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Autore: Good Omens    18/06/2019    3 recensioni
Dal capitolo 1: 
"Mani forti gli cinsero le spalle, il respiro caldo sul collo e il profumo dell'uomo che amava nel naso lo spinsero ad alzare lo sguardo, perso e opaco, verso Crowley.
"Azira? Azira di che stai parlando?" Il dubbio nella voce dell'altro gli spezzò il cuore, ma non poteva parlare ora, non poteva muoversi perché tutto il suo corpo era pesante, non collaborava". 
  
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Hold on
-2 di 2-

 
“Mi vedi zitto quando studio l’ambiente,
il mio silenzio è testimone di una luce intermittente,
che mi si accende e mi si spegne a tratti,
infatti,
a volte perdo i contatti con il presente.”
-Dario Matassa-


“Posso portarti qualcosa?” Chiese Crowley, le dita che delicatamente scivolavano fra i capelli sulla testa di Aziraphale.
Si erano schiariti, notò con dispiacere il demone, dal debole biondo celestiale ora stavano cedendo al bianco albino.
Crowley non disse nulla al riguardo, sapendo che l’ange- sapendo che Aziraphale lo avrebbe scoperto da solo da lì a poco.

“Te, per favore, caro.” Rispose Aziraphale, fissando nulla in particolare mentre si stringeva più stretto sul fianco del divano di Crowley.
Sentì la testa alzarsi e la privazione del calore del suo demone quasi lo fece ricominciare a piangere dalla disperazione, la mano del rosso gli accarezzò gentilmente la guancia, quasi con paura di romperlo. “Torno subito.”
Il demone mise un rapido bacio sulla sua testa prima di lasciare la stanza, dirigendosi verso la piccola cucina dall’altra parte del locale per preparare il te ad Aziraphale.

Gli occhi del biondo si diressero verso il dipinto in mezzo alla nuda parete, sapeva benissimo cosa c’era dall’altra parte di quella sottile tela.
Prima non la temeva, ma adesso, al solo pensiero il suo corpo venne scosso da un brivido così forte da fargli male.

Si ritrovò a scendere dal divano, era in pilota-automatico, il suo corpo si muoveva da solo senza il bisogno di un singolo input dalla sua mente fragile, con la mano protesa verso la parete si avvicinò sempre di più al quadro, con dita sicura lo strinse e lo tirò verso di se, era quasi fatta, allungò la mano e girò la manopola 5 volte a destra, 3 a sinistra e 1 a destra, il clic lo sorprese, l’adrenalina corse per tutto il suo sistema pronto per il dolore.
Estrasse con mano improvvisamente tremante il termos, con ancora il ricordo di quella serata nel 1941, fresca nella sua mente, percepì lo stesso potere che prima tanto lo affascinava ma che ora temeva con tutta la sua esistenza eterna.
Respirò a fondo, non si torna indietro.
Si girò su gambe traballanti e si diresse verso il bagno, le lacrime che solcavano le sue magre guance.

“Te nero con sei zollette di zucchero, ancora mi chiedo come tu non abbia ancora il diabete, sai con così tanto zucchero…” alzò lo sguardo dalle tazzine da te, ma lui non c’era.
Il suo sguardo sfrecciò da una parte all’altra dell’appartamento, gli occhi tremanti mentre si fermano sulla cassaforte aperta.
No.
Posò le tazzine e si avvicinò, la spalancò del tutto, ma quello che vide gli fece venire la nausea a e una strana sensazione allo stomaco.
Si girò di scatto e scannerizzò la stanza, la porta del bagno era chiusa.

“Angelo!” Batté la mano sulla porta, doveva entrare.

“Non sono più un Angelo.” Rispose Aziraphale, anche con la voce attutita dalla porta di legno, Crowley riuscì comunque a sentire la fitta di tristezza che traspariva dal suo petto.

“Cosa stai facendo lì dentro?” Domandò anche se già sapeva la risposta. Allungò una mano per girare la maniglia della porta, ma l’angelo doveva averla incanta, con quel poco di miracolo che gli era rimasto in corpo.

“Sto solo pensando, caro.” Era la risposta dell’altro e Crowley si sentiva a disagio, doveva aprire quella porta.

“Aziraphale, fammi entrare.” La mano ancora stretta sul pomello, cercando, invano, di compiere un piccolo miracolo demoniaco.

“Rimani lì fuori, Crowley.” Ordinò con durezza l’angelo, che si ammorbidì qualche istante dopo, “per favore, non voglio che tu mi veda così.”

“Così come? Sei uguale a prima ai miei occhi, sei lo stesso angelo che ho conosciuto 6000 anni fa, sei sempre l’uomo che ho amato e rispettato per tutto questo tempo, per favore Aziraphale” un sospiro gli uscì dritto dal petto, “fammi entrare, lo sistemeremo assieme, io e te.”

“Non posso più farlo Crowley” pianse l’angelo, un singhiozzo che gli lacerava la gola, “6000 anni sono stato al suo fianco, e lui mi ha lasciato da solo, qui, sulla Terra.” Singhiozzò più forte e la mano di Crowley strinse il pomello, c’e l’aveva quasi fatta.

“Voglio solo sapere perché e se questo è l’unico modo…” fissò se stesso nello specchio, osservando mentre l’ultima bianca piuma cadeva inesorabilmente a terra e un altra grigia prendeva il suo posto.
Era terrificante vedersi in quel modo.

“Azira, fammi entrare ti prego, ne parleremo.” Era disperato avrebbe fatto di tutto per tenere al sicuro il suo angelo, e se questo voleva dire slogarsi una spalla per aprire quella porta, allora così sia.

“Ho speso tutta la mia vita a Servirlo, cosa posso essere se non sono più con Lui?” Affondò in ginocchio, il termos stretto fra le sue mani, non voleva sentire più nulla, non voleva più stare lì.

“Sei il mio angelo, Aziraphale.” Spinse ancora contro la porta, uno scricchiolio riempì la stanza silenziosa, “per favore, ti prego, fammi entrare.”

“Ma io non sono più il suo angelo.” Rispose sospirando forte, le lacrime ancora traboccavano sulle sue guance. Non ricordava l’ultima volta che avesse pianto così tanto.

“Aziraphale so cos’hai lì dentro, buttala.” Disse Crowley se non poteva entrare allora lo avrebbe fatto da fuori.

L’angelo scosse la testa “io non la penso allo stesso modo, caro…”

“Aziraphale!” Urlò Crowley, la rabbia che si mescolava con la paura, “apri questa stramaledetta porta per l’amore di… per l’amore di qualcuno, Aziraphale!”

“Crowley…”

“NO!” Lo interruppe, “non osare lasciarmi qui da solo, angelo!” Sbatté un altro pungo sulla porta, sentì le ali piegarsi dietro di lui mentre l’adrenalina cominciava a salire.
“So che sei ferito, non eri altro che una pedina nelle sue mani e lui ti ha voltato le spalle.” Sapeva bene che quello che stava dicendo poteva avere due effetti, ma lui insistette ancora, “non hai fatto niente di sbagliato, perché gli angeli non fanno nulla di sbagliato e tu lo sei ancora. Sei ancora un angelo per me, Aziraphale.”

Ci fu silenzio per qualche secondo e Crowley trattene il fiato mentre ascoltava il silenzio.
Il clic della serratura lo fece spaventare, ma quando capì quelle che era successo, girò all’istante la maniglia e si fece strada nel bagno angusto.

Afferrò con ansia il termos pieno di acqua santa e senza preoccuparsi di bruciarsi, lo aprì e lo svuotò nel lavandino.
Aziraphale era ancora sul pavimento, la realizzazione che lo compiva fisicamente con le lacrime ed emotivamente con il senso di colpa; cosa aveva appena fatto?
Crowley ci mise due minuti per svuotare interamente il termos ma quando lo fece, lo scagliò il più lontano possibile e sbriciolò accanto al suo angelo, privo di forze.

Avvolse le sue ali attorno alla forma vibrante dell’angelo caduto, tenendolo più vicino possibile, per assicurarsi che stesse ancora respirando, che fosse ancora con lui.

“P-per favore, non farlo mai più” pregò il demone, una mano che leniva con calma le tensione sulla schiena dell’altro, e il sapore delle lacrime in bocca.

“I-i-io non so che fare, C-Crowley.” Singhiozzò Aziraphale, la sua voce attutita dal vestito del rosso, il suo viso premuto contro il petto.

“Ti aiuterò.” Lo assicurò Crowley, dondolando dolcemente, “non vado da nessuna parte e nemmeno tu.”

Aziraphale annuì appena, ancora aggrappato saldo al vestito del demone.

“Dai,” lo tirò su Crowley, il braccio stretto attorno alla vita per impedirgli di cadere, “il te si sta raffreddando.”
   
 
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