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Autore: kurojulia_    05/07/2019    1 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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28.



L'unico liceo esistente nello sperduto e verdeggiante paese di Yoshino era addobbato a festa, dal cancello di ferro fino al terrazzo in cima all'edificio. L'entrata della scuola era gremita fino all'orlo, dai visitatori – famigliole insieme ai figli, ragazzi in visita alla scuola, nonni curiosi – agli studenti che facevano parte dei club e che cercavano di farsi notare il più possibile con manifesti e fogli pieni di scritte colorate. Man mano che si superava il cancello e si entrava nell'atrio in selciato, si incappava subito in bancarelle da entrambi i lati, profumi di cibo e dolciumi, oggetti realizzati a mano, una sorta di ruota della fortuna, un tiro al bersaglio, una pesca. Le bancarelle si estendevano fino alla parte più in fondo, sulla sinistra, che sfociava nel giardino che abbracciava la scuola.

 

Spostandoci alla segreteria, c'era sempre la solita donna, ma non annoiata e scocciata come tutti gli altri giorni. Per una volta, la donna era indaffarata ed energica, si girava da tutte le parti per dare indicazioni, per ascoltare le domande dei visitatori.
Allora la maggior parte delle persone seguiva le indicazioni della donna e si dirigeva alla prima rampa di scale, decorate da nastri azzurri e ciliegia, e quando raggiungeva la cima si immergeva improvvisamente nella frenesia.

Voci su voci, rumori e suoni, studenti in giro per i corridoi con dubbi costumi da animale.

 

Tutte le classi erano assorbite dal caos e dalla frenesia – la 2-B non era da meno. Ti bastava svoltare a destra, non appena entrati sul piano, per incrociare all'esterno un ragazzo in divisa scolastica con dei fogli in mano e, accanto, una ragazza... in divisa da cameriera, nera e bianca, mentre accoglieva i potenziali clienti all'interno della classe. L'esterno della classe spiegava chiaramente l'idea: un maid cafè, a tema halloween, con tanto di menù affisso alla porte e striscione appeso all'architrave.

Dentro la 2-B si apriva tutto un ambiente decorato, con tavolini circolari a due posti, tovaglie nere macchiate di rosso e candele a fare da centrotavola. Alle finestre pendevano pesanti tende rosso scarlatto e sul fondo della stanza un grosso telo nascondeva la cucina allestita alla bell'e e meglio dagli alunni, di cui si occupavano prevalentemente i ragazzi – mentre le ragazze servivano ai tavoli.

 

E proprio lì, nell'angusta e aromatica cucina, dopo aver cacciato i “cuochi”, Yuki Akawa e Sayumi Ichinomiya stavano litigando con i loro costumi.

«Ma questo coso dove dovrei metterlo?», disse Yuki, esasperata. «Non capisco. Ma chi li ha fatti, questi vestiti? Un cieco?».

«Sembra il fiocco che va sulla schiena... ah, no, è una spallina», Sayumi, che le dava le spalle, girò il viso per aguzzare la vista. «Infila il braccio sinistro. Ecco, brava, adesso trova il pezzo uguale, così infili anche il braccio destr- no, quello è il fiocco che ti dicevo».

Yuki era molto vicina a strappare l'abito. L'idea in sé – travestirsi da cameriere, ma a tema horror – era anche gradevole, e tutti ne erano stati felici. Okay. Ma i vestiti erano un tantinello difficili da indossare, specialmente le decorazioni da “mostro”.

«Et voilà!». Sayumi tirò il bordo merlettato della gonna, si aggiustò il fiocco sulla schiena e si voltò verso l'albina, tutta trionfante, pugni sui fianchi. «Carino, no?», esclamò.

 

Sulla testa di Sayumi Ichinomiya campeggiavano un paio di piccole corna rosa scuro, quasi carminio, mentre nei pressi del bacino una lunga coda dello stesso colore si adagiava sul tessuto nero della gonna. La divisa, altrimenti tutta nera, aveva sul fronte uno striminzito grembiule bianco; le maniche corte a sbuffo fasciavano un pezzo di spalla, mentre lo scollo a barca lasciava scoperte le clavicole. Per finire, alle mani piccoli guanti neri e sotto le calze e gli stivali della divisa scolastica.

Yuki fece una smorfia sofferente. «Tu sei carina». Avrebbe tanto voluto prolungarsi in qualche lamentela. Ma Sayumi sembrava allegra e felice, quindi, per una volta, si cucì la bocca.

 

«Oh, davvero? Grazie... », Sayumi si portò le mani al viso, meravigliata, e un principio di rossore sulle guance. «Devo ammettere che la classe si è impegnata per il cafè. Stento a crederci».

«Si sono impegnati anche troppo», l'albina piegò le braccia dietro la schiena, allacciando la stoffa sul retro. «A parte il fatto che di horror non c'è granché. A chi dovresti far paura, tu?».

Sayumi ridacchiò. Avvicinò le mani a quelle dell'amica, scacciandole con gentilezza. Afferrò i lembi che cintavano la vita dell'albina e li annodò dietro. «Sarei una sorta di diavolo. Se solo sapessero che demoni e affini non sono così adorabili e innocenti!», la ragazza accennò un sospiro rassegnato. «Nessuno avrebbe più voglia di festeggiare halloween».

Yuki si torse il gomito del braccio, guardando un punto sul pavimento. «Per te è così?».

«In un certo senso», Sayumi sorrise. Il fiocco era bello e dritto. «Non mi metterò a fare il vampiro, il demone o la strega di mia iniziativa. Ma nessuno mi toglierà la gioia di strafogare dolci fino a sentirmi male».

La mezzosangue rise di gusto – che stupida – almeno fin quando la tenda non venne aperta da un paio di mani e una ragazza della 2-B non fece la sua apparizione, spuntando con la testa zombificata nella cucina. «Siete pronte? Abbiamo bisogno di una mano», disse, con la pelle dipinta di un verde menta.

«Sì, siamo pronte», rispose Sayumi. La mezzosangue annuì. Si diede un'ultima aggiustata alla bendatura intorno al collo, macchiata di un vistoso rosso sangue.

«Akawa, ricordati i denti finti».

Yuki le aveva già rivolto la schiena. «Ah-ah».

 

I “denti finti” consistevano in un paio di prolungamenti per canini, chiusi nella loro scatoletta.

Due giorni prima l'inizio del festival culturale, la classe aveva tenuto un'assemblea per assegnarsi i ruoli. Sayumi, a causa dei suoi particolari capelli rosa, si era ritrovata nei panni di un diavolo – se così vogliamo chiamarlo – mentre a Yuki, dato che era bianca come un lenzuolo, era stato affibbiato il ruolo del vampiro. Non era nemmeno tanto strano o ironico. Tutto del suo aspetto faceva pensare ad un vampiro. Non ad un demone, secondo i criteri dell'essere umano standard, ma per Yuki era quasi un complimento.


«Yuki-chan», bisbigliò Sayumi.

La mezzosangue si voltò. Dalle sue labbra spuntavano i suoi canini, affilati – adamantine pura. «Sono pronta», sorrise, prima a Sayumi e poi alla ragazza. «Certo che sono un po' scomodi questi affari».

«In effetti», osservò la ragazza. «Se non li sopporti, toglili pure. La tua presenza... basta e avanza, per i clienti».

 

Yuki aprì la bocca per ribattere – quell'affermazione non le era piaciuta –, ma la ragazza aveva già scostato la tenda, scoprendo l'interno dell'aula, tutta addobbata.
Le ragazze gironzolavano da tutte le parti, prima chiacchierando con i clienti, dopo trascrivendo gli ordini su un blocco per appunti. Una mummia, un altro zombie, un licantropo, una strega, il mostro di Frankenstain.

Era chiaro che il progetto fosse semplicemente il frutto dei desideri dei ragazzi e delle ragazze, e non un'idea pensata e congegnata. Ma, nei festival culturali, il più delle volte funzionava così. E Yuki e Sayumi, mentre si guardavano intorno, non se la sentirono di biasimarli.

 

 

«Akawa e Ichinomiya, andate a servire i tavoli 5 e 3», disse la ragazza di poco prima, indicando i due tavoli, il primo alla finestra di fronte alla lavagna e il secondo nel centro della stanza.

Yuki e Sayumi si scambiarono un'occhiata per niente sicura. Non volevano separarsi. Tuttavia, il lavoro era lavoro. Allora entrambe annuirono e si incamminarono verso le direzioni a passo spedito.
Per fortuna, tra un tavolo e l'altro avevano calcolato bene gli spazi, e così non rischiavano di buttare giù i bicchieri degli altri clienti ogni volta che facevano un passo.
L'albina raggiunse il posto accanto alla finestra; seduti l'uno accanto all'altro, a chiacchierare amabilmente, vi trovò un uomo e una donna intorno alla quarantina. Sorridevano e ridacchiavano, a malapena fecero caso alla presenza della ragazza.

Yuki si schiarì la voce, più che altro per cercare un po' di buone maniere dentro di sé.

«Salve, benvenuti nel cafè della 2-B», esordì. Sulle labbra si aprì un sorriso poco riuscito. «Volete ordinare qualcosa?».

«Ah!», esclamò la donna. «Scusami, speravamo di incontrare nostra figlia. Non mi dispiacerebbe per niente farmi servire da lei, per una volta!».

L'uomo accanto – il marito – si mise a ridere, giovialmente. «Dal momento che a casa non fa mai niente, vero?». Poi l'uomo spostò gli occhi su Yuki. «Nostra figlia si chiama Suzuki. Per caso l'hai vista?».

«Suzuki, dite... ?». Ah, se solo avesse mai imparato i nomi dei suoi cognomi, avrebbe potuto rispondere. Fu tentata di girare i tacchi ed andarsene, ma cercò di sforzarsi a ricordare. Se non andava errato, era quella ragazza con i capelli corti e scuri che andava molto bene in giapponese... giusto? «Non saprei dire. È appena iniziato il mio turno, quindi non ho potuto prestare attenzione alle mie compagne. Però, se non la vedete in giro, probabilmente è in pausa... ».

 

La coppia ci mise un po' a staccarsi dall'argomento “figlia scomparsa”. Solo dopo cinque minuti abbondanti – ormai Yuki aveva perso qualsiasi voglia di ascoltare – i due si decisero ad ordinare e l'albina poté finalmente allontanarsi alla cucina. Lasciò l'ordine ad uno dei ragazzi e richiuse la tenda, tirando un sospiro di sollievo – il primo ordine era fatto.

Apparentemente, non stavano riscontrando nessun problema. Le ragazze, Sayumi compresa, riuscivano a giostrarsi tra i clienti facilmente, ed erano contente di indossare quei vestiti carini.

 

Poi, mentre la mezzosangue era di spalle, in attesa dei piatti da servire alla coppia, il mormorio all'interno della classe si levò notevolmente. Quelle che prima erano voci allegre ma moderate, ben presto si tramutarono in versi di sorpresa e meraviglia.
Persino una come lei, che normalmente si teneva alla larga dal rumore, non poté fare a meno di chiedersi cosa accidenti stesse accadendo. Quindi, si voltò.

 

E capì all'istante.

Apparsi sulla soglia della porta, l'uno accanto all'altro – più simili che mai a statue greche – Takeshi e Tetsuya si scambiavano qualche parola fra di loro mentre con gli occhi ispezionavano l'interno dell'improvvisato cafè; il primo indossava l'uniforme scolastica, le maniche della camicia bianca arrotolate fino al gomito, l'orlo nei pantaloni neri un po' disordinato, i capelli arruffati. Il secondo aveva abiti civili di tutti i giorni, una camicia blu scuro e dei jeans neri alle lunghe gambe, impeccabile come un dipinto.

Yuki si tirò giù la gonna con le mani, quasi in maniera compulsiva – mentre Sayumi reagì come un gatto accecato dai fari di una macchina.

 

 

«Ragazzi!», esclamò Sayumi, abbandonando il suo cliente e raggiungendo i due ragazzi all'entrata della classe. «Che bella sorpresa!».

«Interessante costume», commentarono entrambi, all'unisono.

Takeshi abbozzò una risatina, indicando le piccola corna sul capo rosa. «Chi diavolo ha pensato ai costumi?».

Sayumi si toccò i capelli con le mani, nascondendo l'accessorio con le dita, un po' imbarazzata.

«Ci hanno pensato le ragazze della classe», rispose. «Noi ci siamo limitate solo ad indossarli. Non è stata una nostra idea!».

«Quindi Yuki ha un vestito come questo?», Tetsuya sorrise. Aveva tutta l'aria di volerla prendere in giro per un secolo. Il vampiro staccò lo sguardo dall'amica, scrutando lungo tutta la stanza. «Ah, eccola».

Yuki era ancora di fronte alla cucina, picchiettando il piede sul pavimento, e aveva fatto tornare normali i canini. Era di spalle, quindi – a rigor di logica – lei avrebbe dovuto essere ignara della presenza dei due ragazzi. Ma Tetsuya aveva motivo di dubitarne.

 

«Allora!», esclamò Sayumi. «Venite a sedervi e ordinate qualcosa!».

«Volentieri», disse Takeshi. Poi il moro tirò un lembo della manica di Tetsuya, attirando la sua attenzione. «Entriamo, intanto. Sicuramente Yuki verrà a salutarci».

Il vampiro si voltò. «Non posso perdere quest'occasione».

Takeshi si mise a ridere, mentre Sayumi li scortava al primo tavolo libero, proprio alla sinistra della porta, ad un tavolino con due posti a sedere. Adesso tutta la classe era piena.

 

«Bene, bene», Sayumi, blocco per gli appunti nella mano sinistra e penna nella destra, si rivolse al biondo. «Com'è il festival culturale di noi comuni mortali?».

Tetsuya, quieto, fece scorrere le fredde iridi ametista tutto intorno a sé, come se lo stesse analizzando in quel momento. «Beh, non c'è male. Takeshi mi ha trascinato di qua e di là, quindi qualcosa l'ho vista. La maggior parte dei progetti sono per puro scopo intrattenitivo, a quanto vedo».

«Vuoi dire che la maggior parte delle classi ha pensato al divertimento e basta?».

«Giustappunto».

Sayumi roteò gli occhi. Quando faceva così, lei stentava a sopportarlo. Il suo lato aristocratico balzava fuori così, all'improvviso, e la personalità del vampiro diventava ancora più seria e precisa. Ma allo stesso tempo era divertente quel cambio d'identità. «Okay, e cosa volete provare, del menù?».

«Ah, io prendo una bibita fredda, a tua scelta», disse frettolosamente il bruno. Si alzò dalla sedia, dopo nemmeno un minuto, e diede una pacca sulla spalla all'amica. «Vado a braccare Yuki. Ho appena ricordato che mi era stato dato un compito».

Sayumi cercò di fermarlo, obiettando che stava rovinando il suo compito come “maid”. «È difficile essere carina e socievole con un elemento come te», borbottò, rivolgendosi all'ormai lontano Takeshi.

«Quante storie. Tornerà nel giro di cinque minuti, suvvia».

«Okay, ho capito. Nel frattempo, hai deciso cosa vuoi ordinare?».

«Ah, già. Bene, allora pren– ».

«Mi scusi, signorina!».

 

 

Tetsuya e Sayumi si guardarono, complici della medesima esasperazione. Lei ci aggiunse un gesto di scuse, congiungendo le mani con i palmi, e lui le rispose con un veloce sospiro.

«Mi dica!», rispose Sayumi, ruotando i piedi verso il tavolo accanto, dando le spalle all'amico vampiro. «Ha bisogno?».

 

 

Bene, avrebbe aspettato. Non è che avesse fretta, comunque. Mentre Takeshi parlava con Yuki e Sayumi era impegnata con l'altro cliente, lui ne approfittava per chiudere gli occhi e riposarli da tutta la luce che stava sopportando – dall'inizio di quella mattinata.

Dopo che li ebbe chiusi, però, dovette riaprirli. Gli era sembrato di aver visto... qualcosa...

 

Mh?, di fronte al placido sguardo del vampiro c'era davvvero qualcosa... qualcosa che si muoveva. Movimenti leggerissimi, appena accennati, ma era proprio lì: una coda. Una coda rossa. Sì, gli era sembrato giusto. Come aveva fatto a non notarla prima?

Perché Sayumi ha una coda?, pensò Tetsuya. Sul suo viso non ci fu nessun cambiamento. Si limitò ad osservarla mentre oscillava ogni volta che Sayumi spostava il peso da una gamba all'altra oppure quando si piegava un po' avanti. Poi il suo sguardo salì verso la schiena della ragazza e lì, accanto, incontrò il viso del cliente di fronte a lei, il suo sorriso tutto contento e soddisfatto.

Solo a quel punto, le labbra del biondo si piegarono, impercettibili, e gli occhi si affilarono come lame.

 

«Un tè al gelsomino, è tutto? Allora arrivo subi– toh!». Sayumi fece un saltello, lì, sul posto – okay, a meno che non avesse le allucinazioni, e su questo non aveva nessun dubbio, la sua coda era stata tirata da qualcuno. Alle sue spalle non era passato nessuno, e anche di questo ne era certa.
Girò lentamente la testa dietro di sé, per fulminare il colpevole. Tetsuya stava con le braccia incrociate, gli occhi chiusi, quasi in meditazione. Sembrava che non avesse mosso un muscolo.

Sì, come no.


«Tutto bene?», chiese il cliente, confuso, richiamando l'attenzione della ragazza.

«Ah- sì, sì, tutto okay! Allora, arrivo subito con il suo tè». Sayumi abbozzò un sorrisetto tirato, fece un cenno con la testa e si volse verso Tetsuya.

 

Quello stupido cretino. Quello stupido cretino di un vampiro.
Il sorriso si fece più tirato, molto sarcastico. «Sarà meglio andare a consegnare quest'ordine in cucina», disse, alzando un po' il tono – e le sopracciglia, al contempo.

Tetsuya aprì un occhio, poi l'altro. «Veramente, volevo ordinare anch'io».

«Mh?», Sayumi alzò lo sguardo, guardandosi intorno, teatralmente. «Strano. Mi è sembrato di sentire una voce. Boh, sarà la mia immaginazione». Cercava di essere il più scontrosa possibile. Se lo meritava.
A quel punto, la ragazza ruotò i piedi un'altra volta, muovendo il sinistro in avanti per camminare – ma appena accennò quel movimento, Sayumi si sentì afferrare il polso, stavolta, una leggera presa. «Voglio ordinare», ripeté il vampiro.

Sayumi si bloccò. Come un gufo, mulinò il collo, e lo fissò con una smorfia indispettita. «Non te lo meriti», ribatté. «Sei dispettoso peggio di un bambino».

«Non so di cosa stai parlando. Non volevo fare un dispetto», spostò un po' lo sguardo, aprendo lievemente gli occhi. Il rumore all'esterno e il vociare all'interno creavano un'orchestra di suoni a lui sconosciuta, ma piacevole. «Ma quell'uomo... ».

«Uomo? Che uomo?».

«Ti stava fissando un po' troppo».

«Ma di chi stai parlando?», ripeté Sayumi, per poi abbandonarsi ad uno sbuffo. «Senti, ti faccio preparare un caffè, okay?», e detto questo, si liberò con uno strattone, senza impiegarci granché forza. Tetsuya non aveva tentato di bloccarla ancora.

La ragazza lo guardò un'ultima volta, spaesata e dubbiosa, ma alla fine si incamminò verso la cucina con l'ordine del suo amico.

 

 

 

Dall'altra parte della classe, Yuki stava raccogliendo da un tavolino due bicchieri di vetro, impilandoli uno sopra l'altro come meglio poteva. Straordinariamente, non aveva ancora rotto niente. Anzi, era quasi brava. Lei per prima non se lo sarebbe mai aspettata, dal momento che non aveva mai fatto nulla del genere, almeno fino a quando non aveva conosciuto la donna di nome Misaki.

Tuttavia, il suo operato era compromesso dalla figura – un po' incombente – del suo ragazzo, che le stava accanto come un'ombra.

«Take».

«Sì?».

«La pianti?».

«Tra poco». Il ragazzo si illuminò in un sorriso. La donna seduta al tavolo accanto lo osservò con la coda dell'occhio. «Non mi sono ancora stufato di vederti lavorare vestita in quel modo».

Per l'ennesima volta, la mezzosangue desiderò molti centimetri in più per la sua gonna. Le guance si colorarono improvvisamente, il suo viso sembrò diventare umano per un istante. «Smettila. Così non mi concentro!», borbottò, mentre gli dava le spalle e si avvicinava alla tenda. «Non dovresti aiutare la tua classe?».

«E a far che? Conosci il programma della rappresentante. Noialtri non possiamo fare proprio un bel niente», Takeshi si chiuse nelle spalle, come se la cosa non gli riguardasse. «Oh», aggiunse subito dopo. «a dir il vero, qualcosa devo farla».

«Ah, perfetto!».

«Dovevo venire da te».

«... eh», Yuki sorrise. «Mi fa piacere vederti».

«Anche a me. Però, quello che intendevo, è che dovevo venire ad avvisarti che tra un'ora e mezza devi essere da noi».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Un vampiro, a pochi metri dall'uomo, ringhiava sommessamente. Sembrava trattenersi solo per rispetto. Lo seguiva, emettendo quei rauchi versi che avevano tanto di animale e ben poco di persona, tenendo gli occhi scarlatti sulla sua ampia schiena mentre attraversava il bosco – lentamente.

 

Alyon si fermò, calpestando un gruppetto di viole. Sollevò la fronte verso il cielo, luminoso come non mai, coperto dalle fronde degli alberi, e corrugò le sopracciglia fino a formare un solco.
Avrebbe preferito di gran lunga incamminarsi durante la notte. Sarebbe stato meno doloroso e loro avrebbero conservato molte più forze. Nondimeno, non poteva nemmeno sperare di passare una notte e una mattina nel centro di quella città, sarebbe stato un gesto suicida – era tempo aggiunto, e loro non potevano permetterselo.
Alyon aveva pensato ad un piano preciso. Il suo piano sarebbe stato preciso, almeno fino ad un certo punto, poiché sopraggiunti al culmine avrebbe dovuto abolire l'ordine – a favore del caos.

 

Lui aveva atteso, pazientemente. Il momento giusto era un punto focale. Ed eccolo. Era giunto.

Era tra le sue mani.

 

Per la seconda volta da quando aveva lasciato la casa della sua infanzia, Alyon Hendrik Akawa si voltò – e a quel punto, vide i suoi seguaci. I centinaia di vampiri e demoni avanzare, ineluttabilmente.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 


Fuori dal dietro le quinte, oltre il pesante drappo di velluto rosso, al di là del palcoscenico in parquet, si poteva udire un continuo parlottio trepidante. C'erano talmente tante voci, unite e intrecciate, che era quasi impossibile distinguere una frase, persino per una creatura non umana come lei.
Erano appena trascorsi quindici minuti. In cinque minuti, il professore Okamoto e la rappresentante l'avevano spedita come un pacchetto postale nel retroscena, nascosta dal sipario. Altri cinque minuti dopo, ne aveva approfittato per guardarsi allo specchio, controllare che fosse tutto in ordine.
I cinque ed ultimi minuti, l'albina ancora non si era calmata. In tutto quel tempo, non aveva posato il microfono nemmeno una volta, ben stretto tra le mani, come se da esso dipendesse la sua vita.

 

Yuki respirò profondamente. Si girò, individuando la sedia con il morbido cuscinetto, e si sedette.

 

Il dietro le quinte dell'auditorium era particolarmente antico – tuttavia, ben tenuto; si trattava di una lunga stanza, polverosa e scricchiolante, con una notevole quantità di oggetti. Non appena si entrava, dopo tre gradini, sulla destra c'era una specchiera con una poltrona. A pochi metri da quel punto, sorgevano svariati appendiabiti e costumi appesi, una decina di sedie in disuso, materiali per il club di teatro e materiali per pitturare o dipingere.
Accatastati su delle scatole di cartone, grossi pezzi di stoffa di colore scuro e poi, tra tutto, un'ingombrante testa di leone – la ragazza aggrottò la fronte, osservando la testa scetticamente.

 

Spero di ricordare la canzone fino alla fine, pensò, non era complicata, ma ho fatto poca pratica.

 


E poi c'era il vestito. La rappresentante voleva fare le cose in grande.

Bianco, perché doveva intonarsi ai suoi capelli; lungo, con le maniche svasate fino alle nocche, coperte da corti guanti neri, e lo scollo a barca che metteva in risalto lo scarlatto girocollo di raso. La gonna del vestito scendeva dolcemente fino al pavimento, appena plissettata, e la sua cucitura divideva la parte superiore da quella inferiore.

Seduta su quella sedia, circondata da una leggerissima coltre di polvere, Yuki giocherellava con i lembi del suo vestito.

 

«Chissà se c'è tanta gente?», si disse, spostando lo sguardo verso il drappo rosso. «A giudicare dalle voci, sembra proprio... di sì». Deglutì. La cosa non la rassicurava per niente. Si alzò dalla sedia, lentamente, facendo attenzione a non sgualcire l'orlo vicino al tacco delle scarpe, e si avvicinò alla fine del sipario, sul lato sinistro. Infilando la mano destra, spostò appena il pesante tessuto, e lasciò spuntare solo gli occhi oltre il bordo.

«Per l'appunto», bisbigliò, mordendosi il labbro.

 

C'era decisamente tanta gente! I posti a sedere erano tutti occupati; l'auditorium non spiccava per ampiezza e aveva a disposizione solo dieci file da cinque sedili l'una. Per questo, molte persone si erano felicemente adattate, occupando le pareti in fondo o quelle ai lati – oppure, qualche furbo, stava condividendo un singolo sedile con un'altra persone.

E poi, guardando un po' dappertutto... vide i suoi amici. In realtà era logico che sarebbero venuti.

 

Eppure, vedere Takeshi, Sayumi e Tetsuya seduti in mezzo al pubblico – se così poteva chiamarlo – le stringeva lo stomaco. Occupavano la prima fila, sul lato destro, e stavano chiacchierando tra di loro, spensieratamente. C'era Sayumi che rideva, con indosso la divisa adesso. Takeshi sorrideva, punzecchiandole la guancia e poi Tetsuya, che ogni tanto sogghignava, un po' di nascosto.

L'albina li guardava. Il nodo allo stomaco era diventato un calore – un calore che si era velocemente espanso per tutto il corpo. Loro erano lì.

 

Si sentiva un po' più calma. Allo stesso tempo, era rassicurante vedere che in fondo, accanto alla porta d'uscita, le persone erano un po' di meno, forse per facilitare entrate ed uscite. C'erano svariati studenti, tutti allegri, ma in mezzo a tutti gli adolescenti spiccava un adulto. Il suo primo pensiero fu il peggiore – nemico, pensò all'istante, senza il minimo dubbio.
Quella reazione però, era abbastanza per farle capire quanto fosse diventata paranoica nel corso di quegli anni. Con la guardia perennemente alta, sempre sul chi va là... non c'era da sorprendersi se non aveva mai costruito amicizie prima di Sayumi, soprattutto tra gli umani.

 

«Akawa!».

Per lo spavento, la mezzosangue fu sul punto di sferrare un calcio alla rappresentante, apparsa alle sue spalle. Le aveva preso il polso e l'aveva tirata via dal sipario, costringendola a rientrare nel retroscena.

Saki si aggiustò gli occhiali sul naso, le sopracciglia inarcate sugli occhi severi. «Ma ti sembra il caso? Vuoi rovinare tutto il nostro lavoro proprio ora?».

Yuki si divincolò facilmente, annodando le braccia. «Guarda che se mi vedono non succede assolutamente niente. Non sono il papa, lo sai?».

«Lo so. Decisamente non sei il papa. Ma!», puntò i pugni suoi fianchi. «Qui c'è tutto un effetto sorpresa. Pochissimi sanno che sarai tu ad uscire su quel palco. Quindi, stai buona e aspetta!».

Aspetterò tutto il tempo del mondo, purché tu stia zitta, Yuki roteò gli occhi, mordendosi la lingua dentro la bocca.

 

«Ehy, senti– », la rappresentante era sul punto di fare l'ennesimo ammonimento all'albina ma, proprio in quel momento, il professor Okamoto aveva cominciato il discorso d'apertura del festival culturale.

 

Il microfono fece un po' i capricci, producendo suoni inizialmente distorti.

«Benvenuti a tutti», esordì Yamato Okamoto, la voce amplificata. «A tutti i genitori e i parenti e a voi ragazzi, protagonisti del nostro 18° festival culturale». Uno scrosciare di applausi interruppe il professore per qualche istante, fino a ché gradualmente non tornò il silenzio. Okamoto riprese parola: «Come ogni anno, il mio compito è quello di aprire questo importante evento con il primo progetto, realizzato dai vostri ragazzi. E quest'oggi, nel primo giorno di questo festival... », l'uomo si voltò di pochi centimetri, indicando il centro del palco, verso il sipario. «... è la classe 2-C a dare il via alle danze!».

 




Le luci si abbassarono. Tra le stracolme file del pubblico piombò una penombra, fitta e graduale, in grado di celare i volti di ognuno di loro, nascondendo le loro espressioni.
I faretti posti sul parquet del palco si accesero, uno alla volta, come le prime stelle in cielo; quando tutte furono attive, il palco si era riempito di piena luce, dall'alto, dal basso e tutto attorno – poi, lentamente, la luce si abbassò di poco.

 

Il sipario si aprì, separandosi al centro, e Yuki era proprio lì. Immobile e in attesa, tra le mani il microfono, il viso reclinato verso il basso – le palpebre schiuse.

C'era silenzio.

Yuki sentiva i loro battiti. Lo scorrere del sangue, il respiro regolare e leggero. Quando si spostò da quel punto del pavimento e cominciò a camminare verso il centro del palcoscenico, la gente l'accolse con una nuova cascata di applausi e tanti, svariati mormorii sorpresi – da quel punto, lei sollevò il mento e guardò di fronte a sé.

Gli occhi ricaddero sui suoi amici e accennò un sorriso.

 


Le prime note di Memories* riempirono tutta la sala come un dolce abbraccio. Il suono di un pianoforte segnarono il suo inizio, soave e puro – fino a ché Yuki non aprì le labbra e cominciò a cantare.

«You, rest inside my mind

Since the day you came

I knew you would be with me

All the time we spent

What we shared was surely

Warm enough to know you cared for me»

 

Stava cantando. Aveva dimenticato quanto fosse bello. Quanto le piacesse e la facesse sentire leggera come una piuma. Di fronte a tutte quelle persone, in un piccolo auditorium qualunque, accompagnata dalla musica di un pianoforte – cantava le parole di una canzone.

Non avrebbe mai smesso. Se avesse potuto, non avrebbe mai smesso di cantare di fronte a quelle persone. In quella scuola, in quella città – di fronte ai suoi amici, fino a ché le forze non l'avessero abbandonata.

Aveva dimenticato quanto fosse bello.

 

«Light floods through memories

Helps me walk my path

I'll keep my head up high

Words of fate and love

Your strength gives me hope

Someday I'll find you with open arms»

 

Le ultime note sembrarono aggrapparsi più forte possibile ad “arms”, per poi lasciarsi andare e dissolversi, continuare a dissolversi, fino a sparire. Ritornò il silenzio.

Yuki trasse un profondo respiro, strozzato e irregolare, allontanando il microfono dalle labbra. Il suo petto non riusciva a stare fermo e le mani tremavano. La musica era sparita completamente.

 

Nella prima fila, sulla destra, qualcuno cominciò a battere le mani. Yuki guardò quel punto, guardò Takeshi e le sue dita. Poi Sayumi e Tetsuya si unirono a lui. Subito dopo, tutto il lato destro, infine, anche il lato sinistro.

«BRAVA!». L'applauso era così forte da stordirla. Le voci rumorose ed emozionate.

 

 

Poi, dal soffitto sopra le loro teste, un forte tonfo smorzò l'allegria come il colpo di un boa. Tutti piombarono nel silenzio. Quel tonfo fu seguito da un secondo, ancora più violento, che rimbombò come una maledizione. 
 

E al terzo, orribile colpo, il soffitto fu disegnato da lunghe crepe e una grande voragine si aprì, in corrispondenza del palco. Yuki sollevò il volto e lì, da quella voragine, occhi scarlatti e denti acuminati spuntarono come voraci fiere.








* Memories: una bellissima canzone di Frances Maya, vi invito ad ascoltarla durante la lettura. </3  
https://www.youtube.com/watch?v=CS8DVxxQMpY

   
 
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