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Autore: Enchalott    27/06/2019    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una sorte incerta
 
Urien si appollaiò come un rapace notturno sul trono riservato al reggente, riempiendosi fino all’orlo il bicchiere di vino di Corithra. Lo trattenne in bocca per assaporarne l’aroma intenso, osservando con animosità l’affresco di fronte a lui, deteriorato dal tempo e dall’umidità.
Il principe lo detestava brutalmente, ma non c’era stato verso di farlo sparire dal muro di pietra, persino il suo immane potere era valso a ben poco: distruggendolo, ricompariva. Coprendolo con nuova pittura, riaffiorava. Nascondendolo con un arazzo… beh, l’ultima volta la stoffa aveva preso fuoco e c’era mancato poco che le fiamme non avessero attecchito a tutto il palazzo.
Il primo consigliere non riusciva a comprendere quell’ottuso risentimento.
Anthos non pareva rassegnarsi e, quando sedeva sull’alto scranno, lo fissava con odio profondo, studiando qualche nuovo, futile sistema per liberarsene.
Invece, a lui non dispiaceva affatto, soprattutto nella parte scura e misteriosa, dove campeggiava quella sorta di falce di luna color sangue. Oppure, avrebbe potuto trattarsi benissimo di un sole in eclissi, ossidato dai secoli.
Urien propendeva per la seconda ipotesi.
Non aveva idea di che cosa potesse significare, ma la raffigurazione scurita gli era utile per riposare la mente. Probabilmente, la fanciulla in atto di vittoria era Amathira e l’uomo piangente e sconfitto era Irkalla. Avere quella storia sotto il naso lo intrigava parecchio, così come la magia di cui il dipinto pareva dotato.
Tuttavia, in quella nebbiosa mattina di neve leggera, neppure le immagini familiari riuscivano a risollevargli l’umore.
Ostacoli, sempre inusitati ostacoli.
Il reggente era stato chiaro: la principessa Adara avrebbe dovuto raggiungere il Nord a qualunque prezzo e l’ordine categorico lo irritava incredibilmente, perché l’arrivo della ragazzina a Jarlath avrebbe scoperchiato ulteriori dettagli sulla Profezia e, quindi, messo a rischio il suo piano perfettamente studiato in ogni dettaglio.
Quello di prendersi Iomhar, ovviamente… e tanto altro di quel mondo, approfittando del caos generato dagli eventi. E lui sapeva già perfettamente come sarebbe andata a finire, aveva lavorato con tutte le sue energie in quella direzione.
Anthos sbagliava a non credere ai testi sacri, un errore che gli sarebbe costato caro e avrebbe comportato la sua disfatta più completa al momento giusto. Neppure il Medaglione con le tre Pietre avrebbe potuto salvaguardarlo. E la vittoria sarebbe stata pienamente, spudoratamente sua.
Invece, se la mocciosa avesse convinto il principe a dare credito alla Profezia, le cose sarebbero girate male per Urien, che stava già elaborando il piano B, onde evitare spiacevoli sorprese. Però non aveva fatto i conti con altri fattori, come la partenza improvvisa e inspiegabile del sovrano o la presenza del prigioniero nelle segrete. Poco male, avrebbe tratto vantaggio anche da essi, pensandoci bene.
Era la giovane campionessa di Elestorya a preoccuparlo seriamente. Aveva commesso l’errore di non tenerla d’occhio come aveva invece fatto con gli altri elementi del gioco, una mancanza imperdonabile, che era confluita nel non conoscerla affatto. Non aveva potuto carpirne i punti deboli.
Urien ingollò un’altra sorsata di vino, imponendosi di non soffermarsi a piangere sul latte versato. Anche a quella carenza era possibile rimediare senza eccessivo sforzo.
La ragazza era insignificante, dopotutto. E poi, certamente, Anthos l’avrebbe usata per i suoi scopi, avrebbe ricattato il Sud o qualcosa del genere, magari se la sarebbe portata a letto, forse non le avrebbe concesso neppure di parlare, figurarsi permetterle di distoglierlo dalle sue presuntuose certezze.
“Può anche andare a prenderla per la strada…” sputò tra i denti, iroso.
Qualcuno bussò pesantemente alla porta della sala del trono. Due colpi secchi e ben assestati. Bene, l’uomo era arrivato.
“Avanti” ringhiò il consigliere.
Il demone delle carceri entrò a larghe falcate nella stanza, facendo tintinnare ad ogni passo il metallo che si portava addosso insieme con le ferrose chiavi delle prigioni.
Fedele alla propria immagine, era vestito di pelle nera borchiata e indossava una cappa foderata di pelliccia marrone scuro intorno alle spalle possenti, la frusta legata in vita e arrotolata, pronta all’uso.
Giunse davanti ad Urien e si inchinò rispettosamente, seppur senza inginocchiarsi, un ossequio che riservava solo al reggente. Il suo viso barbuto pareva scolpito nella roccia, compresa la cicatrice più chiara che lo marchiava.
“Ah, Haffgan… Ho una richiesta per te da parte del principe Anthos”.
L’uomo abbassò la testa per scorgere il movimento delle labbra sottili e sdegnose del braccio destro del sovrano, appena visibili sotto l’ombra del cappuccio, volutamente calato a occultarne le odiose fattezze.
“Ordina che tua moglie sia assegnata a Leu-Mòr. Pare… ehm, pare che sia necessario dare una rinfrescata alla torre” continuò con malcelato fastidio.
“Sissignore” rispose il guardiano, come se la richiesta fosse naturale e scontata.
“Tuttavia” aggiunse il consigliere, levando un dito nodoso “Al momento l’accesso all’edificio è impossibile. Bisognerà attendere il ritorno del reggente. Puoi cominciare ad avvisarla. Chiaramente sarai ricompensato per questo”.
Il carceriere assentì con un secco movimento del capo. Restò in attesa, senza nessun mutamento d’espressione.
Urien pensò che Anthos sapesse scegliersi bene gli uomini. Quel colosso pareva fatto di legno e privo di qualsivoglia emozione personale.
“Il prigioniero in isolamento, invece?”
“Non dà alcuna seccatura. Nessuno sa della sua presenza, eccetto voi e la donna che gli reca il cibo.
“Quella non è un problema” sancì il consigliere con un gesto della mano “Per il resto, sai già cosa devi fare. Ora puoi ritirarti, Haffgan”.
Il demone lasciò la sala in granitico silenzio, così come era entrato.
 
La sua imperturbabilità naufragò quando mise piede nel suo alloggio e Màrsali lo salutò con un sorriso radioso, sollevando il viso dal mastello del bucato.
La pentola con la cena borbottava allegra sul focolare, spandendo il suo profumo stuzzicante per l’ambiente spartano che, da quando c’era lei, aveva perso parte della sua disordinata tetraggine.
Kesthar dovette imporsi di non sollevarla tra le braccia e stringerla forte a sé, memorizzando per la centesima volta che il loro era stato un matrimonio fasullo, che la giovane donna che lo attendeva era un’amica e basta. Eppure, la scena familiare che lo accoglieva ogni sera quando rientrava a casa era terribilmente vera. Così come l’affetto negli occhi azzurri che lo fissavano.
Leu-Mòr… No, per tutti i diavoli! Non voglio che finisca là!
La veggente si alzò, asciugandosi le mani sul grembiule.
“Che… che cos’è successo?” domandò, intercettando la sua sproporzionata serietà.
“Sono stato convocato da Urien” brontolò “Ogni volta che mi presento a lui, vengo colto dall’acidità di stomaco, tale è la negatività che emana! Non ho bisogno neppure di essere un sensitivo per captarla!”.
Màrsali lo aiutò a sganciare il cinturone di cuoio consumato e attese che riprendesse a raccontare, apparecchiando la povera tavola.
“Lo so” confermò con un brivido “Ti ha chiesto del prigioniero?”
“Sì…” borbogliò Kesthar, prendendo posto a sedere “Nessuna novità. Non sono riuscito a capire di chi si tratta, il consigliere non si è sbottonato”.
“Penso sia importante scoprire la sua identità. Se l’unica persona che ha contatti con lui non riesce né a descriverlo né a porgli domande, significa che viene tenuta sotto coercizione per evitare fughe di notizie. E questo può voler solo dire che quell’essere disgustoso non gradisce che si sappia della presenza dello sconosciuto quaggiù”.
Il guardiano annuì, mentre lei gli riempiva il piatto di spezzatino. Aveva decisamente un aspetto migliore di quello che preparava lui con gli stessi ingredienti.
“Tu sei riuscita a captare qualcosa di lui?”
“Purtroppo no” sospirò la ragazza “Non sono così forte… oppure anche il misterioso ospite è schermato da qualche sortilegio. Ma proverò ancora”.
“Potrebbe avere a che fare con la Profezia?”
Lei assentì, priva d’incertezza. Lo percepiva chiaramente.
“Non mi hai ancora detto che cosa ti preoccupa…” aggiunse poi, sistemandosi i capelli color miele con una forcina, affinché non le scendessero sulla fronte.
Haffgan si sentì uno stupido per aver rimandato la questione. Lei sapeva leggergli nell’anima e, anche se non fosse stata dotata della visione mistica, probabilmente sarebbe riuscita a farlo ugualmente. Non era in grado di fingere con lei.
“Il fatto che tu abbia visto giusto, ecco cosa mi angustia” sospirò.
La veggente sbarrò gli occhi, sorpresa.
“Leu-Mòr” pronunciò lui sottovoce, come se la torre fosse in grado di udire il proprio nome, come una creatura viva “Anthos ha ordinato che tu vada a lavorare lassù. Non ho idea del motivo, ma mi è parso che il consigliere fosse poco d’accordo con le sue disposizioni. Quando mi ha messo al corrente, ho quasi smesso di respirare…”
La ragazza ascoltò l’annuncio, consapevole sia dei rischi da affrontare sia del fatto che l’ultima visione le aveva distintamente mostrato quella strada. Era un’opportunità insperata rispetto al primigenio programma di entrare lì di soppiatto.
“Il principe è tornato a Jarlath?” domandò, come se il suo ingresso alla spaventosa Dimora della Luna fosse un fatto di second’ordine.
“Non ancora…” mormorò il carceriere “Ma quando sarà qui, esigerà obbedienza. Io non potrò aiutarti, Màrsali… laggiù sarai lontana da me e da tutto ciò che è necessario per proteggerti. Basterà la più piccola distrazione e il tuo segreto verrà alla luce. Non oso pensare che cosa troverai in quel luogo proibito! Mi sto arrovellando sul perché il reggente abbia preso questa decisione e non posso fare a meno di sentirmi totalmente inerme… Io non voglio assolutamente…”
La giovane gli prese la mano, scostandogliela dalla fronte, dove lui l’aveva appoggiata in preda alla preoccupazione. La strinse forte e lo guardò nelle iridi blu, sorridendo lieve a quella manifestazione emotiva. Anche lei avrebbe voluto evitare, ma non c’era altra scelta.
“Kesthar…” disse con amore “Sciacquati le mani prima di mangiare…”
 
 
Eudiya non aveva mai percorso le scalinate della reggia con una fretta simile, tanto che le guardie della porta esterna non erano riuscite ad eseguire il presentatarm in tempo e l’avevano fissata, imbambolate.
Si era fiondata attraverso il cortile secondario, dove ancora si trovavano i due cavalieri appena giunti, incapace di attenderli oltre all’interno del palazzo.
“Kendeas!”
Il generale si voltò, inchinandosi rispettosamente: ansimava come se fosse stato lui in prima persona a correre a perdifiato attraverso il deserto e non il cavallo ancora schiumante di sudore.
Accanto a lui, con il volto segnato dalla fatica e dall’ansia, c’era una giovanissima Aethalas, vestita come un uomo, con arco e frecce sulla schiena. Si inginocchiò con deferenza alla vista della regina.
“Mio marito…!” continuò Eudiya, serrando i pugni senza tante cerimonie.
“Sta bene, mia signora. È lui che mi manda da voi”.
Lei rifiatò a quelle parole, lo spasimo che la attanagliava si sciolse, tuttavia si impedì di cedere alla commozione che la stava soverchiando.
“Perché Stelio non è con te?”
“Varsya non ha accettato l’accordo. Ha acconsentito di liberare me solo e ha permesso a sua figlia di accompagnarmi, come segno di fiducia”.
“Fiducia!?” sbottò la regina con l’ira nello sguardo.
Sfoderò il pugnale ricurvo e la lama affilata scintillò ostile sotto il sole. Fece un passo in avanti e strattonò la treccia bruna della ragazza, facendola rialzare a forza e puntandole minacciosamente l’arma alla gola.
“Dammi solo una ragione per cui non dovrei affondare il mio coltello e rispedirti da tuo padre un pezzo alla volta, ragazzina!” sbottò infuriata “Nessuno di voi può più sperare nella mia aspettativa, adesso! Parla!”
Il generale strabuzzò gli occhi, incredulo. La donna faceva davvero paura in quella posa. Aveva più volte sentito dire che i Thaisa erano una tribù dal sangue di fuoco e in quel frangente se ne convinse del tutto.
La Aethalas non reagì. Si limitò ad allargare le braccia in segno di resa.
“Potete anche uccidermi, maestà, io vi capirei. Ma prima, vi scongiuro, ditemi che mio fratello sta bene. Accettatelo come il mio ultimo desiderio…” sussurrò con estremo sconforto.
Non pianse, ma le sue iridi castane divennero lucide di lacrime.
“Phylana non ha colpe, mia signora…” intervenne Kendeas, pacato “Si è offerta volontaria, sapendo che non sarebbe stata gradita e l’ha fatto in disaccordo con la sua gente. Neppure Varsya avrebbe voluto che si recasse qui, a essere sinceri…”.
Eudiya abbassò il pugnale, ma non lo rinfoderò. Squadrò la fanciulla in abiti maschili, socchiudendo le palpebre. In effetti, assomigliava parecchio al giovane giunto dal deserto il giorno della partenza per Iomhar.
“Tuo fratello?” disse fredda “L’arciere che si è unito ad Adara?”
“Sì, Narsas…” specificò lei “Potete fare di me ciò che ritenete più giusto, mia signora, ma prima assicuratemi che lui è vivo!”.
La regina sospirò, fissando il cielo in cui Azhulio era sparito per sempre. Addio
“Se potessi rispondere alla tua domanda con certezza, saprei che anche mia figlia è al sicuro” affermò “La verità è che non ci sono notizie. Abbiamo inviato poco fa uno strik nella speranza che riesca a intercettare la spedizione”.
I lineamenti della fanciulla si distorsero per il dolore. Ma ancora le lacrime vennero trattenute. In lei si leggevano decisione e orgoglio profondi.
“Perché il bailye non ha liberato il reggente? Perché ha preferito mandare te ad Erinna, conscio che saresti stata un mio ostaggio?” domandò Eudiya aspra.
“Perché il traditore di cui parla la Profezia non è ancora stato smascherato” rispose la ragazza, dolente “Mio padre è convinto che non si tratti di vostro marito, ma non può abbandonare il suo ruolo di portavoce, così come gli Aethalas devono svolgere il loro compito di Guardiani. Quella di trattenere il re è una decisione della tribù al completo, non del suo rappresentante. Resterà con noi finché non riceveremo diversa notizia. Lo proteggeremo con la vita, se necessario”.
“Ammirevole!” sbottò la regina, tutt’altro che placata “Quindi Varsya ha pensato bene di rabbonirmi con un equo scambio? Piuttosto, avrà optato per spedire te al fine di porre una forma di controllo anche su di me…”
“No, maestà… voi siete una Thaisa, nessun sospetto cade su di voi. E neppure su…”
“…su di me” completò inaspettatamente una voce delicata.
“Dionissa!” esclamò Eudiya, sorpresa alla vista della principessa.
“Voi siete la… la sacerdotessa Kalah…?” balbettò Phylana, sbarrando gli occhi.
Subito si prostrò a terra, con la fronte nella sabbia, in una riverenza che non aveva rivolto neppure alla regina di Elestorya.
Tutti i presenti si inchinarono, mentre la veggente scese con grazia gli ultimi scalini, con il vento caldo a sollevarle i veli color smeraldo che l’ammantavano.
Pareva una rara visione divina, annunciata dal candore latteo della pelle e dai nastri fluenti annodati tra i capelli ramati e ai polsi sottili.
“Alzatevi” comandò senza imperiosità, fermandosi accanto alla madre.
“Non davanti a voi…” supplicò lei.
“Sono io a chiedervelo” sentenziò la principessa.
La ragazza si mosse con esitazione, appoggiandosi sulle mani, ma restando in ginocchio. I dardi risonarono nella faretra chiusa.
“Ho compreso quanto avete affermato” proseguì Dionissa “Intendo il vostro punto di vista sulla Profezia, anche se non lo condivido. Desidero che ci forniate tutti i dettagli, solo così potremo confrontarci. Il vostro apporto potrebbe rivelarsi fondamentale, Phylana. Non potete tacere e penso che mia madre sia d’accordo su questo”.
Lei annuì, pulendosi il viso impolverato con la manica della casacca.
 
Kendeas aveva fatto il rapporto completo e aveva addirittura domandato di poter tornare nel deserto accanto al reggente, ma Eudiya l’aveva dissuaso, palesandogli come le difese della città difettassero pesantemente a causa dell’assenza di uomini d’esperienza. La presenza del generale avrebbe risollevato il morale dei soldati e avrebbe garantito una protezione degna ad Erinna in un momento tutt’altro che pacifico per le sorti del Regno.
Il fatto che la regina non stesse escludendo un attacco dal Nord aveva persuaso l’alto ufficiale, che si era congedato rapidamente, per assumere seduta stante l’incarico assegnatogli. Di riposare non se ne parlava neanche.
Phylana aveva esposto per filo e per segno la situazione in atto tra le dune e Kendeas aveva confermato la sua versione, pregando la sovrana di non farla rinchiudere nelle segrete, poiché lui e Stelio erano stati trattati dagli Aethalas con tutti gli onori e non come prigionieri.
Dionissa era rimasta in silenzio, provata dalla stanchezza, ma era riuscita a cogliere in quel discorso il motivo effettivo della presenza della Aethalas presso di loro: era in ansia per il fratello e quel sentimento sovrastava tutti gli altri, persino l’istinto di autoconservazione insito in ogni essere umano.
La comprendeva appieno: provava la stessa sensazione angosciosa per Adara e maggiormente per l’uomo di cui era innamorata. L’assenza di qualsiasi riscontro da parte loro era un supplizio insopportabile.
“Ascoltatemi, Phylana” disse, catturando l’attenzione della fanciulla, seduta sui morbidi cuscini di seta arancione “So di domandarvi molto, ma vorrei sapere perché la sorte di vostro fratello vi turba così grandemente. Anch’io sono preoccupata per mia sorella e a ciò si aggiunge la frustrazione per non avere ricevuto il pur minimo segnale da parte del mio Kalah… Tuttavia, il vostro stato d’animo travalica l’inquietudine. lo percepisco chiaramente la vostra disperazione”.
Lo sguardo della giovane divenne liquido. Strinse tra le dita la tazza di chai rosato e annuì, trepidante.
“Narsas…” sussurrò timidamente “E’ partito dalle nostre tende sapendo che non sarebbe più tornato. Se n’è andato con la certezza di morire lontano dalla sua terra, ha scelto l’oblio e ha preso su di sé la missione di individuare il traditore della Profezia, per non perdere la vita vanamente…Per darsi un ultimo obiettivo”.
“Perché sei così sicura di quanto affermi?” esclamò Eudiya “L’incarico è rischioso, ma non si tratta certo di un suicidio. Esiste un discreto margine di successo”.
Phylana fissò affranta il fluido tiepido attraverso le spire leggere di vapore, che s’innalzavano verso il suo profilo quasi ancora acerbo.
“Lo so… perché la colpa di questo è mia!”.
“Un uomo è certo in grado di assumere le proprie decisioni” interloquì Dionissa “Perché vi colpevolizzate? Non siete forse riuscita a fermarlo come desideravate?”.
“No…” mormorò la ragazza “Ho permesso che prendesse il mio posto nell’ora più infelice della mia esistenza… perché non ho avuto il coraggio di uccidermi!”.
Eudiya trasalì, incredula. Un pensiero terribile le attraversò la mente.
“Ho commesso un fallo imperdonabile” continuò Phylana con un filo di voce “Non ho ascoltato nessuno dei miei cari e mi sono allontanata dall’accampamento da sola, per esercitarmi con l’arco. Ho sempre ammirato Narsas, quando lanciava i suoi strali micidiali e gli ho chiesto di insegnarmi, nonostante il parere contrario del bailye… Mio padre sapeva che mi sarei messa nei guai e mi aveva ammonita a riguardo. Ma io ero troppo orgogliosa e testarda per comprendere le sue ragioni, così ho aggirato il suo divieto e mi sono inoltrata tra le dune…”.
La regina ripensò alla sua piccola Adara, al suo sguardo carico di venerazione mentre assisteva agli esercizi di scherma di Shion, al suo desiderio di imitarlo, di poter trascorrere lo stesso suo tempo con il padre.
“Ho visto tuo fratello lanciare, il giorno in cui è giunto qui” raccontò “E’ davvero abile, comprendo la tua ammirazione”.
Phylana annuì, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Avrei dovuto limitarmi a quello. Invece, volevo divenire esperta come lui a tutti i costi, per accompagnarlo nei suoi compiti. Per restargli vicina e aiutarlo come lui ha fatto con me da quando sono nata. Quel giorno di circa un anno fa, sono stata circondata dagli Anskelisia e non c’è stato nulla da fare per me… Mi hanno catturata”.
“Oh, per le sabbie dei Rhaida!” proruppe Eudiya, portandosi la mano al viso.
Anche Dionissa impallidì: la crudeltà disumana degli angeli del deserto era ben nota in tutto il Regno, così come le loro pessime abitudini.
“Se mi avessero stuprata e poi uccisa sarebbe stata la sorte migliore! No, credetemi…” aggiunse sollevando la mano nello scorgere l’obiezione negli occhi della regina “Invece, quel giorno c’era Laras con la banda… e lui ha ordinato categoricamente di non toccarmi. Ha sancito che ero “roba” sua”.
“Laras! Quel bastardo!” sbottò Eudiya, furibonda “Lo conosco! Prima di darsi al brigantaggio era un Thaisa! È stato bandito da tutte le tribù quando ero una bambina, sono anni che è ricercato! C’è una taglia sulla sua testa, il suo respiro tra le sabbie è un oltraggio a tutta Elestorya!”
Dionissa sgranò gli occhi, colpita dal linguaggio colorito e poco principesco della madre, che tuttavia descriveva perfettamente il suo stato d’animo.
Contemplò Phylana con partecipazione: quel delinquente avrebbe potuto essere suo padre per età e forse l’aveva costretta a subire le sue disgustose attenzioni.
La giovane nomade sospirò, abbandonata alla durezza del ricordo.
“Laras mi ha caricata sul suo cavallo e mi ha detto senza eufemismi che cosa mi sarebbe successo. Se fossi stata compiacente, sarei diventata una delle sue mogli… se avessi fatto la difficile, sarei rimasta una semplice concubina e, una volta che si fosse stancato di me, mi avrebbe regalata ai suoi compagni…”
“Che orrore!” sbottò la veggente, scandalizzata “La poligamia è una pratica proibita dalla volontà degli dei e dalle leggi dei mortali! Ciò che compie quell’individuo è un insulto all’intero creato! Manca di rispetto all’essenza più vera dell’esistente!”.
“Avevi del veleno con te, non è vero?” domandò Eudiya con compassione.
“Sì… Quando mi ha rinchiusa in una tenda vicino alla sua, intimandomi di riflettere bene sulle mie risoluzioni, ho aperto l’ampolla che recavo tra gli abiti. Laras non mi ha fatta neppure perquisire. Mi ha tolto l’arco e basta: evidentemente non gli importava di ritrovarmi morta o ha pensato che fossi solo una stupida ragazzina tremante… e su questo non ha avuto torto. Ma… ma mentre stringevo quel vetro scarlatto tra le dita, ho pensato a mio padre e…” la sua voce si spezzò e le lacrime a lungo trattenute trovarono finalmente il varco, erompendo all’esterno.
“Non ce l’avete fatta… è umano, Phylana… non siete voi quella da biasimare” mormorò Dionissa, accarezzandole affettuosamente un braccio.
“Mio padre ripete sempre che assomiglio tanto a mia madre, che purtroppo è scomparsa dandomi alla luce… dice che, vedere me, è come avere un’immagine viva di lei e io… Lui l’amava così tanto… io non ho potuto uccidermi, non ce l’ho fatta! Invece, avrei dovuto, avrei dovuto bere la tossina e risparmiare a Narsas un dolore certo maggiore di quello di sapermi sepolta sotto la sabbia!”.
“Vostro fratello ha cercato di liberarvi?”.
“Sì…” fremette lei “Laras ha inviato un messo ai miei familiari, annunciando le nozze imminenti e caldeggiando la loro partecipazione. Ha voluto offenderli e umiliarli con quell’invito, ha voluto mostrare che a lui non ci si può opporre. Che anche i Guardiani del Mare non lo spaventano!”.
Eudiya percepì la collera montare, come regina e come madre. Phylana era di pochi anni più giovane di Adara. Se fosse accaduto a sua figlia…
“Narsas si è presentato la mattina seguente, da solo e armato. Ha camminato tutta la notte per giungere nel luogo indicato da quel predone e l’ha affrontato senza battere ciglio. Ha dimostrato di non scherzare affatto, abbattendo con le frecce i più temerari tra i suoi fidati, che hanno tentato inutilmente di sopraffarlo. Ma poi Laras mi ha trascinata a forza fuori dal padiglione… Narsas mi ha guardata e ha capito che stavo bene e che nessuno mi aveva ancora usato violenza. Sapeva sin dall’inizio che non avrebbe potuto avere la meglio contro gli Anskelisia al completo, infatti è venuto con l’unico scopo di accertarsi che io fossi ancora viva… e quando è stato sicuro di ciò, si è arreso e ha proposto uno scambio”.
La regina trattenne il fiato, ammirata dal coraggio indomito del giovane arciere. L’aveva visto solo una volta di sfuggita, ma era consapevole che un uomo come quello avrebbe trovato il traditore additato dai testi sacri anche in capo al mondo e, soprattutto, avrebbe difeso Adara se l’avesse considerata degna del suo rispetto.
“Narsas ha offerto a Laras l’equivalente del mio peso in oro, sapendo che l’avidità può essere addirittura più potente della lussuria. Ho visto la cupidigia balenare nello sguardo di quel maledetto, ma il pagamento per lui non era ancora sufficiente. Ha chiesto di più. Ha preteso una vita per una vita”.
Dionissa fu colta da una tristezza profonda, percepì quel terribile dolore su di sé e comprese quale valore avesse per Varsya la vita di sua figlia, l’unica che forse gli sarebbe rimasta, affidata ad una casa reale sospettata di complotto. Il portavoce degli Aethalas non aveva potuto liberare il reggente, ma aveva offerto qualcosa di pari valore. Qualcosa di inestimabile.
Guardò la madre e scorse la stessa consapevolezza nei suoi occhi scuri.
“Quel maledetto di Laras ha chiesto vostro fratello, vero?” ruggì la regina.
Phylana annuì, asciugandosi le lacrime inarrestabili.
“Non ho potuto neppure abbracciarlo!” gemette “Mi hanno caricata su un cavallo e l’hanno fatto partire di corsa, indifferenti alle mie grida… gli Aethalas mi hanno trovata dopo qualche ora e mi hanno ricondotta a casa… non sono riuscita a guardare mio padre negli occhi! Avrei voluto morire in quell’istante! Ma lui mi ha abbracciata, disperato, e ha benedetto tre volte Amathira, ringraziandola… anche se io non meritavo affatto di essere salva!”.
“Che ne è stato di Narsas?” domandò Eudiya, ansiosa.
“Gli Anskelisia avrebbero voluto venderlo, ma le oasi in cui conducono i loro immorali affari erano molto lontane, così l’hanno trascinato al seguito della banda per più di un mese, controllandolo a vista affinché non fuggisse. In quel lasso di tempo Ariadne, la figlia minore di Laras, che era stata incaricata di tenerlo costantemente d’occhio, si è innamorata follemente di lui. Ha fatto tutto da sola, mio fratello non le ha mai concesso speranza alcuna, così lei si è sentita punta nell’orgoglio e ha deciso di prenderselo comunque, contro la sua volontà. Ha chiesto al suo spregevole padre di regalarglielo e, ovviamente, lui ha acconsentito. Ariadne era la sua preferita, la più giovane e la più amata, Laras non le avrebbe mai negato nulla, ha persino rinunciato ad un consistente guadagno pur di farla felice”.
“Avete detto era…” sottolineò Dionissa, attentissima.
Phylana assentì, forzandosi a continuare la narrazione degli eventi.
“Ariadne si è uccisa… Narsas l’ha rifiutata per l’ennesima volta quando lei l’ha fatto condurre alla sua tenda e ha tentato di sedurlo. Ha respinto anche l’idea del matrimonio. Mio fratello ha chiarito che avrebbe preferito morire di stenti nel deserto piuttosto che imparentarsi con gli Anskelisia, piuttosto che scegliere per compagna una fuorilegge abituata a trarre vantaggio dal dolore altrui. Le ha sbattuto in faccia la pura verità. Quella donna non era abituata a sentirsi ricusare, ha pensato che sarebbe diventata lo zimbello di tutta la masnada e non ha retto al pensiero del disonore che ne sarebbe derivato. Io… io penso che a suo modo fosse davvero innamorata di Narsas o non si sarebbe tolta la vita, bensì avrebbe ammazzato lui”.
“Quanta sofferenza…” bisbigliò la veggente, addolorata.
“Laras è come impazzito, quando ha trovato il corpo esanime della figlia e la sua lettera di addio. Ha trascinato Narsas nella polvere e l’ha torturato per tre giorni, accertandosi che di lui restasse quanto bastava per fargli ancora male. Poi, quando si è stancato di quelle brutalità, ha preso la scimitarra, per sgozzarlo davanti a tutti come un animale e dare l’ultimo sfogo alla sua rabbia. Ma qualcuno gli ha suggerito un’idea più perversa…”
Eudiya scattò in piedi, costernata, e la tazza che aveva tra le dita cadde a terra, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento decorato.
“Oh, stelle! L’hanno… l’hanno marchiato…” esalò con voce soffocata.
Phylana annuì piangendo.
   
 
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