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Autore: Corydona    26/06/2019    0 recensioni
Come in una partita a scacchi, due fazioni si ritrovano schierate l'una contro l'altra, pronte a dichiararsi una guerra che entrambe non vorrebbero. Da un lato gli Autunno, la cui potenza sembra inarrestabile, dall'altra i Primavera-Inverno, che possono contare su un'influenza senza eguali.
Una situazione di apparente stasi: apparente, perché nell'ombra i sovrani cadono e le successioni al trono sembrano più complicate del previsto. La guerra sarà dichiarata? Termineranno i regicidi? Quale delle due parti avrà la meglio?
Un'antica profezia annuncia la disfatta degli Autunno: si realizzerà? O rimarranno solo vaneggiamenti di un passato caduto nell'oblio?
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Selenia '
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Le luci di Zichi si estendevano per tutta l’ampiezza del golfo. La città marittima ancora rumoreggiava: tra le vie erano imbandite lunghe tavolate attorno a cui gli abitanti della cittadina erano rimasti dopo la cena. Flora li osservava assorta, mentre continuava a camminare al seguito di Virgilio, incantata dalla semplicità dei quadretti che le comparivano davanti agli occhi. Quella che sembrava una famiglia stava terminando gli ultimi avanzi della cena, con vino a riempire i bicchieri, tovaglie dalle sgargianti fantasie toccare quasi il terreno. Una donna anziana si avvicinò allo strano gruppetto: i capelli grigi le incorniciavano un volto solcato da rughe, con gli occhi scuri, caldi di un sentimento che Flora non esitò a interpretare come benevolo.

- Avete mangiato? - domandò soltanto, con voce roca.

Virgilio le sorrise. - Sì, abbiamo mangiato.

- C’è del pane che è avanzato, ne volete? - offrì la donna, illuminatasi alla risposta del capitano. - Domani potrebbe indurirsi e non si può buttare.

- Ma certo - annuì ancora il marinaio.

L’anziana si allontanò per avvicinarsi all’altro capo del tavolo, in cui erano accatastate piccole forme di pane delle più varie dimensioni all’interno di una cesta.

- C’è da fidarsi? - bisbigliò invece Arturo, postosi al fianco della principessa. - Come facciamo a sapere che non sia avvelenato?

- Non sembra malvagia - sussurrò lei, nascosta dal cappuccio. Seguì la donna con lo sguardo e la vide contarli per poi afferrare quattro panini e tornare da loro, offrendo con le sue proprie mani quel poco che lei cedeva come un tesoro.

Claudio diede immediatamente un morso, attirandosi un’occhiataccia del mercenario. - È buono - disse con la bocca piena. - Vi conviene mangiarlo, non sapete che vi perdete!

Flora afferrò il pane che le veniva porto, guardando la vegliarda negli occhi, con un sorriso che lei sentiva venirle dal profondo del suo animo. - Che la Luna ve ne renda merito.

- La Luna mi ha concesso tutto questo - le rispose quella. - Sono una donna felice.

La principessa scrutò al di là dell’esile figura dell’anziana e vide alcuni bambini rincorrersi attorno alla tavola, giovani e fanciulle discorrere animatamente, uomini e donne di mezza età bere vino dai loro bicchieri stracolmi, versandone sulla strada senza avvedersene. La maggior parte di loro si assomigliavano fisicamente: alcuni avevano lo stesso taglio sottile degli occhi, altri la stessa bocca carnosa, altri ancora capelli della stessa sfumatura di castano bene illuminata dalle torce nella via; era davvero una famiglia.

Flora sospirò, prima di congedarsi dalla donna e proseguire il suo cammino alle spalle di Virgilio.

Il capitano della Millenaria li guidò fuori dalla capitale e li condusse verso un querceto, inoltrandosi sempre più tra gli alberi. La luce lunare permetteva agli altri tre di seguirlo senza perdersi, anche se Virgilio procedeva senza fretta, ma con sicurezza; come se conoscesse molto bene quel percorso. Claudio camminava al fianco della sua amica, mentre Arturo chiudeva quel bizzarro gruppo. Quando aveva chiesto al capitano di scortarli verso un posto sicuro in cui passare la notte, il mercenario non si sarebbe mai aspettato di dover attraversare una boscaglia che non conosceva e di cui, di conseguenza, non si fidava. Si udiva l’eco di un canto di cicala, abbandonata a sé stessa durante la notte, mentre un vento leggero sfiorava le loro vesti e li accompagnava lungo il cammino, scuotendo le chiome delle querce secolari. Sembrava che le foglie mormorassero tra loro per la sorpresa dei viaggiatori, e che li volessero accogliere in quello che Flora avrebbe percepito come luogo sacro anche senza che Virgilio glielo dicesse. I rami più bassi ondeggiavano a ogni minima folata, spostandosi per agevolare il quartetto nel suo incedere.

- Ci siamo quasi - li avvisò il giovane che li guidava.

Pochi istanti dopo giunsero all’ampia radura in cui si trovava il tempio del Sole che, per quella notte, sarebbe stato un luogo sicuro luogo in cui riposare. L’edificio si presentava come circolare, sorvegliato da alte e robuste colonne che ne seguivano il perimetro. Sotto alla copertura in pietra del soffitto erano dipinti alcuni motivi floreali, che la principessa Primavera si sforzò per riuscire a vedere, tanto erano in alto. La terra battuta faceva presto largo a una pavimentazione di marmo chiaro, a cui non osavano avvicinarsi né le erbe o i rampicanti che avvolgevano alcune querce, né le formiche, che lì arrestavano il loro passo come in ossequio al dio. Tre scalini ponevano il tempo poco più in alto rispetto ai visitatori, che lo guardavano meravigliati.

- Ogni volta fa lo stesso effetto - mormorò Virgilio, ammaliato.

Flora avanzò di qualche passo, arrestandosi di fronte al primo gradino per inginocchiarsi. Sebbene Alcina non le avesse mai imposto alcun culto, lei provava una profonda devozione per le due maggiori divintà di Selenia: il dio Sole e la dea Luna. Aveva letto molto nella biblioteca del castello sui riti celebrativi e qualche volta si era recata insieme a Franco al tempio della Luna nel sud di Defi, vicino al confine con Pogudfo; la regina le aveva sempre vietato di recarsi a Nilerusa durante le festività e quello era l’unico ordine della madre che lei avesse rispettato.

- Concedimi riposo per una sola notte tra le tue mura - sussurrò, impercettibilmente, con la testa china e gli occhi semichiusi. - Te ne prego, Padre Sole.

Una folata di vento accolse i quattro, scuotendo con più veemenza i rami bassi degli alberi e rovesciando il cappuccio che copriva il volto della principessa. Lei alzò lo sguardo, sentendo che il dio voleva vederle il volto prima di accoglierla.

- Possiamo andare - disse Virgilio, avvicinandosi a Flora. Le porse una mano per aiutarla a rimettersi in piedi, e lei accettò di buon grado. Il capitano la accompagnò fino all’entrata principale del tempio, chiusa da una porta pesante di legno chiaro. Sollevò appena il battente e l’ingresso si spalancò da sé. Il capitano rimase a bocca aperta: nonostante si fosse recato presso quel tempio in più di un’occasione, quel prodigio era per lui del tutto nuovo.

La prima a entrare fu Flora, immediatamente seguita da Claudio: entrambi si guardarono attorno con meraviglia, perché l’interno era molto più spazioso di quanto la costruzione lasciasse presagire a chi si trovava all’esterno. Un grande altare al centro era colmo di tributi di ogni tipo: da mazzolini di fiori a forme di formaggio, da lame affilate a gomitoli di lana; qualsiasi cosa i devoti del dio credevano di potergli offrire era lì, davanti ai loro occhi. La fanciulla si perse nella contemplazione: lei, nonostante la sua ricchezza, non aveva mai donato nulla, neanche al tempio della Luna presso cui amava recarsi.

Claudio, invece, si guardò attorno, notando delle panche di legno disposte in cerchi concentrici attorno all’altare e altre due porte, oltre a quella da cui erano entrati. Si stupì che potessero esserci altre stanze oltre a quella. Si lasciò cadere su una delle panche, seguito da Arturo, che aveva osato riporre la spada nel fodero solo una volta dentro il tempio.

- È stato costruito secoli fa, forse millenni - bisbigliò il mercenario al contadino. - Per questo ci sono delle altre stanze che non sarebbero contemplate.

- La magia? - esclamò quello, forse alzando la voce. Si accorse che Virgilio, che aveva affiancato Flora, lo guardò inarcando appena un sopracciglio. - Ma come è possibile? - aggiunse allora, sottovoce.

- Claudio, io sono un soldato, non un architetto - rispose Arturo, scrollando le spalle. - So solo che gli edifici più antichi nascondono diverse sorprese.

- Quindi non è la prima volta che entri in un tempio… - constatò il giovane di Nilerusa.

- No, non è la prima volta - ammise il mercenario. - Ma non mi piacciono i templi ed evito di avvicinarmici.

- Perché? - chiese Claudio, con curiosità.

Arturo sospirò. - È una storia lunga… e non mi va di raccontarla.

Il ragazzo del Defi non insisté, comprendendo la riservatezza del mercenario: non era l’unico ad avere dei segreti. Si guardò attorno, accorgendosi in quel momento della luce azzurra che illuminava il tempio, sebbene le candele disposte intorno emanassero attenuati colori caldi, un pallido rosso che non riusciva a farsi largo in quella marea blu. Gli arrivò una gomitata dall’altro, che gli indicò il soffitto concavo, sotto cui era posto un piccolo braciere, dal quale si diffondeva quel lume particolare.

- Ma dove le fanno, queste candele? - sorrise Claudio.

- Nel regno del Mare - gli rispose Arturo. - Lì c’è una lunga tradizione di ceraioli, le fanno in modo che possano illuminare di tutti i colori.

Il contadino strabuzzò gli occhi, meravigliato. - E a che servono?

- A questo - Il mercenario accennò al braciere, tanto in alto rispetto a loro, che i due non potevano vedere che forma avesse, o se fosse decorato con qualche motivo particolare. Irradiava soltanto quella soffusa luce azzurra che li incantava.

- Fanno candele per i templi?

- Non proprio… diciamo che li fanno soprattutto per ciò che riguarda i culti religiosi. Poi ci sono anche quelli che le comprano per uso personale.

Arturo tacque, incrociando lo sguardo di Flora. La principessa abbassò appena il capo, senza sapere perché lo stesse facendo; una parte di lei insisteva per fidarsi di lui, ma l’altra, quella più guardinga, le suggeriva la superficialità di tale proposito. Tuttavia, il suo caso amico si trovava in sintonia con il soldato, e lei comprendeva che non si trattava solo della semplice ammirazione che Claudio aveva provato per lui nei primi momenti insieme. Che le stessero nascondendo qualcosa?

- Arriverà qualcuno? - domandò a Virgilio, senza spazientirsi. Nonostante sapesse che il dio le aveva accordato ospitalità, si stupiva dell’assenza di sacerdoti o sacerdotesse.

Il capitano della Millenaria annuì. - Sapeva che sarei venuto qui, arriverà - mormorò, più a sé stesso che alla principessa. Lei non ebbe il tempo di domandargli di chi parlasse, perché una delle due porte si aprì e ne sbucò una giovane: i capelli raccolti sulla nuca e la toga nera, ricamata con filamenti dorati, erano il segno distintivo delle sacerdotesse del dio Sole. I suoi occhi erano di un colore indefinibile nella penombra: erano chiari, ma non dello stesso azzurro che illuminava il tempio; non verdi, tonalità distinguibile grazie al braciere.

La fanciulla avanzò diretta verso Virgilio e Flora, permettendo alla principessa di osservarla con maggiore attenzione. Le braccia lasciate scoperte dal morbido tessuto erano candide, magre, come di chi avesse patito la fame in un recente passato, la bocca dal taglio sottile non sembrava in procinto di formulare parole minacciose, ma quegli occhi indefinibili che si rivolsero verso il capitano non le sembravano rasserenanti.

- Non sarei qui se non fosse davvero importante - disse subito lui.

- Spero per te che lo sia. Se ti vedono un'altra volta qui, passerò guai seri - mormorò invece la sacerdotessa. La sua voce, nonostante lasciasse trasparire amarezza e rimprovero, era armoniosa, come se componesse una melodia. Uno strumento a corda ben suonato, come di una creatura celestiale.

Virgilio guardò Flora, domandandole implicitamente il permesso di poter parlare; la nobile glielo accordò con un lieve cenno del capo.

- Lei è Flora Primavera - disse allora il capitano. - E loro sono Arturo e Claudio.

Quest’ultimo agitò la mano in segno di saluto, attirandosi un’occhiataccia da parte dell’amica e strappando un sorriso al mercenario. La sacerdotessa chinò appena la testa, dando segno di averli scorti.

- Avete bisogno di un riparo sicuro? - domandò, rivolta alla Primavera, che solo in quel momento vide il colore dei suoi occhi: grigi.

- Soltanto per questa notte - sussurrò lei. - Domani all’alba partiremo di nuovo.

- Io non rimango - precisò Virgilio; a quelle parole i lineamenti della sacerdotessa si distesero, come alleviata di un peso opprimente.

- Potete dormire nella stanza - stabilì allora la fanciulla, sorridendo alla principessa.

Flora rispose a quel sorriso; tuttavia avvertiva un gelo tra la giovane e il capitano della Millenaria, che non riusciva a comprendere da dove giungesse. Che Virgilio le avesse causato dei guai con il suo contrabbando? Valutò per un istante l’ipotesi, scartandola subito dopo: no, c’era dell’altro.

- Posso conoscere il vostro nome? - le domandò soltanto.

La sacerdotessa si inchinò. - Qui sono conosciuta con il nome di Nuvola, Altezza.

La Primavera scosse il capo. - Non dovete chiamarmi così, non voi: siete al di sopra di me. - Percepì chiaramente lo stupore di Arturo nell’udire quelle parole, e si trattenne dal mostrarsene soddisfatta; ma lei aveva detto qualcosa che pensava davvero e non per vantarsi di fronte al mercenario che la credeva una principessina viziata.

Nuvola sorrise, poi si voltò verso gli altri due, che si erano alzati dalla panca e si erano avvicinati.

- Vi accompagno. - Guardò Virgilio e disse soltanto: - Aspettami qui.

Lui ubbidì, e seguì il nuovo quartetto con lo sguardo, mentre scompariva alle spalle di quella porta da cui la sacerdotessa era comparsa. Sospirò, posando poi gli occhi sulle offerte al dio Sole: tutto quel cibo, quegli oggetti che giacevano sull’altare di marmo bianco… quanto spreco. Il marinaio sbuffò con amarezza, cercando di non pensare allo sguardo tagliente che Nuvola gli aveva riservato; sapeva benissimo che se le altre sacerdotesse lo avessero trovato nel tempio, l’avrebbero scacciato come un insetto. Non aveva esitato un momento quando aveva proposto a Flora di accompagnarla lì per trovare un luogo sicuro, nonostante il rischio: non gli importava delle altre, ma solo di quella ragazza dai nebulosi occhi grigi.

Lei rientrò poco dopo. Era splendida, anche se quella veste nera come la morte l’aveva averla imprigionata per sempre. Si sedette al fianco di Virgilio, alla prima fila di panche.

- Sei pazzo - gli disse soltanto. - Non puoi stare qui.

- Non posso andarmene per sempre - ribatté lui. Il dispiacere era evidente nel suo tono di voce, tanto che la sacerdotessa si lasciò sfuggire un sospiro profondo.

- Ma io non posso, lo sai…

- Hai scelto tu questa vita, nessuno ti ha costretta! - buttò fuori Virgilio, cercando di controllarsi.

- Sei in un luogo sacro! - lo rimproverò lei sottovoce.

Lui tacque. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e nascose il suo volto tra le mani.

- Lo sai… Non posso andare via da qui… come farei con mio padre. È a Zichi, finalmente ha trovato un posto dove stare, ma io non posso essergli di peso, e questa è l’unica possibilità che ho.

- No, non lo è… - mormorò lui, piegando appena la testa, per guardarla. - Ti avrei aiutato io.

- Tu? - sorrise Nuvola, ironica. - Tu ami troppo il mare; e io non posso venire con te, e non posso chiederti di abbandonarlo per me.

- Non lo abbandonerei - concordò Virgilio. - Ma non posso abbandonare te qui, chiusa in un tempio.

- Tu vedi questo posto come una prigione... - Gli occhi grigi della sacerdotessa si alzarono verso il braciere azzurro, da cui la luce serena si diffondeva nella sala rotonda. - Non capisci che per me è un’opportunità.

- Un’opportunità? - sbottò Virgilio, pur mantenendo la voce bassa. Sbatté le mani sulle proprie gambe, ma dovette controllarsi per evitare una reazione ancora più veemente che avrebbe fatto alterare la sacerdotessa. - Chi ti ama qui? Il dio Sole? Andiamo, non ci credi neanche tu!

- Non hai alcun diritto di parlarmi in questo modo - disse lei, atona. Il volto era una maschera di cera, ma all’interno del petto il cuore le batteva forsennato: le parole del capitano erano vere.

Lui si alzò in piedi, e iniziò a camminare nervosamente davanti all’altare. La frustrazione covata per lungo tempo rischiava di fargli commettere un gesto avventato, tanto che Virgilio dovette trattenersi dallo scaraventare sul pavimento tutti gli oggetti deposti sull’altare. Quella sarebbe stata una tale blasfemia che avrebbe scandalizzato la sacerdotessa; ma lui non voleva scandalizzarla. Arrestò il suo passo e la guardò: sembrava preoccupata. Rilassò le spalle, in segno di resa, pur non avendo intenzione di cedere. - Sì, Claudia. Ne ho tutto il diritto… ma vedo che non ci capiamo.

Si mosse verso l’uscita del tempio, e la sacerdotessa lo seguì, trattenendolo per un braccio sulla soglia. - Dove vai?

- L’hai detto tu, non posso restare qui - disse lui. Si divincolò dalla leggera presa della fanciulla e uscì dal tempo. Lei lo lasciò andare via, voltandogli le spalle per non vederlo allontanarsi

   
 
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