birra tutti insieme per festeggiare?” propose Todd, poggiandosi con l’avambraccio sulla spalla di Myles.
“Veramente io ho fame” affermò Brent guardandosi attorno, sicuramente in cerca di qualcosa di commestibile.
“Un attimo, io…” mormorò Myles, la sua voce era appena udibile. Feci appena in tempo a lanciargli un’occhiata interrogativa e preoccupata, prima di vederlo impallidire ulteriormente e perdere l’equilibrio. Cadde contro la parete a peso morto, senza riuscire ad aggiungere altro; Todd, colto alla sprovvista, ci mise qualche istante a sorreggerlo e il cantante sbatté appena la testa contro il muro, prima che il bassista lo bloccasse contro di sé.
Il mio cuore perse un battito, lo sentii sprofondare nel petto. Subito mi precipitai verso di lui per aiutare Todd, mentre Frank afferrava un atterrito Brent per fare qualche passo indietro e lasciare uno spazio a terra, in modo che noi potessimo far sdraiare Myles.
Un’orda di roadie e ragazzi dello staff ci si fece attorno, offrendosi per dare una mano, ma averli così addosso non faceva che infastidirmi e togliermi il respiro.
“State indietro, ha bisogno di respirare! Indietro, così non siete di nessun aiuto!” sbottai, prima di gettarmi a terra accanto a Myles e cercare di capire in che condizioni fosse.
“Myles, cazzo, rispondimi. Myles… porca puttana!” borbottavo in preda alla disperazione, mentre lo scrollavo per una spalla e gli davo dei colpetti sul viso nella speranza di destarlo. Anche se non lo davo a vedere, ero in preda al panico e cercavo di trattenere le lacrime; perché Myles era svenuto in quel modo? Qualcosa non andava e non me n’ero reso conto? Lo sapevo, avrei dovuto stare più attento a lui, forse non era abituato ai ritmi del tour quanto me. Perché non ero capitato io in quella situazione al posto suo?

Distolsi per un attimo lo sguardo dal suo volto pallido e mi accorsi che Frank aveva afferrato le gambe di Myles e le aveva sollevate.
“Ho sentito dire che bisogna fare così quando uno perde i sensi” spiegò in tono calmo.
“Qualcuno ha chiamato il 911? Cazzo, l’avete chiamato?” sbraitai, sempre più allarmato. Perché Myles non si era ancora svegliato?
“Ci ho pensato io!” mi rassicurò Todd, avvicinandosi a noi e rimanendo in piedi alle mie spalle. “È ancora incosciente?”
Annuii e tornai a concentrarmi sul mio cantante. Dopo aver preso un profondo respiro, decisi di controllare battito e respirazione: gli posai una mano davanti a naso e bocca e tirai un sospiro di sollievo quando il fiato caldo e leggero di Myles mi solleticò la pelle. Poi gli afferrai il polso e premetti i polpastrelli all’altezza delle vene; il battito c’era, ma era debole e troppo rapido.
“Cazzo, cazzo, cazzo” cominciai a imprecare e d’istinto strinsi forte la mano di Myles.
Avevo visto tanta gente svenire, qualcuno aveva sfiorato la morte e io stesso avevo vissuto in prima persona queste situazioni, ma lì c’era di mezzo la droga.
Mentre qui c’era di mezzo Myles, il mio Myles.
“Slash? Slash! Non farci preoccupare, che cazzo succede?” mi riportò alla realtà Todd.
“Il… il battito è un po’ debole.” Strascicai le parole come se avessi paura di pronunciarlo.
“Porca puttana!” replicò lui, coprendosi il volto con le mani.
“Non so che altro fare” ammisi in tono piatto, arrendendomi all’evidenza. L’unica cosa che potevo fare era aspettare l’arrivo dei soccorsi e stare accanto a Myles, stringergli la mano e di tanto in tanto tastargli il polso per sentire il battito. Forse parlargli poteva essere utile.
“Myles, per favore, non fare scherzi. Ti giuro che quando ti sveglierai faremo tutto quello che vuoi, allenteremo i ritmi del tour, ci prenderemo una pausa” presi a mormorare con disperazione, reprimendo l’impulso di gettarmi addosso a Myles e stringerlo in un abbraccio.
“Si riprenderà, ne sono sicuro” disse Frank, più a se stesso che a me, e io sperai con tutto il mio cuore che avesse ragione.
 
Avevo passato la notte a fissare la parete della stanza d’ospedale in una sorta di stato confusionale. Era tutto terribilmente bianco e luminoso, mi dava alla testa. Myles era accanto a me, inerme su un letto, con una flebo conficcata nella pelle e i muscoli sinistramente rilassati; il suo viso, anche quello, era bianco.

Durante la notte non avevo chiuso occhio e non mi ero mosso di un millimetro, ormai la sedia su cui mi trovavo era diventata un prolungamento del mio corpo. Brent, Frank e Todd erano rimasti con noi e ogni tanto avevano provato a rivolgermi la parola, ma una volta constatata la mia poca reattività mi avevano lasciato perdere, durante le incursioni nella stanza erano rimasti ih silenzio o avevano borbottato tra loro. L’unica cosa che avevo avuto la forza di fare, una volta in ospedale, era stata avvisare Mark, mi sembrava giusto che il migliore amico di Myles venisse informato subito; lui non mi aveva quasi dato modo di parlare, mi aveva chiesto in che ospedale ci trovavamo ed era partito subito per Los Angeles. Non avevo dubbi al riguardo: tra Myles e Mark c’era un rapporto davvero speciale, qualcosa che nemmeno io mi sarei mai riuscito a spiegare, ero sempre più convinto che il chitarrista degli Alter Bridge provasse per Myles dei sentimenti simili a quelli che provavo io.
Quando il chitarrista mi avvisò che sarebbe arrivato a breve, mi imposi di trovare la forza per alzarmi e uscire in corridoio ad aspettarlo, intimando a Todd, Brent e Frank di restare nella stanza con Myles e non perderlo d’occhio nemmeno per un istante.
Avevo un aspetto di merda, ma dovevo cercare di darmi un contegno, non volevo che si capisse quanto questo malore di Myles mi stesse distruggendo.
L’azzurrino sbiadito delle pareti dell’andito era, se possibile, ancora più irritante del bianco candido in cui ero stato immerso nelle ultime ore. Attesi per un tempo che mi parve infinito, tenendo la porta della stanza di Myles leggermente socchiusa per poter sbirciare all’interno di tanto in tanto.
Quando finalmente vidi Mark svoltare l’angolo e percorrere a grandi falcate il corridoio, tirai un sospiro di sollievo. La sua presenza in un certo senso mi rassicurava, forse lui avrebbe saputo cosa fare in questa situazione, a differenza mia che ero solamente riuscito ad andare nel pallone.
Ma appena il chitarrista fu a pochi metri da me, notai subito le sue occhiaie accentuate e i suoi lineamenti tirati per via della preoccupazione; probabilmente non aveva chiuso occhio nemmeno lui. Non lo invidiavo affatto: aveva dovuto affrontare otto estenuanti ore in aereo per arrivare fin qui, senza avere notizie di Myles, mentre io avevo avuto la fortuna di stargli accanto fin dall’inizio.
Stavo per salutarlo, ma lui mi superò ed entrò nella stanza come una furia, ignorandomi completamente. La cosa non mi sorprese poi tanto, perciò tacqui e mi limitai a seguirlo, restando alle sue spalle; lo osservai mentre, di fronte al letto, restava in silenzio con lo sguardo su Myles. Tutto era immobile nella stanza, mi chiesi addirittura se Mark stesse trattenendo il respiro… poi lo sentii mormorare: “Come sta?”.
Mi accostai al letto per poter guardare Mark in faccia e presi la parola, sentendomi in dovere di spiegare la situazione. “Ha avuto un collasso, probabilmente a causa dello stress e della troppa stanchezza. Cadendo ha sbattuto la testa, ha un lieve trauma cranico, non è niente di grave. Hanno fatto altre analisi, il medico dovrebbe arrivare tra poco con i risultati.”
Mark rimase a fissarmi per qualche istante, poi si voltò, passandosi una mano sul viso nel tentativo di assimilare le mie parole. Non doveva essere semplice per lui e lo capivo bene, ogni volta che l’occhio mi cadeva su Myles mi si formava un groppo in gola.
“Cosa è successo?” domandò il corpulento chitarrista in tono vagamente minaccioso.
Non capii la domanda e gli lanciai un’occhiata perplessa. “Te l’ho detto: avevamo appena finito il concerto e…”
“No” mi interruppe subito Mark, puntandomi addosso il suo sguardo duro e indagatore. “Intendo dire perché è successo. Cosa aveva, stava male? Cosa avete fatto quel giorno? Non avete notato niente di strano?”

Stavo per ribattere, ma Frank mosse qualche passo verso di noi e intervenne: “No, sembrava tutto normale, mi sembrava stesse bene”.
Lo ringraziai mentalmente per il supporto, Mark era molto agitato e avevo paura di non riuscire a fronteggiarlo.
“E durante il concerto è andato tutto bene, ha cantato alla grande” aggiunsi, come per avvalorare le parole di Frank. Non era altro che la verità: non mi ero accorto di niente se non subito dopo il concerto, eppure ero stato attento a Myles. Lo guardavo sempre, fin troppo.
Mark proruppe in una risata sarcastica che mi fece sobbalzare, cogliendomi alla sprovvista. “Già, è solo di quello che ti importa, vero Slash? Se è andato bene il concerto è tutto okay, non c’è nessun problema” esclamò sprezzante.
Sentii il viso andare in fiamme e la rabbia montare dentro di me. Come si permetteva di insinuare una cosa del genere? Non aveva neanche la minima idea di quanto tenessi a Myles.

Comunque, come al mio solito, cercai di mantenere la calma. “Sai benissimo che non intendevo questo” ribattei in tono piatto e distaccato, sostenendo il suo sguardo carico d’odio.
“Già, già, certo…” borbottò Mark sarcastico, prima di uscire dalla stanza. Io fui il primo a raggiungerlo all’esterno, seguito poi da Brent, Todd e Frank. Di certo non era il caso di continuare a discutere lì, di fronte a Myles – non era un’atmosfera favorevole alla sua guarigione –, ma l’idea di lasciarlo totalmente da solo non mi andava tanto a genio, avrei voluto dire a uno dei miei amici di restare con lui. Tuttavia in quel momento non ci feci tanto caso, ero stato ferito profondamente dalle parole di Mark e volevo mettere in chiaro un paio di cose. Quando si trattava di Myles, non potevo sopportare di essere etichettato come egoista.
“Senti, se credi che a noi non importi niente di lui…” iniziò Brent dopo essersi chiuso la porta alle spalle, ma Mark lo interruppe, il viso paonazzo dalla rabbia.
“Se ora siamo qui è tutta colpa vostra e della vostra smania di suonare costantemente” ringhiò, la vena del collo gli pulsava visibilmente.
Non avevo nessuna intenzione di lasciarmi insultare da lui. “Mark, ora non…” cominciai, sollevando il tono della voce, ma ancora una volta il chitarrista degli Alter Bridge partì all’attacco.
“No, Slash, non hai nessun diritto di incazzarti! Sei tu che l’hai portato allo stremo, tu che l’hai trascinato da una parte all’altra del mondo, tu che non gli hai lasciato neanche un attimo per prendere fiato negli ultimi due anni! Complimenti, queste sono le conseguenze!” gridò, incurante delle infermiere che ci passavano accanto e ci osservavano stranite.

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, sarei morto in quel momento.
Strinsi i pugni, incapace di contenere la rabbia. Mi stava accusando di quello svenimento di Myles? Mi stava dicendo che non ero stato abbastanza attento al suo cantante? In realtà gli avevo sempre chiesto se fosse stanco, mi ero reso disponibile per qualsiasi cosa avesse bisogno, avevo avuto un occhio di riguardo per lui, gli ero stato accanto per tutta la notte senza mollarlo un attimo. E dopo tutto questo, mi sentivo dare dell’insensibile?

“Non l’ho mai obbligato a fare niente! Non sei l’unico a volergli bene qui dentro, ficcatelo in testa!” sputai.
E se questo fosse accaduto durante un tour con gli Alter Bridge? Non mi sarei mai permesso di dare la colpa ai componenti della band, del resto nessuno poteva impedire a Myles di fare ciò che voleva.
“Tu gli vuoi bene perché lui ti serve, perché è il cantante migliore che potessi trovare, perché senza di lui saresti spacciato, Slash” sibilò Mark. “Questo non è volergli bene.”
Ora basta, questo era veramente troppo. Stavo per scagliarmi contro di lui, infischiandomene della mia netta minoranza fisica e del fatto che Mark mi avrebbe messo al tappeto in due secondi, ma qualcosa mi fermò. Una voce nella mia testa bisbigliò che non potevo venire alle mani col migliore amico dell’uomo che amavo, mi dovevo trattenere e lo dovevo fare per Myles.

Così ci fissammo in cagnesco per qualche istante e io incassai anche quel colpo senza fiatare.
Cosa ne poteva mai sapere lui? Myles non era solo un cantante per me, non era un mezzo per raggiungere il successo, era la persona mugliore che avessi mai conosciuto e avrei fatto qualsiasi cosa, a costo di annientare me stesso, pur di vederlo felice.
Mark si allontanò di qualche passo, scosso da violenti tremiti di rabbia. Lo vidi frugare nelle tasche dei suoi pantaloni, afferrare il cellulare e far partire una chiamata, sicuramente destinata a Brian o Flip.
“Li ho avvisati io. Hanno preso il primo volo disponibile, ora sono in aereo, probabilmente è per questo che non ti rispondono” lo informò Todd, tenendosi a debita distanza da lui. Nonostante lui, Frank e Brent fossero rimasti in silenzio ad assistere allo scontro, intuivo che anche loro si sentissero feriti e offesi. Erano dalla mia parte, lo sapevo: per prima cosa, avevano potuto constatare di persona quanto stravedessi per Myles, e poi loro stessi ce l’avevano messa tutta per prendersi cura del cantante.
Sarei volentieri scoppiato in lacrime, tanta era la rabbia e il nervosismo che portavo dentro, ma per fortuna l’arrivo del medico mi distrasse e riportò alla realtà; l’espressione serena e distesa del nuovo arrivato mi confortò, dedussi che ci avrebbe dato buone notizie.

Subito mi accostai a lui, seguito dagli altri quattro.
“Allora” cominciò. “Come avevo già detto, si è trattato di un collasso, sicuramente causato dallo stress o dall’eccessiva stanchezza. È una reazione ovvia, l’organismo a un certo punto non ce la fa più e crolla.” Aprì la cartellina che teneva in mano e scorse alcuni fogli. “L’elettrocardiogramma è buono, la pressione è bassa ma nella norma. Cadendo ha sbattuto la testa, procurandosi un leggero trauma cranico; nei prossimi giorni potrebbe avere un po’ di emicrania, gli prescriverò un analgesico. Le sue condizioni non sono gravi. Dovrebbe svegliarsi nel giro delle prossime ore; con le flebo provvederemo a stabilizzare i parametri più carenti, per il resto prescriveremo degli integratori. Se va tutto bene, potrà tornare a casa già domani mattina. E dovrà rallentare un po’ il ritmo, ovviamente, o la prossima volta potrebbe non essere così fortunato.”
Mi dovetti trattenere dall’impulso di gettargli le braccia al collo e gridare di gioia. Myles stava bene, nonostante tutto stava bene! Grazie a quella bella notizia, improvvisamente dalla mia mente erano spariti i miei amici, il medico, Mark, la discussione di poco prima e perfino quel nauseante celeste scialbo delle pareti attorno a me.

Tirai un profondo sospiro di sollievo e, ancora tremante per l’ansia e con i palmi delle mani sudaticci, decisi che dovevo bere un bicchiere d’acqua per rilassare i nervi. Senza dire una parola, lanciai uno sguardo riconoscente al medico e mi diressi in una saletta d’aspetto munita di distributori automatici, intenzionato a comprare una bottiglietta d’acqua.
Dopo qualche secondo, Todd mi raggiunse e infilò a sua volta un paio di monete nel distributore. “Non è stato affatto carino” ruppe il silenzio, voltandosi nella mia direzione. Entrambi sapevamo a chi si stesse riferendo.
Mi strinsi nelle spalle. “È stato un vero stronzo. Però… in fondo lo capisco” ammisi.
Pareva incredibile, ma durante il tragitto fino alla sala d’aspetto avevo ripensato alla scenata isterica di Mark e mi ero reso conto che il chitarrista non aveva fatto altro che maturare un mio sospetto: era innamorato di Myles, in una maniera profonda e totale.
Era per questo che, dopotutto, mi veniva facile immedesimarmi in lui.
E a lui veniva facile odiare me.
“Ma stai scherzando, amico? Come puoi capire uno che ti accusa di usare Myles solo perché è un bravo cantante? Ha messo in dubbio il tuo affetto per lui!” si indignò Todd, chinandosi per recuperare la bottiglietta d’acqua che aveva acquistato.
Ci spostammo di lato, nel caso qualcun altro avesse avuto bisogno del distributore.
“Credo che Mark non pensi davvero ciò che ha detto, è stata la sua enorme preoccupazione a parlare per lui, doveva sfogarsi in qualche modo. Todd, secondo me tra lui e Myles c’è un rapporto che non possiamo capire e immaginare, sono davvero molto uniti. Questo non vuol dire che sono disposto a perdonarlo come se niente fosse, ha detto una marea di cazzate che mi hanno fatto molto male, ma sono sicuro che lui stesso se ne renderà conto, ora che l’adrenalina sta cominciando a scemare.” Erano le uniche parole che potevo usare per far capire il mio punto di vista a Todd.
Lui mi osservò stranito, prese un lungo sorso d’acqua e disse: “Ti hanno mai detto che sei troppo buono?”.
Accennai un sorriso. “Mi hanno detto tutto l’opposto.”
Lui mi batté una pacca sul braccio, poi affermò: “Torniamo dagli altri, voglio esserci quando Myles si sveglia. Ti va?”.
Annuii e ci dirigemmo insieme verso la stanza di Myles, percorrendo quel corridoio che ormai conoscevo a memoria. Fuori dalla porta, trovammo Brent e Frank che parlottavano tra loro.
“Sono appena arrivati Brian e Flip” annunciò il batterista, accennando alla soglia chiusa.
Li superai ed entrai nella camera, poi rivolsi un cenno di saluto ai nuovi arrivati. Mark, visibilmente più calmo, aveva occupato una delle sedie accanto al letto – quella sedia su cui ero stato seduto per ore interminabili – e vegliava su un Myles ancora incosciente e pallido.
Vedere lo sguardo vigile del chitarrista accarezzare i lineamenti del cantante mi irritò e intenerì allo stesso tempo. Era incredibile pensare quanto io e lui, a parte tutto, ci somigliassimo.
Se l’amore avesse potuto guarire, Myles si sarebbe rimesso in forma in pochi istanti.
 
Nonostante fosse ora di pranzo, lo stomaco mi si era chiuso e la sola idea di toccare cibo mi faceva venire la nausea.
Myles ancora non si era svegliato e la cosa mi metteva addosso una profonda agitazione; di tanto in tanto mi affacciavo nella camera per controllare la situazione, ma avevo evitato di restarci per tutta la mattina: ora era arrivato il turno di Mark e gli altri ragazzi degli Alter Bridge, ci tenevano a restare col loro cantante e io rispettai questa loro scelta.
E poi, nonostante avessi capito le motivazioni del chitarrista, ancora faticavo a starci a fianco. Le cattiverie che mi aveva rivolto non mi erano proprio andate giù.
Avevo obbligato Brent e Frank a tornare a casa, dal momento che non si reggevano più in piedi, promettendo loro che li avrei aggiornati su qualsiasi cosa, anche il minimo sviluppo della situazione. Per fortuna Todd era rimasto con me e mi aveva tenuto compagnia per tutto il tempo.
Eravamo talmente stanchi che non avevano neanche la forza di sbadigliare, ma non mi passava neanche per l’anticamera del cervello di provare a chiudere occhio; dopo una dozzina di scadenti caffè dei distributori automatici, mi aggiravo per i corridoi dell’ospedale con gli occhi sbarrati e cerchiati di rosso, come uno zombie. Avevo incrociato così tante volte gli stessi medici e infermieri che ormai mi salutavano tutti.
Verso mezzogiorno e mezza, mi diressi per la milionesima volta verso la sala ristoro, pronto a ingerire l’ennesima dose di caffeina. Solo che quella volta, appoggiato alla parete accanto al distributore, trovai Mark con un bicchiere fumante tra le mani. Senza scompormi, accennai un saluto e mi fiondai subito ad acquistare il mio doppio espresso. Quello sarebbe stato il mio pranzo. Dopodiché presi posto contro la parete accanto al chitarrista e sorseggiai la bevanda calda, in attesa di trovare qualcosa da dire; era arrivato il momento di chiarire le cose, mi ero stufato di quella tensione, ma non avevo idea di come cominciare il discorso.
“Mi dispiace” ruppe il silenzio Mark in un mormorio.
Lo scrutai con la coda dell’occhio e notai che teneva lo sguardo basso.
“Lo so” affermai, per nulla sorpreso delle sue scuse. Come avevo previsto, non ci aveva messo tanto a pentirsi.
“Non ho dato il meglio di me prima” ammise mestamente.
Ora quasi mi dispiaceva per lui, il fatto che si fosse scusato con sincerità lo aveva fatto riscattare dal ruolo di rivale che aveva assunto ai miei occhi.
“È comprensibile” cercai di confortarlo.
“È che…” Mark prese un respiro profondo. Gettò il bicchiere di plastica ormai vuoto nel bidone poco lontano e poi tornò ad appoggiare la schiena al muro, passandosi una mano fra i capelli. “Mi sento in colpa. Avrei dovuto dirgli di fermarsi a prendere fiato ogni tanto, avrei dovuto impedirgli di ammazzarsi di lavoro come ha fatto negli ultimi anni… avrei dovuto fare qualcosa per evitare che si arrivasse a questo punto. E non l’ho fatto.”
Mi lasciai sfuggire un sorriso amaro, colpito da quelle parole così c
Tremendamente vere. “Probabilmente avremmo dovuto farlo tutti… ma lui è Myles. Pensi davvero che sarebbe bastato dirglielo? Avremmo dovuto come minimo legarlo al letto” ironizzai, lanciandogli un’occhiata complice.
Ero io il primo a sentirmi in colpa per quanto accaduto e mi sembrava giusto che io e Mark condividessimo questo peso, così che fosse più leggero per entrambi.
Mark ridacchiò e ne fui lieto, per la prima volta dopo ore il suo muso lungo era scomparso.
“Mi sento in colpa anche io” gli confidai, facendomi di nuovo serio. “Però non credo che saremmo riusciti a fermarlo. È il suo carattere, è fatto così: non riesce a stare fermo, è qualcosa che va contro la sua natura.”
“Ora però è in un letto d’ospedale.”
 Sospirai. “Lo so. Appena si sveglierà, cercheremo di farlo ragionare.”
Ero fatto così: per quanto potessi tenere a una persona, non riuscivo a imporle niente, perché io stesso andavo fuori di testa quando mi si diceva cosa fare. Avrei dovuto fermare Myles prima di arrivare a questo, ma in fondo lui era grande e vaccinato, non potevo prendere decisioni al posto suo.
Dopo un minuto buono trascorso in silenzio, fu nuovamente Mark a parlare: “È che ho sempre l’impressione che ci sia qualcosa, dietro questo suo non sapersi fermare. È come se correre da un lato all’altro del mondo e buttarsi a capofitto in un progetto dopo l’altro lo aiutasse a non pensare. Come se fermarsi per lui volesse dire essere costretto a pensare a tutto ciò che si impegna tanto a dimenticare e a esorcizzare attraverso la musica”.
Annuii. “Peccato che non è fuggendo che si dimentica; forse si dimentica per un po’, ma alla fine tutto torna a galla. Torna a galla fino a quando non riesci a elaborarlo e ad accettarlo come qualcosa che, nel bene o nel male, fa parte di te” dissi. Lo sapevo bene, dal momento che ero fuggito dai sentimenti che provavo per Myles fin quando, distrutto dal mio stesso atteggiamento, non ero stato costretto ad accettarli.
Chissà se anche Mark aveva vissuto un processo simile.
Lui sorrise. “Vorrei riuscire a farglielo capire, una volta per tutte.”
Non seppi bene cosa rispondere e mi presi del tempo per riflettere un po’. Infine fu il mio cuore a parlare: “Gli voglio bene anche io, Mark. E non perché mi serve, non sono un bastardo senza cuore, o comunque non lo sono con i miei amici e con la mia band. Gli voglio davvero un gran bene e non farei mai nulla che gli possa nuocere. Se mi fossi accorto che non stava reggendo quei ritmi, l’avrei fermato. Voglio che tu lo sappia.” Non c’era nulla di più vero e sincero di quelle parole.
“Lo so” affermò Mark. Finalmente aveva addolcito il suo sguardo e non vi scorsi più risentimento, ma comprensione.
Avrei voluto dirgli che eravamo simili, che capivo ciò che stava passando, che lui amava Myles e io lo amavo allo stesso modo… ma lasciai perdere, non ne avevo il coraggio e avrei soltanto complicato le cose.
In ogni caso non era quello il momento, eravamo troppo stanchi e in una situazione in cui avevamo altro a cui pensare.
Gettai il bicchiere vuoto nel cestino della spazzatura e io e Mark, senza aggiungere alltro, ci dirigemmo fuori dalla stanza, verso la camera del cantante.
Quando vi entrammo, trovammo Myles sveglio, seduto sul letto, che chiacchierava con Brian, Flip e Todd.
Myles era sveglio. Felice. Sorridente. In forze.
Il mio cuore fece le capriole nel petto, un uragano di emozioni mi investì e dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per non scoppiare a piangere dalla gioia.
Agii d’istinto: percorsi in un lampo la distanza che mi separava dal letto e intrappolai Myles in un abbraccio. Era stupendo sentirlo così caldo e vivo, poter inspirare il suo profumo.
“Non ti azzardare mai più a farmi spaventare così, Kennedy” mormorai contro la sua tempia. Non volevo più sciogliere quell’abbraccio, volevo stare lì con lui e coccolarlo, prendermene cura, scusarmi per averlo forzato tanto e aiutarlo a risollevarsi… ma sapevo che il mio turno era finito, ora toccava a Mark, dovevo lasciar spazio a lui.
Mi staccai e, come previsto, Myles posò subito lo sguardo sul suo chitarrista, che intanto aveva assunto un’espressione accigliata.
Tutti capimmo che i due avevano bisogno di chiarire e stare da soli, così lasciammo la stanza – dal canto mio, mi trascinai in corridoio di malavoglia, restio a lasciare Myles così presto.
Mi lasciai cadere pesantemente su una sedia in plastica e mi passai una mano sullo stomaco, laddove un groppo mi si era formato. Non avevo mangiato niente, eppure era come se qualcosa mi si fosse bloccato proprio là e si stesse rimestando con impeto. Probabilmente un po’ di quel malessere era dovuto al fatto che Myles e Mark si trovassero nella stanza da soli, un po’ di gelosia da parte mia era lecita.
“Tutto bene, Slash? Non hai una bella cera” mi chiese Brian gentile, accomodandosi accanto a me.
“Non ti preoccupare, è tutto a posto,” mentii, “sono solo un po’ stanco, non dormo da un giorno e mezzo.”
“Io spero che Mark non faccia qualche cazzata. Myles si è appena svegliato, è ancora debole e sicuramente non ha bisogno di qualcuno che gli sbraiti contro.” Flip diede voce ai suoi dubbi, camminando avanti e indietro di fronte a noi.
“Non farebbe mai niente che lo faccia star male, lo sai” lo rassicurò il suo amico con un sorriso bonario.
“Povero Myles, quando gli abbiamo detto cos’era successo era mortificato, non voleva farci preoccupare” commentò Todd, lanciandomi un’occhiata.
Io annuii, ma in realtà non li stavo neanche ascoltando, concentrato com’ero a tentare di placare la tempesta all’altezza del mio stomaco.
Qualcosa non andava.
Feci appena in tempo ad alzarmi e correre verso il primo bagno disponibile, che venni colto dal primo conato. Per fortuna riuscii a raggiungere il lavandino e lì mi svuotai completamente, nonostante non avessi nulla da espellere.
A parte tredici o quattordici caffè. Forse avevo un po’ esagerato.
Mentre mi reggevo ai bordi del lavandino, Todd irruppe nell’antibagno e mi afferrò per un braccio; se non ci fosse stato lui a sostenermi, le gambe deboli e tremanti mi sarebbero cedute e sarei crollato a terra.
“Oh cazzo, ci mancava anche questa!” imprecò il mio bassista in tono disperato.
“Serve aiuto? Forse è il caso che chiami un infermiere” constatò Flip. Lui e Brian si erano fermati appena fuori dallo stanzino e assistevano alla scena attraverso la soglia spalancata.
Sollevai una mano verso di loro. “Grazie, ma non serve. Sto… sto bene” mormorai, sperando di sembrare convincente. Aprii l’acqua, sciacquai il lavandino con un’abbondante dose di sapone e mi rinfrescai il viso e la bocca.
Mi ero tolto un peso, ma ora ero uno straccio.
Dopo aver verificato che i miei vestiti non si fossero sporcati, Todd mi condusse nuovamente in corridoio e mi fece accomodare sulla solita, scomoda sedia in plastica.
“Ci hai fatto prendere un colpo” ammise Brian con gli occhi sgranati.
“Non esageriamo, dai” minimizzai.
“Cos’hai mangiato?” indagò Flip.
“Non sono Myles” scherzai, sapendo che i componenti degli Alter Bridge ponevano spesso domande del genere al loro cantante.
“Seriamente” insistette Brian, soffocando una risata.
“Non ho mangiato” ammisi candidamente.
“Ha solo bevuto due litri e mezzo di caffè” intervenne Todd, sedendosi alla mia destra.
Gli lanciai un’occhiata in tralice. “Fatti gli affari tuoi” lo rimbeccai. “Vi chiedo un favore” cambiai subito discorso.
I tre si misero all’ascolto.
“Non ditelo a Myles, non voglio che si preoccupi inutilmente. Ora deve pensare solo a se stesso.”
Flip mi rivolse un sorriso. “Si vede che tieni molto a lui e ci dispiace che Mark lo abbia messo in dubbio. Ci scusiamo anche noi da parte sua.”
“Sappiamo che tu e lui avete avuto una discussione” aggiunse Brian. “Cerca di capirlo: è abituato ad avere Myles sempre sotto la sua protezione, a volte diventa un po’ paranoico e l’idea di lasciarlo andare con qualcun altro gli mette ansia. Un po’ come un padre che manda il figlio in gita scolastica per la prima volta, ecco.”
Annuii. “Non c’è bisogno che vi giustifichiate, lo avevo capito. Ci ho parlato, ma dopo questo episodio non so se si fiderà mai di me.”
Flip mi posò una mano sulla spalla e mi fissò dritto negli occhi. “Stammi a sentire: so per certo che non sei uno stronzo, che non vuoi sfruttare Myles e che gli vuoi un mondo di bene… te lo si legge negli occhi, Slash. Io – ma penso di poter parlare per tutti noi – ho fiducia in te e nel resto della band, sei una persona buona e sono sicuro che saprai prenderti cura del nostro Myles. E poi lui ti adora, stravede per te, e questo dice tutto. Se lui è felice di lavorare con te, lo siamo anche noi.”
Distolsi lo sguardo, profondamente commosso da quelle parole. Non mi sarei mai aspettato una tale dimostrazione di fiducia e di stima, non pensavo neanche di meritare tutte quelle belle parole.
Se Flip, Brian e Mark si fidavano di me, avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per non deluderli.
“Grazie” riuscii solo a bofonchiare, in imbarazzo.
“Direi che è arrivato il momento di vedere cosa stanno combinando quei due” fece notare Todd con una risatina, dopo qualche secondo.
Il batterista degli Alter Bridge allora ritrasse la mano dalla mia spalla, si fiondò verso la porta e la spalancò, facendo irruzione nella camera.
Attesi qualche istante prima di seguirlo e sperai di avere quantomeno un aspetto dignitoso. Avevo appena vomitato e non dormivo da trentasei ore, se Myles mi avesse osservato bene si sarebbe spaventato.
Per fortuna ero un bravo attore.
 
Avevo cancellato diverse date del tour per dare a Myles la possibilità di riposarsi e rimettersi in forze; per fortuna quella lunga serie di date si stava per concludere, poi il cantante avrebbe avuto tregua per un lungo periodo.
Lui si era dispiaciuto e sentito in colpa, sapeva quanto amassi
suonare dal vivo, ma io ero stato fermo nella mia decisione e non avevo nessuna intenzione di ritrattare.
Myles, ancora stanco e preda di forti mal di testa, non se la sentiva ancora di affrontare un lungo viaggio per tornare a casa sua, così aveva deciso di affrontare la sua convalescenza a Los Angeles. Mentre Brian e Flip erano andati via la mattina in cui Myles era stato dimesso, Mark era ovviamente rimasto con lui.
Avevo insistito per ospitarli da me, era il minimo che potessi fare per sdebitarmi del disastro che avevo combinato e non sopportavo l’idea che i due pagassero un appartamento o una stanza d’albergo per stare là. Avevo una casa abbastanza grande da lasciar loro un’intera porzione, non erano neanche obbligati a incrociarmi per i corridoi, se la mia presenza li avesse infastiditi.
Una mattina li osservai di soppiatto mentre, in giardino, sedevano uno di fianco all’altro: parlavano tra loro a bassa voce, Mark circondava le spalle di Myles con un braccio e gli accarezzava dolcemente i capelli, mentre il cantante aveva la testa posata sulla sua spalla e di tanto in tanto si stringeva di più a lui, affondando il viso nella sua maglietta.
Mi faceva male vederli così, un male talmente forte da essere quasi fisico. Tra loro due non c’era solo un’amicizia, era evidente: Myles ricambiava i sentimenti di Mark con la stessa intensità, non riuscivano a stare lontani e ogni gesto tra loro era naturale e tenero. Era stupido ed egoista essere geloso, eppure non riuscivo a controllare i miei sentimenti; li potevo gestire solo in due modi: reprimerli o sfogarli in qualche modo.
Distolsi lo sguardo da quella scena e, con gli occhi lucidi e il cuore colmo di malinconia, imbracciai la prima chitarra che mi capitò a tiro. Quel giorno dalle mie sei corde sarebbero provenute soltanto tristi melodie.
 
“Sai, Slash” esordii Mark, entrando nella stanza e accomodandosi sul divano accanto a me. “Penso che Myles abbia finalmente smesso di scappare.”
Distolsi lo sguardo dal televisore e lo posai su di lui, perplesso. “Dov’è lui adesso?”
“È andato a farsi una doccia.”
“E cosa volevi dire con quella frase?”
Lui si strinse nelle spalle e un sorriso raggiante gli illuminò il viso. “Ha capito qual era il problema e, al posto di scappare, l’ha affrontato. Con successo.”
Abbassai lo sguardo, fingendo di cercare il telecomando che, tra l’altro, avevo in mano. Avevo capito cosa intendeva, la mia paura più grande si era avverata e l’unico modo che mi veniva in mente per affrontare la cosa era sbattere la testa e svenire all’istante.
“Mark, tu… provi qualcosa per lui” tirai a indovinare, pur sapendo già la risposta.
“Sì” ammise imbarazzato, con un filo di voce.
“E lui prova qualcosa per te” conclusi, cercando di mantere un tono di voce neutro.
“A quanto pare…”
Ecco. Ora sì che volevo svenire.
Sollevai lo sguardo e incrociai gli occhi di Mark. “Io… sono molto contento per voi. Vi meritate questa felicità” mormorai, sforzandomi di sorridere.
Lui annuì e mi scoccò un’occhiata complice. “Grazie. Non so spiegare come e perché, ma sei stato proprio tu a scuoterci e far capire a me e Myles questi nostri sentimenti.”
Ancora una volta, non potevo spiegargli come mi sentissi e cosa questo significasse per me.
Però, se questo era il prezzo per la felicità di Myles, l’avrei pagato in silenzio e senza lamentarmi, lasciando che la mia chitarra piangesse per me.
 
 
 

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Non so bene come commentare questo scritto malinconico/strappalacrime, so solo dirvi che è frutto di un’ispirazione improvvisa nata dalla sopraccitata one-shot di sheswanderlust, che ci tengo a ringraziare per avermi concesso di basarmi sulla sua storia per scrivere. Grazie cara, riesci sempre a rubarmi il cuore con i tuoi scritti *-*
Povero Slash, mi dispiace tanto che sia andata così! Il finale me lo sono inventato in base a ciò che gli eventi mi hanno ispirato, per me in quest’occasione Myles e Mark DOVEVANO stare insieme… anche se poi a rimetterci è stato il nostro adorato riccioluto! Comunque quest’ultima scena era solo un piccolo bonus, la storia è nata principalmente per indagare il punto di vista di Slash in questa faccenda.
Spero che ora non vediate Mark come l’antagonista, poveretto, non è mia intenzione parlar male di lui u.u :3
Spero che la storia vi sia piaciuta e, nel caso non l’aveste fatto, vi consiglio ancora una volta di leggere la versione di sheswanderlust, che è semplicemente GRANDIOSA *-*
Grazie per la pazienza e per il supporto, spero che anche questo piccolo scritto vi abbia trasmesso qualcosa!!! ♥
 
 
   
 
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