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Autore: Enchalott    18/06/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In mare aperto

L’Amara era salpata da Vaneta da un paio di giorni, con la marea favorevole e il vento in poppa, sotto un cielo color lapislazzulo, tanto ingannevolmente meraviglioso quanto gelido.
Adara aveva osservato la cittadina farsi sempre più minuscola e indistinta per la distanza acquisita rispetto alla terraferma: guardando i colori squillanti delle case, visibili ancora per qualche miglio, si era spiegata il motivo della scelta di tinte così eccessivamente sgargianti e discordanti sugli edifici di legno. I naviganti avrebbero compreso anche dall’alto mare che lì avrebbero trovato riparo e accoglienza.
L’ultimo elemento che aveva distinto era stato il brillare della fiaccola sempre accesa all’ingresso del porto, il suo faro. Poi solo cielo infinito e oceano, in un’esplosione di sfumature accese di ogni blu.
Si era stretta addosso il mantello più pesante che aveva con sé e si era aggrappata saldamente al sartiame, per timore di cadere in acqua mentre ammirava il paesaggio stupefacente, sebbene il rollio della nave fosse regolare e quieto.
Il galeone si alzava e si abbassava sulle onde, frangendo la superficie scura con la prua robusta e creando una lunga scia di schiuma bianca e salmastra.
Il bompresso, dotato di uno sperone aguzzo, era decorato con creature marine di vario genere, alcune troppo strane per essere vere, anche se Dalian aveva assicurato, strizzando l’occhio, di averle viste tutte durante i suoi innumerevoli viaggi.
L’uomo era gentile e cavalleresco con lei, ma non perdeva mai d’occhio la rotta e spesso si recava personalmente alla barra, per correggerla e per impartire una colorita ramanzina al giovane e incauto timoniere di turno. Talvolta, si arrampicava sugli alberi come un felino delle montagne, tenendosi alle funi e balzando tra le griselle intrecciate per sistemare qualcosa, trattando la struttura verticale della nave come se fosse il ponte principale.
Le aveva suggerito di mangiare qualche galletta, perché il cibo secco e salato notoriamente aiuta a combattere la nausea, anche se non in modo risolutivo.
Adara aveva seguito il consiglio: non avrebbe saputo spiegare se il metodo marinaresco avesse realmente funzionato, ma non aveva affatto patito il mal di mare, salvo un leggero senso di vertigine, che era passato quasi subito.
Dalian le aveva anche illustrato il significato del loro vessillo: il campo rosso rappresentava l’energia di chi non si rassegna; la rosa la difesa dei loro principi, bianca in quanto libera, ma dotata di spine perchè la vita degli uomini di mare non è mai semplice.
La seducente Bicks, invece, era risultata silenziosa e di scarsa compagnia: alla partenza, si era sporta dal parapetto e aveva lasciato cadere tra i flutti una moneta d’oro, forse un dubron, per propiziarsi Manawydan o per eseguire qualche altro rituale che la principessa non conosceva e che non aveva osato domandarle.
Adara aveva notato come la vice comandante aveva squadrato sfacciatamente i suoi due compagni di viaggio da sotto il cappello di velluto lilla, in particolar modo Dare Yoon, e si era sentita addirittura in imbarazzo per lui. Non aveva mai incontrato una persona tanto spudorata negli sguardi, anche se a lei era stata riservata solo un’occhiata di sufficiente condiscendenza.
Forse, la donna era di malumore perché sia il burbero ufficiale sia Narsas non erano più riusciti a salire da sottocoperta a causa della forte naupatia ed erano rimasti rintanati nella loro cabina, uscendone solo per dare di stomaco, esattamente come avevano funestamente previsto. Per ambedue le gallette dell’efficiente Dalian non avevano funzionato, anzi, erano solo state un boccone aggiuntivo da rigurgitare velocemente fuoribordo.
Adara era molto in ansia per entrambi.
La ferita di Dare Yoon era migliorata da quando era rimasto a riposo, senza trascorrere tutta la giornata in sella, ma non era ancora guarita.
Aveva discusso animatamente con lui per riuscire a cambiargli la medicazione, dato che il guerriero del deserto era quello che, tra loro, stava peggio e non era in grado neppure di alzarsi, figurarsi di eseguire un’operazione delicata di disinfezione e fasciatura.
Il soldato aveva brontolato sull’inopportunità dell’atto e si era rifiutato di togliere la casacca davanti a lei, per pudore e per rispetto.
Narsas gli aveva fatto debolmente presente, dalla cuccetta accanto, che era troppo tardi, dal momento che la principessa aveva già visto ciò che lui si stava tanto premurando di occultare e Dare Yoon aveva per un attimo perso il suo aplomb, borbottandogli contro qualcosa di irripetibile. Ma non aveva ceduto di un millimetro.
Solo la minaccia di far scendere l’ammaliante Bicks a titolo infermieristico sostitutivo lo aveva convinto, così si era semi spogliato, mostrando giusto la spalla lesionata e arrossendo impacciatamente ad ogni movimento di lei.
Adara avrebbe certamente sorriso a quel battibecco, se le condizioni di Narsas non l’avessero preoccupata immensamente.
Il giovane arciere era pallido e la sua pelle abbronzata pareva quasi cerea. Il viso era segnato da due occhiaie scure e le labbra erano aride per via della disidratazione. La ragazza si era seduta al suo fianco e gli aveva passato una pezzuola fresca e umida sulla fronte, per asciugargli il sudore di cui era imperlata; era riuscita a fargli mandare giù un po’ di miele diluito con l’acqua, per non farlo indebolire troppo e lui l’aveva ringraziata con un sorriso stentato. Pareva che facesse fatica anche a parlare e, sicuramente, aveva qualche linea di febbre.
Dare Yoon gli aveva domandato se non avesse con sé qualche rimedio, se non per il mal di mare, almeno contro la conseguente spossatezza, ma Narsas aveva spiegato di averlo già assunto per poi cacciarlo fuori con tutto il resto. Ovviamente il soldato aveva rifiutato l’offerta e si era detto tranquillo, dato che la principessa pareva immune agli effetti della navigazione.
Lei, tuttavia, non aveva gioito. Si era sentita personalmente responsabile di quei due uomini che l’avevano salvaguardata fin lì e l’essere impotente contro il loro malessere l’aveva resa tesa e sfiduciata.
Per quel motivo, una volta assicuratasi che i compagni stessero dormendo e non avessero bisogno di nulla, era andata a controllare i cavalli e poi era salita in coperta, nonostante fosse notte fonda e il freddo accendesse le stelle come cristalli di ghiaccio in una tormenta di neve
 
Adara si fermò sulla tolda, respirando l’aria tagliente prodotta dal moto della nave, orientandosi tramite le fioche lucerne ad olio, che segnalavano alle altre imbarcazioni la presenza dell’Amara tra le onde.
Il Pelopi era una massa scura, cosparsa di scaglie luminose, in quell’inchiostro senza luna, ove non si distingueva altro se non il risplendere algido degli astri.
L’assito era scivoloso e ingombro di corde, l’umidità si era abbrancata al galeone come un parassita e impregnava ogni cosa, rendendo spiacevole la permanenza sul lustro ponte di coperta.
Ma la ragazza aveva bisogno di sentire il vento sulla pelle, sebbene fosse tanto differente da quello del suo deserto. Avvertiva la necessità di riordinare i pensieri, sola con se stessa, per pacificare il passato ed elaborare il futuro.
Salì sul castello di prora, mirando a sedersi su una delle casse impilate ordinatamente sotto il fuso maggiore di trinchetto, in cerca di un riparo più consono, persa nelle proprie riflessioni.
Una sagoma scura si mosse, facendola trasalire e bloccandole il respiro in gola. Si arrestò, impaurita.
Una figura alta, avviluppata in un mantello color cenere si voltò di scatto, portando istintivamente la mano all’elsa della spada. La pesante stoffa si aprì leggermente, dandole modo di distinguere a malapena una figura maschile, quasi mimetizzata nel buio più totale. Comprese da quel particolare, dalle sue dita guantate serrate sull’impugnatura dell’arma, che si trattava di un essere umano e non di un demone infero sfuggito alla sua atavica dimora.
“P-perdonatemi…” mormorò, quasi certa che la sua insolita comparsa avesse allarmato lo sconosciuto, mettendolo sulla difensiva.
L’uomo, scorgendola, si rilassò sensibilmente, ritirando il braccio tra le pieghe grigie, che si richiusero sulla lama lucida, ma non rispose. Mantenne il cappuccio calato sul volto e l’aspetto atro e sfuggente del dio della Morte.
La principessa deglutì faticosamente e prese coraggio, convincendosi che potesse trattarsi di uno degli altri passeggeri diretti a Neirstrin, che Dalian aveva nominato di sfuggita all’atto dell’imbarco.
“Non era mia intenzione incomodarvi…” disse con cauta gentilezza.
La voce di lui uscì ferma e chiara dall’ombra che gli oscurava i lineamenti.
“Nessun incomodo, signora. Non siete entrata nella mia cabina, dopotutto”.
“Grazie…” balbettò lei, senza sapere come interagire e, soprattutto, indecisa se restare in sua compagnia “Io… io sono Adara…”
Tese la mano nella sua direzione.
L’individuo esitò per un istante, immobile, come se non avesse la minima intenzione di presentarsi. Poi, proprio quando lei stava per rassegnarsi a ritirare il gesto di cortesia formale, si fece avanti.
“Alyecc” rispose.
Le loro dita si sfiorarono.
Il vento sibilò più intenso e l’improvvisa folata gli gonfiò il cappuccio, gettandoglielo indietro sulla schiena e scoprendogli il viso.
I capelli biondi gli si scompigliarono, ricadendo in ciocche disordinate sulle spalle. Imprecò tra i denti in una lingua che la ragazza non comprese, ma si riebbe subito e ultimò il saluto, sfiorandole con un bacio il dorso della mano anziché stringerla.
Il Crescente si rivoltò per un infinitesimo, facendosi sentire, ma poi tacque.
Lui fece per risistemare l’indumento dispettoso, ma poi cambiò idea.
Adara rimase stordita. Era l’uomo più bello che avesse mai visto nella sua vita. Si ritrasse intimidita, incapace di distogliere lo sguardo dai suoi occhi chiari, che in quella notte di pece parevano privi di un colore ben definito.
Anche Alyecc la fissò intensamente, ma senza tradire altrettanta emozione.
“Un nome del Sud…” commentò garbato “Siete lontana dalla vostra terra, dunque”.
“Sì…” rispose la ragazza, cercando di non apparire ancora più impacciata davanti a lui “Il vostro, invece, viene sicuramente dal Nord. Siete di Jarlath?”
Lui sorrise lievemente, ma con una sfumatura amara che gli imbevette a fondo anche lo sguardo.
“Solo d’adozione”.
“Ah, avrei dovuto capirlo da sola in effetti. Quando prima avete parlato, non sono riuscita a riconoscere il vostro idioma”.
Il giovane per un attimo parve colto alla sprovvista, ma poi strinse leggermente le palpebre, attirato dalla constatazione.
“Siete acuta” asserì, leggermente divertito “Si tratta di un dialetto arcaico, che mi è stato trasmesso dai miei consanguinei. Talvolta, mi esce spontaneo”.
“Sembrerebbe che la vostra sia una famiglia molto antica…”
“Lo era”.
Adara si pentì subito di essere stata così invadente.
“Scusatemi…” sussurrò mortificata “Sono stata troppo indiscreta, non avrei dovuto”.
Lui non ostentò alcun dispiacere e si limitò a guardarla, indecifrabile.
“Non avvertite il morso del freddo? Mi sorprende che una fanciulla elestoryana giri da sola di notte con degli abiti appena sufficienti per ripararsi”.
“Sto congelando, a essere sincera” ammise lei con franchezza “Ma avevo bisogno di schiarirmi le idee e questo clima sotto lo zero è l’ideale per svegliarmi!”
Gli occhi chiari di Alyecc luccicarono nel buio.
“Dite che ho sbagliato a non farmi accompagnare?” proseguì lei con un brivido “L’Amara è tutta qui, non mi è sembrata tanto pericolosa…”
“Le navi non sono mai pericolose” affermò lui “Lo sono i marinai che le popolano. Anche se questa ciurma appare piuttosto tranquilla, voi siete molto giovane e molto bella, una tentazione per chiunque, specie se quel soggetto ha fatto il pieno di bjorr e ha perso i pochi freni inibitori di cui è dotato”.
La principessa arrossì per il complimento e, contemporaneamente, iniziò a preoccuparsi. L’uomo non aveva torto, anzi, lui stesso avrebbe potuto costituire un rischio. Anche se lei portava la spada al fianco, non era affatto certa di poterlo disarmare, vista la lestezza con cui si era mosso in precedenza.
“Inoltre” continuò lui, indicando il laccio che le scendeva all’interno dello scollo del mantello “Se fossi in voi, non terrei addosso nulla di prezioso. Nessuno vi garantisce che, tra gli irreprensibili marinai, non si nasconda più di un abile pirata”.
Adara trasalì e portò istintivamente le mani al colletto, sfiorando la stringa di cuoio da cui pendeva il cilindro con la Profezia, celato sotto gli abiti.
“Questo?” rispose con studiata noncuranza, sollevando il legaccio “Sono solo noiosi documenti, lettere di cambio inutilizzabili da chicchessia, che porto con me per evitare che si inumidiscano. Il contenitore è stagno. È necessario che arrivino a destinazione integri, per concludere i miei affari. Non è così anche per voi?”
Alyecc, a sua volta, prese tra le dita la sottile catena argentata che gli circondava il collo e si perdeva nell’apertura del lungo manto cinereo. Non mostrò altro.
Sorrise, beffardo.
“No” rispose “Il mio pendente ha un discreto valore, ma sfido chiunque a privarmene”.
La ragazza intercettò il suo sguardo impavido e quasi borioso.
“Siete così esperto con la spada o state solo cercando di impressionarmi?”
Lui rise lievemente, scostando il mantello dal fianco e scoprendo il fodero lavorato. Il riverbero delle lampade illuminò il metallo, rendendolo incandescente e bianco.
“Volete provare a estrarre?” la provocò con altezzosa indolenza.
“Ma che dite?”
“Vi faccio così tanta paura, forse?”
Adara si irritò a fronte di tanta arroganza e accettò la sfida. Liberò il braccio destro dalla pesante stoffa e fece avanzare sul fianco la custodia della propria arma. Il gelo notturno la investì. Attese il momento giusto, così come le era stato insegnato. Guardò l’avversario negli occhi… fieri, intensi, privi di dubbio. Magnetici.
Fece per snudare la spada e si ritrovò quella dello sfidante puntata dritta alla gola.
Non aveva neppure colto il movimento. Sarebbero bastati pochi millimetri e…
Abbandonò la tenuta sull’elsa e fece un passo indietro, senza realizzare di trovarsi proprio al limitare della scaletta che scendeva dal castello di prua. Perse l’equilibrio, sdrucciolando sul legno, viscido di patina salmastra, mancando la presa sul robusto mancorrente d’ottone.
Alyecc la abbrancò prontamente al polso, tirandola verso di sé e impedendole di precipitare lungo i ripidi gradini.
“Oh, per tutte le stelle!” esclamò Adara, fissando senza fiato il varco scuro sotto di lei “Vi… vi ringrazio davvero…”
Lo guardò, con il cuore che pulsava come impazzito. La superava in altezza di alcune spanne buone. Alyecc indugiò su di lei, illeggibile, ma fu solo un attimo.
Abbandonò la cattura, rinfoderando la spada con una mossa incredibilmente naturale.
“Non avete esaminato con riguardo la vostra posizione di netta inferiorità, prima di affrontarmi” disse “In uno scontro effettivo, sarebbe stato un errore imperdonabile. La distrazione si paga molto cara”.
La principessa si sentì stringere il petto a quelle parole, che le rammentavano…
“Avete ragione. Anche il mio maestro d’arme lo ripeteva sempre” sussurrò, turbata “Sono stata troppo presuntuosa, non avrei dovuto mettermi al pari con voi”.
“E perché no?” ribatté il giovane “Vi ho vista in guardia, non siete affatto male. È solo che, come vi spiegavo senza falsa modestia, per me non esistono degni rivali. Il vostro istruttore è un uomo saggio. Vi avrà anche raccomandato di non cedere alle provocazioni, suppongo…”.
Rise.
La ragazza abbassò il capo, scostandosi i lunghi capelli castani dal viso, improvvisamente sommersa dalla tristezza del ricordo di Aska Rei. Il comandante della Guardia l’avrebbe rimproverata aspramente: non sarebbe stato fiero di come aveva sostenuto quel rapido duello. Si era ripromessa di onorare la sua memoria con gli atti, ma aveva fallito davanti alla prima occorrenza e non si era trattato neppure di un combattimento vero! Come avrebbe fatto ad affrontare Anthos, in caso di necessità? Con le parole? Si impedì di piangere davanti ad Alyecc, per evitarsi almeno quell’umiliazione, ma il suo dolore irradiò come un alone incontenibile.
“State tremando” constatò lui, inespressivo.
“Avevate ragione anche sul mio abbigliamento eccessivamente leggero” rispose lei, allontanando l’argomento troppo funesto “Devo proprio sembrarvi una stupida…”
L’uomo divenne pensieroso per un istante, ma non replicò; slacciò il nodo complicato che reggeva il mantello e se lo sfilò.
Portava una casacca nera, chiusa da alamari argentati e pantaloni dello stesso colore. Gli stivali erano scuri e gli avvolgevano le gambe, snelle e muscolose, fin sotto il ginocchio. Dimostrava circa una trentina d’anni, ora che si era liberato della spessa cortina tinta cenere che ne celava la persona. I capelli biondi, che gli sfioravano gli omeri, risaltarono ancora di più su quelle tinte cupe.
“Prendete” disse, appoggiando l’indumento sulle spalle della principessa.
“Non posso accettare” si schermì lei “E neppure permettere che vi prendiate un malanno a causa mia. Vi ho solo arrecato disturbo, stanotte”.
Alyecc ignorò l’obiezione.
“Chi vive al Nord, è abituato a ben altro. Questa temperatura per me è come un assaggio d’estate” replicò “Se vi sentite così tanto in difetto, vi chiederò di ricambiare il favore raccontandomi di voi. Il tragitto fino a Neirstrin è lungo e tedioso, sono abituato a muovermi da solo, ma un po’ di compagnia non mi dispiace affatto”.
“Ho visto altri cavalli nella stiva. Pensavo appartenessero ai vostri compagni di viaggio…”.
“Servitori” corresse lui con un sogghigno misurato “Fidatevi, se vi dico che non sono né loquaci né interessanti”.
Adara iniziò a percepire il tepore proveniente dal manto foderato di calda pelliccia. Se avesse scelto di riferire qualcosa di sé, avrebbe dovuto necessariamente mentire. Il pensiero di dover propinare una serie di fandonie a quel giovane tanto affascinante e misterioso la rammaricò, ma non avrebbe certo potuto presentarsi come la principessa di Elestorya, la portatrice della Profezia, la predestinata all’incontro con il reggente di Iomhar, eccetera, eccetera.
Inoltre, non aveva certo ignorato la stilettata bruciante che il Crescente le aveva spedito quando lui le aveva rivolto il baciamano. Era pur vero che, quando l’aveva strappata alla caduta, afferrandola, la mezzaluna tatuata non aveva assolutamente reagito. Un’altra stranezza. Il Crescente era con lei da quando era nata, ma non lo conosceva, non lo comprendeva, non lo padroneggiava. Era come se una parte di sé le sfuggisse. Come convivere con un vuoto. Ne avrebbe parlato con Narsas. L’amico certamente l’avrebbe aiutata a capire.
Restava imperativo, comunque, non fidarsi. Lo stesso Alyecc l’aveva messa sul chi vive sul medesimo argomento.
La brezza marina agitò il colletto della sua camicia scura, mettendo nuovamente in luce la catena metallica che si perdeva sul suo petto fasciato di nero.
“Mi aspettano a Jarlath” disse guardinga “Ho un impegno molto urgente. So che può sembrarvi strano incontrare una giovane donna che si imbarca imprudentemente sul Pelopi, ma il resto della mia famiglia è impossibilitato a risolvere la questione indilazionabile che è insorta. Ci sono solo io… io e le due persone che mi scortano”.
“Siete coraggiosa” sussurrò lui.
Adara scosse la testa, poco convinta.
“Testarda e imprudente. Sarebbe più appropriato” corresse.
Il giovane sogghignò, ironico.
“Sono anch’io così” ammise “O non sarei salito su questa nave”.
“Che dire, prendere o lasciare…” continuò lei “Avrete sentito dire che Tasautia è crollato, quella del mare risulta la via più breve”.
“Sì. Un fatto increscioso” annuì lui “Per chi arriva da Erinna e ha fretta non c’è attualmente alternativa. Ma è una posizione terribilmente rischiosa, nessun viaggio fila mai completamente liscio su queste acque. Correnti, gorghi, pirati, divinità marine… Ci sono tante storie sul Pelopi, qualcuna non si allontana dalla verità”.
“Mi state spaventando a morte” ammise Adara, stringendosi nel mantello di lui “Voi invece? Parlate come se non provaste timore”.
“Perché non ne ho” ribatté Alyecc duro.
La principessa lo studiò. Non stava mentendo. Sul suo volto attraente e leggermente imbronciato non c’era traccia di indecisione. Nessuna paura, nessuna crepa. Forse era solo un’impressione provocata dalla fioca luce che lo investiva. Avrebbe voluto osservarlo in pieno giorno, così avrebbe individuato anche il colore esatto dei suoi occhi tanto espressivi...
“Solo dell’oceano o in generale?” gli disse “In fondo, voi siete di Iomhar…”
Lui ridacchiò brevemente, ma il suono che emise era privo di qualsiasi calore.
“Ah, perché mai ve l’ho domandato…” mormorò Adara sconsolata.
“No… no, è una richiesta legittima. L’eccezione sono io non voi, ritengo” replicò con divertita cortesia “Mi state indirettamente chiedendo se la fama del nostro reggente è meritata e che cosa penso in proposito. Vero?”.
“Sapete leggere tra le righe…” ammise la ragazza, arrossendo.
“E voi non avete bisogno di nasconderci nulla” ribatté lui scuotendo indulgentemente la testa “Gli eufemismi non mi sono mai piaciuti, sono inutili orpelli che moderano inutilmente l’evidenza delle cose. Perciò non me ne servirò, a costo di terrorizzarvi. Sì, la sua nomea è più che meritata. Anthos è un sovrano spietato. Potreste peggiorare a piacimento quanto avete udito sul suo conto e non sarebbe ancora abbastanza”.
Lei spalancò gli occhi a fronte di una tale schiettezza.
“Lo… lo conoscete?” mormorò.
Alyecc si limitò ad inchiodarle addosso un’occhiata intensa, come se stesse ponderando la possibile ammissione o negazione.
La risposta non fece in tempo ad arrivare.
“Adara…”
La principessa si volse a quel richiamo premuroso e inconfondibile.
“Narsas!”
L’arciere del deserto si trascinò faticosamente lungo il castello di prua, reggendo nella sinistra una lampada ad olio per non inciampare nelle funi abbisciate sul ponte e per illuminare il percorso non familiare. L’altra mano era stretta allo stomaco, come se il mal di mare lo stesse ancora angariando senza compassione alcuna
Il fioco riverbero lambiva i suoi tratti sofferenti, i capelli scuri scompigliati e incollati al viso, gli occhi neri lucidi e febbricitanti.
Nonostante il pesante malessere, era andato a cercarla.
Alyecc si irrigidì e arretrò impercettibilmente all’ombra ancora più marcata dell’albero di trinchetto, in modo che il bagliore della lucerna non gli piovesse addosso.
“Non avresti dovuto salire in coperta, con questo freddo e nelle tue condizioni!” lo rimproverò con dolcezza la principessa, correndo giù per la scaletta e facendoglisi incontro, altrettanto agitata.
“Manchi da molto, ho temuto che ti fosse accaduto qualcosa…”.
“Mi dispiace di averti fatto preoccupare” sospirò lei rammaricata “Desideravo un boccata d’aria, poi ho incontrato questo signore e mi sono persa nei discorsi… è stato così cavaliere da imprestarmi il suo mantello…”
Si girò per effettuare le dovute presentazioni, ma incontrò solo il buio.
“Ma… ma era qui fino ad un attimo fa!” esclamò sorpresa “Non posso aver sognato!”
Il ragazzo prese tra le dita la stoffa grigia con gentilezza.
“No. Lo prova l’indumento che hai sulle spalle… e poi mi è parso di intercettare un’altra voce. Evidentemente, non aveva piacere di incontrarmi”.
“Oh, non me lo spiego!” fece Adara, alquanto delusa “Chiederò a Dalian qual è la sua cabina, per restituirgli il mantello! Anche se viene da Iomhar e sostiene di non avvertire i rigori del clima, non vorrei che se ne privasse a causa mia”.
Narsas aggrottò la fronte e i segni violacei sotto i suoi occhi si fecero più evidenti, mentre la principessa lo prendeva sotto braccio e lo costringeva con delicatezza a rientrare sottocoperta, al riparo dall’umidità e dal vento.
Percorsero il corridoio interno, scendendo fino alla zona loro riservata, senza incontrare anima viva. L’equipaggio era assegnato dalla parte opposta e gli ufficiali riposavano nelle cabine maggiori. Nessuna traccia del misterioso Alyecc.
La ragazza percepì che, più che accompagnarla, l’Aethalas si stava sorreggendo a lei con un enorme sforzo. La preoccupazione nei suoi riguardi aumentò esponenzialmente.
“La tua pelle scotta, Narsas. Temo che tu abbia la febbre alta”.
“Ne sono conscio” rispose lui flemmatico “Ero in ansia per te. Questo galeone non mi convince del tutto, lo sai, e anche Dare Yoon è d’accordo con me. Era molto seccato. Ha fatto il giro da tribordo, ma ti ho trovata prima io”.
“Tanto per cambiare…” sospirò lei amareggiata “Mi scuserò anche con lui”.
“Per Dare Yoon essere infastidito è uno status quo” commentò l’arciere, sarcastico “Ma è anche un modo per dimostrarti la sua fedeltà incondizionata”.
Adara ripensò al suo tatuaggio con il sole a sette raggi e non poté che dargli ragione.
Aiutò il giovane guerriero a sedersi sul bordo della cuccetta e gli si mise accanto, prendendogli il volto tra le mani.
“Non so che fare per farti stare meglio!” gli disse, affranta “Sono uscita, pensando che stessi riposando e che non ti saresti angustiato per la mia assenza. Non volevo che mi vedessi così in apprensione. Ma sono riuscita solo a crearti una pena aggiuntiva…”.
Narsas le sorrise debolmente, il viso vicino al suo.
“Andrò a chiedere un farmaco a quell’antipatica di Bicks! Sono certa che tirerà fuori qualcosa, non è strano che i passeggeri soffrano la traversata. Me lo farà pagare a peso d’oro, ma non m’importa! Non posso vederti così!”
“Preferirei che tu restassi lontana da quella donna” obiettò lui “Ha uno sguardo da serpente e sono sicuro che non si tratti solo di avidità”.
“Allora… allora dimmi tu che cosa posso fare, Narsas…”
Il ragazzo le sfiorò una guancia, scostandole i capelli. Le sue iridi nere arsero più della febbre che lo stava fiaccando. Le sue labbra si fecero sempre più vicine, fin quasi a sfiorarla, come aveva già fatto lei la notte dell’orchya.
La porta della cabina si aprì di botto e Dare Yoon irruppe nell’ambiente.
Guardò la principessa, tirando un evidente sospiro di sollievo, ma poi si fece subito cupo e rigoroso, riguadagnando l’autocontrollo.
“Avete idea di quanto vi abbiamo cercata?” abbaiò tra i denti “Quello ha smesso di vomitare l’anima solo perché la sua agitazione era più forte della sua naupatia!” sbottò indicando l’Aethalas.
Adara si alzò, ancora confusa dal quasi bacio che l’arciere le aveva dato, ed afferrò la mano del soldato, che gesticolava con enfasi.
Lui si bloccò.
“Mi dispiace” ripeté per l’ennesima volta in quella notte, rattristata “La ramanzina me l’ha già fatta Narsas, suppongo di aver compreso…”
“Non mi pareva…” ringhiò Dare Yoon, squadrandoli sospettoso.
“Ho incontrato un giovane di Iomhar sul ponte” raccontò lei, sviando volutamente il discorso “Mi sono attardata in sua compagnia. Non so garantire se è una persona attendibile, ma stava per raccontarmi della situazione al Nord. Del principe Anthos. È uno che non ha peli sulla lingua e che viaggia per lavoro. Sarebbe un vantaggio se sapessimo qualcosa in più sull’argomento”.
“Mmh…” mugugnò l’ufficiale “Purché sia di giorno e stiate attenta” concesse.
“Va bene” consentì la ragazza “Sono lieta di vedere che tu stia meglio, Dare Yoon”.
“Mi sto abituando al ritmo del balletto…” bofonchiò lui.
“Mi sento quasi in colpa a non patire almeno un po’…” aggiunse lei.
“Non dite sciocchezze! Il Crescente vi protegge, come è giusto che sia”.
Adara rammentò il segnale che esso le aveva inviato all’incontro con Alyecc e si ripromise di parlarne con Narsas. Ma non in quel momento: era visibilmente provato e aveva assoluto bisogno di riposo. L’indomani avrebbe affrontato l’argomento.
“Vi ringrazio. Se permettete, ora mi ritirerò nella mia cabina. Vi auguro la buonanotte”.
 
Quando l’uscio di comunicazione tra i due vani si chiuse, Dare Yoon sbatté la spada sul tavolo, innervosito, rivolgendosi al compagno.
“Tu l’hai visto? Il tizio di Iomhar, dico…”
“Non ho fatto in tempo, era troppo buio…”
“Speriamo che non sia un altro “regalo” per noi”.
“Già...” borbottò Narsas.
“Gli darò una controllata, non si sa mai” promise il soldato “Piuttosto, tu mi sembri stare sempre peggio, Aethalas. Sei certo di sopravvivere fino a Neirstrin?”.
“Certissimo, grazie per l’interessamento” replicò l’arciere, sottile “Ora però vorrei cambiarmi questi vestiti fradici. Vorresti uscire, cortesemente?”.
L’ufficiale sgranò gli occhi, stupefatto.
“Fammi capire…” sogghignò “Ti vergogni a farti vedere nudo da un altro uomo, ma vivi praticamente abbracciato alla principessa e non ti scandalizzi a curare le ferite del prossimo… Parola mia, sei strano forte!”.
“Usanze” commentò il ragazzo, asciutto.
Dare Yoon prese la porta, scuotendo la testa, rassegnato.
Narsas si alzò con fatica e si sfilò la casacca intrisa di sudore, passandosi sul torace un panno umido, per togliersi di dosso la sensazione fastidiosa di febbre persistente.
La sua immagine si rifletté nel piccolo specchio appeso alla parete: si girò di spalle, osservando con angoscia la circonferenza rossa che portava incisa tra le scapole. Una linea sottile e vermiglia, perfetta, sulla sua schiena scolpita e muscolosa.
Sospirò, senza staccare gli occhi dal simbolo in evidenza.
“Lo rifarei” mormorò fra sé e sé con sofferenza indicibile “Lo rifarei altre mille volte se necessario, ma… per la prima volta, vorrei davvero… lo vorrei con tutto me stesso tornare indietro… vorrei che non fosse mai accaduto…”
Una lacrima gli scese lungo la guancia.
   
 
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