Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    22/06/2019    1 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles- 25 novembre 2019 

Eren

Quando la madre del ragazzo più popolare di tutta la scuola muore, è impossibile non saperlo. Era stato improvviso, il giorno prima mi aveva salutato dal suo portico, il giorno dopo era dentro una bara deprimente, pronta per prendere posto al cimitero. 

Non sapevo se fosse un incidente o una malattia o chissà cosa. Sapevo solo che avrei dovuto essere più triste, come i miei genitori che avevano versato qualche lacrima alla notizia. Se fosse successo quattro anni prima avrei pianto, forse, e avrei sentito quell’evento molto di più, mi avrebbe segnato molto di più. Non che non fossi dispiaciuto, lo ero, Kuchel era sempre stata carina, anche dopo che il figlio era diventato un completo stronzo. E aveva rovinato la nostra amicizia. 

Anche a scuola qualcuno stava piangendo, probabilmente per farsi notare, ma la maggior parte spettegolava, cercando di nascondersi   fra gli armadietti quando Levi Ackerman passò per il corridoio, seguito dal gruppo di teatro. O dai suoi schiavi, dipende dal punto di vista. 

Io lo fissai, cercando qualche traccia di disperazione nel suo sguardo ma mi sembrò solo più scocciato del solito. La sua espressione fredda e indifferente era una buona maschera per nascondere le sue emozioni, lo era sempre stata. 

‘’Che hai da guardare, nerd?’’, mi apostrofò Jean o Jan, non ricordavo bene il suo nome. Non risposi, non volevo un pugno di lunedì mattina, se fosse stato venerdì avrei anche potuto continuare la discussione. Gli lanciai uno sguardo veloce e voltai le spalle, percorrendo il corridoio dall’altra parte rispetto al gruppo di teatro. 

Forse avrei dovuto fare le condoglianze a quello che era stato il mio migliore amico per la maggior parte della mia vita, ma non sembrava stare così male. O forse era solo un bravo attore, cosa che dicevano tutti a scuola, anche perché era popolare per quello e per il suo aspetto da stronzo. In ogni caso avevo ancora delle ore per pensarci su.

Entrai in classe, cercando con lo sguardo Armin, trovandolo già seduto in uno dei banchi in mezzo. Mi avvicinai e lasciai cadere il mio vecchio zaino marrone sulle mattonelle consumate dell’aula. 

‘’Ciao’’, borbottai, sedendomi al suo fianco, preparandomi psicologicamente alla lezione di chimica che stavamo per affrontare. Odiavo le materie scientifiche. Invece Armin era un genio ed anche il mio nuovo migliore amico. Meglio di quello vecchio.

‘’Hai sentito della madre di Levi?’’, mi domandò, scrutandomi con una strana occhiata per capire come mi sentissi. Poi aggrottò la fronte, non notando tristezza e struggimento nel mio sguardo. 

‘’Ovvio, ci vivo a fianco.’’

‘’E…?’’

Alzai gli occhi al cielo, controllando l’orario per capire se potessi evitare quella conversazione o meno. Maledetto me che mi ero svegliato troppo presto. 

‘’E niente, Armin. Non andrò a fargli le condoglianze, se è questo che desideri’’, sbuffai, cercando il mio libro di chimica per occupare del tempo e per non dover guardare l’espressione di disapprovazione del mio amico. Anche solo immaginarla mi faceva venire la nausea. 

‘’Eravate praticamente come fratelli, me lo hai detto tu stesso.’’

‘’Eravamo, appunto.’’ 

Lo sentii sospirare e a quel punto lo guardai. Lui era buono e gentile, io no. Ero troppo emotivo, troppo precipitoso, troppo chiassoso, troppo tutto. A volte non capiva le mie decisioni ma andava bene così, non potevamo comprendere ogni cosa. Io lo accettavo mentre lui cercava di capirmi fino a diventare irritante ma era fatto così, era troppo gentile e buono per me. 

‘’Armin, facciamo una cosa. Puoi dirgli che ti dispiace per Kuchel e puoi farlo anche da parte mia. Sarà come se lo facessi io, no?’’, proposi speranzoso di chiudere l’argomento Levi. Negli ultimi due anni era uscito così poche volte che avevo anche creduto di non averlo mai conosciuto. Ma il fato non era così benevolo, purtroppo. 

‘’Non proprio. Comunque gli parlerò’’, disse infine il mio amico e la campanella suonò, segnando l’inizio delle lezioni. 

 

**********


Dopo chimica non avevo avuto altre lezioni con Armin e così non c’era stata l’occasione per poter parlare di Kuchel. In compenso l’ora prima del pranzo, quella di ginnastica, non era andata molto bene. 

Facevo lezione con Levi e Jean. Il primo non si era presentato mentre il secondo aveva cercando di stuzzicarmi più volte mentre correvamo per il campo. Lui si che era irritante, il lunedì più degli altri giorni. 

Dopo l’ennesima battuta su come lanciavo male la palla da baseball, decisi di rispondergli per le rime, mettendo in mezzo anche Levi.

‘’Non dovresti essere da qualche parte a consolare il tuo padrone? Non vorrai mica farti cacciare dal gruppo di teatro’’, dissi tagliente, facendo girare varie persone dalla nostra parte. Mi guardarono come se fossi pazzo, un pazzo molto stronzo. Jean era paonazzo e fece due passi verso di me, sollevando una mano. Ecco, stavo per ricevere un pugno in faccia ma me lo sarei meritato.

Jean bloccò la mano e mi fissò duramente prima di parlare, ‘’potevi dire qualsiasi cosa contro di me ma non mi aspettavo che fossi così cattivo’’, sibilò vicino al mio viso. Mi sentii male ma durò per qualche secondo, le mie parole erano dovute alla rabbia, ecco cosa intendevo quando ero troppo di qualsiasi cosa.

Shadis, l’insegnante di educazione fisica, stava venendo verso di noi ma Jean riprese ad eseguire i suoi lanci, ignorandomi per il resto della lezione. Anche io lo ignorai finché la campanella non suonò. 

Entrai nello spogliatoio e mi misi quasi in un angolo, sentendo su di me degli sguardi accusatori per via del mio piccolo spettacolo. Mi cambiai e andai in bagno, trovando Jean che si lavava il viso. Fantastico, pensai tra me e me.

‘’Non vuole essere consolato’’, disse a un certo punto, spezzando il silenzio imbarazzante fra di noi. Guardai il mio riflesso allo specchio e mi passai una mano fra i capelli che stavano diventando troppo lunghi. Non dissi nulla, non sapevo veramente che dire. Levi era sempre stato silenzioso, soprattutto nei momenti difficili. 

‘’E’ incazzato quindi evita di parlargli con quel tuo modo arrogante. Se lo fai stare peggio giuro su Dio che un pugno non te lo leva nessuno’’, mi disse con freddezza e questo mi fece capire quanto fosse serio. Sentivo il suo sguardo su di me e mi limitai ad annuire, chiedendomi quando fosse successo che qualcun altro tenesse in questo modo a Levi, prendendo il mio posto.

Jean uscì dal bagno, lasciandomi solo con i miei pensieri. A volte pensavo fin troppo e altre non lo facevo affatto, come quando avevo detto quella cattiveria. Poi cercavo di difendere il mio atteggiamento, inventandomi scuse che chiunque avrebbe potuto smontare facilmente. 

Mi lavai il viso e tornai nello spogliatoio, prendendo le mie cose per poi uscire, dirigendomi verso il refettorio nonostante il mio stomaco fosse ben chiuso. Evidentemente il mio corpo aveva un diverso modo di farmi capire che in realtà fossi dispiaciuto per la morte di Kuchel. Era l’unica persona accettabile in quella famiglia. 

Entrai nella grande mensa e cercai Armin fra le varie persone, lo vidi dirigersi verso il gruppo di teatro. I ragazzi più popolari della scuola occupavano uno dei tavoli migliori e solitamente ridevano e facevano un gran baccano. Altre volte ripassavano delle parti per uno spettacolo. Stavolta erano silenziosi e guardavano il re della scuola, Levi Ackerman, che sembrava più scocciato del solito. La sua ragazza, una certa Petra cercò di toccargli il braccio ma lui lo allontanò, facendomi ricordare tutte le volte in cui mi diceva di odiare quando le persone provavano pena per lui. 

A quel punto pensai che Armin avesse avuto una pessima idea perché aveva un tono troppo gentile, anche per Levi. Feci qualche passo nella sua stessa direzione e lo vidi catturare l’attenzione del gruppo di teatro. Non sentivo bene cosa stesse dicendo, c’era troppo chiasso in quel dannato posto. Però vidi l’espressione irata di Levi. Poi lo vidi alzarsi, raggiungendo quasi l’altezza di Armin che sembrava terrorizzato da quell’ammasso di rabbia repressa. 

Allora mi avvicinai ancora di più, beccandomi un’occhiataccia di Jean. Mi stavo cacciando in troppi guai oggi, non vedevo l’ora che le lezioni finissero. Da quel punto riuscì a sentire qualcosa. 

“Non volevo darti fastidio, volevo solo farti le mie condoglianze”, sentii la voce di Armin e vidi le sue mani muoversi mentre si spiegava. 

“Non me ne frega un cazzo delle tue intenzioni, io neanche ti conosco.” La voce di Levi era furente come se fosse arrabbiato con tutto e tutti, anche la sua espressione era irata, non fredda come al solito. La morte di sua madre doveva essere stata un brutto colpo per lui. 

“Va bene, scusami, vado via.”

“Tu che cazzo hai da guardare, Jaeger?”

Sgranai gli occhi, non capendo perché si stesse riferendo a me. Puntai lo sguardo su di lui e alzai le spalle, senza dire nulla. Pessima mossa perché lo fece arrabbiare ancora di più. 

Fece pochi passi e mi raggiunse, guardandomi dal basso con un’espressione che mi fece rabbrividire. Non avevo mai visto così tanta sofferenza nei suoi occhi e volevo girarmi e allontanarmi il più velocemente possibile ma le mie gambe non obbedirono e rimasi bloccato come un idiota. 

“Impara a farti gli affari tuoi.”

“Come hai fatto tu all’inizio del liceo?”

Ecco, il mio tempismo era fottutamente perfetto. Mi stavo buttando nell’ennesimo guaio e, come aveva detto Jean, un pugno non me lo avrebbe tolto nessuno. 

“Tu non sai un cazzo.”

“Hai ragione, non avevo capito quanto fossi uno stronzo.” Esattamente un secondo dopo sentii un forte dolore sul mio zigomo destro. Barcollai sorpreso e mi portai una mano sulla parte colpita, imprecando a voce bassa. 

Levi aveva ancora la mano sollevata, stretta a pugno, e mi fissava senza pentimento. Due professori ci raggiunsero, iniziando a chiedere cosa fosse successo. Quello di letteratura, Erwin, prese da parte Levi per andare a parlare fuori da quel baccano. Io rimasi con la professoressa Hanji, senza sapere che dire. 

“Me lo sono meritato”, mormorai più a me stesso che alla donna. Lei sospirò e mi portò in infermeria. Molti sguardi si posarono su di me mentre camminavamo verso le grandi porte che portavano nei corridoio. Ero il nuovo stronzo della scuola e non me ne fregava nulla, qualcuno doveva pur dire a Levi la verità. 

“Che cosa è successo esattamente?”, mi chiede la donna, entrando con me nell’infermeria della scuola. 

“Gli ho detto che è uno stronzo. Ed è la verità ma a nessuno piace sentirsela dire”, dichiarai. Mi sedetti sul lettino e l’infermiera della scuola mi posò del ghiaccio sulla guancia, dicendo di tenerlo per una ventina di minuti. 

“Sopratutto dopo il trauma che ha avuto.”

“In effetti.”, affermai in accordo con la professoressa Hanji. Rimasi in silenzio a tenermi il ghiaccio sulla guancia, pensando al livido che avrei avuto domani. Non che mi interessasse. 

“Scriverò un avviso ai tuoi così la prossima volta ti ricorderai di essere un po’ più sensibile. Anche se l’altra persona è uno stronzo.”

Hanji mi sorrise e anche io ricambiai. Un avviso era meglio di una punizione. Un po’ speravo che Erwin la desse a Levi per tutte le volte in cui ero stato male al primo anno e lui mi aveva ignorato. 

Venti minuti dopo uscii dall’infermeria, sentendo la mia guancia ancora dolorante però avevo evitato che si gonfiasse più del dovuto. 

Trovai Armin in corridoio e mi avvicinai, poggiandomi al muro rovinato della nostra scuola. L’ora dedicata al pranzo doveva star finendo e a breve avremmo dovuto dirigerci verso le aule. Però, per il momento avevano un po’ di tempo da soli. 

“Ti fa male?”, mi domandò il mio amico, dedicando un’occhiata preoccupata e colpevole allo stesso tempo. Scrollai le spalle e gli risposi di stare tranquillo e sopratutto, che non era colpa sua. 

“Forse non avrei dovuto insultarlo davanti a tutti.”

“È il tuo talento fare cose che non dovresti fare.”

Ridacchiai annuendo, aveva proprio ragione. Rimanemmo in silenzio, poggiati a quel vecchio muro che doveva aver avuto momenti migliori. Se ci facevi caso potevi sentire anche la puzza che esso emanava. Odiavo quella scuola e fortunatamente era il mio ultimo anno. Poi sarei partito lontano da qui, lontano da Los Angeles, dal suo caldo, dalla  sua gente e dai falsi amici. 

La campanella suonò, bloccando i miei pensieri e assieme Armin andai verso le aule. 

 

**********


Il professore Erwin aveva voluto parlarmi dopo la mia ultima lezione e così mi trovavo nel suo studio, pieno di libri e carte. Però era ordinato. 

Ero seduto in una poltroncina marrone, in pelle, che faceva un gran chiasso ogni volta che cambiavo posizione. Quindi cercavo di rimanere immobile, non che fosse difficile davanti allo sguardo serio di Erwin. 

“La professoressa Hanji mi ha detto di averti messo un avviso per il tuo comportamento. Sei consapevole delle possibili conseguenze di quel litigio?” 

“Si, e mi dispiace. So che non avrei dovuto ma sa, erano anni di rancore repressi e anche la voglia di dirgli la verità”, risposi ironicamente, guardando la sua espressione che da tranquilla mutava in una più seria. 

“In ogni caso è stato scorretto, dopo ciò che è successo.”

“E ho detto che mi dispiace, cosa posso fare più di questo?”

La verità è che mi sentivo esausto e volevo solo tornarmene a casa invece di parlare di Levi. Il destino, Dio, o qualsiasi altra cosa che ci sia in cielo, non mi voleva bene. 

“Eren, non parlarmi in questo modo, non credo che vorresti subire conseguenze più serie”, mi minacciò l’uomo e io annuii. 

“D’accordo, so che ti rendi conto della situazione. Non pretendo che ti scusi con Levi però cerca di trattenerti le prossime volte.”

Si alzò dalla sedia e lo imitai, prendendo il mio zaino su una spalla per poi uscire da quell’ufficio. 

“In questo momento Levi è molto fragile, ricordarlo.”

Annuii e me ne andai dopo un breve saluto, oltrepassando l’uscita della scuola per ritrovarmi finalmente fuori. Levi fragile? Non ci avrei mai creduto. Era solo incazzato per la morte della madre, gli sarebbe passata prima o poi. O forse ero solo io quello ad essere incazzato perché Levi non si confidava più con me da quattro anni e non lo avrebbe fatto neanche in questa occasione. 

Lo vidi parlare con una giovane donna dall’aria stanca, vicino a un auto bianca e piccola. Aggrottai la fronte, non avendola mai vista. Non sembravano amici o qualcosa del genere. Lei era vestita bene e sembrava che stesse lavorando, anche perché portava una targhetta sulla camicia. 

Levi parlava poco in confronto a lei e brevemente, rivolgendole uno sguardo scocciato. Scossi la testa e mi allontanai, non volevo di nuovo litigare e prendermi un altro pugno. 

Raggiunsi la mia vecchia auto, anzi la vecchia auto di mio padre, e salii, mollando lo zaino al mio fianco prima di mettere in moto. Una serata di videogiochi mi aspettava con me, me stesso ed io. 
 

**********


Avevo finito per la seconda Uncharted 4 e decisi di fare una piccola pausa, magari per mangiare qualcosa e per fumare. Non fumavo quasi mai, se non il venerdì sera e rigorosamente erba, queste erano le mie due regole. Però era stato un giorno orribile e mi serviva. 

Bloccai la PlayStation e mi alzai dal vecchio divano di mio zio che avevo deciso di far portare in camera. Occupava un po’ troppo spazio nella mia stanza  ma era comodo quindi era un buon compromesso. 

Afferrai lo zaino che non usavo per uscire e frugai all’interno, tirando fuori dei dadi da gioco e fogli scritti da tutte e due le parti. Più in fondo trovai il mio grinder e sperai di trovarci qualcosa al suo interno così aprii il secondo scompartimento in cui conservavo l’erba tritata in più. Non ce n’era molta ma poteva bastarmi e, dopo aver preso il tabacco, iniziai a mischiare le due cose. Cartine lunghe e filtri ne avevo a sufficienza, ben nascosti dentro un cassetto, e li tirai fuori per girare la mia canna. Presi un accendino e decisi di andare in giardino, abbastanza lontano dalla camera dei miei genitori. Avrei mangiato più tardi nel caso l’erba mi avesse fatto venire fame. Una cosa certa è che avrei dormito profondamente. 

Uscii dalla porta principale, sentendo l’aria fresca scompigliare i miei capelli in modo piacevole dopo le ore che avevo passato davanti ai videogiochi. Mi sedetti sui gradini davanti alla porta e mi accesi la canna, portandola alle labbra per fare il primo tiro. Il forte sapore sulla lingua mi fece rabbrividire e il fumo rese i miei occhi leggermente lucidi. 

Pochi tiri più tardi ero già rilassato e mezzo addormentato, infatti non mi accorsi subito della figura davanti al mio vialetto. Quasi sussultai notando il volto di Levi poco illuminato dai lampioni tenui della nostra via. 

“Che cazzo ci fai qui?”, sbottai con voce impastata. Avrei voluto essere più deciso ma l’erba più il fatto che non avessi parlato con nessuno dalla scuola avevo reso la mia frase impacciata. 

“È erba quella?”, domandò il ragazzo, storcendo il naso alla visione della mia canna che ancora era a mezz’aria, sorretta dalle mie dita. 

“No, origano.”

“Fottiti, Jaeger.”

Era strano parlare con Levi per più di due secondi dato che negli ultimi anni ci eravamo evitati il più possibile. “Senti, dimmi cosa sei venuto a fare? Mi stavo godendo il mio fottuto origano in pace e serenità”, borbottai prima di fare un altro tiro e lasciai uscire il fumo nella sua direzione per dargli fastidio. Lui tossì e fece un passo indietro, andando a finire sotto la luce del lampione. Non potevo vedere molto ma notai il suo volto esausto e gli occhi arrossati come se avesse pianto o si fosse fatto tre canne senza tabacco. Doveva essere la prima tra le due. 

“Scusa per il pugno di prima.”

“Eh?”

“Non lo ripeterò una seconda volta.”

Mi toccai la guancia che mi aveva colpito e sospirai, sentendo del dolore quando premetti le dita. Mi alzai dai gradini e feci un passo verso di lui, notando il suo sguardo confuso. “E io non mi rimangerò quello che ti ho detto.”

“Lo so, ti conosco.”

Sollevai un sopracciglio ma non dissi nulla, quella conversazione stava andando verso una direzione che non volevo prendere. Strinsi il filtro della canna fra le dita e poi la porsi a Levi. 

“Serve più a te che a me”, afferrai e lui la prese, guardandola schifato. E io che pensavo fosse diventato un cattivo ragazzo in questi quattro anni. Non era il prerequisito per diventare popolari? 

Gli voltai le spalle e tornai dentro, nel calore della mia casa, chiudendo la porta dietro di me. Avevo un gran bisogno di dormire. 

   
 
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