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Autore: Spoocky    10/07/2019    3 recensioni
Ambientato durante l'epidemia di tifo ne "L' Isola della Desolazione".
L' equipaggio della HMS Leopard è stato decimato dal tifo petecchiale, che ha colpito i marinai in forma grave. Jack e Stephen devono decidere se sbarcare i convalescenti più gravi, sapendo che tenerli a bordo significherebbe condannarli a morte.
La decisione, però, non sarà semplice.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Disclaimer: i personaggi riconoscibili e le ambientazioni appartengono ad O'Brian ed agli aventi diritto, così come la frase contrassegnata da asterisco (*) che è tratta dall' edizione italiana (pubblicata da Tea Editrice) de "L' Isola della Desolazione".

Eccoci anche all' ultimo capitolo di questo ennesimo catturone al povero Tom Pullings. Ringrazio di cuore chiunque abbia letto e soprattutto chi ha avuto la pazienza di lasciare un commento. Grazie mille!
Buona lettura ^^


Passarono un paio d’ore, dopo la visita ai convalescenti, prima che il capitano Aubrey si mostrasse di nuovo in infermeria accompagnato dal dottor Maturin, che però si fermò sulla porta.
Herapath stava piegando delle coperte pulite quando il rumore dei passi attirò la sua attenzione.
Il medico intercettò il suo sguardo interrogativo e gli segnalò di non interferire con un cenno della mano, e lui rimase al suo posto. Continuò però ad osservare con discrezione la scena che si svolgeva a pochi metri da lui.

Con il cuore stretto dal dispiacere, Jack si recò di nuovo al capezzale del suo secondo.
Sotto i rimasugli dell’esantema, l’arrossamento della febbre aveva lasciato il posto ad un pallore cadaverico, stemperato solo dalle profonde occhiaie che gli avvolgevano le palpebre. Aveva le mani incrociate sul petto e la testa leggermente voltata di lato, del tutto abbandonata sul guanciale perché il collo mancava della forza necessaria a sostenerla. Non fosse stato per i tremori che ancora lo scuotevano, avrebbe pensato che fosse spirato da poco.
Un artista avrebbe potuto prenderlo a modello per una scena di Compianto.
Nel prendergli una mano notò che gli avevano avvolto i polsi con delle garze per medicare le escoriazioni e rese grazie del fatto che le corde non fossero più necessarie. Strinse le dita gelate del tenente fra le sue, coprendole con l’altra mano e frizionandole fino a destarlo.

“Signore.” Lo salutò il giovane con un sorriso, mentre si sforzava di raddrizzarsi nella branda per rispetto del superiore e tirava un po’ su la testa.
L’agnello condotto al macello, pensò Aubrey, impietosito: “Ascoltatemi, Tom, per favore.”
Cercò di non far trapelare il rammarico che provava ma l’espressione corrucciata lo tradì davanti al secondo che ormai lo affiancava da anni e il sorriso svanì anche dal suo volto: “Qualcosa non va, signore? Ditemi, ve ne prego.”
“Vedete...” non sapeva davvero come dirlo e decise che tanto valeva venire al sodo “Abbiamo fatto scalo a Recife per sbarcare i convalescenti più gravi e farli ricoverare in un ospedale attrezzato, dove potranno ricevere cure che a bordo non siamo in grado di offrire. Il dottore mi ha fatto il vostro nome e ho dovuto dare il consenso. Mi dispiace.”
“Ah!” Se possibile, Pullings divenne di un grado più pallido e, con un grido strozzato, crollò sul cuscino, rabbrividendo violentemente e agitandosi.

Il tramestio fece sobbalzare Herapath, che si mosse per intervenire ma venne fermato di nuovo da un gesto del dottore. Gli bastò uno sguardo, comunque, per capire che non ci sarebbe stato bisogno del suo aiuto.
La fiducia che Aubrey ispirava ai suoi uomini era tanta e talmente profonda che gli bastò appoggiare una mano sul petto di Pullings e una sulla sua testa perché si immobilizzasse. Chino su di lui, iniziò a sfiorargli la fronte con le dita e gli parlo con un tono basso e tranquillo, spiegandogli la situazione e cercando di farlo ragionare: “Dispiace molto anche a me, non sapete quanto! Ma il dottore mi dice che avete bisogno di un ospedale e che se non vi sbarchiamo al più presto potremmo perdervi, capite?”
Gemendo, Pullings scosse il capo: la notizia lo aveva sconvolto tanto che stava piangendo.

“Shh, shh.” Jack gli accarezzò la testa, calmandolo un poco “Credetemi: mi piange il cuore nel farlo. Ma non abbiamo scelta. Rischiate di... diglielo tu, Stephen.”
“Mio caro, dispiace profondamente anche a me” spiegò il dottore, appoggiando una mano sulla spalla del tenente “e vedervi così mi spezza il cuore. Ma il capitano ha ragione: non abbiamo scelta. Se restaste a bordo, nelle vostre condizioni, potreste morire e siete troppo prezioso per sacrificarvi così...”
“Correrò il rischio.” Lo interruppe il giovane, per la prima volta nella sua vita “Voglio restare, signore. Vi prego.”
“Mi dispiace. Avete sentito il dottore.”
“Avrei voluto che ci fosse un altro modo, ragazzo mio, davvero.”

Quelle parole affossarono il povero Pullings definitivamente e si rilassò del tutto contro il fondo della branda, mentre le poche forze che aveva lo abbandonavano.
Seppellì il viso nel guanciale e continuò a lacrimare in silenzio, mentre Aubrey riprendeva a tenergli la mano: “Fatevi forza, Tom:  vi rimetteranno in sesto e tra qualche settimana tornerete a casa. Ci rivedremo in Inghilterra e avrete sicuramente altre occasioni di imbarcarvi con me. Per quanto mi dispiaccia dovervi lasciare indietro, preferisco questa prospettiva all’idea di perdevi per sempre.”
A quella, le sue dita si contrassero leggermente su quelle di Jack in un movimento spontaneo e deliberato piuttosto che in uno spasmo. Il capitano ricambiò la stretta senza dire nulla: non servivano parole per capirsi, quel semplice contatto parlava da solo.

Stephen osservò i due ufficiali con un sorriso indulgente e accarezzò la spalla di Pullings: “La malattia vi ha provato molto, Tom, più di quanto mi aspettassi: per poco non vi ha portato via. Grazie a Dio siete giovane e di buona costituzione, tutto quello di cui avete bisogno adesso è riposo assoluto e una dieta impossibile da mantenere in mare. Ma le buone suore sanno il fatto loro e vedrete che in un paio di settimane vi torneranno le forze. Coraggio.”
Con il volto rigato di lacrime, Tom annuì debolmente.
Jack gli appoggiò la mano libera sulla testa e Maturin gli deterse le guance con una pezza bagnata: fragile com’era, aveva bisogno di tutto il sostegno possibile.

Rimasero a vegliarlo finché la nave entrò in porto ed entrambi furono necessari in altri luoghi.
 


Era una splendida giornata di sole.
Il cielo era terso e una brezza leggera accarezzava le vele, rinfrescando il volto del capitano Aubrey mentre sorvegliava le operazioni d’attracco in piedi sul lato sopravvento del cassero.
Il dottore era da poco rientrato a bordo, dopo aver consegnato la posta ed affittato una barchetta che trasportasse i convalescenti fino alla banchina. Per non perdere tempo e non rischiare la velatura, infatti, la Leopard aveva dovuto mettersi alla fonda al largo di Recife. Inoltre, l’espediente dell’imbarcazione a nolo lo esonerava dal dover mandare a terra delle squadre di marinai, rischiando che la diserzione sfoltisse ulteriormente l’equipaggio, già decimato dall’epidemia.

Lasciò che il suo sguardo venisse catturato dai raggi solari che baluginavano sulle onde, creando quegli eleganti giochi di luce di cui mai si sarebbe saziato, mentre una folata di vento gli sollevava quei pochi capelli sfuggiti al nastro con cui li aveva raccolti.
Facendo scorrere il palmo sul corrimano, con lo sguardo fisso di fronte a se ed il volto contratto dall’ansia, Jack scese la scala e si andò a posizionare al centro del ponte, per osservare la squadra addetta all’allestimento della lettiga di tela che avrebbe consentito di trasbordare i malati.
Gli uomini lavoravano con solerzia sotto lo sguardo vigile dell’odiato Grant.
Solo a vederlo, lo stomaco di Aubrey si contrasse in uno spasmo e contrasse un pugno dietro la schiena, con la scusa di aiutarsi a tenerla dritta, pensando di essere costretto a collaborarci per i prossimi mesi.

“Magnifica giornata, signore. Non trovate?” Lo salutò il tenente, tutto giulivo per aver finalmente ottenuto il posto di primo ufficiale.
“Mpfh.” Grugnì Aubrey, per tutta risposta. Essendo il capitano, poteva permettersi simili uscite, e in quel momento ne fu particolarmente lieto.
Un’ angolo della bocca di Grant si contrasse a quella reazione, chiaramente ne era rimasto urtato e avrebbe voluto controbattere, ma la sua posizione di subordinato non glielo permetteva: “Saremo pronti in pochi minuti, signore.” Si limitò a spiegare, invece.
“Sarò più felice quando avremo finito, signor Grant. Non c’è un minuto da perdere.” Ribatté secco il capitano, senza disturbarsi ad essere cortese.
In procinto di dire qualcosa il tenente socchiuse le labbra, ma venne bruscamente interrotto dalla voce poderosa di Barrett Bonden: “Porco demonio! Goffo Davis, sottospecie di scimunito pidocchioso! Levati subito dai coglioni o ti spacco i denti con un calcio!”
Si udirono alcuni tonfi e grugniti vari, poi il possente timoniere fece la sua comparsa sul ponte.
L’attenzione di Aubrey fu catturata non tanto dalla sua persona, quanto dal fardello che stava trasportando con tanta cura e che gli fece dimenticare completamente lo sgradevole individuo al suo fianco.

Cullato dalle braccia robuste di Bonden, con il capo abbandonato sul suo petto, quello di Tom Pullings sembrava il corpicino di un infante. La camicia da notte immacolata e i piedi nudi non facevano che rafforzare quest’impressione. Con una delicatezza quasi impensabile per un uomo della sua stazza, il timoniere s’inginocchiò a terra e lo depose sulle travi del ponte, un poco discosto dagli altri convalescenti in onore del suo grado.
Joe Plaice si sfilò la giacca d’ordinanza e l’avvolse attorno alle spalle tremanti del tenente, che se la chiuse sul petto con una mano, come una coperta. Nel frattempo, un altro marinaio aveva piegato la sua per mettergliela sotto la testa a mo di cuscino.
Preservato Killick aleggiava nei dintorni con una brocca e si aprì a spintoni una breccia tra i compagni per offrire al poveretto una tazza di limonata fresca: “Limoni veri, signore, belli freschi di giornata. Sarebbe che il dottore li ha comprati di tasca sua apposta per voi che siete stati malati, signore. Bevetene un sorso, vi farà bene.”
Sopraffatto da tante premure, Pullings aveva le lacrime agli occhi e la voce rotta quando, restituendo la tazza di peltro a Killick, li guardò in volto uno ad uno e disse: “Grazie, signori, per la vostra gentilezza.”
“Dovere, signore.”
“Dovere, signore.”
“Dovere, signore.”
“Sarebbe che, per uno come voi, uno lo fa anche volentieri, no?”
Quella scena strappò un sorriso a Jack, che si sentì il cuore più leggero nel vedere gli uomini stringersi al suo secondo e trattarlo con lo stesso rispetto che avrebbero riservato a lui: Thomas Pullings stava diventando un grande uomo ed un magnifico ufficiale, la malattia sarebbe stata solo un piccolo intoppo sul suo percorso.

Si voltò verso Grant, nella speranza di condividere con lui la bellezza di quel momento, ma lo trovò che sogghignava, squadrando dall’alto in basso il corpo prostrato dell’altro ufficiale come se il solo fatto di non aver contratto il tifo dimostrasse la sua superiorità. Aubrey ebbe un moto di stizza per quell’atteggiamento e decise di dimostrare una volta per tutte dove stessero le sue simpatie:“Lascio l’operazione nelle vostre mani, signor Grant.”
Questo glielo avrebbe tolto dai piedi per un po’.

Recuperando il sorriso, Jack si diresse ad ampie falcate verso il cantuccio dove giaceva Pullings, con Bonden che gli faceva la guardia come un mastino particolarmente
possessivo, e gli si inginocchiò accanto, sollevandogli le spalle da terra ed estraendo un fazzoletto per asciugargli il sudore dalla fronte.

Il timoniere fece un verso sprezzante, badando di non farsi sentire dall’ufficiale di guardia: “Tsk! Ma avete visto come lo guardava, signore? Come guardava voi, cioè.”
“Sì l’ho visto, signor Bonden. Vi prego di trattenervi, però: non vorrei essere costretto a mettervi ai ferri.”
“Sissignore. Però per onestà ve lo devo dire, signore: fossimo stati a terra lo avrei gonfiato di botte.”
“Per favore, signor Bonden.” Intervenne Pullings, rabbrividendo “Non fate stupidaggini. Non per via di quell’uomo, almeno. Non ne varrebbe la pena.”
“Ben detto, Tom, sono d’accordo con voi. E’ un individuo sgradevole ma ci tocca sopportarlo.”
A mal in cuore il timoniere dovette desistere dai suoi propositi di violenza: “Sissignore.”
“Comportatevi con lui come avreste fatto con me, Bonden. E’ un ordine.”
“Sissignore. Croce sul cuore, signore.”
“Bene.”

Tutto il corpo di Pullings venne scosso da un attacco di tosse secca e Jack gli strofinò la schiena, accigliandosi quando sentì sotto il palmo le costole e le scapole che sussultavano, troppo nitide sotto il tessuto della giacca e il lino leggero della camicia.
Preservato Killick si materializzò alle sue spalle come un giocattolo a molla, munito di brocca e tazza. Ringraziato il famiglio, Aubrey sorresse la mano di Tom mentre si accostava il recipiente alle labbra e lo aiutò a bere.
Quand’ebbe finito dovette riadagiarlo a terra, perché solo stare seduto gli provocava le vertigini.
 


Giunse infine il momento fatidico di calare Pullings nella lettiga. Bonden ed Aubrey lo fecero insieme, ciascuno rifiutando di delegare ad altri quella responsabilità.
“Buona fortuna, Tom. Ci rivedremo presto.” Lo congedò Jack, stringendogli la mano per l’ultima volta.
A differenza di molti altri, il giovane ufficiale era troppo debole anche solo per alzare la testa e questo fu il suo unico sollievo mentre lo calavano lungo la paratia.
La tela gli nascondeva il volto e nessuno avrebbe visto che stava piangendo.

Poco dopo un tale Ayliffe ebbe qualcosa da ridire sul metodo di Stephen nel trattare i suoi pazienti e il tenente Grant lo riprese con particolare durezza: “Prendete il nome di quell’uomo!” strillò.
“Prenditelo da solo, vecchia scoreggia francese! E ficcatelo in quel posto! La disciplina non vale qui*.”

Gli altri invalidi disapprovarono quel comportamento tanto irrispettoso e mugugnarono tra loro contro il compagno irriverente.
Jack avrebbe dovuto intervenire in sostegno del suo ufficiale ma, date le circostanze, si guardò bene dal farlo, limitandosi a dissimulare una risata con una schiarita di gola, che il tenente interpretò come segno di disapprovazione verso il marinaio.
 


Stephen si calò nella barca, facendosi strada con attenzione tra i corpi stipati per sedersi al fianco di Pullings.
Al momento, il tenente lo preoccupava più di tutti: già indebolito dalla malattia aveva appena ricevuto un dispiacere enorme. Temeva che fosse troppo per lui e che non avrebbe retto.
Con la scusa di controllargli il battito, gli prese una mano tra le sue. Avrebbe voluto dire qualcosa per consolarlo ma non gli venne in mente nulla di sensato.
Camminando svelto accanto alla barella su cui lo avevano disteso, continuò a tenergli una mano sul polso, cercando di offrire quel poco di conforto che poteva, lungo tutto il tragitto dal porto all’ospedale.

Quando i due inservienti lo sollevarono dalla lettiga per metterlo a letto, Stephen gli resse la testa, appoggiandola sul cuscino con la stessa cura che avrebbe usato per un lattante. Gli stese addosso le coperte, lavate di fresco e profumate, e gli appoggiò le mani sul petto, avvolgendole nelle proprie mentre sedeva sul materasso accanto a lui.
Una mano pallida e delicata si posò lieve sulla fronte del giovane e, risalendo la manica del saio con lo sguardo, Maturin incontrò lo sguardo preoccupato della madre superiora, Suor Clarita: “Questo ragazzo vi è molto caro, vedo.” Gli disse, in Latino, con un forte accento portoghese.
“Lo è davvero, Madre. “ Le rispose lui nella stessa lingua “Tutti i miei pazienti mi stanno a cuore, ma lui è un vecchio amico.”
La donna annuì, comprensiva: “Non dovete preoccuparvi: avremo buona cura di lui. Ho visto uomini più deboli rimettersi in piedi in pochi giorni.”
“Ne sono certo, Madre. Tuttavia...”

Un gemito spezzò la sua frase. Sentendo le voci intorno a se, e più ancora l’assenza dell’onnipresente rollio della nave sotto di lui, Pullings si era scosso dal torpore in cui era scivolato e si stava guardando intorno, completamente smarrito.
Finalmente il suo sguardo si posò sul volto di Stephen e, riconoscendolo, si calmò un poco: “Dove sono?” sussurrò.
“Siete in ospedale, mio caro. A Recife.”
“Dio mio! No! No!” Seguì una sfilza di imprecazioni irripetibili, sussurrate a mezza voce a causa delle condizioni in cui versava.

Fortunatamente per lei, la suora – che parlava anche un po’ d’Inglese – capì meno della metà delle scurrilità proferite dal tenente, ma non le sfuggirono i brividi profondi che lo attraversarono né lo stato di grave agitazione. Chinatasi su di lui, aiutò Stephen a premerlo contro il cuscino.
“Non deve agitarsi tanto.” Le disse lui “Il suo cuore non è ancora in grado di reggere lo sforzo.”
“Abbiamo del laudano, dottore, e del latte di papavero: lo aiuteranno a dormire.”
“No, è ancora troppo debole. Un infuso di camomilla, piuttosto, o valeriana...”
“Con un cucchiaio di miele di tiglio.” Concluse lei, rassicurandolo definitivamente sulle sue capacità mediche “Ve la porto subito.”
Sparì in un fruscio di vesti, lasciandolo solo con il suo paziente.

Maturin ebbe una fitta al cuore vedendo che Tom aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Non lo aveva mai visto stare così male e pregò Dio di non doverlo rivedere mai più in quelle condizioni: “Vedete di darvi una calmata, Thomas.” Lo riprese con un tono più brusco di quanto avrebbe voluto “Non vi fa bene agitarvi così!”
“Dottore?”
L’espressione di Stephen si addolcì mentre si rendeva conto che di fronte a lui non c’era più un ufficiale di marina, coraggioso e ligio al dovere, ma un giovane spaventato e solo, indebolito da una lunga malattia: “Sono ancora qui, mio caro.” Gli si sedette di nuovo accanto, prendendogli le mani “Non dovete preoccuparvi di nulla: cercate solo di riposare. Appoggiate la testa sul cuscino, su, e chiudete gli occhi.”
“No. Non voglio farlo.”
“Perché?”
“Perché quando mi addormenterò ve ne andrete e mi lascerete qui.”

Stephen rimase di sasso a quelle parole: per comportarsi così Tom doveva essere davvero distrutto. Sapeva che si stava comportando in modo infantile, un atteggiamento inaccettabile per un uomo adulto, ma non volle giudicarlo. Sapeva come, e meglio di chiunque altro a cosa portasse un logoramento nervoso come quello: doveva cercare di tranquillizzarlo almeno un po’.
“Intanto sono qui.” Gli rispose “E non me ne andrei se non avessi la certezza che foste in buone mani. Ve l’ho già detto e ve lo ripeto: lasciarvi qui mi spezza il cuore. Ma è per il vostro bene. Le sorelle si prenderanno cura di voi come io da solo non potrei fare e vi rimetteranno in piedi. Se foste rimasto a bordo non avreste avuto speranza.”

Pullings rabbrividì di nuovo ed emise un lungo sospiro, completamente scoraggiato. Era arrivato da solo alla stessa conclusione ma, per quanto fosse sensata, non riusciva ad accettarla serenamente.
Si lasciò sprofondare nel cuscino, cercando di concentrarsi sul calore delle mani del dottore, strette intorno alle sue. Nei giorni seguenti avrebbe sentito la mancanza di quel contatto, così come di quello del capitano. Gli sarebbero mancati gli scricchiolii, i cigolii e l’odore di muffa della Leopard - per quanto orrenda fosse - le imprecazioni dei marinai, il fischietto del nostromo e persino il grugno di Killick.
Ma sapeva di non avere scelta.

La monaca si avvicinò di nuovo al suo letto. Aveva in mano una tazza fumante che emanava un profumo molto dolce e in volto un sorriso materno. Solo guardarla in volto lo mise in soggezione ma lo fece anche sentire più calmo, per qualche motivo che non riuscì a capire.
Il dottore fece scivolare un braccio dietro le sue spalle e lo sorresse mentre lo aiutava a bere.
Come anticipato dal profumo, l’infuso era dolce e caldo. Man mano che beveva, quel calore sembrò sprofondargli nelle ossa, appesantendogli progressivamente il corpo e le palpebre.

In poco tempo, si addormentò con la testa sulla spalla di Stephen.
 


Seguendo Suor Clarita nel suo studio, Maturin sentì finalmente la tensione degli ultimi giorni abbandonarlo.
Aveva avuto la conferma di aver preso la decisione giusta per i suoi pazienti e avrebbe potuto guardare di nuovo in faccia Jack con la consapevolezza di aver fatto il suo dovere fino in fondo.
Si concludeva un momento difficile per tutti e non dubitava che, nel corso di quel viaggio, ne avrebbero avuti altri. Ma almeno quella crisi era stata superata.
Si sentì il cuore improvvisamente più leggero e, nonostante la stanchezza, ebbe il bisogno irresistibile di sorridere.

 
- The End -
  
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